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La terza rivoluzione indistriale - J. Rifkin - Riassunto

SEMINARIO TECNOLOGIE E TERRITORI: ORGANIZZARE LA SOSTENIBILITA’ DELLE PRATICHE SOCIALI TESI DI ASSEGNAZIONE CREDITI (2) RICCARDO PARISE LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Tesi tratta dall’ omonimo libro di Jeremy Rifkin INTRODUZIONE: <<La nostra civiltà industriale è a un bivio. Il petrolio e gli altri combustibili fossili che rendono possibile lo stile di vita della società industriale si stanno esaurendo, e le tecnologie costruite e alimentate da queste materie prime stanno diventando obsolete. L’ infrastruttura industriale nel suo complesso, essendo fondata sui combustibili fossili, è invecchiata e bisognosa di manutenzione. Il risultato è un aumento della disoccupazione a livelli pericolosi in tutto il mondo. Governi, imprese e consumatori sono sommersi dai debiti e il tenore di vita sta diminuendo ovunque. Un miliardo di individui - circa un settimo della popolazione mondiale – soffre la fame e la denutrizione: un macabro record. A peggiorare lo stato delle cose un cambiamento climatico provocato dalle attività industriali basate sui combustibili fossili si profila minaccioso all’orizzonte. Gli scienziati ci mettono in guardia: siamo a un passo da un mutamento potenzialmente catastrofico della temperatura e della chimica del pianeta, che minaccia di destabilizzare gli ecosistemi di tutto il mondo. I ricercatori temono che questa sia la soglia di un ciclo di estinzione di massa delle specie animali e vegetali che potrebbe avviarsi entro la fine di questo secolo, mettendo in pericolo la capacità della nostra specie di sopravvivere. Sta diventando sempre più evidente la necessità di una nuova “narrazione economica” che ci conduca verso un futuro più equo e sostenibile. Già negli anni Ottanta del Novecento stava diventando chiaro che per la rivoluzione industriale fondata sui combustibili fossili era arrivato il momento dell’inversione di tendenza, e che il cambiamento climatico determinato dalle attività umane avrebbe provocato una crisi di dimensioni planetarie e di proporzioni inusitate>>. Benché la gran parte del mondo non ne sia ancora consapevole, è chiaro che abbiamo raggiunto il limite estremo della possibile estensione della crescita economica globale nell’ambito di un sistema economico profondamente dipendente dal petrolio e dagli altri combustibili fossili. Secondo la International Energy Agency (IEA) infatti, è probabile che il picco della produzione petrolifera globale si sia registrato nel 2006, ovvero il superamento della soglia del 50% del totale delle riserve petrolifere disponibili sul pianeta. Appare ora sempre più chiaramente come “… Il prezzo dei beni e dei servizi in tutta la catena globale dell’offerta comincia a lievitare, per la semplice ragione che quasi tutte le attività economiche della nostra economia globale sono dipendenti dal petrolio e dagli altri combustibili fossili. Per produrre gli alimenti di cui ci nutriamo ricorriamo a concimi e pesticidi derivati dal petrolio; quasi tutti i materiali da costruzione che usiamo – cemento, plastiche eccetera – sono derivati dai combustibili fossili, così come la stragrande maggioranza dei farmaci con cui ci curiamo; gli abiti che indossiamo sono, in massima parte, realizzati con fibre sintetiche petrolchimiche; trasporti, riscaldamento, energia elettrica e illuminazione dipendono quasi totalmente dai combustibili fossili. Abbiamo costruito un’intera civiltà sulla riesumazione dei depositi del Carbonifero”. Ciò che Jeremy Rifkin ipotizza è che, la vera crisi economica della quale non ci eravamo accorti sia una crisi sistemica, ovvero che siano cominciate le fasi finali della Seconda rivoluzione industriale e dell’era del petrolio sulla quale essa si fonda. E’ una realtà dura da accettare, perché costringe l’umanità a una rapida transizione verso un regime energetico completamente nuovo e a un nuovo modello industriale, o ad affrontare il rischio di un crollo della civiltà. E “sarà solamente con la creazione di una nuova infrastruttura per l’energia e la comunicazione distribuita, in un periodo di qualche decennio, che genereremo la curva di crescita di lungo periodo di una nuova era economica “. LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: “Il primo atto per costruire la trama di una nuova narrazione è capire che le grandi trasformazioni economiche avvengono quando una nuova tecnologia di comunicazione converge con un nuovo sistema energetico: le nuove forme di comunicazione diventano il mezzo per organizzare e gestire una civiltà più complessa, resa possibile dalle nuove fonti di energia. L’ infrastruttura che ne scaturisce annichilisce il tempo e comprime lo spazio, connettendo le persone e i mercati in relazioni economiche più diversificate. Quando questi sistemi sono attivi, l’attività economica progredisce, muovendosi lungo la classica curva a campana che ascende, raggiunge un picco, si consolida e discende sull’ onda di un effetto moltiplicatore stabilito dalla matrice energia-comunicazione”. Se queste parole sono vere, la Terza rivoluzione industriale avrà un impatto sul ventunesimo secolo quanto la Prima lo ha avuto sul diciannovesimo e la Seconda sul ventesimo. E, come nel caso delle due precedenti esperienze, cambierà in maniera sostanziale ogni aspetto del mondo in cui viviamo e lavoriamo. La tradizionale organizzazione verticistica della società, che ha caratterizzato gran parte della vita economica, sociale e politica delle rivoluzioni industriali basate sui combustibili fossili, sta cedendo il passo a relazioni distribuite e collaborative nell’ emergente era industriale verde (è già iniziata). Siamo nel bel mezzo di una profonda trasformazione del modo in cui la società è strutturata: un passaggio che proprio Rifkin definisce “dal potere gerarchico al potere laterale”. “Come ogni altra infrastruttura energetica e di comunicazione nella storia, la Terza rivoluzione industriale deve fondarsi su pilastri eretti simultaneamente: in caso contrario, le fondamenta non reggono. Questo perché ogni pilastro può funzionare solo in relazione con tutti gli altri”. Riassumendo, i cinque pilastri fondamentali della Terza rivoluzione industriale, resi possibili dalle ultime scoperte in campo tecnologico, dovrebbero essere secondo Jeremy Rifkin: 1) il passaggio alle fonti di energia rinnovabile; 2) la trasformazione del patrimonio immobiliare esistente in tutti i continenti in impianti di micro generazione per raccogliere in loco le energie rinnovabili 3) l’applicazione dell’idrogeno e di altre tecnologie di immagazzinamento dell’energia in ogni edificio e in tutta l’infrastruttura, per conservare l’energia intermittente; 4) l’utilizzo delle tecnologie Internet per trasformare la rete elettrica di ogni continente in una inter-rete per la condivisione dell’energia che funzioni proprio come Internet (se milioni di edifici generano localmente, sul luogo del consumo, piccole quantità di energia, possono vendere il surplus alla rete e condividere l’elettricità con i propri vicini in tutto il continente); 5) la transizione della flotta dei veicoli da trasporto passeggeri e merci, pubblici e privati, in veicoli plug-in e con cella a combustibile che possano acquistare e vendere energia attraverso la rete elettrica continentale interattiva. (…). Se uno qualsiasi di questi pilastri dovesse rimanere indietro nella fase di sviluppo, anche tutti gli altri ne patiranno le conseguenze, afferma l’autore, e l’infrastruttura sarà compromessa sul nascere. Una nota di ottimismo però pervade dall’ autore e accompagna i lettori per tutta la durata del libro. “Per quanto possa sembrare un compito arduo, non dobbiamo dimenticare che la trasformazione delle economie americane ed europee dai combustibili basati sulla legna alle tecnologie del vapore alimentate a carbone è stata completata in mezzo secolo, così come è accaduto con il passaggio dal sistema basato sul carbone e sulle ferrovie al sistema fondato sul petrolio e sull’ automobile. Questi processi storici dovrebbero confortarci rispetto alla possibilità di realizzare una transizione a un’era delle energie rinnovabili in un arco di tempo altrettanto circoscritto”. Per avere un’idea di quanto sconvolgente possa essere la Terza rivoluzione industriale in termini di modalità organizzative della vita economica e sociale, è necessario considerare i profondi cambiamenti che hanno avuto luogo negli ultimi vent’ anni con l’avvento della rivoluzione di Internet. La democratizzazione dell’informazione e della comunicazione ha modificato la natura stessa degli scambi economici globali e delle relazioni in maniera tanto radicale quanto quella imposta dalla rivoluzione della stampa, all’alba dell’era moderna. Non è ora impossibile immaginare l’effetto che tale trasformazione potrà avere, su ogni ambito della società e della vita umana, in particolare nelle fasce più povere della popolazione. “La costruzione di una Terza rivoluzione industriale è particolarmente importante per i paesi in via di sviluppo più poveri. Occorre ricordare che il 40% dell’umanità sopravvive con meno di due dollari al giorno, in assoluta povertà, e che una vasta maggioranza non ha ancora accesso all’elettricità. E senza un accesso all’elettricità, le persone rimangono prive di energia e potere. Il singolo fattore più importante per sottrarre centinaia di milioni di individui alla povertà è garantire loro un accesso affidabile e conveniente all’ elettricità verde, una condizione pregiudiziale per qualsiasi sviluppo economico. La democratizzazione dell’energia e l’accesso universale all’ elettricità sono l’indispensabile punto di partenza per il miglioramento del tenore di vita delle popolazioni più povere. L’estensione del microcredito finalizzata alla micro generazione sta già cominciando a trasformare molte vite nei paesi in via di sviluppo, offrendo a milioni di persone la speranza di migliorare la propria situazione economica”. Dalla teoria alla prassi: Quando il genere umano per sopravvivere poteva contare esclusivamente sull’irraggiamento solare, sul vento e sulle correnti, oltre che sull’ energia umana e animale, la popolazione mondiale era costretta entro livelli numerici relativamente contenuti. Il punto di svolta si è avuto con l’esumazione di grandi quantità di energia solare accumulata sotto la crosta terrestre, prima attraverso lo sfruttamento di depositi carboniferi, poi di giacimenti di petrolio e di gas naturale. I combustibili fossili, addomesticati dalla macchina a vapore e, più tardi, dal motore a scoppio, e convertiti in elettricità distribuita attraverso la rete elettrica, hanno permesso all’ umanità di realizzare una gran quantità di nuove tecnologie che hanno fatto aumentare drasticamente la produzione di cibo e quella di manufatti e servizi. Tale aumento della produttività ha portato a una crescita senza precedenti della popolazione mondiale e all’ urbanizzazione del pianeta. Eppure, ormai nessuno è più sicuro che questo cambiamento delle condizioni di vita dell’uomo sia un evento di cui andare fieri, di cui lamentarsi o semplicemente da registrare come fatto storico. Questo perché l’esplosione demografica e l’inurbamento sono stati conquistati al costo di un grave deterioramento degli ecosistemi terrestri. Occorre oggi, per la prima volta nella storia dell’uomo, ripensare e riorganizzare in modo fondamentalmente e radicalmente diverso le forme di convivenza e di sfruttamento delle risorse da parte dell’uomo su questo pianeta. Non abbiamo altra scelta. “Nella grande era dell’urbanizzazione e dell’espansione suburbana abbiamo creato una distanza sempre maggiore fra l’uomo e il mondo naturale, nella convinzione di poter conquistare, colonizzare e utilizzare la ricchezza del pianeta senza conseguenze negative per le future generazioni. Nella prossima fase della storia dell’uomo, se vogliamo preservare la nostra specie e conservare il pianeta per chi lo abita insieme a noi, dobbiamo trovare un modo per reintegrare noi stessi nel resto del pianeta vivente. Avendo questo ben chiaro, i nostri Master Plans puntano a realizzare un’infrastruttura a cinque pilastri che riconnetta gli spazi abitativi, lavorativi e ludici attuali con la più vasta estensione della biosfera alla quale appartengono. I Master Plans TRI si basano su un nuovo, rivoluzionario concetto di spazio abitativo. Ho detto poc’anzi che quando un nuovo regime energetico converge con nuovi mezzi di comunicazione, l’orientamento spaziale ne viene profondamente alterato, in quello che uno psicologo tedesco chiamerebbe un “cambiamento di Gestalt”. La Prima rivoluzione industriale aveva favorito la formazione di dense città verticali che si spingevano verso il cielo. La Seconda rivoluzione industriale, al contrario, aveva favorito lo sviluppo di aree residenziali suburbane decentrate, che si espandevano in senso lineare, verso l’orizzonte. La Terza rivoluzione industriale implica una configurazione dello spazio umano completamente diversa. Il nostro gruppo di lavoro sta elaborando Master Plans che integrano spazi urbani e suburbani in un contesto biosferico: immaginiamo migliaia di regioni biosferiche, ciascuna delle quali è un nodo di una rete di sistemi energetici, di comunicazione e di trasporto che copre tutti i continenti”. IL POTERE LATERALE: I regimi energetici determinano la forma e la natura delle civiltà: come sono organizzate, come vengono distribuiti i proventi della produzione e dello scambio, come viene esercitato il potere politico e condotte le relazioni sociali. Per questo motivo è importante studiare e ridefinire i rapporti di potere in un’ottica differente, fondati sul nuovo modello TRI. “Nel ventunesimo secolo il centro di controllo della produzione e della distribuzione di energia è destinato a passare dalle colossali società energetiche centralizzate, che sfruttano i combustibili fossili, a milioni di piccoli produttori, che generano da sé le energie rinnovabili nelle proprie case e scambiano l’eventuale surplus in un ambito collettivo infoenergetico. Nel secolo che stiamo vivendo la democratizzazione dell’energia avrà profonde ricadute sull’organizzazione complessiva della vita degli uomini. Stiamo entrando nell’era del capitalismo distribuito”. Per capire in che modo la nuova infrastruttura TRI possa drasticamente cambiare la distribuzione del potere economico, politico e sociale nel ventunesimo secolo, può essere utile fare una passo indietro e vedere come la Prima e la Seconda rivoluzione industriale, basate sui combustibili fossili, hanno riorganizzato i rapporti di potere nel corso dell’Ottocento e Novecento. “I combustibili fossili - carbone, petrolio e gas naturale - sono energie d’élite per la semplice ragione che si trovano solo in determinati luoghi. Proteggere l’accesso ai loro giacimenti richiede un notevole investimento militare, e assicurarsi la loro disponibilità una continua gestione geopolitica. Sono necessari, inoltre, sistemi di comando e controllo gerarchici centralizzati nonché una massiccia concentrazione di capitale per trasferire tali energie dal sottosuolo all’ utente finale. La capacità di concentrare capitale – essenza del capitalismo moderno – è fondamentale per il buon funzionamento del sistema nel suo complesso. E la centralizzazione dell’infrastruttura energetica, a sua volta, stabilisce lo standard di riferimento per il resto dell’economia, incoraggiando l’adozione di modelli operativi analoghi in tutti i settori”. Max Weber, l’eminente sociologo di inizio Novecento, è giunto al cuore del problema, definendo le categorie e le ipotesi operative adottate per prime dalle compagnie ferroviarie e poi da tutte le altre imprese commerciali. La moderna burocrazia razionale dell’impresa è caratterizzata da un certo numero di elementi essenziali. La struttura è piramidale, con l’autorità che fluisce dall’ alto verso il basso. Tutte le operazioni sono governate da regole precise e prestabilite, e da dettagliate istruzioni per la definizione delle mansioni di ogni lavoratore e delle modalità di esecuzione delle attività ad ogni livello dell’organizzazione. Per ottimizzare il processo produttivo, le mansioni sono parcellizzate dalla divisione del lavoro e l’attività è organizzata in una serie preordinata di fasi o elementi. La carriera del singolo è determinata dal merito e da criteri oggettivi. Questi diversi processi di razionalizzazione permettono all’ impresa di aggregare e integrare attività molteplici e, nel farlo, di ottenere un’accelerazione del flusso della produzione, mantenendo nel contempo il controllo sulle attività in generale. “Oggi, tre delle quattro più grandi imprese del mondo sono compagnie petrolifere: Royal Dutch Shell, Exxon Mobil e British Petroleum. Al di sotto di questi tre giganti ci sono cinquecento società multinazionali che rappresentano quasi ogni settore e industria, con un fatturato complessivo di 22.500 miliardi di dollari, pari a un terzo dell’intero PIL mondiale, che assomma 62.000 miliardi di dollari, e che per la propria sopravvivenza sono indissolubilmente legate ai combustibili fossili e da essi dipendenti. Non serve ribadire che i beneficiari dell’era del petrolio sono stati soprattutto gli uomini e le donne attivi nel settore energetico e finanziario, e tutti coloro che hanno occupato una posizione strategica lungo la catena dell’offerta della Prima e della Seconda rivoluzione industriale. Costoro hanno ammassato ingenti fortune. Forse la migliore descrizione di un’organizzazione verticistica della vita economica che ha caratterizzato la Prima e la Seconda rivoluzione industriale è la spesso citata “teoria trickle down”, o della “distribuzione capillare”: l’ idea, cioè, che chi si trova al vertice della piramide industriale basata sui combustibili fossili trae un beneficio da qualcosa, la ricchezza residua si farà strada verso il basso della scala economica, verso le piccole imprese e i lavoratori, finendo per apportare vantaggi all’ economia nel suo complesso”. L’ emergente terza rivoluzione industriale, al contrario, è organizzata intorno a energie rinnovabili distribuite, che si trovano ovunque e sono, per la maggior parte, gratuite: il sole, l’acqua, il vento, il calore geotermico, le biomasse, le onde e le maree oceaniche. Queste energie disperse saranno sfruttate in milioni di siti locali, per essere poi accorpate e condivise con gli altri attraverso una rete intelligente, con l’obiettivo di ottenere livelli ottimali di energia e mantenere un’economia sostenibile ma ad alte prestazioni. La natura distribuita delle energie rinnovabili necessita di un meccanismo di comando e controllo collaborativo, piuttosto che gerarchico, che comporterebbe una totale rivoluzione delle tecniche e pratiche economiche e produttive fino ad ora utilizzate. L’ economia collaborativa: “La natura collaborativa della nuova economia è in radicale contrasto con la teoria economica classica, che pone grande enfasi sull’ ipotesi che l’interesse individuale nel mercato sia l’unica forza in grado di orientare la crescita economica. Il modello della terza rivoluzione industriale stigmatizza anche il metodo centralizzato di comando e controllo, associato con le tradizionali economie pianificate socialiste di stile sovietico. Il nuovo modello favorisce le imprese laterali, sia in ambito sociale sia nel mercato, nella convinzione che l’interesse reciproco, perseguito congiuntamente, sia la via migliore per uno sviluppo sostenibile. La nuova era rappresenta una democratizzazione dell’imprenditorialità – ognuno diventa produttore dell’energia che consuma – ma richiede anche un approccio collaborativo alla condivisione dell’energia nei quartieri, nelle municipalità, nelle nazioni e in interi continenti. Il nuovo regime energetico laterale stabilisce il modello organizzativo delle infinite attività economiche che genererà. A sua volta, una rivoluzione industriale più distribuita e collaborativa porterà invariabilmente a una condivisione più distribuita della ricchezza generata”. La parziale transizione dai mercati alle reti porterà con sé un diverso orientamento delle attività economiche. La relazione oppositiva fra venditore e compratore è sostituita da una relazione collaborativa; l’interesse particolare cede il passo all’ interesse condiviso; l’informazione riservata è eclissata dalla nuova enfasi posta sulla trasparenza e sulla fiducia collettiva. Questo nuovo predominio della trasparenza sulla segretezza si basa sulla premessa che aggiungere valore alla rete non deprezza il patrimonio del singolo, ma, al contrario, fa aumentare il valore di ciò che ciascuno, in quanto singolo e identico snodo di un’intrapresa comune, possiede. In settori sempre più numerosi, le reti entrano in concorrenza con i mercati e i domini collettivi open source mettono in discussione le attività economiche basate sulla proprietà esclusiva. “La Community Supported Agriculture (CSA) è un buon esempio dell’impatto dei nuovi modelli operativi TRI sulla produzione e la distribuzione di generi alimentari. Dopo un secolo di agricoltura basata sui derivati del petrolio, che ha portato alla quasi completa scomparsa della piccola azienda agricola familiare e dato i natali a gigantesche aziende agricole come Cargrill e ADM, una nuova generazione di agricoltori sta cambiando le regole del gioco, mettendosi in contatto diretto con le famiglie che consumano ciò che loro producono. La CSA è nata in Europa e in Giappone negli anni Sessanta, e si è diffusa negli Stati Uniti a partire dalla metà degli anni Ottanta. I soci, di solito famiglie cittadine, conferiscono una data quantità di denaro all’ agricoltore durante la stagione della semina, per coprire le sue spese annuali; in cambio ricevono una parte della produzione dell’azienda agricola durante la stagione del raccolto, che in genere consiste in una cassetta di frutta e verdure appena raccolte, consegnata a domicilio (o in un deposito prestabilito), ricolma di alimenti freschi e prodotti localmente. La maggior parte delle aziende coinvolte utilizza pratiche agricole ecologiche e metodi naturali biologici. Dato che la CSA è un consorzio che si basa sulla condivisione del rischio fra agricoltore e consumatori, questi ultimi traggono vantaggio da un raccolto generoso e patiscono le conseguenze di una stagione non propizia”. Afferma Rifkin che il passo più difficile da fare, per trasformare la Seconda rivoluzione industriale in Terza rivoluzione industriale, è di natura concettuale più che pratica. “I promotori della Seconda rivoluzione industriale avevano capito subito, almeno a livello intuitivo, che i nuovi mezzi di comunicazione e il regime energetico creavano un unico paradigma economico indivisibile: l’uno non si poteva sviluppare se non in relazione all’ altro. Avevano capito, inoltre, che la nuova infrastruttura che sarebbe sorta per effetto di questa convergenza avrebbe radicalmente riconfigurato l’orientamento spaziale e temporale della società, imponendo nuovi modi di organizzazione e gestione delle attività produttive e degli stili di vita. Alle emergenti compagnie petrolifere, case automobilistiche, società telefoniche, aziende elettriche e imprese edili e immobiliari della Seconda rivoluzione industriale non è servito molto tempo per capire che gli sforzi di ciascuna di loro rafforzavano le opportunità economiche delle altre e che da sole non sarebbero mai riuscite a raggiungere le economie di velocità e di scala che avrebbero loro permesso di sfruttare appieno il proprio potenziale economico. Raffinare petrolio, produrre automobili, costruire strade, installare linee telefoniche ed elettriche, costruire centri residenziali suburbani e istituzionalizzare le pratiche operative moderne non sono entità economiche distinte, ma singole componenti di un’unica, grande intrapresa: la Seconda rivoluzione industriale. Gli imprenditori lo hanno capito fin dall’ inizio e hanno consorziato i reciproci interessi, creando una potente lobby che ha agito sulla politica e sulla pubblica amministrazione negli Stati Uniti, in Europa e, poi, nel resto del mondo, con il fine di promuovere la causa comune. Per quanto sia stata spesso rapace e cinica, dominata dall’ interesse proprio e insensibile al benessere generale, questa lobby ha svolto un servizio pubblico che troppo spesso non viene riconosciuto. I lobbisti hanno unito i punti, cioè hanno messo insieme tutte le disparate forze economiche dirigendole verso un nucleo di relazioni che è diventato il modello embrionale di un nuovo organismo economico. Poi i lobbisti hanno infranto le regole, manipolato e sfruttato nella misura del possibile il potere della pubblica amministrazione per contribuire a far nascere la nuova economia. A loro credito va detto che gli inventori, gli imprenditori e i finanzieri della Seconda rivoluzione industriale avevano capito il sistema che stavano creando prima che la comunità intellettuale riuscisse a descriverlo e classificarlo, o il governo a regolamentarlo in maniera adeguata”. Oggi, aggiunge Rifkin, siamo i testimoni del convergere di nuovi mezzi di comunicazione e di un nuovo regime energetico: una Terza rivoluzione industriale. Aziende dei campi più disparati – energie pulite, edilizia sostenibile, telecomunicazioni, micro-generazione, tecnologie informatiche distribuite per le reti, veicoli elettrici plug-in e a cella a combustibile, chimica sostenibile, nanotecnologie, logistica a emissioni zero, gestione della catena dell’offerta eccetera – stanno sviluppando nuove tecnologie, nuovi prodotti e servizi. Sebbene sia normale pensare all’ imprenditorialità come successo commerciale individuale, nella forma di nuove imprese o di nuove idee, i veri, grandi contributi imprenditoriali sono di natura più sistemica e si hanno quando la comunità delle imprese riesce a intuire come i singoli sforzi individuali si inseriscono in una visione economica più ampia. Occorre quindi che tutte le forze economiche e sociali disponibili sul campo collaborino alla costruzione dei pilastri fondamentali per lo sviluppo di una terza rivoluzione industriale. Oltre la destra e la sinistra: “Il sorgere di queste improbabili alleanze fra imprese, organizzazioni sindacali, cooperative e associazioni di consumatori può essere l’elemento del cambiamento delle regole del gioco nella politica europea. Le piccole e medie imprese hanno tradizionalmente mostrato una preferenza per la destra, e i sindacati per la sinistra, mentre le cooperative e le associazioni dei consumatori si sono sempre divise tra i due fronti. Ora la Terza rivoluzione industriale riesce a unire questi gruppi in una nuova e potente forza laterale. Dato che la Terza rivoluzione industriale è distribuita e collaborativa, si adatta in modo particolare a milioni di microimprenditori e di consumatori che condividono i propri interessi collettivi attraverso organizzazioni di tipo cooperativo; e dato che nei prossimi quarant’ anni la costruzione dell’ infrastruttura a cinque pilastri della Terza rivoluzione industriale favorirà la creazione di milioni di posti di lavoro a livello locale, la nuova economia diventa l’ àncora di salvezza per una forza lavoro sindacalizzata che è stata sempre più marginalizzata dalla globalizzazione”. Dalla globalizzazione alla continentalizzazione: La trasformazione dell’economia e il cambiamento dei valori politici stanno spingendo verso un altrettanto radicale spostamento di potere nelle istituzioni governative. La Prima e la Seconda rivoluzione industriale sono state assecondate dalle economie nazionali, dal rafforzamento dello stato nazione e da una divisione geopolitica centralizzata, gerarchica del mondo; la Terza rivoluzione industriale, data la sua natura distribuita e collaborativa e la sua modalità di crescita laterale in territori contigui, favorisce le economie e le unioni politiche continentali. Stiamo passando dalla “globalizzazione” alla “continentalizzazione”. In una Terza rivoluzione industriale alimentata da energia verde, i continenti diventano il nuovo terreno di gioco della vita economica, e le unioni continentali come l’Unione europea, rappresentano per Rifkin il nuovo modello di governo. “La Terza rivoluzione industriale consente di avviare un’infrastruttura continentale per l’ energia e le comunicazioni che creerà uno spazio economico senza soluzione di continuità, nel quale una popolazione di oltre un miliardo di persone, nell’ Unione europea e nelle regioni confinanti (Europa conta 500mln di persone), potrà intraprendere attività economiche e scambi commerciali con efficienza e facilità, e con un limitato contenuto di biossido di carbonio, facendo dell’ Europa il più grande mercato integrato del mondo entro il 2050. E’ questo il compito fondamentale e ancora irrealizzato dell’Unione europea. Le nazioni asiatiche, africane e sudamericane stanno cominciando a ispirarsi all’ Unione europea per formare proprie unioni continentali con il medesimo obiettivo: creare un mercato unico e integrato. E, come l’Unione europea, stanno combinando i mezzi di comunicazione distribuiti di Internet con le energie rinnovabili distribuite per creare l’infrastruttura per un’economia TRI: una rete elettrica completamente integrata, una rete di telecomunicazioni e un sistema di trasporti continentali per gli scambi e i commerci. Un’infrastruttura distribuita e collaborativa per l’energia e le comunicazioni che attraversa un intero continente non potrà che promuovere forme di governo continentali (ASEAN, UA, UNASUR)”. “Così come Internet connette il genere umano in un unico spazio virtuale distribuito e collaborativo, la Terza rivoluzione industriale connetterà il genere umano in un parallelo spazio politico pangeano. Come sarà questo spazio politico? Dato che l’infrastruttura TRI, che è il fulcro centrale dei mercati e della governance continentali, cresce lateralmente ed è distribuita, collaborativa e reticolare, con ogni probabilità la governance continentale e globale non potrà che avere le medesime caratteristiche. L’idea di un governo mondiale centralizzato poteva forse adattarsi, in termini logici, alla Seconda rivoluzione industriale, la cui infrastruttura cresceva verticalmente e le cui organizzazioni erano gerarchiche e centralizzate; ma essa sarebbe curiosamente fuori luogo e non in sintonia con un mondo in cui l’infrastruttura dell’energia e della comunicazione è nodale, interdipendente e piatta. Le comunicazioni, le energie e gli scambi reticolari si stanno diffondendo in tutto il pianeta, dando vita a una governance altrettanto reticolare a livello sia continentale sia globale. La progettazione di uno spazio vitale interconnesso e intercontinentale crea un nuovo orientamento spaziale: in una società globale sempre più integrata, le persone cominciano a vedersi come parti di un organismo planetario indivisibile”. Poiché le energie rinnovabili sono ampiamente distribuite, Rifkin afferma che una Terza rivoluzione industriale ha la stessa probabilità di innescarsi nel mondo in via di sviluppo quanto nel mondo già sviluppato. L’ Africa, in particolare, non ha neppure cominciato a sfruttare il proprio potenziale di energie rinnovabili. Gli analisti del settore energetico affermano che le fonti solari, eoliche, idroelettriche, geotermiche e da biomasse potrebbero più che soddisfare il fabbisogno energetico di ogni continente: la chiave è creare un terreno favorevole in termini di aiuti finanziari, trasferimenti tecnologici e programmi di formazione per assistere i paesi in via di sviluppo, sul modello di quanto fatto dalla partnership Unione Africana/Unione Europea. Dalla geopolitica alla politica della biosfera: La fascia della biosfera è lo spazio compreso tra i fondali oceanici e la stratosfera all’ interno del quale le creature viventi e i processi geochimici del nostro pianeta interagiscono, rendendo possibile la vita sulla terra. La visione precedente, darwinistico-sociale della natura come campo di battaglia, dove ogni creatura lotta contro tutto e tutti per appropriarsi di quante più risorse possibili per sé stessa e per la propria progenie, è stata adottata dalle nazioni e agita sulla grande scena della storia in forma di geopolitica. Sono state combattute guerre e tracciati continuamente confini politici per garantire l’accesso a combustibili fossili ed altre preziose risorse per fornire energia ai processi della Prima e della Seconda rivoluzione industriale. Le recenti interpretazioni della comunità scientifica circa il funzionamento della biosfera, invece, non sono altro che una completa riscoperta del pianeta che abitiamo: ricercatori di campi diversi – dalla fisica alla chimica, dalla biologia all’ecologia, dalla geologia alla meteorologia – stanno cominciando a pensare alla biosfera come un unico organismo vivente i cui vari flussi chimici e processi biologici interagiscono reciprocamente e ininterrottamente in una miriade di feedback circolari che permettono alla vita di prosperare in questa minuscola oasi nascosta nell’ universo. La nuova visione che si sta affermando in ambito scientifico, considera l’evoluzione della vita e quella della geochimica del pianeta come processi co-creativi in cui tutto si adatta a tutto il resto, garantendo la continuazione della vita nella biosfera terrestre. Gli ecologi affermano che le relazioni simbiotiche e sinergiche nell’ ambito della specie e fra le varie specie contribuiscono ad assicurare la sopravvivenza dell’individuo quanto la competizione e la pulsione aggressiva. Se la terra funziona come un organismo vivente costituito da molteplici livelli di relazioni ecologiche interdipendenti, la nostra sopravvivenza dipende dalla salvaguardia del benessere dell’ecosistema globale del quale siamo tutti parte. E’ questo il significato profondo dello sviluppo sostenibile e l’essenza stessa della politica della biosfera. Tale politica favorisce uno spostamento del panorama politico, e noi cominciamo ad allargare la nostra prospettiva e a pensarci come cittadini del mondo in una biosfera condivisa. “Il passaggio del regime energetico dai combustibili fossili alle energie rinnovabili distribuite ridefinirà anche il concetto stesso di relazioni internazionali, lungo linee ispirate al pensiero ecologico. Le energie rinnovabili della Terza rivoluzione industriale sono disponibili in gran quantità, diffuse ovunque e facilmente condivisibili, ma richiedono una cura e una responsabilità collettiva degli ecosistemi terrestri. Per questo, nella terza rivoluzione industriale i conflitti per l’accesso alle fonti di energia saranno meno probabili e sarà invece più probabile l’instaurarsi della cooperazione internazionale; nella nuova era, la sopravvivenza sarà una questione più di cooperazione che di competizione, più di ricerca di integrazione che di spinta all’ autonomia”. L’ERA COLLABORATIVA: Nonostante il fatto incontrovertibile che tutte le attività economiche creano solo valore temporaneo a spese del degrado della base di risorse da cui dipendono, la maggior parte degli economisti non guarda al processo economico da una prospettiva termodinamica. La maggior parte dei filosofi illuministi è giunta alla conclusione che il perseguimento delle attività economiche sia un processo lineare che conduce inevitabilmente al progresso materiale sulla terra, a patto che il meccanismo dei mercati venga lasciato libero di agire per consentire alla “mano invisibile” di regolare domanda e offerta. Eccitati dalla prospettiva di poter creare un’infinita abbondanza di beni materiali sulla terra, gli economisti classici, con l’eccezione di Thomas Malthus, erano concordi nel ritenere che dall’industriosità umana sarebbe scaturito un paradiso utopico. La sola idea che un’accelerazione dell’attività economica potesse comportare un degrado dell’ambiente e un futuro oscuro per le generazioni di là da venire sarebbe stata inconcepibile. La ragione per la quale la maggior parte degli economisti non accetta questo semplice concetto è che non riesce a capire che ogni attività economica attinge alle riserve di energia e di materiali della natura, prendendole a prestito. Ma se questo prestito depaupera le ricchezze della natura più rapidamente di quanto la biosfera riesca a riciclare le scorie e a ricostituirne il patrimonio, l’accumulazione del debito entropico finirà per far crollare qualsiasi regime economico, indipendentemente dalla sua natura e dalle sue modalità operative. “Da un punto di vista termodinamico, l’insegnamento più importante che possiamo trarre è la pianificazione delle nostre modalità di consumo, per conformarle ai tempi di riciclo e ripristino della natura, in modo da poter vivere in maniera più sostenibile”. “Ogni grande era economica è segnata dall’ introduzione di un nuovo regime energetico. All’inizio i processi di estrazione, elaborazione e distribuzione del nuovo regime energetico sono costosi; poi i progressi della tecnologia e le economie di scala comprimono i costi e ne fanno aumentare la disponibilità fino a quando l’energia, dapprima abbondante, diventa sempre più scarsa e il saldo entropico della conversione energetica passata comincia ad accumularsi. L’era del petrolio ha seguito questa traiettoria nel corso del Novecento, raggiungendo il picco nel 2006”. La riscoperta dello spazio e del tempo: La decisione di fondare le loro nuove teorie sulle verità della fisica newtoniana indusse gli economisti illuministi a concepire lo spazio e il tempo in un modo molto meccanicistico e utilitaristico: lo spazio è un contenitore, un deposito, pieno di utili risorse pronte per essere espropriate a fini economici; il tempo, a sua volta, è uno strumento malleabile da manipolare per velocizzare il processo di espropriazione e creare una ricchezza economica virtualmente illimitata. Le azioni dell’uomo sono considerate una forza esterna che agisce sulle risorse contenute nello spazio, trasformandole nel modo più efficiente possibile con tecnologie labor-saving (risparmio di manodopera) in unità produttive. L’ approccio utilitarista allo spazio e l’uso efficiente del tempo sono diventati così le fondamentali coordinate spaziotemporali della teoria economica. “Su questa nuova interpretazione del funzionamento dei feedback circolari nelle reti ecologiche si modella la rete di feedback informazione-energia dell’emergente economia della Terza rivoluzione industriale. Se la tecnologia, come l’arte, imita la vita, la nuova infrastruttura reticolare dell’economia TRI si avvicina notevolmente alla replica perfetta del funzionamento degli ecosistemi naturali del pianeta. Creando relazioni economiche, sociali e politiche modellate su quelle biologiche degli ecosistemi terrestri, si compie un primo, fondamentale passo per la reintegrazione della nostra specie nel tessuto delle più vaste comunità viventi delle quali facciamo parte”. Se vogliamo sopravvivere e prosperare come specie, dobbiamo ripensare i concetti di spazio e tempo. La definizione economica classica dello spazio come contenitore o deposito di risorse passive deve necessariamente essere sostituita da un’idea di spazio come comunità attiva di relazioni. Anche nell’organizzazione del tempo, l’efficienza deve cedere il posto alla sostenibilità: il nostro approccio all’ ingegnerizzazione deve essere ricalibrato e sincronizzato con le ciclicità rigenerative della natura, invece che con i semplici ritmi produttivi dell’efficienza del mercato. “La teoria economica ortodossa mostra ormai tutta la sua inutilità: è necessario ripensare il PIL e le altre misure del benessere economico della società; riformulare il concetto di produttività; approfondire il concetto di debito per trovare il modo migliore di portare al pareggio i nostri bilanci di produzione e consumo, anche rispetto a quelli della natura; riesaminare l’idea di proprietà, rivalutando l’importanza del capitale sociale rispetto al capitale finanziario; ricalcolare il valore economico dei mercati e quello delle reti; cambiare il concetto di spazio e di tempo; e riconsiderare il funzionamento della biosfera terrestre. Usare le leggi dell’energia come linguaggio comune permetterà agli economisti di entrare in profonda relazione con gli ingegneri, i chimici, gli ecologi, i biologi, gli architetti e gli urbanisti e gli esponenti di tutte le altre discipline che si fondano sulle leggi dell’energia. Poiché questi campi sono quelli che creano attività economica, sviluppare nel tempo una seria discussione interdisciplinare può portarci a una nuova sintesi fra l’economia teorica e pratica e far emergere un nuovo sistema economico esplicativo che accompagni il paradigma della Terza rivoluzione industriale”. Ripensare la proprietà: Eccitati dagli eventi, gli economisti illuministi cominciarono a lodare le virtù innate dei rapporti di proprietà privata nel mercato, giungendo a considerare l’acquisizione di proprietà come un’attività fondata su una pulsione biologica, anziché come una propensione sociale condizionata da uno specifico paradigma di comunicazione ed energia, e facendone uno dei pilastri fondamentali del sistema economico capitalistico e, quindi, dell’ordine sociale borghese. “Ma l’emergente Terza rivoluzione industriale porta con sé un concetto affatto diverso delle pulsioni umane e degli assunti di base che governano l’attività economica dell’uomo. La natura distribuita e collaborativa del nuovo paradigma economico sta determinando un radicale ripensamento dell’alto valore tradizionalmente conferito ai rapporti di proprietà nel mercato”. Capitale finanziario e capitale sociale: “Anche il fulcro principale del capitalismo stesso sta cominciando a cedere di fronte alle opportunità economiche laterali rese possibili dalle tecnologie TRI, portando a un nuovo capitalismo distribuito nel quale il basso costo d’ingresso alle reti laterali permette pressoché a tutti di diventare imprenditori e collaboratori nei domini collettivi di Internet e dell’Inter-rete energetica. Non è che il capitale finanziario non sia più rilevante, è solo cambiato radicalmente il modo in cui viene utilizzato”. Ma l’economia, fa notare Jeremy Rifkin, non è l’unica disciplina accademica a dover essere riformata: anche il nostro sistema educativo non è cambiato granché da quando è stato concepito, all’inizio dell’era del mercato moderno. Come la teoria economica classica e neoclassica, il sistema educativo è stato la balia della Prima e della Seconda rivoluzione industriale, riflettendo e diffondendo i concetti fondamentali, le politiche e le pratiche dell’ordine economico che accudiva, e necessita oggi di un’accurata rivisitazione. La coscienza biosferica: Questi profondi cambiamenti cui si trova oggi di fronte l’uomo e tutta la società nel suo complesso, sta mettendo seriamente in crisi l’individualismo occidentale e la definizione dell’identità umana. L’ homo sapiens starebbe, parafrasando Rifkin, cedendo il passo all’ homo empaticus. Gli storici ci dicono che l’empatia è il collante sociale che permette a una popolazione sempre più eterogenea e individualizzata di forgiare legami di famigliarità attraverso domini immensi, in modo che la collettività possa avere una coesione. Empatizzare è civilizzare, e mai come oggi il mondo si è trovato in debito di quel principio, ritenuto già fondamentale ai tempi della Rivoluzione Francese, e troppo spesso trascurato, che è la fratellanza. Edward O. Wilson ritiene che gli esseri umani abbiano una tendenza innata a sentirsi affiliati alla natura: quella che lui stesso chiama “biofilia”, principio messo in crisi dal sistema stesso, quello delle pratiche di urbanizzazione e cementificazione. Occorre quindi: “Preparare i nostri figli a pensare come Sé ecologici estesi, ad avere, cioè, una coscienza della biosfera. Sarà la verifica fondamentale per la nostra epoca e potrebbe perfino risultare decisivo rispetto alla questione se saremo in grado o meno di creare una nuova relazione sostenibile con la terra in tempo per rallentare il cambiamento climatico e impedire la nostra stessa estinzione”. Apprendimento laterale: Diverse centinaia di campi interdisciplinari come l’economia comportamentale, l’ecopsicologia, la storia sociale, l’etica biomedica, l’imprenditoria sociale e la salute olistica stanno scuotendo dalle fondamenta il mondo dell’istruzione e promuovendo un cambiamento epocale nel processo educativo. “L’istruzione distribuita e collaborativa parte dall’ idea che si ha una maggiore probabilità di ottenere il risultato desiderato se le persone ragionano insieme, mettendo in comune le esperienze personali, rispetto al caso in cui ciascuno ragiona separatamente dagli altri. Trasformando l’educazione in un’esperienza empatica e in un processo di apprendimento distribuito e collaborativo esteso a tutta la biosfera, alimentiamo le competenze intellettuali e la coscienza che asseconderanno il paradigma della Terza rivoluzione industriale, operante sulla base degli stessi principi. Uno sguardo empatico sempre più attento verso le altre creature ha innescato un ripensamento del significato di “vita urbana”. Urbanistica del paesaggio e urbanistica verde sono fra le nuove scuole di pensiero per la riforma del settore”. CONCLUSIONI: “La Terza rivoluzione industriale è l’ultima delle grandi rivoluzioni industriali e creerà le infrastrutture fondanti di un’emergente era collaborativa. La costruzione entro quarant’anni dell’infrastruttura TRI creerà centinaia di migliaia di nuove imprese e centinaia di milioni di nuovi posti di lavoro. Il suo completamento segnerà la fine di una saga economica lunga due secoli, caratterizzata dal pensiero industriale, gestita in mercati imprenditoriali attraverso la forza lavoro di massa; allo stesso tempo darà inizio a una nuova era segnata dal comportamento collaborativo, dall’ interazione dei social network, da professionisti specializzati e manodopera qualificata. Nel prossimo mezzo secolo le attività d’impresa che hanno connotato la Prima e la Seconda rivoluzione industriale saranno progressivamente sostituite dalle pratiche operative distribuite dalla Terza rivoluzione industriale, mentre la tradizionale organizzazione gerarchica del potere economico e politico cederà il passo al potere laterale, organizzato per nodi, in tutta la società. Di primo acchito, il concetto stesso di potere laterale sembra contraddire tutto ciò che nel corso della storia ha contraddistinto le relazioni di potere. Il potere è stato infatti tradizionalmente organizzato in strutture piramidali, nelle quali fluisce dall’alto verso il basso. Oggi, però, il potenziale collaborativo liberato dal confluire della tecnologia di Internet e dalle energie rinnovabili ristruttura in maniera fondamentale le relazioni umane: da alto-basso a fianco-a-fianco, con profonde conseguenze per il futuro della società. Avvicinandoci alla metà del secolo, una percentuale sempre crescente degli scambi sarà coordinata da surrogato tecnologici intelligenti, rendendo così gran parte dell’ umanità libera di creare capitale sociale nella società civile, in assenza di scopo di lucro, trasformando il terzo settore nel settore dominante della seconda metà del secolo attuale. Lo scambio economico rimarrà essenziale per la sopravvivenza dell’uomo, ma non sarà più sufficiente a definire le sue aspirazioni. Se riusciremo a soddisfare i bisogni fisici della nostra specie nel prossimo mezzo secolo – e il “se” è d’ obbligo – molto probabilmente le preoccupazioni di natura trascendente diverranno una determinante sempre più importante della prossima fase della storia dell’uomo. “Eppure, per la prima volta nella storia siamo così vicini a tale possibilità da poterla almeno immaginare. E questo mi rende speranzoso in un possibile successo”. Riccardo Parise