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WEBER Governo e sociologia del potere In Parlamento e governo Weber difende a spada tratta il parlamento; la polemica è contro Bismarck, reo di aver trasformato il parlamento in un luogo esclusivamente burocratico. Il parlamento deve essere, invece, un luogo fondamentale della democrazia. Il parlamento è il luogo deputato a fare emergere le élite: gli uomini migliori si faranno in parlamento. Chi governa fa parte di una minoranza ristrettissima, composta da pochi elementi, che deve però emergere dal parlamento. La centralità del parlamento deve essere assoluta: qui si deve svolgere la lotta (pacifica), qui deve venir fuori il leader (il parlamento non è affatto antitetico al carisma). Il parlamento è utile perché, una volta selezionato il leader carismatico, pone comunque i limiti della legalità costituzionale, funzione di controllo del parlamento. La figura del leader carismatico si può ricondurre benissimo alla democrazia; potrebbe esserci una certa degenerazione verso il plebiscitarismo, ma se il parlamento funziona bene continuerà a svolgere il proprio ruolo di filtro tra massa egoverno. Il leader carismatico è colui che riesce a realizzare una sorta di sintesi fra le diverse voci che gli provengono dalla collettività, rappresentandole in parlamento. Analizzando Sociologia del potere si possono trarre svariati tratti caratterizzanti la forma di legittimazione carismatica. Il popolo è portato affettivamente a sottomettersi al carisma del signore, il quale è dotato di virtù soprannaturali (eroismo, etc.) che non sono mai esistite. La sottomissione avviene in maniera emozionale e non razionale. Appena perde le sue qualità, il popolo non obbedisce più all'eroe carismatico che perde di colpo il suo potere; se le masse non percepiscono più come tale il suo potere, questo "duce" cade immediatamente. Occuperanno quindi gli alti posti della burocrazia coloro che sono stati sempre vicino al loro leader. Viene così meno sia il concetto razionale di competenza (tipico della legittimazione legale), sia il concetto di privilegiamento del ceto (tipico della legittimazione tradizionale). Non c'è razionalità nella scansione burocratica di uno Stato carismatico: i compiti vengono tolti e affidati di volta in volta sulla base della volontà del capo. Siamo noi dominati che scegliamo il nostro dominante; Weber è in tal senso "profetico":Mussolini e Hitler sono andati al potere attraverso elezioni regolari (seppur caratterizzate da episodi di violenza, censura e oppressione). Rispetto ai leader carismatici è fondamentale il ruolo del parlamento che svolge funzione di controllo e di filtro. Tre punti importanti che traspaiono dalla lettura di Parlamento e governo del 1918 sono: Frequenti critiche a Bismarck (che esautorava il ruolo del parlamento). Chi deve andare a governare la cosa pubblica deve vincere una lotta, che è considerata positivamente da Weber; Il presidente della repubblica o il monarca devono affidare il compito di governare a colui che è uscito vincitore dalla lotta parlamentare. Continuo ritorno nel testo dell'elemento della lotta politica, che è bene che si svolga in parlamento (sarà così contrasto di idee, non violenza): "per il politico moderno la vera palestra è il parlamento"; È fondamentale che i leader si formino in parlamento: in esso si instaurerà un dibattito fra i leader, che sono le uniche figure (fra tutti i parlamentari) che contano veramente. Questo non è un fatto negativo: l'importante è che il leader sia tale in quanto lo merita, e può dimostrare di meritare l'appartenenza al suo status solo attraverso l'attività parlamentare. Se si legge La politica come professione e come vocazione è possibile enucleare alcune caratteristiche concernenti la politica professionale. La politica come professione non è aperta a tutti, bensì è per natura riservata ad alcune élite: per fare politica "ci vuole un fisico bestiale". La politica è una professione, non solo perché si riceve uno stipendio, ma perché si crede di avere delle capacità, delle competenze da mettere in campo. La politica è anche vocazione, dedizione appassionata a una causa. Tornando, invece, alla (più apparente che sostanziale) dicotomia etica dell'intenzione-etica della responsabilità, va notato che l'agire secondo responsabilità implica spesso il raggiungimento di un buon fine previo l'utilizzo di un cattivo mezzo. Il politico deve sapere che facendo politica si sporcherà l'anima. Se mi voglio occupare professionalmente di politica non andrò in paradiso; non andrò in paradiso perché, se così fosse, vorrebbe dire che mi affiderei esclusivamente all'etica dell'intenzione, rischiando così di non giungere a nulla di concreto. Il sociologo Max Weber definì l'autorità carismatica come "fondata sulla devozione all'eccezionale santità, eroismo o carattere esemplare di una singola persona, e dei modelli normativi o ordini rivelati o impartiti da tale soggetto." L'autorità carismatica è una delle tre forme di autorità esposte nella classificazione tripartita delle autorità di Weber, assieme a quella tradizionale ed alla razionale-legale. Il concetto è divenuto di uso diffuso tra i sociologi. Il sistema elettorale è costituito dall’insieme delle regole che si adottano in una democrazia rappresentativa per trasformare le preferenze espresse degli elettori durante le elezioni in voti e i voti in seggi da assegnare all'interno del Parlamento o più in generale di un'assemblea legislativa. Caratteristiche [modifica] Un sistema elettorale è composto da due elementi fondamentali: il sistema di votazione e il metodo per l'attribuzione dei seggi. Quest'ultimo richiede l'applicazione di una formula matematica predefinita, che viene detta "formula elettorale". Tradizionalmente, la formula elettorale era classificabile in due grandi categorie: formule maggioritarie (che sono le più antiche e tendono a premiare i candidati o partiti vincitori in collegi uninominali o plurinominali); formule proporzionali (che sono state elaborate a partire dalla seconda metà dell'Ottocento e tendono a stabilire un rapporto proporzionale tra i voti ottenuti da un partito e i seggi ad esso assegnati). A partire dagli anni novanta si è diffusa sempre di più una terza categoria, quella dei sistemi misti. Le formule appartenenti a questa categoria combinano elementi maggioritari ed elementi proporzionali, talvolta relazionati tra di loro (come nei sistemi italiani per Camera e Senato del 1993), talvolta assolutamente indipendenti (come nel sistema russo o in quello giapponese, entrambi del 1993)[1]. l sistema maggioritario uninominale [modifica] In molte democrazie anglosassoni e in molti Paesi francofoni, tra cui Gran Bretagna, Stati Uniti, India e Francia, viene utilizzato un sistema elettorale maggioritario basato su un collegio uninominale. In ciascun collegio elettorale è in palio un unico seggio, che viene assegnato al candidato che ottiene il maggior numero di voti. In alcuni sistemi è sufficiente ottenere la maggioranza relativa dei voti (sistemi uninominali a un turno), in altri è necessario ottenere la maggioranza assoluta. Nei sistemi del secondo tipo, nel caso in cui nessun candidato raggiunga la maggioranza assoluta dei voti al primo turno di votazioni è previsto un secondo turno, detto ballottaggio(sistemi uninominali a doppio turno). In alcuni sistemi del secondo tipo l’elettore può indicare una classificazione dei candidati e permettere così di redistribuire i voti dei candidati meno votati fino a che un candidato non ottenga la maggioranza assoluta (sistemi uninominali a voto alternativo con maggioranza assoluta). Sul piano macroelettorale (determinazione del numero di seggi spettanti alle singole forze politiche) le formule maggioritarie uninominali tendono a produrre maggioranze parlamentari dotate di un numero di seggi più elevato rispetto alla percentuale di voti ottenuti dal partito o dalla coalizione che le compongono. Queste formule regolano però soltanto l'aspetto microelettorale, in quanto l’elettore è chiamato unicamente a esprimere il voto per uno dei candidati presenti nel suo collegio. Siccome i partiti indicano prima delle elezioni la persona che proporranno come capo del governo, gli elettori possono indirettamente scegliere anche quest’ultimo. Con i sistemi maggioritari uninominali sono avvantaggiati i partiti che vincono di misura in molti collegi, mentre sono generalmente svantaggiati quelli che vincono in pochi collegi con grandi maggioranze. I partiti al governo possono talvolta modificare il disegno dei collegi in modo da aumentare il numero di collegi in cui sono favoriti (diminuendo eventualmente il margine di maggioranza su cui possono contare). Il fenomeno si chiama Gerrymandering. I sistemi uninominali favoriscono inoltre i partiti localistici o con forte base locale, mentre sfavoriscono i partiti che hanno una base elettorale fortemente delocalizzata e sparsa in modo piuttosto uniforme. Sistema uninominale a un turno (uninominale secco) [modifica] Il sistema uninominale a un turno, detto anche plurality con maggioranza relativa, prevede la vittoria del candidato che ha riportato il maggior numero di voti. È il sistema in vigore nel Regno Unito e nella stragrande maggioranza dei Paesi anglosassoni[2]. Questo sistema tende a sovrarappresentare i partiti più grandi, sottorappresentando quelli medi ma soprattutto quelli piccoli[3]. Secondo il politologo italiano Giovanni Sartori, il sistema uninominale secco può contribuire all'instabilità del sistema politico. In collegi dove lo scarto tra i principali partiti è ridotto, i partiti piccoli possono risultare decisivi e possono quindi acquisire un ruolo sproporzionato grazie ai cosiddetti accordi di desistenza[4]. Nel caso di un sistema partitico stabile e consolidato, il sistema uninominale a un turno può spingere gli elettori al cosiddetto voto strategico o utile, in caso di evidente improbabilità o impossibilità di vittoria del candidato preferito. Sistema uninominale a doppio turno [modifica] Con il sistema elettorale a doppio turno (detto anche majority) un candidato deve raggiungere o superare la maggioranza assoluta (50% + 1) per essere eletto al primo turno. Se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta, si ricorre a un secondo turno di votazioni. Il numero di candidati ammessi a questo secondo turno divide questo tipo di scrutinio in due sottosistemi. Nel primo, sono ammessi al secondo turno solo i due candidati più votati al primo turno (in questo caso, il secondo turno assume il nome di "ballottaggio"). Questo sistema veniva utilizzato in Italia prima della Grande Guerra. Nei sistemi del secondo tipo, sono ammessi al secondo turno tutti i candidati che hanno superato una determinata percentuale di voti al primo turno; per essere eletti al secondo turno è sufficiente ottenere la maggioranza relativa dei voti. Questo sistema è utilizzato in Francia ed è conosciuto come sistema uninominale "alla francese"[5]. Il sistema a doppio turno tende a incoraggiare gli elettori a esprimere un voto sincero al primo turno e un voto strategico al secondo turno. Rispetto agli altri sistemi uninominali, quelli a doppio turno tendono a premiare i partiti di centro, mentre quelli a turno unico favoriscono formazioni ideologicamente più schierate[senza fonte]. Nel secondo turno di votazioni i candidati di centro sono infatti in genere meglio collocati per attirare voti sia da destra che da sinistra. Sistema uninominale a voto alternativo con maggioranza assoluta  Il sistema uninominale a voto alternativo con maggioranza assoluta o instant runoff è la versione a turno unico del sistema majority. Gli elettori non votano un singolo candidato, ma possono classificare un numero a scelta di candidati secondo il proprio ordine di gradimento. Se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta di "prime preferenze", il candidato meno votato viene eliminato e i suoi voti vengono redistribuiti fra i candidati rimanenti secondo le "seconde preferenze" espresse da chi lo aveva votato come prima preferenza. Se nessun candidato raggiunge ancora la maggioranza assoluta, il meccanismo viene applicato nuovamente, finché uno dei candidati non raggiunge la maggioranza assoluta. Il sistema uninominale a voto alternativo con maggioranza assoluta è utilizzato in Australia e nella Repubblica di Irlanda. Il sistema alternativo consente di riprodurre in maniera sincera e fedele le intenzioni degli elettori, che non sono spinti al voto strategico e che possono limitarsi a esprimere le loro preferenze in maniera sincera. Questo sistema consente di evitare i problemi di eccessivo frazionamento politico e i problemi posti dagli accordi di desistenza. Il sistema proporzionale [modifica] Il sistema elettorale proporzionale, o di lista, fu introdotto nel corso del Novecento su spinta delle grandi formazioni politiche di massa, quelle centriste popolari, e quelle di sinistra socialiste. Il primo paese ad applicarlo fu il Belgio nel 1900. Elemento caratterizzante del sistema proporzionale è l'assegnazione dei seggi in circoscrizioni elettorali plurinominali, suddividendoli fra le varie liste in proporzione ai voti ottenuti. Si presenta quindi come un sistema elettorale basato sulla democraticità e rappresentatività in quanto permette di fotografare le divisioni politiche effettive del Paese. Aspetto positivo, quindi, che salta subito all'occhio è la possibilità di una rappresentanza parlamentare che rifletta in maniera meno distorta possibile la reale situazione politica di un paese, con una significativa tutela delle minoranze. Qualora i partiti siano notevolmente frazionati, però, il proporzionale riflette questo frazionamento reale in parlamento e la formazione di un governo richiede coalizioni che uniscano più partiti, con conseguente forte instabilità (se i partiti non riescono a trovare degli accordi; viceversa può portare anche a sistemi consociativi e di governi di grosse coalizioni che tendono a tenere sotto controllo il conflitto). I meccanismi proporzionali sono essenzialmente due: quello del quoziente e i più alti resti, e quello dei divisori e le più alte medie. Voto di preferenza [modifica] Il sistema proporzionale può prevedere o meno la possibilità per l'elettore di esprimere una o più preferenze per un candidato all'interno della lista votata. In questo caso, vengono eletti nell'ambito di ogni lista i candidati che hanno ottenuto il numero maggiore di preferenze. Se invece non è previsto il voto di preferenza, i candidati vengono scelti secondo l'ordine in cui compaiono in lista, delegando ai partiti l'individuazione degli eletti: si parla in questo caso di lista bloccata. Il sistema proporzionale con premio di maggioranza [modifica] Dal 2006 in Italia viene utilizzato un sistema definito "proporzionale con premio di maggioranza e soglia di sbarramento"[13]. Tuttavia, per l'elezione della Camera tale sistema potrebbe essere anche considerato un sistema maggioritario plurinominale, applicato a un collegio unico nazionale: il partito o la coalizione che ottiene la maggioranza relativa dei voti (anche soltanto per un voto) ha diritto al 55% dei seggi (a meno che non gliene spettino ancora di più su base proporzionale)[14]. Questo sistema è stato modellato sull'esempio di quello introdotto in Italia nel 1993 per l’elezione dei sindaci e di quello del 1995 per l’elezione dei Consigli regionali[15]. Gli effetti del sistema elettorale della Camera a favore della governabilità del Paese sono attenuati dagli effetti del sistema elettorale utilizzato per il Senato: anche per il Senato è prevista una riserva del 55% dei seggi in favore del partito o della coalizione di maggioranza relativa, ma il conteggio viene effettuato Regione per Regione. Ciò rende molto più equilibrato il risultato, in quanto la coalizione seconda classificata a livello nazionale vince spesso in un numero significativo di Regioni. La ripartizione dei seggi al Senato ha effetti importanti sulla governabilità, dato che in Italia il governo ha bisogno di ricevere la fiducia da entrambe le Camere (cosiddetto "bicameralismo perfetto"), a differenza di altri Paesi. Formule come questa italiana, basate su collegi plurinominali e caratterizzate da una "riserva di seggi" in favore del vincitore, possono essere dette anche "maggioritarie di voto limitato". Nacquero alla fine dell'Ottocento e furono utilizzate in Italia, Francia e Gran Bretagna, ma ebbero poco successo. L'obiettivo per cui furono introdotte non era garantire una maggioranza sicura allo schieramento vincitore, ma piuttosto garantire una rappresentanza alle minoranze[16]. Queste ultime rischiavano infatti di ottenere pochi seggi (o addirittura nessuno) nell’ambito dei collegi plurinominali classici, in cui tutti i seggi in palio venivano assegnati allo schieramento vincitore[17]. Secondo alcuni, infatti, il sistema maggioritari di voto limitato andrebbe distinto dal sistema proporzionale con premio di maggioranza, in quanto questi ultimi attribuirebbero un bonus di seggi supplementari soltanto al partito o alla coalizione che abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (cioè il 50%+1), mentre non attribuiscono seggi supplementari in caso di maggioranza relativa. Un esempio 'puro' di sistema proporzionale con premio di maggioranza era quello proposto dalla cosiddetta legge truffa del 1953. Un partito politico è un'associazione tra persone accomunate da una medesima finalità politica ovvero da una comune visione su questioni fondamentali della gestione dello Stato e della società o anche solo su temi specifici e particolari. L'attività del partito politico è volta ad operare per l'interesse nazionale, si esplica nello spazio della vita pubblica e, nelle attuali democrazie rappresentative, ha per "ambito prevalente" quello elettorale. Sistemi partitici [modifica] Il sistema partitico è l'insieme di partiti legati da una relazione logica. La distinzione classica proposta da Maurice Duverger li divide in sistemi monopartitici, bipartitici, multipartitici. I sistemi monopartitici caratterizzano i regimi autoritari detti per questo “a partito unico”. Non possono esistere in regimi democratici. Esempi: la Repubblica popolare Cinese e, a suo tempo, l'URSS. I sistemi bipartitici caratterizzano democrazie come quella britannica e statunitense, sono considerati molto efficienti grazie alla stabilità di governo e designazione diretta (formale o meno) del governo da parte dei cittadini. Un tale sistema c'è quando solitamente in parlamento prevalgono sempre i soliti due grandi partiti in grado di formare, volendo, un governo monocolore. I sistemi multipartitici caratterizzano la maggioranza delle democrazie, tra cui la stessa Repubblica Italiana, nati dal succedersi e cristallizzarsi dei conflitti sociali. Tali sistemi possono essere contraddistinti da coalizioni eterogenee e instabili. Secondo le teorie di Duverger, i sistemi bipartitici sono influenzati dal sistema elettorale maggioritario a un turno e quelli multipartitici dal proporzionale. Una teoria contraria a quella di Duverger è stata proposta da Giovanni Sartori. Il numero di partiti in un sistema non va calcolato semplicemente in base al numero effettivo di partiti esistenti, ma tramite un “conteggio intelligente” che considera solo i partiti dotati di due potenziali: Potenziale di coalizione. Se il partito che è membro di una coalizione di governo è in un dato periodo di tempo necessario, almeno una volta, per determinare la maggioranza di governo. Potenziale di ricatto. Se il partito ha un effetto sugli altri partiti del sistema, influenzandone le tattiche di competizione. Sulla base di questa precisazione, e sull'importanza data al livello di polarizzazione ideologica del sistema partitico, Sartori ha dunque proposto una classificazione più articolata rispetto a quella di Duverger. I sistemi monopartitici. Sono distinti da Sartori in tre tipi: Partito unico. Un solo partito è legale. Partito egemonico. Legalmente esistono altri partiti, ma non sono che satelliti di quello principale: sono creati per rappresentare alcune minoranze o interessi. È il caso del Messico e della Polonia comunista. Partito predominante. Esistono vari partiti, ma nei fatti a vincere le elezioni è sempre uno solo di essi. Per essere “predominante”, si assume che questo partito abbia ottenuto la maggioranza assoluta almeno 3 volte consecutive nelle competizioni elettorali. È il caso della Svezia e con l'Italia della Dc ci si è andati molto vicini. Il rischio è una degenerazione autoritaria del partito predominante. I primi due sono anche detti sistemi non competitivi, s'instaurano solo in regimi dittatoriali o totalitari (nel primo caso). Il terzo caso avviene invece anche in contesti democratici e pluralistici. I sistemi bipartitici. In questi sistemi non è necessario che vi siano solo due partiti, ma che esistano solo due partiti significativi, sulla base dei due potenziali sopra indicati. I sistemi multipartitici. Sono distinti da Sartori in tre tipi: Pluralismo moderato. I partiti che contano non sono superiori a cinque, e vi sono governi di coalizione (ma non partiti antisistema). La struttura è bipolare nel senso che vi sono due coalizioni che competono l'una contro l'altra, tendendo a conquistare il sostegno dell'elettorato moderato di centro. La polarizzazione ideologica è scarsa, la meccanica è centripeta. Pluralismo polarizzato. I partiti che contano sono superiori a cinque. Le caratteristiche sono: 1) presenza di partiti antisistema, cioè partiti che non cambierebbero, se potessero, il governo ma il sistema di governo stesso (partiti comunisti e fascisti); 2) presenza di due opposizioni bilaterali che non potrebbero mai allearsi tra loro; 3) il centro è occupato; 4) il sistema è ideologicamente polarizzato, con due poli (destra-sinistra) caratterizzati da posizioni estreme; 5) tendenza centrifuga; 6) emergono opposizioni irresponsabili a causa delle tendenza a fare promesse che non si possono mantenere da parte di quei partiti d'opposizione che non potranno mai salire al governo; 7) essendo costretto a restare al governo, il partito di centro avrà anch'esso scarsa responsabilità democratica. I casi tipici sono quelli della IV Repubblica Francese e della I Repubblica Italiana che, in seguito a riforme istituzionali ed elettorali (nel caso francese il passaggio dal sistema elettorale proporzionale al maggioritario a doppio turno e dell'attuazione nel 1962 del sistema semi-presidenziale; nel caso italiano l'istituzione del mattarellum e la fine della I Repubblica) sono divenuti sistemi a pluralismo tendenzialmente limitato e depolarizzato, pur continuando a costituire numericamente sistemi multipartitici estremi, cioè con un numero di partiti superiore a cinque. Pluralismo atomizzato o segmentato. I partiti che contano sono nove o più, ma c'è bassa polarizzazione ideologica, alta frammentazione, presenza di coalizioni poco coese e dispersione del potere. È il caso delle giovani democrazie africane e latino-americane, nonché dell'India. Ruolo del parlamento [modifica] L'esistenza del parlamento può essere considerata diretta conseguenza del principio di sovranità popolare. In Italia esso è sancito dall'art. 1, secondo comma, della Costituzione: "La sovranità appartiene al popolo". Il suo ruolo è stato efficacemente descritto da Hegelcon l'espressione di: "porticato tra lo Stato e la società civile". Il parlamento nasce come organo in cui viene espresso il consenso o meno all'attività impositiva del sovrano. È significativo, al riguardo, che nasca proprio in Inghilterra: per il diritto germanico, infatti, è attributo degli uomini liberi l'esenzione da ogni tributo, il quale, quindi, deve essere da costoro - o dai loro rappresentanti - autorizzato. Nel tempo i parlamenti hanno esteso le loro competenze e svolgono oggi funzioni di indirizzo politico, legislative, di coordinamento, di controllo e di garanzia costituzionale. L'esistenza di un parlamento viene usualmente associata alla democrazia, cioè espressione di rappresentanza, tramite elezioni politiche, della volontà popolare; in realtà non mancano regimi non democratici che possiedono un organo così denominato, con struttura e funzioni solitamente non dissimili da quelle dei parlamenti democratici. La differenza sostanziale con questi ultimi è che i parlamenti non democratici, anche quando sono elettivi, non sono eletti nell'ambito di una reale competizione tra più partiti: in certi casi un solo partito è autorizzato a presentare le candidature, in altri casi vi sono più partiti ma le condizioni in cui si svolgono le elezioni sono tali da assicurare la vittoria a uno solo. In casi come questi il parlamento non è più il portavoce della volontà popolare ma, semplicemente, il luogo dove vengono ratificate le decisioni prese da chi detiene effettivamente il potere (organi del partito unico, giuntamilitare ecc.): la sottoposizione di tali decisioni al voto parlamentare ha il solo scopo di ostentare una parvenza di democraticità o un fittizio consenso popolare alle scelte del regime. Costituente essenziale del parlamento è un organo collegiale di tipo assembleare detto camera. Si distinguono parlamentimonocamerali, bicamerali e multicamerali secondo che siano costituiti da una, due o più di due camere. I parlamenti multicamerali sono stati molto rari nella storia e attualmente nessuno stato ha un parlamento di questo tipo[5]. Se il parlamento è costituito da due camere, una viene tradizionalmente denominata camera alta, l'altra camera bassa. Nella pratica la denominazione ufficiale attribuita alle camere varia da ordinamento a ordinamento: per la camera bassa (o per l'unica camera dei parlamenti monocamerali) le denominazioni più utilizzate sono camera dei rappresentanti,camera dei deputati, assemblea legislativa, assemblea nazionale, dieta ecc. e rappresentanti o deputati sono per lo più detti i suoi membri; per la camera alta la denominazione di gran lunga più utilizzata è senato, i cui membri sono detti senatori; in certi ordinamenti federali la camera alta è detta consiglio degli stati e consiglieri i suoi membri. La camera bassa ha usualmente un centinaio di membri nei paesi con popolazione attorno ai tre milioni di abitanti; raramente ha più di 400-600 membri, anche nei paesi di maggiori dimensioni. In tutti gli ordinamenti, con l'unica eccezione di quello britannico, la camera alta ha un numero minore di membri rispetto alla camera bassa. I membri del parlamento sono eletti per un mandato di tempo limitato, spesso di cinque anni, che prende il nome di legislatura. Loscioglimento anticipato della camera, intervenuto prima di tale termine, ne determina però la decadenza e l'indizione di nuove elezioni.  Struttura interna delle camere [modifica] All'interno di ciascuna camera sono istituiti alcuni organi per il suo funzionamento, in particolare: la presidenza; le commissioni; i gruppi. La rappresentanza, in diritto, è un contratto in forza del quale ad un soggetto è attribuito un apposito potere di sostituirsi ad un altro soggetto nel compimento di attività giuridica per conto di quest'ultimo e con effetti diretti nella sua sfera giuridica. In generale, qualsiasi atto giuridico può essere compiuto a mezzo di un rappresentante, ad eccezione dei cosiddetti atti personalissimi: ad esempio, iltestamento o, in generale, i negozi giuridici del diritto di famiglia. La rappresentanza non va confusa con l'attività di semplice messo (detto anche portavoce o, in latino, nuncius), che è il soggetto incaricato di enunciare la volontà altrui a terzi. Infatti, mentre il rappresentante agisce in base ad una volontà propria (sia pure nell'interesse altrui), il messo si limita a riferire ad altri la dichiarazione di volontà del rappresentato (come lo farebbe il latore di una lettera).[1] Nella rappresentanza diretta il rappresentante pone in essere un'attività negoziale (eventualmente anche con terzi) spendendo il nome del rappresentato (contemplatio domini). In questo modo gli effetti negoziali si producono direttamente in capo al rappresentato. Si dice anche che, in questo caso, il rappresentante stipula in nome e per conto del rappresentato. Nella rappresentanza indiretta (o impropria) il rappresentante non spende il nome del rappresentato, cosicché, generalmente (anche se vi sono rilevanti eccezioni da tener presente), gli effetti della negoziazione (unilaterale o bilaterale che sia) non si producono direttamente in capo al rappresentato, bensì, normalmente, in capo al rappresentante. Si dice anche che in tal caso il rappresentante stipula per conto (ma non in nome) del rappresentato. Nella rappresentanza organica (o istituzionale), il rappresentante ha funzione di organo esterno di un ente giuridico ed è rivestito del potere di manifestare la volontà di quest'ultima: ad esempio l'amministratore di una società, il presidente di un'associazione, e così via. Tale potere trova fonte nella legge o nello statuto dell'ente in questione. Governo In un senso molto ampio il governo è l'insieme dei soggetti che in uno stato detengono il potere politico. Questo significato, laddove vige la separazione dei poteri, abbraccia tutti gli organi dello Stato e degli altrienti pubblici, appartengano essi al potere legislativo,esecutivo o giudiziario. Si fa riferimento a questo significato quando si dice che il governo, assieme alterritorio e al popolo, è uno degli elementi costitutivi dello Stato. Il significato può essere ulteriormente ampliato includendovi anche le forze politiche e sociali, quali i partiti e i sindacati, che pur non essendo parti dello Stato o enti pubblici, partecipano comunque all'esercizio del potere politico. In un senso più ristretto il governo è l'insieme dei soggetti che in uno stato detengono il potere politico in posizione di indipendenza, perché collocati al vertice e non subordinati ad altri soggetti (superiores non reconoscentes). Negli stati moderni questi soggetti s'identificano con gli organi costituzionali, ossia quegli organi che in posizione di reciproca indipendenza partecipano alla definizione dell'indirizzo politico dello Stato: il parlamento, il vertice del potere esecutivo, il capo dello stato, la corte costituzionale o la corte suprema alla quale è affidato il controllo di legittimità costituzionale. Il complesso dei rapporti intercorrenti tra questi organi, disciplinati dalla costituzione, costituisce la forma di governo dello Stato. In un senso ancora più ristretto con governo s'intende uno solo dei predetti organi costituzionali, quello posto al vertice del potere esecutivo, dal quale dipende la pubblica amministrazione. Va notato che questo significato si distingue dal precedente solo dove vige la separazione dei poteri: nello stato assoluto, infatti, i due significati coincidono e identificano il monarca con i suoi diretti collaboratori. Nello stato assoluto [modifica] Nella monarchia assoluta, come si è già accennato, il governo s'identifica con il monarca e i suoi diretti collaboratori. Questi dapprincipio, nello stato patrimoniale, sono essenzialmente amministratori della casa del sovrano e dei suoi beni (ciambellano,cancelliere, siniscalco ecc.). Con la formazione di apparati amministrativi statali, i dicasteri, i funzionari ad essi preposti, ministri osegretari di stato, divengono diretti collaboratori del sovrano, con il compito di consigliarlo e attuare le sue scelte politiche nei settori amministrativi loro affidati. I ministri devono godere della fiducia del sovrano che li può nominare e revocare a suo piacimento. Sebbene possano esservi delle riunioni collegiali di ministri sotto la presidenza del monarca, non esiste alcuna direzione collegiale del governo, né questo è considerato un corpo unitario giacché i singoli ministri sono nominati e revocati singolarmente. Nelle democrazie contemporanee [modifica] Nella monarchia costituzionale la struttura del governo non è diversa da quella della monarchia assoluta ma il sovrano e il suo governo non sono più i detentori di tutti i poteri dello Stato: al loro fianco, ed in posizione d'indipendenza, esistono un parlamento, al quale è attribuita la funzione legislativa, e un potere giudiziario, al quale è attribuita la funzione giurisdizionale. Il governo, quindi, non è più il vertice dello Stato ma di uno solo dei poteri dello Stato, il potere esecutivo, dal quale dipende la pubblica amministrazione. Nella monarchia parlamentare il governo si emancipa dal sovrano, non dovendo più godere della sua fiducia: il rapporto fiduciario con il sovrano viene sostituito da quello con il parlamento, la cui fiducia è quindi necessaria affinché il governo possa rimanere in carica.[1]D'altro canto, i ministri non sono più nominati e revocati singolarmente: al contrario essi costituisco un corpo unitario, la cui direzione è affidata ai suoi stessi componenti riuniti in collegio, il gabinetto o consiglio dei ministri, e ad uno di essi, il capo del governo, con una ripartizione del potere tra i due organi variabile da ordinamento ad ordinamento. Il monarca resta capo dello Stato con una funzione di garanzia e di rappresentanza, non più di direzione del governo, tanto che, secondo parte della dottrina, non può più nemmeno essere considerato componente dello stesso. Dato il ruolo qui assunto dal capo dello Stato, la struttura del governo e la forma di governo non cambiano allorché al monarca si sostituisca un capo di stato repubblicano, dando luogo alla repubblica parlamentare. Nella repubblica presidenziale la struttura del governo è, invece, sostanzialmente le medesima della monarchia costituzionale, con la differenza che qui il capo dello Stato è repubblicano anziché monarchico ed è eletto, direttamente o indirettamente, dal corpo elettorale. Uno sviluppo della repubblica parlamentare, che in tal modo acquisisce alcuni caratteri della repubblica presidenziale, è rappresentato dalla repubblica semipresidenziale, nella quale il capo dello Stato riacquista un ruolo di governo: infatti il capo del governo e i ministri per rimanere in carica devono godere della sua fiducia oltre a quella del parlamento; inoltre, nel modello rappresentato dalla Quinta Repubblica francese, il capo dello Stato ha anche funzioni dirette di governo in alcune materie, soprattutto riguardo alla politica estera e alla difesa, e può presiedere il consiglio dei ministri. La repubblica direttoriale, oggigiorno rappresentata dalla sola Svizzera, si differenzia da quella presidenziale perché le funzioni di capo dello Stato sono svolte da un organo collegiale, il direttorio, che in alcuni ordinamenti è eletto dal parlamento, al quale non è comunque legato da rapporto fiduciario,[2] ed in altri direttamente dal popolo; il direttorio svolge le funzioni del governo, se i suoi membri sono direttamente preposti ai dicasteri (come in Svizzera), o di un capo del governo collegiale, se ai dicasteri sono preposti ministri non suoi membri ma sottoposti alla sua direzione (come il Direttorio che ha governato la Francia dal 1795 al 1799). Negli altri regimi contemporanei [modifica] Nello stato socialista gli organi costituzionali sono simili a quelli degli stati liberaldemocratici (un'assemblea di tipo parlamentare, un governo, un capo dello Stato quasi sempre collegiale), ma il principio di separazione dei poteri è sostituito dal principio di unità del potere statale. In base a questo principio tutto il potere è concentrato nelle assemblee elettive, ai vari livelli territoriali di governo (fino a quello centrale, statale o federale) le quali, in quanto organi del potere statale, non solo esercitano la funzione legislativa ma eleggono, controllano e, se del caso, possono revocare gli organi amministrativi (a livello statale il governo), giurisdizionali e di sorveglianza (procuratura) del proprio livello. D'altra parte, in virtù del principio del centralismo democratico, tutti questi organi rispondono ai loro elettori (quindi le assemblee al corpo elettorale, gli organi amministrativi, giurisdizionali e di sorveglianza alla rispettiva assemblea) ma dipendono anche dal corrispondente organo del livello superiore. Va aggiunto che le assemblee sono a loro volta condizionate dalla funzione di guida esercitata dal partito comunista (anch'esso strutturato secondo il principio del centralismo democratico). Anche negli stati autoritari, di tipo nazifascista, si possono trovare organi costituzionali simili a quelli delle forme di governo democratiche, retaggio dei regimi ai quali si sono sostituiti (si pensi alla monarchia o, nella fase iniziale, alle camere dell'Italia fascista). Anche questa forma di stato, però, rifiuta la separazione dei poteri, contrapponendovi la concentrazione degli stessi nella persona del "capo" (duce, führer, caudillo ecc.), il quale tende ad unire i ruoli di capo di Stato, capo del governo e leader del partito unico e ad esercitare direttamente la funzione legislativa (con il parlamento che, laddove sopravvive, si riduce ad organo consultivo o di ratifica), mentre anche i giudici perdono la loro indipendenza. Al di fuori dei casi ora ricordati, vi sono regimi che, pur non rifiutando ideologicamente il principio di separazione dei poteri, lo accantonano, concentrando i poteri in capo al governo (soprattutto monocratico, come quello presidenziale) o ad un organo ad hoc (ad esempio, una giunta militare). In questi casi l'accantonamento della separazione dei poteri viene giustificato, spesso pretestuosamente, con la necessità di affrontare situazioni di pericolo per la sicurezza dello Stato e viene quindi presentato come temporaneo (anche se, non di rado, finisce per protrarsi nel tempo). In generale sono oggi denominati dittature i regimi che, in contrasto con il principio di separazione dei poteri, concentrano gli stessi in un solo organo, monocratico o collegiale (anche se il termine non viene abitualmente impiegato con riferimento alle residue monarchie assolute). Il governo opera come vertice del potere esecutivo e, in questa veste, stabilisce, con il concorso degli altri organi costituzionali dello Stato, l'indirizzo politico, ossia formula le scelte con le quali si individuano i fini che lo stato intende perseguire in un determinato momento storico attraverso l'attività amministrativa. I membri del governo, collegialmente o individualmente in quanto preposti ai rispettivi dicasteri, curano la traduzione dell'indirizzo politico nell'attività amministrativa esplicata dalla pubblica amministrazione, svolgendo, quindi, funzioni amministrative e, in particolare, di alta amministrazione (ad esempio, la nomina e la revoca dei più alti funzionari pubblici).