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L'INTERREGNUM FUORI DI ROMA: ORIGINE E FUNZIONI DELL'ISTITUTO NELLE CITTÀ ITALICHE

Storia antica e antichità classiche Istituto Lombardo (Rend. Lettere) 145, 57-78 (2011) L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA: ORIGINE E FUNZIONI DELL’ISTITUTO NELLE CITTÀ ITALICHE EDOARDO BIANCHI (*) Nota presentata dal s.c. Giuseppe Zecchini (Adunanza del 14 aprile 2011) SUNTO. – La magistratura straordinaria dell’interregnum è attestata per via epigrafica in alcune località dell’Italia romana: Beneventum, Ostia, Fundi, Formiae e Cumae. L’A. analizza tutta la documentazione disponibile allo scopo di ricostruire origini e funzioni dei locali interreges, in rapporto con l’interregnum romano. *** ABSTRACT. – The extraordinary magistracy of the interregnum is attested by inscriptions from some communities of Roman Italy: Beneventum, Ostia, Fundi, Formiae and Cumae. The A. analyses all the available evidence in order to detect the origins and functions of the local interreges and their relationship with the Roman interrex. Una linea interpretativa a lungo diffusa nella moderna storiografia – sostenuta, com’è noto, non solo da Th. Mommsen, ma anche da G. De Sanctis, H. Rudolph e A. Degrassi, nonostante la ferma avversione di A. Rosenberg – intendeva vedere negli istituti magistratuali italici il frutto della romanizzazione, ovvero la conseguenza dell’adattamento istituzio- Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano E-mail: edobi1@hotmail.it ; edoardo.bianchi@unicatt.it (*) 58 EDOARDO BIANCHI nale che sarebbe avvenuto, in maniera più o meno forzata, nel momento della sottomissione a Roma delle singole città latine e italiche. Per questo, magistrature come la dittatura, la pretura e l’edilità, ben attestate fuori dell’Urbe grazie alle epigrafi tardo-repubblicane e imperiali, venivano in genere interpretate come trasposizioni locali dei rispettivi modelli romani.1 In tale schema sembra essere rientrato anche l’interregnum, ma solo di sfuggita: infatti Mommsen, nel suo Staatsrecht, se da una parte affermò che tanto nelle città italiche quanto a Roma si ricorreva all’interregno nei momenti di vacanza delle supreme magistrature, dall’altra non chiarì il ruolo avuto da Roma nella diffusione dell’istituto e si limitò ad annotare che la sua origine, connessa con quella arcaica della monarchia, doveva essere non strettamente romana ma latina.2 L’inconveniente è che, da allora, il rapido parere di Mommsen sull’interregnum italico è stato spesso ripetuto con una certa trascuratezza, senza essere discusso,3 mentre è cresciuto, al contrario, un vivace dibattito intorno alle altre magistrature italiche e ai loro rapporti con quelle romane, che ha portato, da Mazzarino in poi, ad un superamento dello stesso schema generale patrocinato dallo studioso tedesco. In effetti, è 1 Cfr. Mommsen Th., Römisches Staatsrecht, Leipzig, 1887-883, spec. vol. 3, pp. 570-823; De Sanctis G., La origine dell’edilità plebea, RFIC 10 (1932), pp. 433-445 [=Id., Scritti minori. Volume quinto, Roma, 1983, pp. 147-157], e Id., La dittatura di Caere, in Scritti in onore di B. Nogara, Città del Vaticano, 1937, pp. 147-158 [=Id., Scritti minori. Volume quinto cit., pp. 409-421]; Degrassi A., L’amministrazione delle città, in Guida allo studio della civiltà romana antica, Napoli, 19592, vol. 1, pp. 303-330 [=Id., Scritti vari di antichità I, Roma, 1962, 67-98]; inoltre, la monografia di Rudolph H., Stadt und Staat im römischen Italien. Untersuchungen über die Entwicklung des Munizipalwesens in der republikanischen Zeit, Leipzig, 1935. Contra la monografia di Rosenberg A., Der Staat der alten Italiker. Untersuchungen über die ursprüngliche Verfassung der Latiner, Osker und Etrusker, Berlin, 1913, che notoriamente sosteneva l’idea di un’assoluta originalità istituzionale italica. 2 Vedi Mommsen Th., Römisches Staatsrecht cit., vol. 1, p. 647 note 2-3, dove si sottolinea, in particolare, che l’interregnum non trova corrispondenti nel mondo greco, anche alla luce delle orgogliose parole di Cic. rep. 2, 12,23, prudenter illi principes novam et inauditam ceteris gentibus interregni ineundi rationem excogitaverunt. 3 Cfr. Marquardt J., Organisation de l’Empire Romain, trad. franc., Paris, 1889, vol. 1, p. 237; Liebenam W., s.v. Interregnum, RE IX (1916), col. 1719; Giannelli G., s.v. Interrex, in Diz. Epigr. IV, 1 (1926), pp. 73-74. Soltanto Friezer E., Interregnum and patrum auctoritas, Mnemosyne 12 (1962), p. 313, e Coli U., s.v. Interregnum, in Nss. Dig. It. VIII (1962), p. 912, hanno dubitato del parere di Mommsen, senza tuttavia proporre soluzioni alternative. L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 59 ormai appurato che Roma, fino alla guerra sociale, non procedette con un piano preordinato da applicare a tutte le comunità sottomesse della penisola, che anzi potevano mantenere un certo grado di autonomia amministrativa, variabile secondo il tempo, l’origine degli abitanti e il trattamento che veniva loro riservato. In particolare, considerate le differenze tra municipia e coloniae, si è giunti oggi alla conclusione che gli istituti locali della dittatura, della pretura e dell’edilità, se attestati nei municipi di fondazione anteriore alla guerra sociale, sono la continuazione di magistrature epicorie create in età arcaica indipendentemente da Roma e, in seguito, mantenute ben oltre l’annessione nella civitas romana.4 Invece, si può confermare che le colonie romane ebbero ordinamenti istituzionali introdotti dall’Urbe, di cui erano quasi effigies parvae simulacraque,5 così come le colonie di diritto latino, per quanto formalmente autonome e dunque teoricamente libere di organizzarsi al loro interno, videro anch’esse le rispettive magistrature ispirate da vicino a quelle romane: ecco perché nelle une e nelle altre compaiono come magistrati supremi due pretori (talvolta detti consoli e in un secondo tempo sostituiti da praetores duoviri o duoviri), che possono essere accompagnati in subordine da censori, questori, tribuni e edili.6 4 Sugli specifici aspetti istituzionali, oltre al fondamentale Mazzarino S., Dalla monarchia allo stato repubblicano. Ricerche di storia romana arcaica, Milano 1992 2 (I ediz., Catania 1945), pp. 99-165, che ha sottolineato l’esistenza di una κοινηÈitalica alla base dei rivolgimenti magistratuali arcaici, cfr. Manni E., Per la storia dei municipii fino alla guerra sociale, Roma, 1947, spec. pp. 88-90; Toynbee A.J., Hannibal’s Legacy. The Hannibalic War’s Effects on Roman Life, London, 1965, vol. 1, spec. pp. 209-238; Sherwin White A.N., The Roman Citizenship, Oxford, 19732, pp. 62-73; Humbert M., Municipium et civitas sine suffragio. L’organisation de la conquête jusqu’à la guerre sociale, Roma, 1978, spec. pp. 3-43 e pp. 285-402; Campanile E., Letta C., Studi sulle magistrature indigene e municipali in area italica, Pisa, 1979, spec. pp. 33-42; De Martino F., Storia della costituzione romana, Napoli, 1972-902, spec. vol. 2, pp. 97-109; da ultimo David J.M., La Romanisation de l’Italie, Paris, 1994=trad. it., Roma-Bari 2002, pp. 25-33. 5 La citazione è da Gell. 16, 13, dove si distingue tra municipia e coloniae:... [sc. coloniae] ex civitate quasi propagatae sunt et iura institutaque omnia populi Romani, non sui arbitrii, habent... propter amplitudinem maiestatemque populi Romani, cuius istae coloniae quasi effigies parvae simulacraque esse quaedam videntur (16, 13,8-9). 6 Su analogie e differenze tra gli ordinamenti di colonie romane e colonie latine: cfr. Rudolph H., Stadt und Staat cit., pp. 132-134, superato da Sherwin White A.N., The Roman Citizenship cit., pp. 117-118; vedi inoltre Salmon E.T., Roman Colonization under the Republic, London, 1969, pp. 85-88; Degrassi A., L’amministrazione delle città cit., pp. 73-74; Bernardi A., Nomen Latinum, Pavia, 1973, pp. 66-69; De Martino F., Storia della costituzione romana cit., vol. 2, pp. 113-116. 60 EDOARDO BIANCHI Ebbene, alla luce degli sviluppi storiografici degli ultimi decenni, sembra utile riprendere la questione ‘dimenticata’ dell’interregnum italico e della sua presunta origine latina, verificando città per città ogni possibile elemento di influenza esercitato dal modello romano. Data la mancanza di fonti letterarie sull’argomento, l’indagine è inevitabilmente limitata alle città per le quali si dispone di epigrafi attestanti un interregnum o il nome di qualche interrex. Inoltre, è bene precisare che queste iscrizioni documentano soltanto l’ultimo stadio di vita dell’istituto (dagli inizi del I secolo a.C. agli inizi del I secolo d.C.), che si concluse – secondo gli studiosi moderni – quando una lex Petronia,7 voluta forse già da Augusto, generalizzò il ricorso ai praefecti, di nomina decurionale, nei casi di vacanza delle magistrature locali.8 Il campione documentario appare comunque rappresentativo, se non dal punto di vista cronologico almeno da quello amministrativo e geografico, in quanto comprende attestazioni che provengono sia da colonie sia da municipi, variamente sparsi nell’Italia centro-meridionale: Benevento (Beneventum), Ostia (Ostia), Fondi (Fundi), Formia (Formiae) e Cuma (Cumae). *** Partiamo dall’epigrafe più antica, che risale alla prima metà del I secolo a.C. e proviene da Benevento: in essa si legge che un C. Oppio 7 Attestata per via epigrafica: cfr. CIL IX 2666=ILS 6518; CIL X 858=ILS 6359; CIL X 5405=ILS 6125; CIL X 5655; infine AE 1978, 100. 8 Cfr. Mommsen Th., Gesammelte Schriften I, Berlin, 1905, pp. 339-340, secondo cui la lex Petronia risale all’età augustea o, al massimo, alla fine della repubblica. Secondo Marquardt J., Organisation de l’Empire Romain cit., vol. 1, p. 237 nota 4, la lex sarebbe addirittura anteriore al 32 a.C. (per quest’anno, infatti, sono attestati nei Fasti Venusini due praefecti sostituti dei magistrati supremi: CIL IX 422=ILS 6123, su cui vedi infra, con nota 18); così pensano anche Rotondi G., Leges publicae populi Romani, Milano, 1912 (rist. Hildesheim, 1966), p. 439, e De Martino F., Storia della costituzione romana cit., vol. 4.2, pp. 716-717. Secondo Degrassi A., Inscr. It. XIII. 1, 256, la datazione potrebbe invece discendere all’età giulio-claudia (perché nei Fasti Venusini non si parla espressamente di lex Petronia); molto cauti sono anche Barbieri G., s.v. Lex Petronia de praefectis municipiorum, in Diz. Epigr. IV, 2 (1956-57), pp. 732733, Sartori F., La legge Petronia sui prefetti municipali e l’interpretazione del Borghesi, in Bartolomeo Borghesi. Colloque internationale AIEGL, Bologna, 1982, pp. 211-222 [=Id., Dall’Italía all’Italia I, Padova, 1993, pp. 533-545], e da ultimo Spadoni M.C., I prefetti nell’amministrazione municipale dell’Italia romana, Bari, 2004, pp. 220-224. Comunque si voglia datare la lex Petronia, vedremo nelle prossime pagine che nessuna delle epigrafi attestanti l’interregnum è posteriore all’età giulio-claudia. L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 61 Capitone fu, oltre che interrex, anche quaestor, praetor e censor della località, 4 C. Oppio [- f(ilio)] Capiton[i] q(uaestori), pr(aetori), in[ter(regi)] cens[ori].9 Il valore del documento sta proprio nella sua risalenza, perché testimonia che la questura, la pretura e la censura (linee 3-4) dovettero essere rivestite da Capitone prima che Benevento fosse organizzata in municipium all’epoca della guerra sociale, vale a dire prima che alla città fosse imposta l’organizzazione quattuorvirale caratteristica dei nuovi municipia.10 In effetti, Benevento era un’antica colonia di diritto latino fondata da Roma nel 268 a.C., in posizione strategica nel territorio sottratto da pochi anni ai Sanniti:11 a questa condizione giuridico-amministrativa della città, che rimase immutata fino al 90 a.C., si riferiscono dunque le magistrature ricoperte da Capitone.12 La conferma viene dal 9 CIL I2 1729 (=IX 1635)=ILS 6492=ILLRP 555=EDR 102392 del 04/12/2009 (G. Camodeca). Il grassetto è mio, come anche nelle successive epigrafi citate. 10 Sul quattuorvirato come magistratura tipica dei municipi creati dopo la guerra sociale, cfr. in generale De Martino F., Storia della costituzione romana cit., vol. 3, spec. pp. 295-306; inoltre, Laffi U., Sull’organizzazione amministrativa dell’Italia dopo la guerra sociale, in Akten des VI. Internationalen Kongresses für Griechische und Lateinische Epigraphik (Vestigia. Beiträge zur alten Geschichte, 17), München, 1973, pp. 37-53 [=Id., Studi di storia romana e di diritto. Roma, 2001, pp. 113-133]; sintesi in Id., La struttura costituzionale nei municipi e nelle colonie romane. Magistrati, decurioni, popolo, in Gli Statuti Municipali, Pavia, 2006, pp. 113-115; infine, Crawford M.H., How to create a municipium: Rome and Italy after the Social War, in Modus operandi: Essays in honour of G. Rickman, London, 1998, pp. 31-42. Sul quattuorvirato a Benevento: cfr. le attestazioni epigrafiche discusse in Torelli M.R., Benevento romana, Roma, 2002, p. 134. La storia municipale di Benevento fu breve: nel 43, infatti, la città fu trasformata dai triumviri in colonia, su cui vedi App. b.c. 4, 3. 11 Sulla fondazione della colonia di Benevento, le fonti principali sono Polyb. 3, 90,8, Liv. per. 15, e Vell. 1, 14,7, su cui cfr. CIL IX p. 136; vedi inoltre Salmon E.T., Roman Colonization cit., p. 63 e 119 (ripreso in Salmon E.T. The Making of Roman Italy, London, 1982, p. 70) e Bernardi A., Nomen Latinum cit., p. 77 e 89, nonché la specifica monografia di Torelli M.R., Benevento romana cit., spec. pp. 69-74. 12 Così giustamente Torelli M.R., Benevento romana cit., pp. 80-81, contra Mommsen Th., CIL IX p. 136 e Degrassi A., ad ILLRP 555. È stato peraltro notato in Crawford M.H. (ed.), Roman Statutes, London, 1996, p. 290, che l’ordine delle 62 EDOARDO BIANCHI fatto che, nello stesso anno 268 a.C., Roma aveva provveduto alla deduzione di un’altra colonia latina di interesse strategico, Rimini (Ariminum), nell’ager Gallicus, dove figurano come magistrati altrettanti pretori (detti duoviri e accompagnati in subordine da edili curuli e plebei).13 Inoltre, dato che antiche epigrafi di III/II secolo a.C. attestano l’esistenza di consules sia a Benevento sia a Rimini,14 si deve credere che, in entrambe le colonie, l’originaria magistratura suprema fosse proprio il consolato, a cui subentrò la pretura/duovirato solo in un secondo tempo.15 È quindi evidente che Benevento e Rimini avevano avuto, data la coeva fondazione, ordinamenti magistratuali “gemellari”. Non solo: esse avevano avuto istituti magistratuali del tutto ispirati a quelli esistenti nella Roma del III secolo a.C., che furono poi mantenuti, quasi inalterati, fino alla guerra sociale. Ne deriva perciò che anche l’interregnum, attestato nella Benevento degli inizi del I secolo a.C., doveva essere la continuazione della magistratura prevista nell’ordinamento locale già nel 268 a.C.: ad essa doveva farsi eccezionale ricorso, come nella res publica Romana presa a modello, nei momenti di vacanza magistratuale. Ora non è dato sapere se in tutte le colonie latine, o almeno in tutte quelle dedotte nel medesimo periodo, fosse stato introdotto l’interregnum; certo è che le analogie ravvisate tra l’ordinamento di Benevento e quello di Rimini rendono probabile la presenza dell’istituto pure in quest’ultima città. Del resto, in un’altra importante località, l’apula Venosa (Venusia), che fu colonia latina dal 291 a.C.16 con un’or- magistrature ricoperte da Capitone mostra corrispondenza con il cursus honorum prescritto nella tabula Bantina, anteriore alla guerra sociale: vedi infra, nota 17. 13 Sulla colonia di Rimini, cfr. CIL XI p. 77 con titt. 385, 400 e 401; inoltre Degrassi A., L’amministrazione delle città cit., p. 74; Bernardi A., Nomen Latinum cit., pp. 77-89; Salmon E.T., Roman Colonization cit., p. 63, e Id., The Making of Roman Italy cit., pp. 65-66 e 70. 14 Benevento: CIL I2 395 (=IX 1633)=ILS 6129; CIL I2 396 (=IX 1547)=ILS 3096. Rimini: CIL I2 40 (=XIV 4269)=ILS 6128. Su queste epigrafi, vedi Torelli M.R., Benevento romana cit., p. 78. 15 Cfr. Degrassi A., L’amministrazione delle città cit., p. 74. Non è dato sapere il momento preciso in cui la pretura subentrò al consolato, tanto che Bernardi A., Nomen Latinum cit., p. 87, e Torelli M.R., Benevento romana cit., p. 79, si chiedono se le due magistrature non abbiano convissuto, almeno per un certo periodo. 16 Sulla deduzione della colonia latina, si vedano Dion. Halic. 17-18, 5 e Vell. 1, 14,6, oltre che Hor. sat. 2, 1,34-39. A proposito cfr. CIL IX p. 44; inoltre Degrassi A., L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 63 ganizzazione interna simile a quelle appena analizzate,17 sono attestati nel 32 a.C. praefecti (pro duoviris) con evidenti funzioni di interreges: quindi anche a Venosa, già alla nascita della colonia, potrebbe essere stato previsto il ricorso all’interregnum, che in seguito sarebbe stato mantenuto, nonostante i cambiamenti statutari della città, fino alla introduzione della praefectura (pro duoviris).18 Più complesso appare il caso dell’interregnum attestato da un frammento dei Fasti Ostienses, che fu pubblicato da G. Calza nel 1921.19 In effetti, laddove è riportato il resoconto annalistico relativo al 49 a.C., si legge soltanto 2 [Cn.] Pompeiu[s urbem reliquit] [I]nterregnum.20 A ben vedere, dopo il nome Pompeius (linea 1), che deve allu- L’amministrazione delle città cit., p. 74; Bernardi A., Nomen Latinum cit., p. 75; Salmon E.T., Roman Colonization cit., pp. 60-62, e Id., The Making of Roman Italy cit., p. 64; aggiornamenti in Chelotti M., Venusia, in Supplementa Italica n.s. 20, 2003, pp. 22-26, e Grelle F., Le colonie latine e la romanizzazione della Puglia, in Storia e archeologia della Daunia in ricordo di M. Mazzei, Foggia 19-21 maggio 2005, Bari, 2008, spec. pp. 372-375. 17 A Venosa le epigrafi documentano solo il tribunato della plebe e la questura: cfr. CIL IX 438 (=ILS 5880); CIL IX 439 e 440. Tuttavia, il cursus honorum della tabula Bantina (fine II/ inizi I secolo a.C.: vedi Vetter E., Handbuch der italischen Dialekte I, Heidelberg, 1953, n° 2; Crawford M.H. Roman Statutes cit., n° 13) attesta per la confinante civitas libera di Bantia l’esistenza di questori, censori, pretori, IIIviri e tribuni della plebe, cioè mostra un’assimilazione ai modelli istituzionali romani che poté essere mediata dall’esperienza coloniale di Venosa (cfr. da ultimo Grelle F., Le colonie latine cit., p. 379); quindi è lecito supporre che a Venosa fossero presenti altre magistrature finora prive di testimoni epigrafici, come la pretura e la censura: cfr. Crawford M.H., Roman Statutes cit., p. 273 e 290. 18 L’attestazione dei praefecti, che nel 32 a.C. furono in carica per due mesi, fino alla nomina dei magistrati ordinari, è nei Fasti Venusini: CIL IX 422=ILS 6123. Come Benevento (cfr. supra, nota 10), Venosa era passata dalla condizione di colonia latina a quella di municipio nel 90 a.C., per poi divenire colonia romana nel 43 a.C. (cfr. App. b.c. 4, 3 su cui CIL IX p. 44); dunque, nel 32 a.C., i praefecti erano i sostituti dei duoviri, i magistrati supremi della colonia romana: cfr. Chelotti M., Venusia cit., pp. 52-53. 19 Edizione del frammento in Calza G., Epigrafi Ostiensi, NSA ser. 5ª vol. 18 (1921), pp. 241-250, da cui AE 1922, 94; cfr. CIL XIV 4531. Più recentemente cfr. Vidman L. (ed.), Fasti Ostienses, Praha, 1957, p. 3 e 11. 20 Seguo l’edizione Vidman L., Fasti Ostienses cit., p. 11 e 27: per l’integrazione alla linea 1, vedi nota successiva; per un’eventuale integrazione alla linea 2, vedi infra. 64 EDOARDO BIANCHI dere al Pompeo Magno coinvolto proprio dal 49 nella guerra civile contro Cesare,21 l’isolata dicitura interregnum (l. 2) suscita alcune perplessità. Innanzitutto, a livello terminologico, è stato osservato che questa è la prima e finora unica attestazione epigrafica della parola interregnum: di norma, infatti, nelle epigrafi si trova il termine interrex accompagnato dall’indicazione onomastica.22 In secondo luogo, si è posto il problema dell’esatta assegnazione geografica della magistratura citata, che potrebbe attenere a Roma. Tuttavia, bisogna considerare che nell’Urbe, per quanto ritenuto teoricamente ammissibile ancora nel 43 (dopo la morte dei consoli Irzio e Pansa), l’interregno era entrato in funzione per l’ultima volta agli inizi del 52 (nei momenti drammatici dello scontro tra Clodio e Milone);23 inoltre, nella nostra epigrafe, la parola interregnum occupa la posizione altrimenti riservata ai nomi dei duoviri, i magistrati supremi della colonia ostiense: quindi si può ritenere con certezza che l’istituto documentato dai locali Fasti sia da riferire proprio alla città di Ostia.24 Rimane incerto perché, al posto dei nomi dei duoviri allora assenti, non si menzionassero i nomi degli interreges, che avrebbero dovuto sostituirli anche nell’eponimia: del resto, non si può neppure ipotizzare che gli elementi onomastici fossero presenti al genitivo dopo la parola interregnum, perché la parte mancante della lastra sarebbe troppo stretta per contenerli.25 Gli editori del testo, dunque, hanno prospettato due possibili soluzioni alternative, che cioè la parola interregnum fosse accompagnata dalla dicitura tecnica init (o exit),26 oppure, più semplicemente, che si trovasse da sola nell’intero rigo: in quest’ultimo caso, si è potuto pensare all’attestazione di un interregnum sine interrege, vale a dire ad una 21 Così secondo le integrazioni degli editori: già Calza G., Epigrafi Ostiensi cit., p. 243, proponeva l’integrazione Romam (o Italiam) relinquit. 22 A conferma di quanto già detto da Calza G., Epigrafi Ostiensi cit., p. 244, cfr. Vidman L., Fasti Ostienses cit., p. 27: «vox interregnum nude posita, non interrex vel interreges, hoc solo loco, quod sciam, legitur». 23 Cfr. Giannelli G., Interrex cit., p. 74; Coli U., Interregnum cit., p. 912; De Martino F., Storia della costituzione romana cit., vol. 3, p. 311, con discussione delle fonti letterarie. 24 Cfr. soprattutto Calza G., Epigrafi Ostiensi cit., pp. 243-244. Per i duoviri a Ostia vedi anche CIL XIV p. 4. 25 Per le misure del frammento vedi Vidman L., Fasti Ostienses cit., p. 3. 26 Formula consueta per tale magistratura: cfr. Liv. 3, 8,2; 5, 17,3; 6, 1,8; 8, 3,5 e 22, 34,9 (interregnum inire); Liv. 3, 8,2 (interregnum exit). L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 65 vacanza della locale magistratura suprema a cui non si rimediò attraverso il ricorso effettivo agli interreges, bensì attraverso l’attività suppletiva collegiale del senato locale.27 Non escluderei però che il senato ostiense, nell’impossibilità prolungata di un’elezione duovirale, fosse stato costretto a nominare numerosi interreges, i quali si susseguirono nella guida della città per tutto l’anno, così da determinare quell’ininterrotta fase di interregnum che sembra ricordata dall’epigrafe. Comunque si vogliano interpretare le vicende magistratuali di Ostia nel 49 a.C., su cui poté forse influire l’incipiente guerra civile tra Cesare e Pompeo, è per noi importante ricordare che la città era una colonia romana di antica data, secondo la tradizione risalente addirittura all’età di Anco Marcio.28 In realtà, non esistono tracce archeologiche che rimandino ad un insediamento di età monarchica, mentre è probabile che una fortificazione di V/IV secolo fosse stata il luogo prescelto per la successiva deduzione coloniaria, avvenuta in un momento imprecisato dopo la guerra latina:29 gli studiosi propongono al riguardo date comprese tra il 338, anno della deduzione della colonia marittima di Anzio (Antium), e il 267 a.C., anno in cui Ostia divenne la sede di uno dei nuovi quaestores classici.30 Ostia era quindi, al pari di Anzio, una colonia marittima, che presumibilmente, alla metà del I secolo a.C., non aveva ancora mutato il suo originario status giuridico:31 così, se i suoi ordinamenti interni, compresa la suprema magistratura, dipendevano 27 Così Calza G., Epigrafi Ostiensi cit., p. 244, e Vidman L., Fasti Ostienses cit., p. 27. Cfr. anche Crawford M.H., How to create a municipium cit., p. 37 nota 30. 28 Cfr. Polyb. 6, 11a,6; Cic. rep. 2,3,5 e 18,33; Liv. 1, 33,9; Dion. Halic. 3, 44,4; Plin. n.h. 3, 56; Flor. 1, 4; Anon. vir. ill. 5,3; inoltre si vedano CIL I2 p. 257 (Fasti Silvii) e CIL XIV 4338, su cui ora Bandelli G., Colonie e municipi dall’età monarchica alle guerre sannitiche, Eutopia 4.2, 1995, pp. 148-150, con note 29 e 44-46. 29 La prima attestazione esplicita di Ostia come colonia romana appare solo nell’elenco di Liv. 27, 38,3-5, relativo al 207 a.C. Per i dati archeologici cfr. Meiggs R., Roman Ostia, Oxford, 19732, pp. 20-27; sintesi recente in Torelli M., Tota Italia. Essays in the Cultural Formation of Roman Italy, Oxford, 1999, pp. 29-31. 30 Cfr. Degrassi A., L’amministrazione delle città cit., p. 84; Toynbee A.J., Hannibal’s Legacy cit., vol. 1, pp. 387-391; Salmon E.T., Roman Colonization cit., p. 71 e Id., The Making of Roman Italy cit., p. 44; Humbert M., Municipium et civitas cit., pp. 186-187; da ultimo, Bandelli G., Colonie e municipi cit., pp. 149-151. Si dissocia dalla communis opinio Pohl I., Was Early Ostia a Colony or a Fort?, PP 38, 1983, pp. 123130, secondo cui Ostia ricevette lo statuto coloniale solo nell’età sillana. 31 Cfr. De Martino F., Storia della costituzione romana cit., vol. 2, p. 116. 66 EDOARDO BIANCHI direttamente da Roma,32 è del tutto plausibile che anche l’istituto dell’interregno vi fosse stato introdotto sull’esempio di quello urbano.33 A diverse conclusioni conduce invece l’analisi dell’interregno che è testimoniato nelle città di Fondi e Formia, situate nel territorio del cosiddetto Latium adiectum.34 Le epigrafi in questione sono due e possono essere studiate insieme: una (di seguito, Testo A) proviene da Fondi e risale alla prima metà del I secolo d.C., l’altra (Testo B) giunge da Formia ed è in sostanza contemporanea a quella fundana. Testo A) 5 [– – – ] aed(ilis), interrex, [– – – ] f(ilio) Cn. [– – – ]Fusc(o) [frat]ri, Clodiae C. Fusci uxori.35 Testo B) L. Arrio Salano praef(ecto) quinq(uennali) Ti. Caesaris, 32 Anzio, subito dopo la deduzione del 338 a.C., era stata amministrata direttamente dai magistrati romani, mentre aveva ottenuto magistrati propri a partire dal 317 (cfr. Liv. 8, 14,8 e 9, 20,10): doveva trattarsi di praetores, sostituiti ad un certo punto da duoviri (il duovirato è attestato per l’anno 59 a.C. da Cic. Att. II 6,1; cfr. CIL X p. 660). Anche a Ostia, il duovirato attestato in epoca tarda (fonti supra, nota 24) doveva avere preso il posto dell’originaria pretura, che tuttavia non scomparve completamente ma fu ridotta a funzioni sacrali: epigrafi imperiali, infatti, documentano l’esistenza di praetores sacris Volkani faciundis sottoposti al locale pontifex Volkani: vedi CIL XIV pp. 4-5. Sulla questione cfr. Sherwin White A.N., The Roman Citizenship cit., pp. 80-82; De Martino F., Storia della costituzione romana cit., vol. 2, pp. 114-115; e Humbert M., Municipium et civitas cit., p. 390 con nota 116. 33 Similmente si esprimono anche Calza G., Epigrafi Ostiensi cit., p. 244, e Crawford M.H., How to create a municipium cit., p. 38. 34 Sulla distinzione geografica tra Latium vetus e Latium adiectum, con tanto di ‘confine’ tra i due fissato al promontorio del Circeo, cfr. Solin H., Sul concetto di Lazio nell’antichità, in Studi storico-epigrafici sul Lazio antico, Roma, 1996, pp. 1-22. 35 CIL X 6232=ILS 6279. Per una possibile proposta di integrazione testuale cfr. Mommsen Th., ad CIL X 6232. L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 5 67 praef(ecto) quinq(uennali) Neronis et Drus[i] Caesarum designato, tub(icini) sacr(orum) p(opuli) R(omani), aed(ili) III, auguri, interreg[i], trib(uno) milit(um) legion(is) III August(ae), leg(ionis) X Geminae, praef(ecto) equit(um), praef(ecto) castror(um), praef(ecto) fabr(um), Oppia uxor.36 L’opportunità di affrontare congiuntamente lo studio di questi documenti non deriva dalla contiguità cronologica degli stessi, né dalla semplice vicinanza geografica di Fondi e Formia, ma piuttosto dal fatto che le due città del Latium adiectum ebbero, prima e dopo l’annessione nella civitas romana, una storia politico-istituzionale del tutto convergente, in cui deve rientrare anche l’interregnum.37 In effetti, Fondi e Formia erano antichi centri sorti nel territorio degli Ausoni-Aurunci, che erano vissuti a stretto contatto con i popoli latini e laziali fino alla fine del VI secolo, per poi finire sotto il dominio volsco durante il V secolo e subire l’influsso della cultura sabellica.38 Entrambe le città erano dunque indubbiamente volsche, quando furono conquistate dai Romani, all’indomani della guerra latina, e divennero municipia sine suffragio fra il 334 e il 328 a.C.39 Sempre insieme rice- 36 CIL X 6101=ILS 6285. Articolata sulla carriera di L. Arrio Salano cfr. il recente Spadoni M.C., I prefetti nell’amministrazione municipale cit., pp. 19-20. 37 Per completezza, bisogna ricordare che una seconda epigrafe formiana, frammentaria e oggi perduta, confermava l’esistenza dell’interregnum locale: edizione del testo in Zambelli M., Iscrizioni di Formia, Gaeta e Itri, in Seconda miscellanea greca e romana, Roma, 1968, p. 374. C’è infine una terza epigrafe formiana (CIL X 6071=ILS 3884) attestante uno strano magisster (sic) quinqueannalis (sic) interrexs, che viene solitamente interpretato come interrex di un collegium: è quindi da escludere, contra Gasperini L., Vecchie e nuove epigrafi romane di Gaeta, in Formianum. Atti del Convegno di Studi sull’antico territorio di Formia. II-1994, Marina di Minturno, 1995, p. 17, che il documento si riferisca all’interregnum cittadino. Del resto, secondo Gusso M., Sul presunto interrex del collegium incertum di CIL X 6071, Prometheus 17, 1991, pp. 155-172, la citazione dell’interrex sarebbe addirittura frutto di un errore del lapicida. 38 Cfr. Coarelli F., Roma, i Volsci e il Lazio antico, in Crise et transformation des sociétés archaïques de l’Italie antique au Ve siècle av. J.C. (Collection de l’École Française de Rome, 137), Roma, 1990, pp. 140-141; da ultima Storchi Marino A., Fondi romana: società ed economia, in Fondi tra antichità e medioevo, Fondi, 2002, pp. 21-22 con note 7-9. 39 Cfr. Dion. Halic. 15, 7,4; Liv. 8, 14,10 e soprattutto Vell. 1, 14,3. Sul processo di municipalizzazione avvenuto nella zona dopo la guerra latina, vedi in generale 68 EDOARDO BIANCHI vettero poi, nel 188 a.C., la civitas optimo iure in virtù di una lex Valeria;40 infine, si noti bene, mantennero entrambe la loro condizione municipale per lungo tempo, almeno fino agli inizi del II secolo d.C.41 Ora è chiaro che le nostre iscrizioni, risalendo agli inizi del I secolo d.C., si inquadrano nella fase municipale delle due città, cominciata evidentemente ben prima della guerra sociale e della diffusione nella penisola dello schema magistratuale quattuorvirale. Non c’è quindi da stupirsi che esse attestino, oltre all’interregno, la magistratura locale dell’edilità (Testo A, linea 1; Testo B, l. 5): infatti, numerose altre epigrafi comprovano che Fondi e Formia, in virtù del loro antico ordinamento municipale, avevano sempre mantenuto un peculiare assetto magistratuale, la cosiddetta ‘costituzione dei tre edili’,42 che non fu mai introdotta da Roma, bensì era il relitto del preesistente ordinamento epicorio.43 Così ne discende che anche l’interregnum qui documentato poteva essere un istituto di origine epicoria, conservato non solo al momento della creazione dei locali municipi, ma pure nei secoli successivi. A sostegno di quanto andiamo dicendo, occorre ricordare che nelle due città laziali è attestata in aggiunta la figura del rex sacrorum,44 il sacerdote che era chiamato, letteralmente, a svolgere le cerimonie Humbert M., Municipium et civitas cit., pp. 195-197; in particolare, su Fondi, Lo Cascio E., Fondi in età romana: aspetti istituzionali, in Fondi tra antichità e medioevo cit., pp. 1-17; su Formia, Laaksonen H., Formiae. Zur Geschichte einer italischen Landstadt, in Roman Eastern Policy and Other Studies in Roman History, Helsinki, 1990, pp. 163-174. 40 Stessa sorte toccò alla città di Arpino: cfr. Liv. 38, 36,7-9: de Formianis Fundanisque municipibus et Arpinatibus C. Valerius Tappo tribunus plebis promulgavit, ut iis suffragii latio – nam antea sine suffragio habuerant civitatem – esset. 41 A proposito di Fondi, che fu sicuramente municipio in età imperiale (cfr. CIL X 6245), non si conosce alcun mutamento statutario. Formia invece rimase municipio fino all’età di Adriano, quando fu elevata al rango di colonia: cfr. CIL X p. 603 con tit. 6079. 42 Per Fondi, si veda CIL X 6233, 6234, 6235, 6238, 6239 e 6242: cfr. Lo Cascio E., Fondi cit., p. 13. Per Formia, si veda CIL X 6105, 6107 e 6108: cfr. Laaksonen H., Formiae cit., pp. 164-165. La ‘costituzione dei tre edili’ è presente anche ad Arpino: cfr. le osservazioni di De Martino F., Storia della costituzione romana cit., vol. 2, p. 98 e 106. 43 Cfr. De Martino F., Storia della costituzione romana cit., vol. 2, p. 98 e 106, e soprattutto Campanile E., Letta C., Studi sulle magistrature indigene cit., pp. 39-41. 44 Un’attestazione epigrafica è relativa a Fondi: cfr. edizione in Faccenna D., Lenola (Latina). Epigrafe di Q. Safinius, rex sacrorum, NSA ser. 8ª vol. 5, 1951, pp. 121122, da cui AE 1952, 157; un’altra a Formia: cfr. edizione in Gasperini L., Vecchie e nuove epigrafi romane di Gaeta cit., pp. 16-19, da cui AE 1995, 279. Entrambe le epigrafi sono di età imperiale. L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 69 sacre di antica competenza regale:45 ebbene, se è vero – come ho argomentato altrove – che la regalità sacrale era un istituto introdotto a Fondi e a Formia nell’epoca del locale passaggio dall’ordinamento monarchico a quello repubblicano, avvenuto in età arcaica indipendentemente da Roma,46 allora si è indotti a ritenere che pure l’istituto dell’interregnum fosse connesso con le originarie monarchie locali e, come tale, potesse esistere già da prima della venuta dei Volsci nel Lazio. Del resto, alla luce del riguardo usato da Roma verso gli istituti epicori dei municipi creati prima della guerra sociale, non ha senso pensare che proprio l’interrex e il rex sacrorum fossero stati imposti alle due città dall’Urbe. Pertanto, quelli attestati dalle epigrafi di età imperiale appaiono la continuazione di antichi interreges e reges sacrorum, che si possono considerare latini in senso lato, vale a dire già in carica prima dell’occupazione volsca e, comunque, sopravvissuti ad essa.47 A questo punto, proprio perché è da escludere la dipendenza diretta dal modello dell’Urbe, si deve valutare la possibilità che l’interregno di Fondi e Formia, a differenza di quello di Benevento e Ostia, non avesse le medesime competenze dell’interregno romano. In effetti, L. Gasperini ha supposto che, nelle due città del Latium adiectum, l’interrex fungesse da sostituto provvisorio del rex sacrorum, ovvero che avesse funzioni non propriamente magistratuali, bensì sacerdotali. Simile ipotesi è costruita sul confronto con due epigrafi formiane che attestano l’esistenza di un ordo regalium, ovvero un collegio di regales, in cui sarebbero stati ammessi tutti coloro che avevano ricoperto la regalità sacrale o l’interregno:48 com’è evidente, il suo presupposto di fondo è che la carica di rex sacrorum fosse qui temporanea, non vitali- 45 46 Come affermavano già le fonti: Liv. 2, 2,1 e Dion. Halic. 5, 1,4. Cfr. Bianchi E., Il rex sacrorum a Roma e nell’Italia antica, Milano, 2010, pp. 35-87 (spec. pp. 64-70 su Fondi e Formia): altri reges sacrorum italici, la cui origine è sempre riconducibile all’arcaico passaggio dalle monarchie alle repubbliche (VI-V secolo), sono attestati a Boville, Lanuvio, Velletri, Tarquinia e Fiesole. 47 Di un’origine latina dell’interregno di Fondi e Formia parla già Mazzarino S., Dalla monarchia allo stato repubblicano cit., p. 143. Ne consegue che i titoli di interrex e rex sacrorum, a prescindere dalla naturale evoluzione del latino, possono essere in sostanza quelli originari, abbandonati nei secoli dell’occupazione volsca e poi reintrodotti a Fondi e a Formia dopo l’annessione nella civitas romana. 48 Così Gasperini L., Vecchie e nuove epigrafi romane di Gaeta cit., pp. 17-19, secondo cui il titolo di regalis era molto prestigioso. Per l’attestazione dell’ordo regalium, cfr. CIL X 6094 e Aurigemma S., Formia, NSA ser. 6ª vol. 2, 1926, p. 313 (=AE 1927, 124). 70 EDOARDO BIANCHI zia come a Roma.49 L’ostacolo maggiore, però, consiste proprio nell’impossibilità di dimostrare la durata limitata di questo sacerdozio a livello locale,50 senza contare che l’ordo regalium potrebbe essere stato non già un collegio di ex-funzionari pubblici, bensì un più semplice collegio di clienti detti regales.51 L’ipotesi di Gasperini sembra dunque da rigettare: ad ogni modo, essa ha il merito di avere sottolineato la persistenza, ancora agli inizi dell’età imperiale, di istituti che si richiamavano più o meno direttamente ad una passata forma di regalità: tra questi sarebbe stato appunto l’interrex, che con il rex sacrorum potrebbe avere condiviso determinati onori e privilegi. Lasciata da parte la lettura in chiave sacerdotale, rimane ancora da chiedersi se l’interregno rivestito dall’anonimo dedicante dell’epigrafe fundana (Testo A), nonché quello ricoperto da L. Arrio Salano dell’epigrafe formiana (Testo B), conservasse lo stesso ruolo che era stato previsto per tale ufficio al momento della sua arcaica creazione. Nel dubbio, bisogna considerare che la sopravvivenza di un istituto cittadino nel tempo non comporta di per sé l’immutabilità delle sue funzioni. Proprio per questo, l’interregno di Fondi e Formia, pur nella sua secolare continuità, potrebbe avere necessariamente subito qualche modifica nel proprio statuto, in rapporto alla più generale evoluzione politica locale e, comunque, ben prima che le nostre epigrafi ce ne testimoniassero l’esistenza in età imperiale romana. Così, se da un lato non si può più ricostruire il suo ruolo originario, dall’altro si è indotti a pensare che ormai, nel I secolo d.C., l’istituto fosse chiamato a svolgere funzioni magistratuali analoghe a quelle dell’interregno romano, non tanto per imposizione legislativa quanto per autonoma evoluzione locale ispirata dal modello egemone di Roma.52 Con queste premesse, possiamo accostarci all’ultimo documento 49 Del carattere vitalizio del sacerdozio romano non ci sono dubbi: cfr. Dion. Halic. 4, 74,4, su cui Bianchi E., Il rex sacrorum cit., p. 32. 50 Non solo a Fondi e a Formia, ma anche in tutte le altre località italiche per le quali sono attestati reges sacrorum, è impossibile determinare la durata della carica: cfr. Bianchi E., Il rex sacrorum cit., p. 81. 51 Così pensa Mommsen Th., CIL X p. 607, ripreso da Gusso M., Sul presunto interrex cit., pp. 164-166: in effetti, i regales potevano essere clienti che, per omaggiare il loro patrono, lo chiamavano addirittura rex. 52 Del prestigio esercitato da Roma sulle magistrature epicorie italiche parla diffusamente Campanile E., Letta C., Studi sulle magistrature indigene cit., spec. pp. 85-88. L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 71 epigrafico dell’interregnum italico, che proviene da Cuma. Si tratta di un’iscrizione frammentaria degli inizi del I secolo d.C., pubblicata di recente da G. Camodeca: 5 [–––] f(ilio) Iu+[–––] [––– inter]regi [ex senatus consulto muni]cipumqu[e] [iussu] [––– conse]nsu omniu[m] –––––– ? 53 Dalle poche parole decifrabili nel testo, risulta evidente che l’anonimo dedicatario doveva avere rivestito l’interregnum del municipio cumano, al principio dell’età imperiale.54 Tuttavia, per cercare di ricostruire natura e funzioni dell’istituto, finora sconosciuto nelle città della Campania costiera,55 è necessario ancora una volta riservare alle vicende istituzionali locali un approfondimento, senza il quale la nuova attestazione non consentirebbe un vero progresso nella conoscenza dell’interregnum italico, ma finirebbe semplicemente per aggiornare i repertori epigrafici.56 Innanzitutto, l’archeologia ha dimostrato che il sito in cui sorse 53 EDR 105898 del 11/11/2010 (G. Camodeca). Cfr. Camodeca G., Sull’élite e l’amministrazione cittadina di Cuma romana, in La praxis municipale dans l’Occident romain (Actes Colloque, Paris nov. 2009), Clermont-Ferrand, 2010, pp. 232-233, con fig. 3: ringrazio il prof. Camodeca che mi ha gentilmente concesso di leggere il suo contributo ancora in fase di stampa. 55 In verità, si era pensato, da Mommsen in poi, che alcuni programmata pompeiani documentassero interreges a Pompei: cfr. CIL IV 48, 50, 53, 54, 56, 70 e 9827. A ben vedere, però, la lettura di queste iscrizioni è assai incerta: gli studi più recenti escludono, dunque, che si possa parlare di interreges pompeiani. Cfr. Lo Cascio E., Pompei dalla città sannitica alla colonia sillana: le vicende istituzionali, in Les élites municipales de l’Italie péninsulaire des Gracques à Nerone (CEFR, 215), Naples-Rome, 1996, pp. 112-113; infine Crawford M.H., How to create a municipium cit., pp. 45-46, secondo cui la mancanza di attestazioni certe non esclude comunque la possibilità che si ricorresse all’interregnum anche a Pompei. 56 Un secondo interrex cumano, di età augustea, compare in un altro frammento epigrafico edito da Capaldi C., Dediche a membri della famiglia imperiale ed attestazioni di munificentia nel Foro, in Cuma. Indagini archeologiche e nuove scoperte, Pozzuoli, 2009, p. 204, da leggersi tuttavia secondo le precisazioni di Camodeca G., Sull’élite cit., p. 233 nota 62. 54 72 EDOARDO BIANCHI Cuma ha un’origine assai antica, risalente alla colonizzazione greca dell’VIII secolo a.C., e ha quindi confermato l’attendibilità della tradizione letteraria che, in genere, vede nella città una delle prime colonie fondate dai Greci calcidesi, se non la prima colonia greca fondata in assoluto nel territorio italico.57 Poco può fare però l’archeologia per la ricostruzione della sua storia politica, che rimane problematica soprattutto per i secoli precedenti all’annessione nella civitas romana. In effetti, quasi nulla sappiamo di come fosse amministrata la città greca,58 anche se per il periodo compreso tra la fine del VI e gli inizi del V secolo abbiamo notizia dell’esistenza di un regime ‘repubblicano’ di stampo aristocratico/oligarchico, con tanto di consiglio (βουληÈ) e cariche magistratuali, che fu intervallato dalla famosa tirannide democratica di Aristodemo ΜαλακοÈς, durata quattordici anni (505/4-491/0).59 Una simile tirannide può avere costituito una tappa transitoria all’interno di un più complesso mutamento istituzionale: tuttavia, dato il silenzio delle fonti, non si è potuto finora provare che anche Cuma, come altre città greche e magnogreche, conobbe una precedente fase di governo monarchico, che sarebbe stata abbattuta proprio nel VI secolo.60 È 57 Vedi Strab. 5, 4,4 (243 C); Dion. Halic. 7, 3,1; Liv. 8, 22,5; Vell. 1, 4,1 e Plin. n.h. 3, 61. Confronto tra testimonianze letterarie e dati archeologici in C. Ampolo, Il sistema della polis. Elementi costitutivi e origini della città greca, in I Greci, vol. 2.1, Torino, 1996, pp. 337-339; inoltre in Greco E., Archeologia della Magna Grecia. Roma-Bari, 20057, pp. 15-18. 58 Cfr. Sartori F. Problemi di storia costituzionale italiota, Roma, 1953, p. 32. 59 Vedi Dion. Halic. 7, 3-11, su cui Sartori F., Problemi cit., pp. 32-33, per gli aspetti storico-istituzionali. Da un punto di vista storiografico, il racconto di Dionisio su Aristodemo ΜαλακοÈς non sembra dipendere in ultima analisi dalla tradizione romana, bensì da un’originaria ‘cronaca cumana’: cfr. Alföldi A., Early Rome and the Latins, Ann Arbor, 1965, pp. 56-72; sull’argomento cfr. ora Urso G, Iperoco e le «Cronache cumane», in Storiografia locale e storiografia universale (Atti del Congresso, Bologna dic. 1999), Como, 2001, pp. 103-106 (con discussione della bibliografia precedente). 60 In generale, sull’abbattimento delle monarchie nella Grecia arcaica, cfr. De Sanctis G., Storia dei Greci. Dalle origini alla fine del V secolo, Firenze, 19678, vol. 1, 276-278. Certo è il caso di Cirene, dove la monarchia fu abbattuta nella seconda metà del VI secolo, come racconta Herod. 4, 161, su cui cfr. Chamoux F., Cyrène sous la monarchie des Battiades, Paris, 1953, pp. 139-142. Più interessante è il caso della magnogreca Taranto: qui, verso il 520, era ancora al comando un βασιλεuvς, di nome Aristofilide: così Herod. 3, 136; per gli inizi del V secolo, invece, Aristot. Polit. 5, 3,7 (1303 A) parla di un deciso cambiamento istituzionale a favore della δηµοκρατiva: cfr. Carlier P., La royauté en Grèce avant Alexandre, Strasbourg, 1984, pp. 471-472, nonché Brauer G.C., Taras. Its History and Coinage, New York, 1986, pp. 25-27. L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 73 certo invece che, sul finire del V secolo, la città fu conquistata dai Sanniti, il cui dominio durò in sostanza fino alla guerra latina.61 Solo dopo il 338, infatti, Cuma venne incorporata nella cittadinanza romana come municipio:62 da allora, il rapporto di fedeltà a Roma si consolidò progressivamente e la condizione municipale della città, elevata ad un certo punto all’optimum ius,63 rimase inalterata per tutta la repubblica e oltre, fino agli anni a cui risale la nostra epigrafe.64 Si aggiunga che la suprema magistratura del municipio cumano fu, almeno a partire dall’età sillana, una coppia di praetores:65 questa viene normalmente interpretata come il relitto di un antico collegio osco di meddíss, che sarebbe stato mantenuto anche all’indomani dell’incorporazione nella cittadinanza romana.66 A tale risultato si giunge, nonostante la mancanza di una documentazione esplicita del meddicato cumano,67 sulla base del confronto con altre città che subirono la 61 Cfr. Liv. 4, 44,12; Vell. 1, 4,2; Diod. 12, 76,4. Commento delle fonti in Sartori F., Problemi cit., p. 34; vedi inoltre il più recente Asheri D., Colonizzazione e decolonizzazione, in I Greci, vol. 1, Torino, 1996, pp. 90-91; infine Urso G., Iperoco cit., pp. 114115, per gli aspetti storiografici. 62 Cfr. Liv. 8, 14,10 e Vell. 1, 14, su cui Sartori F., Problemi cit., p. 36, e Salmon E.T., The Making of Roman Italy cit., p. 41 e 49. Secondo Humbert M., Municipium et civitas, cit., p. 195, la decisione romana di ridurre Cuma a municipium sine suffragio fu presa nel 334. 63 Cuma fedele a Roma durante la guerra annibalica: Liv. 23, 15 e Vell. 1, 4,2, su cui Salmon E.T., The Making of Roman Italy cit., p. 79. L’elevazione all’optimum ius dovrebbe essere avvenuta dopo il 180, quando alla città fu concesso di utilizzare ufficialmente la lingua latina, come riferisce Liv. 40, 42,13: cfr. Humbert M., Municipium et civitas cit., p. 372. 64 Nonostante il Liber coloniarum (p. 232 Lachmann) attesti la deduzione di una colonia romana a Cuma nell’età di Augusto, gli studiosi ritengono in genere che il cambiamento statutario sia avvenuto soltanto sotto i successivi imperatori giulio-claudî (cfr. Sartori F., Problemi cit., pp. 38-39; Humbert M., Municipium et civitas cit., pp. 292-293 con nota 31; Campanile E., Letta C., Studi sulle magistrature indigene cit., p. 38 nota 26) o flavî (cfr. Camodeca G., Sull’élite cit., pp. 225-226). 65 Cfr. ILLRP 576 e CIL I2 1575 (=X 4651), che sono iscrizioni gemelle di età sillana (un tempo attribuite non a Cuma, ma a Cales). Per un elenco aggiornato dei praetores attestati a Cuma, cfr. Camodeca G., Il patrimonio epigrafico latino e l’élite municipale di Cumae. Parte prima, in Epigrafia e archeologia in Campania: letture storiche (Atti del Convegno, Napoli dic. 2008), Napoli, 2010, pp. 67-70. 66 Cfr. Humbert M., Municipium et civitas cit., p. 293; Campanile E., Letta C., Studi sulle magistrature indigene cit., pp. 38-39. 67 Cfr. Campanile E., Letta C., Studi sulle magistrature indigene cit., pp. 29-32 e 39, 74 EDOARDO BIANCHI dominazione sabellica prima di finire sotto il controllo di Roma, come Velletri (Velitrae): infatti, per questa località, divenuta municipio romano nel 338,68 si possiede la preziosa testimonianza della tabula Veliterna, che attesta ancora per il III secolo l’esistenza di una coppia di supremi magistrati detti in volsco medix,69 equivalenti dei praetores conosciuti in età più tarda.70 Così, nel caso di Cuma, se la suprema magistratura collegiale era potuta sopravvivere non solo alla fine della dominazione osca, ma pure alle successive tappe dell’integrazione nella civitas romana, si può affermare per analogia che anche il locale interregnum era la continuazione romana di un istituto le cui radici affondavano almeno nell’età dei Sanniti, anche se non sappiamo come fosse chiamato nella loro lingua. Alla luce della lunga storia di Cuma, tuttavia, non è affatto scontato che la prima comparsa di una simile magistratura sia da riferire proprio all’età della dominazione sabellica, mentre occorre considerare la possibilità di una sua risalenza addirittura al periodo greco della città. In effetti, benché Velleio Patercolo confermi che Cuma sotto i Sanniti si era trasformata in una città osca,71 non si può dire che la sua grecità di fondo fosse mai stata cancellata, innanzitutto a livello culturale e sociale, come dimostra la notizia dionisiana secondo cui ai Cumani esiliati a Napoli dopo la conquista della città fu promessa dai Sanniti, ancora alla fine del IV secolo, la possibilità di rientrare in patria.72 In più, a livello politico, per quanto non si possa dimostrare secondo cui un’attestazione indiretta del meddicato si può vedere nel meddíss vereias (lat. meddix vereiae) che scioglie l’abbreviazione m.v. di un’iscrizione cumana in lingua osca: testo in Vetter E., Handbuch cit., n° 108. 68 Nel 338 Velletri ebbe la concessione della civitas sine suffragio e, solo in un secondo momento (assai discusso tra gli studiosi), di quella optimo iure: cfr. Liv. 8, 14,5, su cui Humbert M., Municipium et civitas cit., p. 177 nota 78, e pp. 184-186; Salmon E.T., The Making of Roman Italy cit., p. 48; Solin H., Volpe R., Velitrae, in Supplementa Italica n.s. 2, 1983, pp. 16-17. 69 Per il testo della tabula Veliterna, cfr. Vetter E. Handbuch cit., n° 222: medix alla linea 4. Per la datazione della tabula al III secolo a.C., cfr. Humbert M., Municipium et civitas cit., p. 185, e Solin H., Volpe R., Velitrae cit., pp. 17-18. 70 Cfr. CIL X 6554, con commento in Campanile E., Letta C., Studi sulle magistrature indigene cit., p. 38 nota 28; parere contrario in Solin H., Volpe R., Velitrae cit., p. 19. 71 Vell. 1, 4,2: Cumanos Osca mutavit vicinia. 72 Dion. Halic. 15, 6. L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 75 alcuna continuità tra meddíss oschi e precedenti magistrati greci,73 è logico credere che i Sanniti, abituati a forme istituzionali più semplici di quelle italiote,74 avessero sostanzialmente mantenuto a Cuma almeno una parte delle preesistenti figure magistratuali, pur adattandone i ruoli alle loro esigenze e traducendone i titoli ufficiali nella loro lingua. Nello specifico, l’ipotesi di una ‘origine’ greca dell’interregnum cumano, in connessione con un’arcaica forma di regalità locale, può essere sostenuta, a mio avviso, da alcuni indizi che provengono proprio da fonti greche. Tra queste, Strabone afferma che ancora alla sua epoca si conservavano a Cuma molte tracce dell’ordinamento giuridico greco: o{mwς d j ou\n e[ti swvzetai polla; i[cnh tou` JEllhnikou` kovsmou kai; twǹ nomivmwn.75 Tale notizia, di solito ritenuta troppo generica e pertanto trascurata, appare invece del massimo interesse, perché si dà il caso che Strabone vivesse proprio nella prima età imperiale, alla quale risale la nostra attestazione epigrafica dell’interregnum cumano. Inoltre, bisogna considerare un rapido passo delle Quaestiones Graecae di Plutarco, in cui si dice che παρα;Κυµαivoiς, presso i Cumani, un magistrato chiamato fulavkthς, investito del compito ordinario di sorvegliare le carceri, doveva prendere per mano i basileiς̀ della città e condurli fuori della boulhv, quando questa si riuniva di notte per giudicare la loro condotta.76 Al riguardo, la maggior parte degli studiosi ha pensato che la città a cui allude Plutarco sia la Cuma eolica, per il semplice fatto che collegi di basileiς̀ non sono attestati nel mondo greco occidentale, mentre sono ben documentati in Eolia.77 Di fronte a ciò, si può osservare prima di tutto che l’espressione basileiς̀ non allude necessaria- 73 Gli unici magistrati greci attestati con certezza sono gli strathgoiv, ma non sappiamo per quanto tempo o in quale numero fossero attivi in città: cfr. Sartori, Problemi cit., p. 32. 74 Cfr. Sartori F., Costituzioni italiote, italiche, etrusche, StCl 10, 1968, pp. 29-50 [=Id., Dall’Italía all’Italia I cit., pp. 349-380]. 75 Strab. 5, 4,4 (243 C). 76 Plut. q.G. 2=Mor. 291 F-292 A: «Hn de;kai;fulavktou tiς ajrch;paræ aujtoiς̀: oJ de; tauvthn e[cwn to;n me;n a[llon crovnon ejthvrei to; desmwthvrion, eijς de; th;n boulh;n ejn tw/̀ nukterinw/̀ sullovgw/pariw;n ejxhg̀e tou;ς basileiς̀ thς̀ ceiro;ς kai;kateic̀e, mevcri peri; aujtwǹ hJ boulh; diagnoivh, povt eron ajdikous̀in h] ou[, kruvbdhn fevrousa th;n yhf̀on. 77 Cfr. Sartori F., Problemi cit., pp. 33-34 e Carlier P., La royauté en Grèce cit., pp. 462-463. Contra Arangio-Ruiz V., Olivieri A., Inscriptiones Graecae Siciliae et infimae Italiae ad ius pertinentes, Milano, 1925, p. 234. 76 EDOARDO BIANCHI mente a sovrani: infatti, in un regime politico in cui il basileuvς è un vero sovrano, difficilmente i suoi poteri possono essere limitati o vincolati da quelli di una boulhv. Piuttosto, la testimonianza plutarchea sembra alludere, grazie alla citazione delle riunioni notturne della boulhv, ad un regime ‘repubblicano’ di tipo aristocratico/oligarchico,78 che si può riferire al tempo in cui la magnogreca Cuma non era stata ancora sottomessa dai Sanniti: in tale contesto, i basileiς̀ potrebbero essere stati i continuatori di un precedente istituto regale, ormai privato di ogni effettivo potere politico-militare e ridotto a un ruolo rappresentativo, forse solo sacrale.79 A questo punto, se è lecito supporre l’esistenza di una fase storica in cui la magnogreca Cuma fu retta dalla monarchia, diviene pienamente comprensibile la pur tarda attestazione in questa città di una magistratura chiamata interregnum, che doveva rievocare l’esistenza di un arcaico istituto supplente del potere monarchico, di cui però sfugge il nome greco.80 Un istituto del genere, conservato dopo la fine della monarchia per i casi di vacanza delle magistrature ‘repubblicane’, poteva essere sopravvissuto di fatto anche dopo la perdita dell’indipendenza della città, sotto i Sanniti prima e i Romani poi, tanto da figurare ancora nell’ordinamento locale agli inizi del I secolo d.C.: a quest’epoca, tuttavia, non solo il suo nome ma anche le sue specifiche prerogative erano ormai presumibilmente assimilate al modello dell’interregnum romano. *** Il quadro analitico che abbiamo tracciato nelle pagine precedenti, basandoci sul confronto delle testimonianze epigrafiche con i dati 78 Le riunioni notturne della boulhvrichiamano infatti alla mente la città platonica delle Leggi (XII 951 d-e, 961 a-c). 79 Si pensi al caso ateniese dell’a[rcwn basileuvς, di solito chiamato solo basileuvς, che dell’antica regalità conservava il controllo sulle pavtrioi qusivai: cfr. Hignett C., A History of the Athenian Constitution to the end of the fifth century B.C., Oxford, 19582, p. 39. 80 Non può fare testo la traduzione con cui le fonti greche rendono il latino interregnum, che è mesobasivleioς ajrchv(Dion. Halic. 2, 57,1; 3, 1,1; 11, 20,5) o mesobasileiva (Plut. Num. 2,7). Del resto, si è già ricordato supra, nota 2, che in Grecia non sono conosciute magistrature rapportabili all’interregnum: l’origine dell’interregnum cumano pare dunque da riferire, in ultima analisi, al contesto della koinhvistituzionale italica di età arcaica (su cui cfr. supra, nota 4). L’INTERREGNUM FUORI DI ROMA 77 delle fonti letterarie, consente ora di sviluppare alcune riflessioni conclusive. Anzitutto è emerso con chiarezza che la magistratura straordinaria dell’interregnum doveva essere ben presente negli ordinamenti locali dell’Italia romana, dove rimase attiva fino all’approvazione della lex Petronia de praefectis municipiorum, al principio dell’età imperiale, ed ebbe dunque una vita più lunga di quella dell’omologo istituto urbano, che fu invece lasciato cadere in disuso già dopo il 52 a.C. Del resto, la diffusione dell’interregnum nel territorio italico è dimostrata dal fatto che le epigrafi, pur limitate numericamente, ce ne confermano l’esistenza in città che avevano statuti amministrativi molto diversi tra loro: Benevento era in effetti una colonia latina, a differenza di Ostia che era una colonia romana, mentre Fondi, Formia e Cuma erano municipi di antica costituzione. Dalla varietà degli ordinamenti cittadini, in cui si trova operante l’interregnum, dipende l’impossibilità di ricostruirne una storia unitaria sin dalle origini. Soltanto con la piena affermazione del dominio romano sulla penisola, si può infatti credere che prerogative e funzioni della magistratura siano divenute sempre più omogenee tra le diverse comunità italiche, per via del prestigio culturale esercitato dalla potenza egemone. Così, se nell’epoca a cui risalgono le nostre epigrafi non dovevano ormai esserci differenze significative tra gli interreges che entravano in carica a Benevento, Ostia, Fondi, Formia o Cuma, nel senso che tutti dovevano svolgere un ruolo analogo a quello dell’interrex romano, altrettanto non si può dire per le epoche precedenti. Anzi, si deve ricordare che Roma, mentre fu responsabile della diffusione dell’interregnum in ambito coloniale, si trovò invece, con i municipi di costituzione anteriore alla guerra sociale, a fronteggiare realtà politicamente già evolute in cui potevano esistere magistrature simili al suo interregnum. In questi ultimi casi Roma non modificò l’assetto istituzionale epicorio: così, gli interregni che le epigrafi romane documentano a Fondi e a Formia, nel Latium adiectum, nonché a Cuma, in Campania, potevano affondare le loro radici in istituti arcaici, sopravvissuti ciascuno dall’epoca dell’indipendenza delle rispettive città. In altre parole, per tornare al parere di Mommsen da cui siamo partiti, dobbiamo precisare che Roma ebbe un ruolo attivo nell’introduzione del proprio modello di interregnum nelle colonie romane e latine, ma allo stesso tempo sembra avere garantito la sopravvivenza di analoghe magistrature originarie dei municipi, che andarono poi assi- 78 EDOARDO BIANCHI milandosi all’interregnum dell’Urbe lentamente e senza traumi: il frutto della romanizzazione è tangibile nella latinità dei loro nomi documentati a Fondi, Formia e Cuma, tra la fine della repubblica e gli inizi dell’impero. Tuttavia, se a quest’epoca l’interregnum era ormai, in Italia, un istituto romano nelle funzioni e latino nel nome, non è affatto scontato che Roma, nel Lazio antico, fosse stata in assoluto la prima città a crearlo. Bisogna d’altronde sottolineare, alla luce della testimonianza proveniente da Cuma, che l’idea di istituire un magistrato per la sostituzione temporanea dei monarchi poté, in età arcaica, non essere limitata ai ristretti confini del Lazio, bensì trovare applicazione presso altre comunità italiche, come quelle di lingua e cultura greca.