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ANGELO JR GOLIA * DOPO LA DISAGGREGAZIONE. LA SENT. N. 159/2023 COME “AMMINISTRAZIONE DIPLOMATICA” TRA ARGOMENTAZIONE GIURIDICA E GIUSTIZIA COSTITUZIONALE ** Abstract [It]: Il contributo analizza la sentenza della Corte costituzionale n. 159/2023, relativa alla tutela esecutiva nei confronti di Stati stranieri, con particolare attenzione ai percorsi argomentativi e ai profili di giustizia costituzionale. Essa è inquadrata nell’ambito di un percorso che, si ritiene, conferma le funzioni di “amministrazione diplomatica” oggi svolte dalle corti costituzionali. In altre parole, la sentenza rappresenta un esempio di come la Corte conforma i percorsi argomentativi e le tecniche decisorie, al fine di raggiungere un “effetto utile” desiderato, in questo caso porre fine a un’annosa controversia giuridico-diplomatica. Abstract [En]: This article analyses the Constitutional Court’s judgment no. 159/2023 concerning the executive jurisdiction against foreign states, focusing on the argumentative techniques and procedural profiles. The judgment is framed within the trajectory that, starting from an initial divergence between the political branches of government and the national courts, has eventually ended with their re-alignment. The decision thus confirms the functions of ‘diplomatic administration’ performed today by constitutional courts. In other words, the judgment shows how the Court shapes its argumentative paths to achieve desired goals, in this case putting an end to a long-standing legal and diplomatic dispute. Parole chiave: Giustizia costituzionale; Diritto internazionale; Principi costituzionali supremi; Politica estera; Argomentazione giuridica. Keywords: Judicial Review of Legislation; International Law; Supreme Constitutional Principles; Foreign Policy; Legal Argumentation. SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La saga Ferrini nel suo contesto: cenni riassuntivi. – 3. Giudizio a quo, norma impugnata e motivi di censura. – 4. La decisione della Corte in tre passaggi argomentativi. – 4.1. Distinguishing con la sent. n. 238/2014. – 4.2. Continuità della norma censurata con gli accordi del 1961. – 4.3. Ragionevolezza del bilanciamento – 5. Osservazioni conclusive: le strade non prese e l’“amministrazione diplomatica” della Corte. * Ricercatore di diritto costituzionale – Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento. Si desidera ringraziare Marta Caredda, Giulia Ciliberto, Fulvio Cortese, Matteo Cosulich, Filippo Donati, Damiano Florenzano, Ylenia Guerra, Rachele Marconi, Raffaella Niro, Giovanni Piccirilli, Pierfrancesco Rossi, Jens Woelk, nonché i partecipanti al “Dialogo di diritto pubblico e costituzionale” tenutosi l’8 gennaio 2024 presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Roma La Sapienza, per commenti, suggerimenti, e critiche alle versioni preliminari dello scritto. Ovviamente tutti i limiti e gli errori restano di chi scrive. ** Contributo sottoposto a peer review. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 ISSN 2279-7238 2 «Our State cannot speak with two voices […], the judiciary saying one thing, the executive another. Our Sovereign has to decide whom he will recognise as a fellow sovereign in the family of states, and the relations of the foreign state with ours in the matter of state immunities must flow from that decision alone»1 Lord J.R. Atkin, Barone di Aberdovey 1. Premessa E ra il 1939 quando Lord Atkin affermava perentoriamente, in una storica decisione della House of Lords relativa alle immunità internazionali, il one voice principle, in base al quale gli organi giudiziari dello Stato devono lasciare al solo esecutivo la conduzione delle relazioni internazionali2. A quasi un secolo di distanza, l’allora granitica unità di quella voce è messa in discussione dalle trasformazioni dello Stato costituzionale contemporaneo, immerso in dimensioni normative – costituzionali e internazionali – profondamente diverse da quelle in cui si muoveva il barone di Aberdovey. La disaggregazione e successiva riaggregazione delle componenti della voce dello Stato è il tema di fondo delle presenti osservazioni, relative a una decisione della nostra Corte costituzionale. Con la sentenza del 4 luglio 2023, n. 159, infatti, la Corte ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale (q.l.c.) sollevate avverso l’art. 43, co. 3, del d.l. 30 aprile 2022, n. 36 («Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)»), come convertito, con modificazioni, nella l. 29 giugno 2022, n. 79 3. Le questioni erano state sollevate dal Tribunale ordinario di Roma4, nell’ambito di una procedura promossa in forza di titoli esecutivi giudiziali ottenuti nei confronti della Repubblica federale tedesca (RFT) 5, volta al pignoramento di beni di tale Stato ubicati nel territorio italiano. Con l’art. 43 del d.l. 36/2022 (cd. “norma ristori”), il legislatore ha istituito un House of Lords, The Arantzazu Mendi, [1939] A.C. 256, 264. Si tratta del federative power, definito da Locke come «the power of war and peace, leagues and alliances, and all the transactions with all persons and communities without the commonwealth», assegnandone la titolarità all’esecutivo, e ritenendolo intrinsecamente non giustiziabile. In quanto «much less capable to be directed by antecedent, standing positive laws than the executive», esso doveva essere lasciato alla «prudence and wisdom of those whose hands it is in, to be managed for the public good» (J. LOCKE, Second Treatise, in Two Treatises of Government, Cambridge, Cambridge University Press, 1960 [1690], 145 ss). Il cd. foreign affairs exceptionalism sottinteso nella nozione di federative power ha avuto, come noto, una profonda influenza sul costituzionalismo angloamericano, soprattutto attraverso i lavori di W. BLACKSTONE (v. Commentaries, I, Chicago, University of Chicago Press, 1979, 160, 243), ed emerge chiaramente in A. HAMILTON, Federalist no. 75. The Treaty Making Power of the Executive (1788), Bologna, Il Mulino, 1980, 562. 3 Corte cost., sent. n. 159/2023, Pres. Sciarra, Red. Amoroso. 4 Trib. Roma, sez. IV civ., uff. es. imm., ord. 1 dicembre 2022, iscritta al reg. ord. n. 154/2022. In dottrina, v. L. BAIADA, Le cause sui crimini nazisti tornano alla Corte costituzionale, in Terzogiornale, 12 dicembre 2022; P. CAROLI, Sollevata la questione di costituzionalità della norma istitutiva di un Fondo (italiano) per le vittime dei crimini nazisti, in Sistema penale, 23 gennaio 2023; G. BERRINO, Quale effettività della tutela giurisdizionale nel caso Germania c. Italia? L’art. 43 del d.l. n. 36/2022 come ‘rimedio’ costituzionalmente legittimo, in DUDI, 1/2023, 201-232; G. BRUNELLI - A. PUGIOTTO - P. VERONESI (a cura di), Colpe di stato, atto II. Crimini nazisti e immunita฀ degli Stati di nuovo davanti alla Consulta. Atti del Seminario Ferrara, in Forum quad. cost. – Rass., 2/2023, 12 maggio 2023. 5 Trib. Bologna, sent. 21 giugno 2011, n. 2892; C. App. Bologna, sent. 7 agosto 2018, n. 2120. 1 2 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 3 meccanismo satisfattivo alternativo, nella forma di ristori assicurati da un fondo finanziato dallo Stato italiano, a favore dei creditori che vantano titoli nei confronti della RFT per crimini di guerra e contro l’umanità compiuti dal Terzo Reich durante nel periodo 19431945. Allo stesso tempo, l’art. 43, co. 3 (la norma specificamente censurata), dispone l’estinzione ope legis delle procedure esecutive pendenti, impedendo l’instaurazione di nuove. La decisione rappresenta l’episodio più recente di una nota e complessa vicenda normativa e giudiziaria, riguardante l’estensione del riconoscimento, nell’ordinamento italiano, dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile per atti cd. iure imperii quando questi ultimi concretino crimini di guerra, crimini contro l’umanità o altre gravi violazioni dei diritti umani riconosciuti nel diritto internazionale (cd. delicta imperii). In modo altrettanto noto, la vicenda è al centro di vivaci dibattiti che coinvolgono studiosi di diritto costituzionale e internazionale, sia in Italia 6 sia all’estero7. Ciò è dovuto anche al fatto che le due massime autorità giurisdizionali del nostro ordinamento – la Corte di Cassazione8 e la Corte costituzionale9 – hanno posto lo Stato italiano in una situazione di violazione del diritto internazionale10, e al connesso stallo diplomatico tra Italia e RFT, che ha a sua volta dato luogo a due controversie dinanzi alla Corte internazionale di giustizia (CIG), la seconda delle quali ancora pendente al momento in cui si scrive 11. Unendosi ad analisi già apparse12, il presente contributo analizza i percorsi argomentativi della decisione, riservando particolare attenzione ai profili di giustizia costituzionale. Da una prospettiva più ampia, la sentenza della Corte è inquadrata come momento (finale?) del percorso che, da un’iniziale disaggregazione13 della “voce del nostro Stato, derivante dalla divergenza tra le posizioni fatte proprie dagli organi di indirizzo politico nell’arena internazionale e quelle adottate dagli organi giurisdizionali, ha condotto a una riconvergenza – o, se si vuole, ri-aggregazione. Tale percorso, si ritiene, non smentisce ma anzi conferma le funzioni di “amministrazione diplomatica” oggi svolte dagli organi giurisdizionali di vertice negli Stati costituzionali e in particolare dalle corti che svolgono V. ex plurimis B. CONFORTI, La Corte costituzionale e i diritti umani misconosciuti sul piano internazionale, in Giur. cost., 5/2014, 3885 ss.; C. PINELLI, Diritto alla difesa e immunità degli Stati dalla giurisdizione straniera sul risarcimento per danni da crimini di guerra e contro l’umanità, in Giur. cost., 5/2014, 3891 SS.; M. LUCIANI, I controlimiti e l’eterogenesi dei fini, in Quest. giust., 1/2015, 84 ss.; E. CANNIZZARO, Jurisdictional Immunities and Judicial Protection: the Decision of the Italian Constitutional Court No. 238 of 2014, in Riv. dir. int., 1/2015, 126 ss. 7 V. solo V. VOLPE - A. PETERS - S. BATTINI (a cura di), Remedies against Immunity? Reconciling International and Domestic Law after the Italian Constitutional Court’s Sentenza 238/2014, Berlin, Springer, 2021. 8 A partire dalla cd. sent. Ferrini: Cass., sez. un. civ., sent. 11 marzo 2004, n. 5044, sulla quale v. infra, sez. 2. 9 Con la famosa Corte cost., sent. n. 238/2014, sulla quale v. infra sez. 2. 10 Come apprezzate dalla Corte internazionale di giustizia (CIG) in Jurisdictional Immunities of the State (Germany v. Italy: Greece intervening), sentenza del 3 febbraio 2012. 11 CIG, Questions of jurisdictional immunities of the State and measures of constraint against State-owned property (Germany v. Italy), Application instituting proceedings containing a request for provisional measures, 29 aprile 2022. 12 D. GRECO, Ancora sulle immunità giurisdizionali e gravi violazioni dei diritti umani. La sentenza n. 159/2023 della Corte costituzionale dichiara il fondo per le vittime del Terzo Reich un rimedio equivalente alla tutela esecutiva, in Dir. pubb. eur. – Rass. online, 2/2023, 266 ss.; F. SALERNO, Il contenzioso italo-tedesco dopo la sentenza n. 159/2023 della Corte costituzionale, in Giur. it., 10/2023, 2073 ss.; G. PALOMBINO, Il Fondo per le vittime del Terzo Reich attraverso il prisma del (necessario) bilanciamento tra principi costituzionali. Nota a Corte cost., sent. n. 159 del 2023, in Oss. AIC, 6/2023, 178 ss.; P. ROSSI, Le sentenze della Corte Costituzionale 159 del 2023 e 238 del 2014: continuità o rivoluzione?, in DUDI, 3/2023, 569 ss. 13 Il riferimento è ovviamente a A.M. SLAUGHTER, Disaggregated Sovereignty: Towards the Public Accountability of Global Government Networks, in Government & Opposition, 2/2004, 159 ss. 6 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 4 funzioni di sindacato di costituzionalità14. In altre parole, la sent. n. 159/2023 costituisce un esempio del modo in cui la Corte conforma in modo più o meno studiato i propri percorsi argomentativi, al fine di raggiungere un “effetto utile” desiderato, in questo caso porre fine a un’annosa controversia giuridica e diplomatica con uno Stato col quale l’Italia intrattiene come noto rapporti strettissimi. In questo ambito, il contributo ripercorre anzitutto, e sia pur nei limiti imposti in questa sede, la traiettoria normativa e giurisprudenziale che ha preceduto la decisione (sez. 2), nonché le q.lc. sottoposte all’esame della Corte (sez. 3). Ci si sofferma poi (sez. 4) sulle strategie argomentative adottate dalla Corte, e in particolare sulla coerenza della decisione con la precedente sent. n. 238/2014 (sez. 4.1); sul ruolo degli accordi internazionali conclusi tra l’Italia e la RFT nel 1961 (sez. 4.2); sul modo in cui la Corte ha impostato il controllo sul bilanciamento operato dal legislatore (sez. 4.3). Le considerazioni svolte costituiscono la base per alcune osservazioni finali (sez. 5) sul mancato uso di alternative in termini sia argomentativi sia decisori, alternative che pure – si ritiene – sarebbero state a disposizione del Giudice delle leggi, nonché sulle funzioni di “amministrazione diplomatica” che tale selezione mette in luce. 2. La saga Ferrini nel suo contesto: cenni riassuntivi Il titolo in forza del quale era iniziata l’esecuzione forzata nel giudizio a quo consisteva in una sentenza di condanna nei confronti della RFT al risarcimento dei danni subiti dalla parte procedente, erede di un cittadino italiano deportato in un campo di sterminio durante il secondo conflitto mondiale15. A tal proposito, occorre ricordare che il principio dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione straniera deriva a sua volta da quello della “sovrana eguaglianza”16. Si tratta della pietra angolare del diritto internazionale “classico”, sistema di organizzazione delle relazioni internazionali emerso politicamente a partire dalla pace di Vestfalia, e dogmaticamente cristallizzato nell’Ottocento, insieme ad altre strutture concettuali della modernità giuridica 17. Tale sistema è in via di principio basato su rapporti “orizzontali” e relativamente “anarchici” tra unità politicamente sovrane, poste su un piano Nella dottrina italiana, v. ex multis A. REPOSO, Note intorno alla giustiziabilità costituzionale del potere estero, in Dir. soc., 1/1983, 737 ss.; U. ALLEGRETTI, Stato di diritto e divisione dei poteri nell’era dei conflitti asimmetrici, in Dir. pubb., 1/2005, 93 ss.; D. BIFULCO, Il vincolo del diritto internazionale, la decisione sulla politica estera e la Corte costituzionale italiana, in Dir. soc., 4/2019, 671 ss. Nella dottrina in lingua straniera, soprattutto angloamericana, la letteratura è corposa: v. solo F.A. MANN, Judiciary and Executive in Foreign Affairs, in Transactions of the Grotius Society, 1943, 143-170; T.M. FRANCK, Political Questions/Judicial Answers. Does the Rule of Law Apply to Foreign Affairs?, Princeton, Princeton University Press, 1992; S. BREYER, The Court and the World. American Law and the New Global Realities, New York, Knopf, 2015; T. POOLE, The Constitution and Foreign Affairs, in Current Legal Problems, 1/2016, 148 ss.; e, se si vuole, A. JR GOLIA, Judicial Review, Foreign Relations and Global Administrative Law: The Administrative Function of Courts in Foreign Relations, in H.P. AUST – T. KLEINLEIN (a cura di), Encounters between Foreign Relations Law and International Law: Bridges and Boundaries, Cambridge, Cambridge University Press; 2021, 130 ss. 15 V. supra nt. 5. 16 V. anche l’art. 2, par. 1, dello Statuto delle Nazioni unite, incorporato nel nostro ordinamento tramite la l. 17 agosto 1957, n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945). 17 V. per tutti H. TRIEPEL, Völkerrecht und Landesrecht, Leipzig, Hirschfeld, 1899. 14 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 5 di parità formale (Stati), ed è caratterizzato da una produzione normativa di natura negoziale/consensuale18. Proprio in quanto par in parem non habet imperium, la norma che garantisce agli Stati, come soggetti pleno iure dell’ordinamento internazionale, l’immunità dalla giurisdizione straniera ha natura consuetudinaria e impedisce alle corti nazionali di esercitare la propria giurisdizione nei confronti di uno Stato straniero. Inoltre – e significativamente – essa riguarda sia la giurisdizione di cognizione sia quella esecutiva 19. La norma relativa all’immunità dalla giurisdizione ha progressivamente visto la riduzione del proprio ambito di applicazione. Da assoluta – perché relativa a tutti gli atti riferibili a uno Stato – l’immunità dalla giurisdizione di cognizione è, su impulso iniziale della giurisprudenza italiana 20 e belga21, diventata “ristretta”, perché limitata ai soli atti inerenti all’esercizio di funzioni “sovrane” (cd. acta iure imperii). L’immunità assoluta dalla giurisdizione esecutiva ha resistito più a lungo, rimanendo ferma anche quando si era già consolidata la teoria della c.d. immunità ristretta. I giudici che per primi hanno iniziato a parlare di immunità dall’esecuzione solo rispetto a beni a destinazione pubblicistica sono stati italiani22 e svizzeri23. In base a questa impostazione, l’individuazione dei beni dello Stato estero sottratti all’esecuzione forzata deve avere riguardo alla loro destinazione: in forza della norma relativa all’immunità c.d. ristretta, sono immuni dall’esecuzione forzata nello Stato del foro i soli beni destinati all’esercizio di funzioni sovrane o a fini pubblicistici24, e non anche quelli che svolgono funzioni commerciali e/o privatistiche25. L’erosione dell’immunità, peraltro, è solo uno dei modi con cui negli ultimi decenni si è manifestato un tendenziale mutamento strutturale dell’ordinamento internazionale, iniziato nel primo dopoguerra e accelerato dopo la Seconda guerra mondiale. Tali sviluppi includono l’emersione del diritto internazionale dei diritti umani come branca relativamente coerente e giuridicamente vincolante al suo interno; di forme di produzione normativa fondate su logiche meno consensuali e più maggioritarie; di gerarchie normative (cd. ius cogens, che prevale anche rispetto a norme di diritto internazionale convenzionale di segno 18 Sul punto, v. solo, nella letteratura più recente, R. STENDEL, Immaterieller Schadensersatz und der Wandel völkerrechtlicher Privatrechtsanalogien, Baden-Baden, Nomos, 2023, spec. 29-116. 19 V. solo i classici D. ANZILOTTI, L’esenzione degli Stati dalla giurisdizione, in Riv. dir. int., 4-5/1910, 477 ss.; e R. QUADRI, La giurisdizione sugli Stati stranieri, Milano, Giuffrè, 1941. 20 Trib. Firenze, 8 giugno 1906, in Riv. dir. int., 1907, 379; Cass., sez. un., sent. 13 marzo 1926, n. 728, in Giur. it., 1926, I, 1,774; C. App. Napoli, 16 luglio 1926, in Riv. dir. int., 1927, 104; C. App. Milano, 23 gennaio 1932, in Riv. dir. int., 1932, 549; Cass. 18 gennaio 1933, n. 208, in Foro it., 1933, I, 1520; Cass., sent. 12 maggio 1947, n. 740, in Foro it., Rep. 1947, voce Compet. civ., nn. 143, 144; Trib. Roma, sent. 28 gennaio 1952, in Foro it., 1952, I, 795, con nota di G. SPERDUTI. 21 Cass. 11 giugno 1903, in Journ dr. int. privé 1904, 136; App. Bruxelles 24 giugno 1920, in Pasicrisie belge, 1922, II, 122; App. Bruxelles, 24 maggio 1933, Journ. dr. int., 1933, 1034. 22 V. la già citata Cass., sez. un., sent. n. 728/1926. 23 Inaugurando un orientamento avallato in Europa negli anni Settanta del secolo scorso (cfr. Corte cost., sent. n. 329/1992, punto 3 cons. dir.) sino ad essere poi recepito in alcune legislazioni nazionali e dalla stessa Convenzione di New York del 2004 sulle immunità giurisdizionali degli Stati (UNCSI), sulla quale v. infra in questa stessa sez. 24 Purché venga in rilievo un collegamento attuale ed effettivo (Cass., sez. un. civ., sent. 25 maggio 1989, n. 2502). 25 Sui problemi di concreta individuazione dei beni sottratti all’esecuzione, v. L.G. RADICATI DI BRONZOLO, La giurisdizione esecutiva e cautelare nei confronti degli Stati stranieri, Milano, Giuffrè, 1992, 248. Nella giurisprudenza di legittimità, v. Cass., sez. un. civ., sent. 30 maggio 1990, n. 509; Cass., sez. un. civ., sent 4 maggio 1989, n. 2085. Cfr. anche Cass., sez. un. civ., sent. 4 aprile 1986, n. 2316, per la quale l’immunità dall’azione esecutiva trova applicazione anche in favore del bene dello Stato estero francese costituito dal “Centre International d’Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes” (C.i.H.E.A.M.), bene aventi scopi scientifico-culturali. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 6 contrario); di forme di risoluzione delle controversie propriamente giurisdizionali; del ruolo delle organizzazioni internazionali con competenze sempre più estese 26. Parte di tale mutamento – tuttora in corso ed evidentemente reversibile – consiste nella trasformazione della ratio sottesa alla tutela della sovrana eguaglianza degli Stati, e quindi dell’immunità: da bene giuridico autonomo, fine “ultimo”, la tutela della sovrana eguaglianza sembra trasformarsi in strumento della protezione dei soggetti che ricadono nella “giurisdizione” degli Stati, concepiti non più come oggetti dell’autorità statuale ma quali “nuovi” soggetti dell’ordinamento internazionale27. Le norme relative all’immunità degli Stati dalla giurisdizione sia di cognizione sia esecutiva hanno natura consuetudinaria e, in prospettiva, convenzionale. Infatti, il 2 dicembre 2004 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni (UNCSI) 28. Pur non essendo ancora entrato in vigore, tale trattato è stato ratificato dall’Italia29 ed è spesso considerato espressivo di diritto consuetudinario30. Nelle more dell’entrata in vigore di tale convenzione, l’ordinamento italiano non ha una disciplina interna ad hoc sull’immunità degli Stati esteri. Tuttavia, data la loro natura consuetudinaria, in base all’art. 10, co. 1, Cost., le norme relative all’immunità degli Stati dalla giurisdizione sono come noto immesse V. ex plurimis J.H.H. WEILER, The Geology of International Law – Governance, Democracy and Legitimacy, in ZaöRV, 2004, 547 ss.; R. DOMINGO, Gaius, Vattel, and the New Global Law Paradigm, in EJIL, 3/2011, 627 ss.; e A. CASSESE, I diritti umani oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005. 27 V. ex plurimis R. CAPONI, Immunità dello Stato dalla giurisdizione, negoziato diplomatico e diritto di azione nella vicenda delle pretese risarcitorie per i crimini nazisti, in Giur. cost., 4/2014, 3908. Su questi temi la letteratura internazionalistica è sterminata: in quella più recente, v. solo A. PETERS, Humanity as the A and Ω of Sovereignty, in EJIL, 3/2009, 513 ss.; A. PETERS, Beyond Human Rights. The Legal Status of the Individual in International Law, Cambridge, Cambridge University Press, 2016; e A. PETERS - T. SPARKS (a cura di), The Individual in International Law. History and Theory, Oxford, Oxford University Press, 2024. 28 V. General Assembly resolution 59/38, annex, Official Records of the General Assembly, Fifty-ninth Session, Supplement No. 49 (A/59/49). Essa enuncia l’immunità quale regola generale (art. 5), prevedendo poi una serie di eccezioni (artt. 10 ss.). V. la parte IV (artt. 18-21) della Convenzione, relativa all’immunità dello Stato straniero da misure di esecuzione e cautelari. In particolare, l’art. 21 individua alcune categorie di beni che devono essere necessariamente considerati come utilizzati per scopi di servizio pubblico non commerciali e che, pertanto, non possono essere oggetto di una destinazione a scopi diversi da parte dello Stato. Tale norma specifica, in particolare, che sono sottratti a misure coercitive da parte dello Stato del foro anche: i beni di proprietà delle banche centrali o altre istituzioni bancarie dello Stato; i beni necessari allo svolgimento delle funzioni doganali; i beni parte del patrimonio culturale dello Stato e dei suoi archivi; i beni di rilevanza scientifica, culturale o storica e non suscettibili di alienazione. 29 Con l. 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento all’ordinamento interno), sulla quale v. anche infra in questa stessa sez.. Anche se la Convenzione non è ancora entrata in vigore, tale ratifica non è priva di effetti giuridici: v. l’art. 18, lett. b, della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati: «Uno Stato deve astenersi dal compiere atti suscettibili di privare un trattato del suo oggetto e del suo scopo: […] quando ha espresso il proprio consenso ad essere vincolato da un trattato, nel periodo che precede l’entrata in vigore del trattato e a condizione che questa non sia indebitamente ritardata». 30 Questa precisazione è rilevante nella misura in cui la Convenzione prevede espressamente la propria irretroattività (art. 4). Va precisato che la corrispondenza tra UNCSI e consuetudine è molto discussa in dottrina e nelle giurisprudenze nazionali. La Corte Edu e la Corte di Cassazione l’hanno accettata in maniera relativamente disinvolta, soprattutto nel settore delle controversie di lavoro (art. 11 UNCSI), ma trattasi di una ricostruzione contestata: per il relativo dibattito e i riferimenti giurisprudenziali, v. P. ROSSI, Controversie di lavoro e immunità degli Stati esteri: tra codificazione e sviluppo del diritto consuetudinario, in Riv. dir. int., 1/2019, 5 ss.; e R. PAVONI, The Myth of the Customary Nature of the United Nations Convention on State Immunity: Does the End Justify the Means?, in A. VAN AAKEN – I. MOTOC (a cura di), European Convention on Human Rights and General International Law, Oxford, Oxford University Press, 2018, 264 ss.; e, nella giurisprudenza internazionale, la stessa sentenza della CIG del 3 febbraio 2012, par. 117, con particolare riferimento all’art. 19 della UNCSI. 26 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 7 “automaticamente” nel nostro sistema con rango costituzionale, fatti salvi eventuali controlimiti31. Va poi ricordato che il 2 giugno 1961, con uno scambio di note diplomatiche fatto a Bonn, la RFT e lo Stato italiano conclusero due accordi internazionali, volti a dirimere le questioni economiche e risarcitorie legate al secondo conflitto mondiale ancora pendenti. In base al primo (“Accordo sugli indennizzi”), entrato in vigore il 31 luglio 196332, la RFT effettuò un versamento di 40 milioni di marchi tedeschi a titolo di riparazione morale a favore dei cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste. A fronte di tale versamento, si consideravano «regolate in modo definitivo tutte le questioni tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania formanti oggetto del presente Accordo»33. Le modalità di utilizzo di tali somme a favore dei soggetti aventi diritto erano «rimess[e] alla valutazione del Governo della Repubblica italiana» 34. La relativa legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione delegò poi il Governo italiano ad emanare le norme per la ripartizione della somma versata dal Governo tedesco 35, delega attuata con d.P.R. 6 ottobre 1963, n. 2043. Quest’ultimo disciplinò la ripartizione delle somme riservandola a coloro i quali, in qualunque circostanza e ovunque si fossero trovati, anche fuori del territorio dello Stato, fossero stati deportati nei campi di concentramento nazionalsocialisti. Lo stesso d.P.R. n. 2043/1963 prevedeva che la domanda per ottenere la liquidazione dell’indennizzo dovesse essere presentata entro sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto sotto pena di decadenza dal diritto all’indennizzo stesso (art. 6). In base al secondo accordo (“Accordo sulle questioni patrimoniali”), entrato in vigore il 16 settembre 196336, a fronte del versamento di ulteriori 40 milioni di marchi tedeschi, il Governo italiano dichiarava «definite tutte le rivendicazioni e richieste della Repubblica italiana, o di persone fisiche o giuridiche italiane, ancora pendenti nei confronti della Repubblica Federale di Germania o nei confronti di persone fisiche o giuridiche tedesche, purché derivanti da diritti o ragioni sorti nel periodo tra il 1 settembre 1939 e l’8 maggio 1945»37. Inoltre, il Governo italiano si impegnava a tenere «indenne la Repubblica Federale di Germania e le persone fisiche e giuridiche tedesche da ogni eventuale azione o altra pretesa legale da parte di persone fisiche o giuridiche italiane per le rivendicazioni e richieste suddette». Si trattava, come è evidente, di formulazioni estremamente ampie, che sembrano lasciare pochi dubbi circa la natura “tombale” che si intendeva conferire ad esse. È necessario tuttavia sottolineare alcuni aspetti. 31 V. solo E. CANNIZZARO – A. CALIGIURI, Art. 10, in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol. I, Torino, UTET, 2006, 242 ss. 32 Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania circa gli indennizzi a favore dei cittadini italiani che sono stati colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste, la cui autorizzazione alla ratifica ed esecuzione è avvenuta con l. 6 febbraio 1963, n. 404. 33 Art. 3 dell’Accordo sugli indennizzi. 34 Art. 1, co. 2, dell’Accordo sugli indennizzi. 35 Art. 3 l. n. 404/1963. 36 Accordo fra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania per il regolamento di alcune questioni di carattere patrimoniale economico e finanziario, reso esecutivo con d.P.R 14 aprile 1962, n. 1263. 37 Art. 2 dell’Accordo sulle questioni patrimoniali. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 8 In primo luogo, una differenza testuale tra l’Accordo sugli indennizzi e la normativa di attuazione interna. Infatti, da un lato l’Accordo sugli indennizzi indicava la somma versata come riparazione morale «a favore di cittadini italiani i quali per ragione di razza, fede o ideologia siano stati oggetto di misure di persecuzione [Verfolgungsmaßnahmen] nazionalsocialiste e che a causa di tali misure abbiano sofferto privazioni di libertà o danni alla salute». Dall’altro, la normativa interna limitava la ripartizione di tale somma ai soli soggetti che avessero subito deportazioni38. In secondo luogo, la formula liberatoria dell’Accordo sugli indennizzi, a differenza di quella contenuta nell’Accordo sulle questioni patrimoniali, non faceva riferimento alle pretese eventualmente avanzate iure proprio da cittadini italiani nei confronti della RFT. In terzo luogo, l’art. 2 dell’Accordo sulle questioni patrimoniali aveva ad oggetto le «rivendicazioni e richieste […] pendenti [schwebend]» e con esso l’Italia si era obbligata tenere indenne la RFT da ogni eventuale pretesa dei cittadini italiani. Inoltre, quest’ultimo accordo non riguardava le pretese relative alle persecuzioni specificamente nazionalsocialiste nei confronti di singoli individui nell’ambito delle operazioni belliche. L’Accordo sulle questioni patrimoniali era inteso a dirimere le controversie relative, appunto, a interessi patrimoniali ed economici – con particolare riguardo a sequestri e liquidazioni dei beni tedeschi e alla tutela dei marchi d’impresa tedeschi depositati in Italia39 – e non riguardava «privazioni di libertà o danni alla salute», che erano invece l’oggetto specifico dell’Accordo sugli indennizzi. Tale assenza, d’altronde, era coerente proprio con l’(allora) indiscussa operatività dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione per acta iure imperii. Non a caso, la somma versata in forza dell’Accordo sugli indennizzi era esplicitamente qualificata come riparazione morale. In altre parole, vi sono ragioni per sostenere che il “sistema” degli accordi del 1961 non valesse a liberare la RFT da eventuali pretese sollevate iure proprio da cittadini italiani in relazione a persecuzioni nazionalsocialiste da cui fossero derivate privazioni di libertà o danni alla salute, soprattutto se dervianti da controversie non ancora pendenti al momento della loro conclusione40, e in particolare per quelle che non avessero comportato la deportazione41. Ciò anche perché la stessa possibilità che soggetti privati potessero far 38 Cf. il titolo e l’art. 1 dell’Accordo sugli indennizzi, da un lato; e l’art. 3 co. 1, l. 404/1963 e gli artt. 1 ss. d.P.R. n. 2043/1963, dall’altro. In particolare, l’art. 1, co. 3, del d.P.R. 2043/1963 ammetteva alla riparazione gli internati militari e i lavoratori non volontari soltanto nel caso in cui costoro fossero stati trasferiti nei campi di concentramento nazionalsocialisti in Germania «in seguito ad atto di resistenza o ritenuto tale o per atti considerati di sabotaggio alla produzione tedesca». Risultavano così esclusi gran parte dei militari italiani disarmati dall’esercito tedesco all’indomani dell’8 settembre 1943 e internati nei campi di prigionia, nonché dei lavoratori coatti detenuti nei campi di lavoro; che rappresentavano la maggioranza degli italiani deportati nei campi tedeschi. Cfr. G. RESTA, Le ferite della storia e il diritto privato riparatore, in G. CONTE – A. FUSARO – A. SOMMA – V. ZENO-ZENCOVICH (a cura di), Dialoghi con Guido Alpa, Roma, Roma Tre-Press, 2018, 417 ss., spec. 436. 39 V. spec. gli artt. 5-10 del d.P.R. n. 1263/1962 che prevedevano specifiche disposizioni relative al dissequestro di beni tedeschi sequestrati a fini liquidatori. 40 Questa posizione, d’altronde, era sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass., sez. I pen., sent. 13 gennaio 2009, n. 1072) e dallo stesso Governo italiano che, nella sua comparsa di risposta (counter-memorial) del 22 dicembre 2009 (spec. parr. 2.9-2.19, 2.45, 3.17-3.19, 5.57-5.69) nella controversia Jurisdictional Immunities dinanzi alla CIG (supra nt. 10), circoscrivevano la portata “liberatoria”, sia materiale sia temporale, di tali disposizioni. 41 Su questi temi, v. per tutti l’indimenticato J. LUTHER, A Story of ‘Trials and Errors’ That Might Have No Happy End, in VOLPE – PETERS – BATTINI (a cura di), Remedies against Immunity?, cit., 128-130. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 9 valere tali pretese iure proprio dinanzi alle giurisdizioni nazionali era esclusa dall’allora indiscussa operatività dell’immunità degli Stati per acta iure imperii. Come si vedrà infra, tale osservazione è rilevante per valutare l’effettiva continuità della “norma ristori” – sostenuta dal legislatore e sposata in pieno dalla Corte costituzionale nella decisione in commento 42 – con gli accordi del 1961. Andando avanti, nel 2004 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione introdussero una breccia nel principio dell’immunità43. Con la sentenza cd. Ferrini, esse affermarono il principio in base al quale la deportazione della popolazione civile nel corso di una guerra, consumatasi sul territorio italiano, e l’assoggettamento dei civili deportati ai lavori forzati sono crimini internazionali rispetto ai quali deve essere possibile esercitare la giurisdizione civile nei confronti dello Stato che li ha posti in essere. In altre parole, i valori della libertà e dignità della persona umana – oggi positivizzati nel diritto internazionale umanitario e dei diritti umani – prevarrebbero sui principi derivanti dalla sovrana eguaglianza, come appunto quello dell’immunità dalla giurisdizione civile straniera. L’argomentazione della sentenza Ferrini, in altre parole, gravitava intorno alla prevalenza del ius cogens sulle norme immunitarie. Come c’era da aspettarsi, la RFT non rimase inerte. Nel 2008 essa fece ricorso alla CIG, chiedendo di accertare che l’Italia, consentendo che fossero intraprese azioni basate sulle violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dal Terzo Reich tra il 1943 e il 1945, avesse violato l’immunità dalla giurisdizione civile di cui lo Stato tedesco gode. Il ricorso fu accolto con sentenza del 3 febbraio 2012, in cui la CIG affermò la prevalenza dell’immunità giurisdizionale dello Stato estero44. I motivi principali erano due: l’assenza di prassi e opinio juris conformi al superamento della norma immunitaria; e, soprattutto, l’assenza di conflitti normativi tra jus cogens e immunità, avendo la seconda carattere meramente procedurale e il primo natura sostanziale. Ad avviso della CIG, non vi è alcuna deroga alla norma relativa all’immunità per acta iure imperii per il fatto che si sia dinanzi a crimini di guerra e contro l’umanità, o comunque violazioni del ius cogens. Sul piano normativo, infatti, atti illeciti in base al diritto internazionale sostanziale sono coperti da immunità dalla giurisdizione civile straniera in virtù della natura procedurale della relativa norma consuetudinaria 45. Al più, le (pur legittime) richieste risarcitorie potrebbero essere oggetto di ulteriori negoziati tra i due Stati coinvolti. Punto 11 cons. dir. Cass., sez. un., sent. n. 5044/2004 ricordata supra 8. Alla decisione si conformò la giurisprudenza successiva: v. spec. Cass., sez. un. civ., ord. 29 maggio 2008, n. 14201. V. già Corte Suprema greca (Areios Pagos) nella pronuncia del 2001 nella causa Prefettura di Voiotia c. Repubblica Federale di Germania, che aveva indirettamente disapplicato la regola dell’immunità in un’azione risarcitoria per azioni militari internazionalmente criminose condotte dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, deliberando nel senso che atti commessi in violazione delle norme inderogabili di diritto internazionale non possono essere ritenuti iure imperii e che, quindi, esulano dall’applicazione dell’immunità, che sarebbe oggetto di rinuncia implicita per effetto della commissione di atti del genere. 44 Si tratta della già più volte richiamata CIG, Jurisdictional Immunities, del 3 febbraio 2012. 45 Ibid., parr. 92-97. 42 43 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 10 Anche alla luce degli obblighi derivanti dall’art. 94 dello Statuto delle Nazioni Unite 46, l’Italia si adeguò alla sentenza della CIG con la l. n. 5/201347. Tale legge dispose l’autorizzazione alla ratifica e l’esecuzione della UNCSI già ricordata e, con l’art. 3, che «[…]quando la Corte internazionale di Giustizia, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende la controversia relativa alle stesse condotte, rileva, d’ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del processo». Di conseguenza, la stessa giurisprudenza di legittimità tornò all’orientamento pre-Ferrini48. In questo quadro, il Tribunale di Firenze rimetteva alla Corte costituzionale alcune q.l.c. relative all’esclusione della giurisdizione italiana per attività criminose commesse dalla Germania in contesto bellico. Le q.l.c. avevano ad oggetto la norma consuetudinaria, rilevante ex art. 10, co. 1, Cost.; l’art. 1 della l. n. 848/1957 di esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, nella parte in cui obbliga i giudici a conformarsi alla pronuncia della CIG del 2012; e l’art. 3 della l. n. 5/2013. I parametri evocati erano gli artt. 2 e 24 Cost., poiché i soggetti lesi nei loro diritti inviolabili si vedevano, per tale combinazione di norme e decisioni, privati del loro diritto – principio supremo secondo la giurisprudenza costituzionale49 – di tutelare in via giurisdizionale la propria posizione. Con la celeberrima sent. n. 238/2014, la Corte costituzionale aderì all’impostazione del giudice rimettente. Pur negando di poter sindacare l’interpretazione della CIG sulla portata della norma immunitaria, il Giudice delle leggi ritenne di poter vagliare la compatibilità degli effetti della norma interna immessa nell’ordinamento italiano ex art. 10 Cost., come accertata dalla CIG, con l’ordinamento interno e affermò il suo contrasto con un principio supremo dell’ordinamento italiano, cioè il «diritto al giudice (art. 24 Cost.), congiuntamente al principio posto a tutela di diritti fondamentali della persona (art. 2 Cost)», ambedue sintetizzati nel diritto fondamentale alla dignità umana 50, che opera quale “controlimite” all’ingresso delle norme di ogni altro ordinamento 51. In sostanza, l’immunità connessa agli acta iure imperii, intesa come salvaguardia del principio di sovrana eguaglianza dello Stato, è superato quando la potestà di governo si sia espressa con comportamenti qualificabili come crimini di guerra e contro l’umanità. La Corte costituzionale, a seguito di un’operazione di bilanciamento tra norme di rango costituzionale – l’art. 10 da un lato e gli artt. 2 e 24 dall’altro52 – dichiarò quindi la non fondatezza, «nei sensi di cui in motivazione», della q.l.c. inerente alla norma prodotta In base al quale l’Italia ha l’obbligo di conformarsi alle decisioni rese dalla CIG. Come ricordato supra (nt. 16), l’adattamento nel nostro ordinamento dello Statuto delle Nazioni Unite è avvenuto con l. n. 848/1957. 47 Ricordata supra, nt. 29. 48 V., ad es., Cass., sez. un., sent. 21 gennaio 2014, n. 1136. 49 V. tra le altre Corte cost. sentt. nn. 182/2014, 119/2013, 281/2010, 77/2007. 50 Punto 3.4 cons. dir. 51 In senso, l’argomentazione si distingueva da quella della sent. Ferrini, in quanto quest’ultima si reggeva sull’assunta prevalenza delle norme di ius cogens su quelle immunitarie nello stesso ordinamento internazionale. 52 Sulla natura bilanciatoria del ragionamento della Corte, v., in modo inequivocabile, il punto 3.1 cons. dir. 46 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 11 mediante il recepimento ex art. 10, Cost., in quanto l’operatività del controlimite in questo caso avrebbe impedito che la norma esterna relativa all’immunità avesse rilevanza giuridica interna53. Inoltre, essa dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della l. n. 848/1957, di esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite e dell’art. 3 della l. 5/2013, nella parte in cui obbligavano il giudice a conformarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012. La Corte, peraltro, pur consapevole del fatto che la propria pronuncia poneva lo Stato italiano in violazione del diritto internazionale, come accertato dalla CIG, esplicitamente concepiva la propria pronuncia come un contributo all’evoluzione di quest’ultimo, cioè come passaggio di un percorso che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto condurre all’emersione di una nuova e più restrittiva consuetudine in relazione all’immunità, in modo simile a quanto avvenuto in passato. Dopo l’intervento della Corte costituzionale, la Corte di Cassazione riprese a giudicare «la categoria dei delicta imperii quale area insuscettibile di poter fruire della prerogativa consuetudinaria della piena immunità statale», ribadendo la giurisdizione del giudice italiano in relazione a domande risarcitorie promosse nei confronti della RFT per condotte riconducibili a delicta iure imperii54. Di conseguenza, il problema si spostò dai giudizi di cognizione alle procedure di esecuzione su beni tedeschi presenti sul territorio italiano55. A tal proposito, parte della dottrina interpretò la sent. n. 238/2014 nel senso di non introdurre deroghe alla norma che sancisce l’immunità dalle misure coercitive straniere dei beni a destinazione pubblicistica situati sul territorio dello Stato del foro, di proprietà dei Paesi esteri56. Significativamente, quella pronuncia non dichiarò l’illegittimità (consequenziale) dell’art. 2 della l. n. 5/2013, nella parte in cui dava esecuzione alle disposizioni della UNCSI relative alla immunità dalle misure coercitive. Tuttavia, le ragioni alla base dell’esclusione dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile straniera varrebbero anche per l’immunità dalle misure coercitive, sia per la natura complementare che caratterizza tale norma internazionale, sia per il legame funzionale che sussiste tra azione di cognizione ed esecutiva nella tutela del diritto alla difesa giurisdizionale 57. 53 I profili di contraddizione di questo percorso argomentativo, soprattutto rispetto all’adozione di una sentenza interpretativa di rigetto invece che di inammissibilità, sono stati evidenziati tra gli altri da LUCIANI, I controlimiti e l’eterogenesi dei fini, cit., 88; A. RUGGERI, La Corte aziona l’arma dei “controlimiti” e, facendo un uso alquanto singolare delle categorie processuali, sbarra le porte all’ingresso in ambito interno di norma internazionale consuetudinaria (a margine di Corte cost. n. 238 del 2014), in Consultaonline, 17 novembre 2014; S. LIETO, Il diritto al giudice e l’immunità giurisdizionale degli Stati nella sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2014, in Forum quad. cost. – Rass., 2014, 4. 54 Cass., sez. un., sent. 28 ottobre 2015, n. 21946, in relazione ad atto di delibazione di sentenza straniera statunitense. Pertanto, allo Stato convenuto non è applicabile il principio di immunità giurisdizionale là dove il risarcimento del danno sia stato chiesto ed accordato a seguito di un fatto terroristico annoverabile tra i crimini internazionali commessi in violazione dei diritti inviolabili dell’uomo: Cass., sez. I, ord. 10 dicembre 2021, n. 39391. 55 Sulla prassi giurisprudenziale dei giudici dell’esecuzione emersa tra la sent. n. 238/2014 e la sent. n. 159/2023, v. G. BOGGERO – K. OELLERS-FRAHM, Between Cynicism and Idealism: Is the Italian Constitutional Court Passing the Buck to the Italian Judiciary?, in in VOLPE – PETERS – BATTINI (a cura di), Remedies against Immunity?, cit., 281 ss. 56 Cfr. BERRINO, Quale effettività della tutela giurisdizionale nel caso Germania c. Italia?, cit., 201 ss. 57 P. TORRETTA, I risarcimenti per i crimini di guerra del Terzo Reich fra giustizia e ragion di Stato. La parola di nuovo alla Corte Costituzionale, in BRUNELLI – PUGIOTTO – VERONESI (a cura di), Colpe di stato, atto II, cit., 1 ss. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 12 Al fine di limitare l’effetto dirompente della sent. n. 238/2014 58, il Governo italiano introdusse l’art. 19-bis del d.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito nella l. 10 novembre 2014, n. 162. In base a questa disposizione, le somme depositate presso conti correnti bancari o postali in Italia appartenenti agli Stati esteri non possono essere soggette ad azioni esecutive, qualora tali Stati abbiano dichiarato che i conti contengono somme preposte all’esercizio di funzioni pubbliche59. Tale disposizione, insieme a quelle relative all’immunità dall’esecuzione forzata contenute nella UNCSI (spec. artt. 19 e 21), che non sono state travolte dalla sent. n. 238/2014, hanno reso largamente «fittizia» la tutela giurisdizionale che pure la Corte costituzionale aveva inteso assicurare60. Avendo ripercorso la complessa vicenda, è possibile ora analizzare il giudizio a quo, la norma impugnata e i motivi di censura della decisione in commento. 3. Giudizio a quo, norma impugnata e motivi di censura Come si ricordava, nella procedura esecutiva pendente dinanzi al Tribunale di Roma61 – il giudizio a quo da cui è originata la decisione in commento – erano stati pignorati beni in uso all’Istituto Archeologico Germanico, al Goethe Institut, alla Chiesa Evangelica Luterana e alla Scuola Germanica, in virtù di una sentenza di condanna in favore degli eredi di un cittadino italiano per il trattamento disumano subito da quest’ultimo in contesto bellico. Mediante opposizione all’esecuzione, la RFT, in qualità di debitrice esecutata, eccepì l’impignorabilità dei beni in virtù della loro destinazione pubblicistica. Con ordinanza del 12 luglio 2021, il giudice dell’esecuzione in composizione monocratica rigettò l’istanza di sospensione dell’esecuzione correlata all’opposizione, definendone la fase sommaria, evidenziando che la garanzia di cui all’art. 24, co. 1, Cost. comprende anche l’esecuzione forzata e, nel caso di specie, affermò l’irrilevanza dell’eventuale destinazione pubblicistica dei beni62. Avverso tale ordinanza, la RFT propose reclamo, deducendo che gli effetti della sent. n. 238/2014 non si riflettono sull’immunità dei beni degli Stati esteri dall’esecuzione forzata, dal momento che nel caso di specie, i beni pignorati svolgerebbero una funzione Su tale origine della norma la dottrina è concorde (v., tra gli altri, B. CONFORTI, Il legislatore torna indietro di circa novant’anni: la nuova norma sull’esecuzione sui conti correnti di Stati stranieri, in Riv. dir. int., 2/2015, 558 ss.; L. PENASA, Le nuove limitazioni poste alla pignorabilità delle somme di denaro depositate presso i conti correnti bancari o postali dalle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere, in Nuove leggi civ. comm., 3/2015 459 ss.) 59 Ad avviso di CONFORTI, Il legislatore torna indietro di circa novant’anni, cit., tale norma sarebbe incostituzionale poiché, in contrasto con i principi sanciti dalla Corte costituzionale (spec. Corte cost., sent. n. 329/1992), rimette ad una dichiarazione dello Stato estero e non alla legge o all’autorità giudiziaria l’individuazione dei beni sottratti all’azione esecutiva. Nella giurisprudenza di legittimità si segnalano orientamenti contrastanti: cfr. Cass. 8 giugno 2018, n. 14885; e Cass. 3 settembre 2019, n. 21995. 60 Così G. BOGGERO, Ancora sul seguito della sentenza n. 238/2014: una recente pronuncia del Tribunale di Sulmona, in Diritti comparati, 20 novembre 2017, 2. Per la prassi dei tribunali italiani in sede esecutiva, v. in generale L. BAIADA-E. CARPANELLI-A. LAU-J. LAU-T. SCOVAZZI, La giustizia civile italiana nei confronti di Stati esteri per il risarcimento dei crimini di guerra e contro l’umanità, Napoli, Ed. Scientifica, 2023. 61 Iscritta al ruolo n. 1163/2020 R.G.E. 62 BERRINO, Quale effettività della tutela giurisdizionale nel caso Germania c. Italia?, cit., 204. 58 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 13 pubblicistica. Con ordinanza del 3 novembre 2021, anche il Tribunale in composizione collegiale rigettò il reclamo, ma sulla base di un’argomentazione differente. Pur concordando sul fatto che il principio secondo cui la tutela in sede esecutiva è componente essenziale del diritto di difesa, il collegio affermò che tale principio deve essere «contemperato» con quelli previsti dagli artt. 10 e 11 Cost. e dalle convenzioni ratificate dall’Italia. Di conseguenza, ai fini della sospensione della procedura esecutiva correlata all’opposizione dello Stato estero, sarebbe stato necessario prendere in considerazione la destinazione dei beni pignorati. Nel caso concreto, tuttavia, il collegio non accolse il reclamo, ritenendo che l’onere di dimostrare la destinazione pubblicistica non fosse stato assolto dalla RFT63. Spostandoci ad eventi più vicini nel tempo, alla luce del rischio che i beni fossero assoggettati alla vendita forzata, il 29 aprile 2022 la RFT ha fatto nuovamente ricorso alla CIG contro l’Italia, lamentando che, nonostante quanto statuito dalla stessa CIG nel 2012, l’Italia abbia continuato a violare le immunità della RFT. Oltre a al relativo accertamento, essa ha chiesto di condannare l’Italia a garantire che le decisioni adottate in violazione dell’immunità tedesca cessino di avere effetti64; ad adottare misure efficaci che garantiscano che non siano più promosse azioni civili contro la RFT fondate sulle violazioni del diritto internazionale perpetrate dal Terzo Reich; a risarcire integralmente qualsiasi danno causato dalla violazione dell’immunità; ad offrire alla RFT assicurazioni e garanzie concrete ed efficaci relative al fatto che non si ripeteranno violazioni dell’immunità. Inoltre, la RFT aveva chiesto anche misure cautelari urgenti, al fine di impedire la vendita degli immobili pignorati65. Il giorno successivo alla proposizione dal ricorso, il Governo italiano, con l’art. 43 del d.l. n. 36/2022, ha istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze un fondo «per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1 settembre 1939 e l’8 maggio 1945»66. La finalità dichiarata della disposizione è quella di «assicurare continuità» all’Accordo di Bonn concluso il 2 giugno 1961, con cui lo Stato italiano si è impegnato a tenere indenne la RFT da ogni eventuale pretesa legale all’epoca pendente e intrapresa da 63 V. ancora BERRINO, Quale effettività della tutela giurisdizionale nel caso Germania c. Italia?, 205-206. Nel senso che l’impignorabilità deve essere dimostrata dal soggetto che intende avvalersene, v. Cass., sez. III, 31 agosto 2020, n. 18110; Cass., sez. III, 28 ottobre 2016, n. 21800; Cass., Sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011; Cass., sez. III, 18 ottobre 2012, n. 17900; Cass., sez. III, 9 novembre 1989, n. 4719. 64 Cfr. G. BERRINO, Un’instantanea del nuovo ricorso della Repubblica federale tedesca alla Corte Internazionale di Giustizia per violazione delle immunità giurisdizionali da parte dello Stato italiano, in SIDIBlog, 16 maggio 2022. 65 V. ancora Questions of jurisdictional immunities of the State and measures of constraint against State-owned property (Germany v. Italy), richiamata supra, nt. 11. 66 V., tra gli altri, C. ASPRELLA, Aspetti processuali dell’art. 43 del decreto legge 36/2022: l’istituzione del Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità dalle forze del Terzo Reich, in Quest. giust., 20 giugno 2022; G. BERRINO, The impact of Article 43 of Decree-Law no 36/2022 on enforcement proceedings regarding German State-owned assets, in QIL Zoom-in, 2022, 59 ss.; G. BOGGERO, La reazione del Governo italiano al (nuovo) ricorso tedesco di fronte alla CIG. Prime note sugli effetti dell’art. 43 d.l. 30 aprile 2022, n. 36, in SIDIBlog, 25 maggio 2022. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 14 parte di persone fisiche o giuridiche italiane 67. Al Fondo possono accedere i creditori in forza di un titolo esecutivo, costituito da una sentenza passata in giudicato 68, che abbia ad oggetto l’accertamento e la liquidazione dei danni prodotti da tali delitti, a seguito di azioni giudiziarie già avviate alla data di entrata in vigore del d.l., o intraprese, a pena di decadenza dichiarata d’ufficio, entro termini perentori69. Costituisce valido titolo per l’accesso al Fondo anche una definizione transattiva, sia per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del d.l., sia per quelli instaurati successivamente ad essa. A tal fine, la dotazione iniziale del Fondo era dell’importo di euro 20.000.000 per il 2023 e di euro 11.808.000 per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026 70. A fronte dell’istituzione del Fondo si impedisce ai creditori muniti di titolo esecutivo di ricorrere all’esecuzione forzata su beni tedeschi presenti in Italia, senza distinzioni relative alla destinazione. In particolare, il co. 3 dell’art. 43, l’oggetto specifico della q.l.c. in commento, stabilisce che le decisioni di accertamento e liquidazione dei danni derivanti dai crimini del Terzo Reich potranno essere eseguite, una volta divenute irrevocabili, «esclusivamente a valere sul Fondo». Nessuna procedura esecutiva può essere iniziata o proseguita e le procedure in corso sono estinte. In altre parole, la “norma ristori” da un lato pone un termine perentorio alla proposizione di nuove azioni di accertamento e condanna e, dall’altro, impedisce la proposizione di azioni volte all’esecuzione forzata, estinguendo ope legis quelle già pendenti. Di fatto, il legislatore ha creato un procedimento di esecuzione stragiudiziale ad hoc. Tale meccanismo non “risolve” il contrasto tra diritto costituzionale italiano e diritto internazionale emerso a seguito della sent. Ferrini e della sent. n. 238/2014, ma lo neutralizza o, meglio, scherma la RFT dai suoi effetti. Significativamente, il co. 3 dell’art. 43 – che nella formulazione originaria estendeva gli effetti preclusivi ed estintivi alle sole procedure basate su titoli esecutivi italiani – è stato modificato in sede di conversione, nel senso di impedire l’instaurazione e la prosecuzione di procedure anche in base a titoli esecutivi costituiti da sentenze straniere. A questa modifica non è corrisposta l’estensione dei soggetti legittimati ad accedere al Fondo. Di 67 La norma richiama l’«Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1962, n. 1263», dunque l’Accordo sulle questioni patrimoniali. Su tale aspetto cfr. BERRINO, Quale effettività della tutela giurisdizionale nel caso Germania c. Italia?, cit., 201 ss. Subito dopo la creazione di tale meccanismo, la RFT ha ritirato la richiesta di adozione di misure cautelari nel procedimento pendente dinanzi alla CIG, volte a impedire il compimento di procedure esecutive su beni di proprietà della stessa sul territorio italiano in virtù del mancato rispetto della sentenza del 2012 della stessa CIG: CIG, Questions of Jurisdictional Immunities of the State and Measures of Constraint against State‐Owned Property (Germany V. Italy), Withdrawal Of The Request For The Indication of Provisional Measures, Order of 10 May 2022. 68 La norma deroga quindi alla regola generale della provvisoria esecutività delle sentenze di condanna di primo grado ex art. 282 c.p.c. 69 Originariamente fissati a 180 giorni dall’entrata in vigore del d.l. (art. 43, co. 6), alla data in cui si scrive sono stati prorogati al 31 dicembre 2023 (art. 8, co. 11-ter d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni dalla l. 24 febbraio 2023, n. 14, come modificato dal d.l. 29 settembre 2023, n. 132, convertito con modificazioni dalla l. 27 novembre 2023, n. 170). 70 Importi poi incrementati dall’art. 11-quater del decreto c.d. mille proroghe di euro 20.000.000 per l’anno 2023 e di euro 13.655.467 per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026. Sulle modalità di determinazione di tali importi, v. BOGGERO, La reazione del Governo italiano al (nuovo) ricorso tedesco di fronte alla CIG, cit., il quale evidenzia altresì che la dotazione per non va intesa come un limite massimo, considerato che si tratta di una mera previsione e non di un’autorizzazione di spesa, la quale sarà, invece, condizionata dall’andamento delle sentenze di condanna ovvero dalle transazioni. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 15 conseguenza, un titolo costituito da sentenza straniera, anche se munito di exequatur, non dà accesso al Fondo e, allo stesso tempo, non dà diritto all’instaurazione/prosecuzione di procedure esecutive giudiziarie davanti alle corti italiane71. Il co. 4 dell’art. 43, infine, ha affidato a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, in concerto con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro della Giustizia – originariamente da adottarsi entro 180 giorni dall’entrata in vigore della disposizione – aspetti quali: la procedura di accesso al Fondo; le modalità di erogazione degli importi; e le ulteriori disposizioni per l’attuazione della disposizione. Tale decreto è stato adottato solo il 28 giugno 2023, pochi giorni prima dell’udienza di discussione della decisione in commento, e comunque successivamente all’ordinanza di rimessione72. In questo quadro, il Tribunale di Roma ha sollevato le q.l.c. che ci interessano73. In punto di rilevanza, esso ha ritenuto di non poter decidere sull’istanza di alcuni dei creditori di sospensione concordata dell’esecuzione procedura esecutiva senza l’accertamento dell’avvenuta estinzione ex lege della stessa in base all’art. 43, co.3. Considerato che i creditori procedenti avevano agito in forza di una sentenza passata in giudicato nei confronti della RFT per danni riconducibili a quelli per cui è stato istituito il Fondo, il giudice a quo avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione della procedura. In punto di non manifesta infondatezza, non ritenendo percorribile un’interpretazione costituzionalmente orientata, il giudice a quo ha sollevato tre q.l.c. In primo luogo, l’art. 43, co. 3, si sarebbe posto in contrasto con gli artt. 2 e 24 Cost., in quanto la disposizione avrebbe compromesso il diritto alla tutela giurisdizionale, che ricomprende quella esecutiva, non solo negando sine die ai soggetti individuati la possibilità di promuovere esecuzioni forzate ma estinguendo quelle già in corso, con conseguente cancellazione del pignoramento e potenziale irrimediabile pregiudizio delle ragioni creditorie. In secondo luogo, la norma impugnata sarebbe stata in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost., con riferimento ai principi di eguaglianza sovrana fra gli Stati e di parità delle parti nel processo. Il sacrificio imposto ai creditori della RFT, con l’immediata estinzione dell’esecuzione, non avrebbe trovato adeguata compensazione nel Fondo istituito dal co. 3. Ciò in quanto, al momento dell’ordinanza di rimessione, la normativa regolamentare relativa all’accesso allo stesso, all’entità del ristoro, e alle modalità di erogazione non era stata ancora Tuttavia, le prime pronunce successive alla sent. n. 159/2023 sembrano orientarsi in modo diverso: v. infra, sez. 5. In particolare, l’art. 2 co. 1 del decreto dispone che «[…]hanno diritto di accedere al Fondo i soggetti vittime di crimini di guerra e contro l’umanità che, a seguito di azioni giudiziarie avviate entro il 28 giugno 2023, soddisfano alternativamente una delle seguenti condizioni: a) hanno ottenuto un titolo costituito da una sentenza passata ingiudicato avente ad oggetto l’accertamento e la liquidazione dei danni di cui all’art. 1; b) hanno definito i giudizi pendenti per effetto dell’esercizio delle suddette azioni giudiziarie con un atto di transazione, secondo la normativa vigente, previo parere dell’Avvocatura dello Stato». In base al co. 2 dello stesso art. 2, inoltre, «[È] a carico del Fondo […] il pagamento dei danni liquidati nella sentenza o nell’atto di transazione di cui al comma 1, lettera b), e delle spese processuali eventualmente liquidate dalla sentenza medesima, detratte le somme ricevute dall’avente diritto dalla Repubblica italiana a titolo di benefici o indennizzi ai sensi della legge 10 marzo 1955, n. 96, del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1963, n. 2043, della legge 18 novembre 1980, n. 791, della legge 29 gennaio 1994, n. 94». 73 V. supra, sez. 1 e nt. 4. 71 72 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 16 adottata. Ma anche a prescindere da ciò, non avrebbe avuto rilievo la circostanza che, con l’art. 2 dell’Accordo sulle questioni patrimoniali del 1961, l’Italia si fosse impegnata a tenere indenne la RFT da ogni eventuale azione o pretesa legale da parte di persone fisiche o giuridiche italiane. Nell’incertezza sull’idoneità del Fondo ad una soddisfazione adeguata dei creditori, il legislatore avrebbe dovuto contemplare un differente strumento, come, ad esempio, improcedibilità temporanea del procedimento o la sospensione delle procedure esecutive in corso. In questo modo, sarebbe rimasto fermo il vincolo del pignoramento, senza pregiudicare il diritto all’effettività della tutela giurisdizionale dei creditori, come invece avviene con un’immediata estinzione ope legis. In terzo luogo, con una censura che non teneva conto delle modifiche apportate all’art. 43 in sede di conversione, il giudice a quo aveva prospettato una violazione dell’art. 3 Cost. nella parte in cui si preclude(va) la possibilità di promuovere procedure esecutive ai soli cittadini italiani, lasciando impregiudicata la facoltà di altri soggetti, come la Regione Sterea Ellada intervenuta nella procedura 74, di agire in sede esecutiva dinanzi a giudici italiani nei confronti della RFT. A fronte di queste censure, vanno ricordate le argomentazioni delle parti costituitesi nel giudizio di costituzionalità. Ad avviso della creditrice procedente nella procedura presupposta,, e stante il riconoscimento, anche nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, dell’esecuzione forzata quale componente essenziale della tutela giurisdizionale, l’art. 43 violava il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva in relazione a crediti derivanti dalla lesione di diritti inviolabili, ponendosi quindi in contrasto non solo con gli artt. 2 e 24 Cost., ma anche con l’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU. Nel giudizio di costituzionalità si era costituita anche, come parte intervenuta nel giudizio a quo, la regione greca Sterea Ellada. Quest’ultima evidenziava che, in sede di conversione, l’art. 43 era stato modificato in modo da impedirle sia di proseguire/promuovere procedure esecutive su beni della RFT sul territorio italiano sia di accedere al Fondo, in quanto riservato ai cittadini italiani. Ciò si sarebbe riverberato in una violazione dell’art. 3 Cost. ulteriore rispetto a quelle già evidenziate dal giudice a quo. La disparità di trattamento tra le parti della procedura esecutiva sarebbe stata in contrasto con l’art. 3 in combinato disposto con l’art. 111 Cost. soprattutto considerata l’impossibilità, per i creditori, di partecipare al giudizio dinanzi alla CIG che ha indotto il legislatore italiano ad intervenire con la disposizione censurata. In una memoria successiva del 12 giugno 2023, e stante la perdurante impossibilità di accedere al Fondo, la Sterea Ellada sollecitava la Corte costituzionale a rimettere dinanzi a sé la q.l.c. dello stesso art. 43 per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. Il 24 gennaio 2023 era già intervenuto nel giudizio costituzionalità il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza delle q.l.c. Sulla base di una sentenza di exequatur, resa dalla Corte d’Appello di Firenze e passata in giudicato a seguito di conferma da parte della Corte di Cassazione, di una decisione di condanna della RFT resa il 30 ottobre 1997 dal Tribunale greco di Livadia, per il risarcimento degli eredi delle vittime della strage compiuta il 10 giugno 1944 dalle forze armate tedesche a Distomo. 74 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 17 In punto di ammissibilità, la difesa dello Stato aveva argomentato che l’ordinanza di rimessione non aveva evidenziato la differenza tra immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione di cognizione e dalla giurisdizione esecutiva. Poiché l’immunità dall’esecuzione forzata riguarda tutti i beni degli Stati esteri che abbiano una destinazione pubblicistica, tale carenza avrebbe ridondato sulla rilevanza, poiché l’eccezione di impignorabilità formulata dalla RFT sulla scorta della destinazione pubblicistica dei beni pignorati non era stata esaminata dal giudice dell’esecuzione. Peraltro, l’immunità della RFT rispetto alla giurisdizione esecutiva italiana in ragione della natura dei beni pignorati avrebbe determinato una carenza di giurisdizione del giudice rimettente, con conseguente ulteriore ragione di inammissibilità. Nel merito, l’Avvocatura affermava che la norma censurata rappresenta un ragionevole bilanciamento operato dal legislatore tra interessi di rango costituzionale: da un lato, il diritto dei creditori ad ottenere il bene della vita consacrato in sentenze di condanna della RFT passate in giudicato; dall’altro, la necessità di mantenere buone relazioni internazionali. Inoltre, l’istituzione del Fondo avrebbe rappresentato un rimedio più satisfattivo per i creditori rispetto all’esecuzione forzata in forza delle limitazioni previste per la pignorabilità dei beni degli Stati esteri, nonché degli esiti incerti delle procedure esecutive. Proprio l’adeguatezza della misura avrebbe escluso la fondatezza della censura ex artt. 3 e 111 Cost. Inoltre, la norma non avrebbe potuto ritenersi illegittima nella parte in cui riserva l’accesso al Fondo ai soli cittadini italiani in quanto allo stesso sono destinate risorse da parte dello Stato italiano. Con ulteriore memoria depositata il 13 giugno 2023, l’Avvocatura si era soffermata su quanto rappresentato dalla Regione Sterea Ellada, sottolineando che l’art. 43 trova ragione nell’Accordo di Bonn siglato nel 1961 tra l’Italia e la RFT. Di conseguenza, il Fondo, nel quale sono stanziate risorse nazionali, non può riguardare soggetti che non siano cittadini italiani. Evidenziava che, in ogni caso, le questioni afferenti la costituzionalità dell’art. 43 del d.l. n. 36 del 2022, come convertito, laddove escludono dal Fondo i soggetti creditori per i medesimi titoli in fora di una sentenza straniera, esulavano dal thema decidendum in quanto non erano state oggetto di rimessione da parte del giudice a quo. 4. La decisione della Corte in tre passaggi argomentativi Come anticipato, con la pronuncia in commento la Corte ha rigettato tutte le q.l.c. Nelle prossime sezioni, nel ricordare le motivazioni addotte in particolare rispetto alle prime due questioni75, ci si soffermerà sul modo in cui la Corte ha costruito l’argomentazione per 75 La terza censura, pure dichiarata infondata dalla Corte, era viziata da un’aberratio ictus dal momento che, come visto (sez. 3), il giudice a quo non aveva tenuto conto delle modifiche apportate dal legislatore in sede di conversione. La Corte, anche sulla scorta delle argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato, sceglie di “sanzionare” tale aberratio con l’infondatezza, invece di una manifesta inammissibilità (v. punto 19 cons. dir.). La questione dell’irragionevole disparità di trattamento dei soggetti in possesso di titoli esecutivi basati su sentenze straniere, sollevata nel suo intervento dalla regione Sterea Ellada, è rimasta quindi fuori dal thema decidendum come delineato dall’ordinanza di rimessione, e a nulla sono valsi i tentativi della regione stessa di “resuscitarla”, chiedendo alla Corte una rimessione dinanzi a se stessa della stessa norma, a causa dell’assenza del nesso di pregiudizialità. V. ancora punto 19 cons. dir., che richiama Corte cost., Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 18 raggiugere le proprie conclusioni, riuscendo nel compito non scontato di evitare una contraddizione diretta con la sent. n. 238/201476. Infatti, oltre al fatto che, come noto, la Corte raramente si impegna in revisioni esplicite della propria giurisprudenza, la qualificazione del diritto di difesa di cui agli artt. 2 e 24 Cost. come controlimite, contenuta nella sent. n. 238/2014, ha assunto nell’economia dei rapporti con altri ordinamenti77 un peso tale da rendere insostenibile l’ipotesi di un overruling esplicito78. Il Giudice delle leggi ha quindi operato tre “mosse”. 4.1 Distinguishing con la sent. n. 238/2014 In primo luogo, la Corte ha fornito un’interpretazione “autentica” della sent. n. 238/2014, circoscrivendo l’ambito di operatività dei principi in essa pronunciati. Tale “mossa” è compiuta dalla Corte già al momento di decidere sulle eccezioni di inammissibilità79. Come ricordato, l’Avvocatura dello Stato aveva eccepito l’omessa specificazione nell’ordinanza di rimessione della natura – pubblicistica o privatistica – dei beni sottoposti a pignoramento nella procedura presupposta. Con ciò, e stante l’assunta piena operatività della norma internazionale sull’immunità dalla giurisdizione esecutiva, sarebbe venuto meno il presupposto della rilevanza delle q.l.c. La Corte, sposando la posizione assunta da parte della dottrina, soprattutto internazionalistica 80; da molte corti di merito che si erano trovate a decidere sulle procedure sent. n. 24/2018, ove si legge (punto 4.1.2 cons. dir.) che «la possibilità che questa Corte sollevi in via incidentale una questione davanti a sé si dà solo allorché dubiti della legittimità costituzionale di una norma, diversa da quella impugnata, che sia chiamata necessariamente ad applicare nell’iter logico per arrivare alla decisione sulla questione che le è stata sottoposta». In dottrina v. G. REPETTO, Il canone dell’incidentalità costituzionale. Trasformazioni e continuità nel giudizio sulle leggi, Napoli, Ed. Scientifica, 2017, 263 ss.; A. RUGGERI – A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, Giappichelli, 20227, 244. 76 La Corte anzi professa la propria adesione alla sentenza 238, scelta che ROSSI, Le sentenze della Corte Costituzionale 159 del 2023 e 238 del 2014, cit., 570, considera «opinabile». 77 Spec. nell’ambito dell’altrettanto nota saga Taricco (Corte cost., ord. n. 24/2017 e sent. n. 115/2018); e, più di recente, con la sent. n. 192/2023 (cd. caso Regeni), spec. punto 4.2 cons. dir. 78 Questo punto tocca l’argomento – enorme e al di fuori dell’economia del presente scritto – dei presupposti pregiuridici della vincolatività del precedente giurisprudenziale, soprattutto negli ordinamenti di tradizionale continentaleromanistica, tema sul quale v. solo D. BIFULCO, Il giudice è soggetto soltanto al «diritto»: contributo allo studio dell’articolo 101, comma 2 della Costituzione italiana, Napoli, Jovene, 2008, spec. 25-98. A tal proposito, si vuole solo notare che, se nel nostro ordinamento una cultura del precedente si è ormai affermata, la dottrina italiana sembra far fatica a sviluppare un’adeguata dogmatica del precedente, in grado di fornire riferimenti solidi per guidare e criticare il suo (mancato) uso e/o superamento. Il tema è per lo più declinato nei termini – vicini ma diversi – del rispetto del cd. giudicato costituzionale: su questi temi v. i classici G. TREVES (a cura di), La dottrina del precedente nella giurisprudenza della Corte costituzionale, UTET, Torino, 1971; A. PIZZORUSSO, Effetto di giudicato ed effetto di precedente delle sentenze della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1966, 1976 ss.; A. ANZON, Il valore del precedente nel giudizio sulle leggi, Milano, Giuffrè, 1985; e, più di recente, M. CROCE, Precedente giudiziale e giurisprudenza costituzionale, in Contr. imp., 4-5/2006, 1114; e G. CANALE, L’uso “tendenziale del precedente nella giurisprudenza costituzionale e i suoi possibili sviluppi futuri, in Consultaonline, 16 marzo 2020. 79 Sul punto v. ROSSI, Le sentenze della Corte Costituzionale 159 del 2023 e 238 del 2014, cit., 572: «L’impressione che può ricavarsi dalla lettura di questo passaggio della sentenza è che, per affrontare la questione di inammissibilità, non fosse strettamente necessario pronunciarsi in termini così perentori sulla costituzionalità della norma sull’immunità in sede esecutiva. La scelta di trattare questo punto in obiter dictum fa pensare che la Corte abbia voluto cogliere – se non creare – l’occasione per mettere tale norma ‘in sicurezza’ dalla giurisprudenza successiva, di merito e non». 80 V. N. RONZITTI, La pretesa rilevanza dell’eccezione umanitaria alla norma sull’esenzione dei beni degli Stati esteri dalla giurisdizione esecutiva, in Riv. dir. int., 3/2023, 591 ss. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 19 esecutive iniziate in forza di titoli ottenuti a seguito della sent. n. 238/2014 e dalla stessa Corte di Cassazione81, ha confermato la piena operatività della norma internazionale relativa all’immunità dall’esecuzione, circoscrivendo il dictum della sent. n. 238/2014 alla sola giurisdizione di cognizione82. In altre parole, il precedente del 2014, impedendo l’operatività della norma immunitaria nell’ordinamento interno, avrebbe consentito l’inizio e la prosecuzione delle azioni volte all’accertamento e alla condanna al risarcimento dei danni per delicta imperii, ma nulla avrebbe detto sulla norma relativa all’immunità dalla giurisdizione esecutiva, la cui piena operatività nell’ordinamento italiano non sarebbe stata intaccata. Ciò tanto più alla luce del fatto che, ad avviso della Corte, «la dottrina dell’immunità degli Stati non scherma affatto la giurisdizione del giudice in sede esecutiva, ma incide sui beni dello Stato suscettibili di espropriazione forzata. Se questi sono riferibili ad una funzione in senso lato pubblicistica, ossia ad attività iure imperii, vi è l’immunità […] e quindi essi non sono pignorabili nel contesto di una procedura di espropriazione forzata. Se, invece, si tratta di beni, che attengono all’attività iure gestionis dello Stato, essi sono pignorabili normalmente»83. Pur sposando il presupposto interpretativo dell’Avvocatura, dunque, la Corte fa salva la rilevanza della questione, in quanto la norma censurata stabilisce in effetti un meccanismo unico che vale a impedire le procedure esecutive che insistono su qualunque bene dello Stato estero, senza distinzioni in relazione alla loro destinazione84. Un ulteriore profilo di distinzione con la sent. n. 238/2014 è la diversa concezione dell’(evoluzione dell’)ordinamento internazionale sottesa ad essa 85. La Corte del 2014 consapevolmente poneva l’Italia in contrasto con una norma di diritto internazionale consuetudinario. Tuttavia, lo faceva con l’esplicito e, se si vuole, ottimistico intento di contribuire al suo superamento. Contrariamente a quanti vi hanno visto una decisione “sovranista”86, la sentenza del 2014, oltre a rispettare la sfera di competenza della CIG, mostrava una fiducia – probabilmente eccessiva – nelle capacità di trasformazione dell’ordinamento internazionale su impulso di attori diversi da(i governi de)gli Stati87. Si trattava di una decisione, come noto redatta da un maestro del diritto internazionale ed europeo, che “credeva” nelle virtù dinamiche e “autoriflessive” dell’ordinamento internazionale88. La sent. n. 159/2023, invece, è una decisione che concepisce Cass., sez. III civ., sent. 8 giugno 2018, n. 14885, richiamata al punto 3.2 cons. dir. V. punti 3.1 e 3.2 cons. dir.: «la norma consuetudinaria di diritto internazionale, come riconosciuta dalla Corte internazionale di giustizia nella citata sentenza del 3 febbraio 2012, ha ingresso nel nostro ordinamento ex art. 10, primo comma, Cost., senza che a ciò sia di ostacolo alcun controlimite, né in particolare quello ritenuto dalla sentenza n. 238 del 2014 quanto al giudizio di cognizione». 83 Punto 3.2 cons. dir. 84 Punto 3.3 cons. dir. 85 Su questo punto, v. le eccellenti considerazioni svolte da ROSSI, Le sentenze della Corte Costituzionale 159 del 2023 e 238 del 2014, cit., pp. 570-576. 86 Così SALERNO, Il contenzioso italo-tedesco dopo la sentenza n. 159/2023 della Corte costituzionale, cit., 2073. 87 Cfr. R. KUNZ, The Italian Constitutional Court and “Constructive Contestation”: A Miscarried Attempt?, in J. Int’l Crim. Justice, 3/2016, 621 ss.; e A. GUAZZAROTTI, Il paradosso della ricognizione delle consuetudini internazionali. Note minime a Corte cost. n. 238 del 2014, in Forum quad. cost.- Rass., 5 novembre 2014. In generale sul tema, v. per tutti B. CONFORTI Diritto internazionale, Napoli, Ed. Scientifica, 201811, 8, 44, 340. 88 Cfr. C. FOCARELLI, State Immunity and Serious Violations of Human Rights: Judgment No. 238 of 2014 of the Italian Constitutional Court Seven Years One, in It Rev. Int’l & Comp. L., 1/2021, 29 ss. 81 82 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 20 l’ordinamento internazionale in termini statici 89, e che vistosamente omette di discutere o anche solo di prendere in considerazione gli elementi che avrebbero deposto a favore di un mutamento in corso della prassi internazionale in materia di immunità dalla giurisdizione esecutiva90. Circoscrivendo l’operatività del principio affermato nel 2014, il Giudice delle leggi non ha solo evitato il rischio di porsi in diretto conflitto con esso. Ancora più a fondo, ha di fatto escluso che la propria decisione del 2023 ne rappresenti il “seguito”. Tuttavia, l’interpretazione della Corte, per quanto corroborata dalla giurisprudenza ordinaria, anche di legittimità, e da parte importante della dottrina, non era così autoevidente91. Al di là di altre considerazioni92, benché il giudizio a quo da cui era originata la sent. n. 238/2014 costituisse esercizio della giurisdizione di cognizione 93, in quell’occasione l’argomentazione della Corte non aveva fatto perno sulla distinzione tra giurisdizione di cognizione ed esecutiva, ma sul diverso e più ampio principio dell’effettività della tutela dei diritti, come derivante dal combinato disposto degli artt. 2 e 24 Cost. Con tale “mossa”, dunque, la Corte ha conseguito almeno due risultati. In primo luogo, “liberandosi” dal peso della 238/2014 e della relativa assenza di margini argomentativi che quel precedente porta con sé, ha in parte alleggerito l’onere argomentativo gravante su se stessa di dimostrare in cosa consista una tutela effettiva dei diritti nelle particolari condizioni del caso di specie e se il meccanismo disegnato dalla norma censurata la soddisfi in concreto. Ciò tanto più alla luce del fatto che tale meccanismo si configura come una procedura satisfattiva stragiudiziale ad hoc, che impone un termine perentorio alla proposizione di nuove azioni di accertamento e condanna e, soprattutto, non sospende bensì estingue ex lege le azioni esecutive già intraprese e impedisce la proposizione di nuove. Chiaramente, come si vedrà meglio infra94, a prescindere dal ruolo della sent. n. 238/2014, la Corte non può eludere del tutto il problema dell’esecuzione in relazione all’effettività della tutela dei diritti. Tuttavia, nel compiere tale valutazione, essa “libera” il campo dall’ingombrante presenza di un controlimite. Cfr. SALERNO, Il contenzioso italo-tedesco dopo la sentenza n. 159/2023 della Corte costituzionale, cit., 2076. Soprattutto (ma non solo) a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina: cfr. Corte Suprema Ucraina, sent. 14 aprile 2022, caso n. 308/9708/19, nonché 18 maggio 2022, caso n. 428/11673/19; 18 maggio 2022, caso n. 760/17232/20; 8 giugno 2022, caso n. 490/9551/19; 22 giugno 2022, caso n. 311/498/20. V. anche Corte del distretto centrale di Seoul, Hee Nam Yoo e al. c. Giappone, caso n. 2016 Ga-Hap 505092, sentenza dell’8 gennaio 2021, sez. 3, lett. c), par. 3(6)(ii); e Corte Suprema del Brasile, Karla Christina Azeredo Venancio da Costa e al. c. Repubblica federale tedesca, ARE 954858/RJ, sent. 24 settembre 2021, p. 23 s. Le decisioni sono citate in BERRINO, Quale effettività della tutela giurisdizionale nel caso Germania c. Italia?, cit., 217, nt. 45. 91 Cf. R. CALVANO, Perché non sia un’occasione mancata, in BRUNELLI – PUGIOTTO – VERONESI (a cura di), Colpe di stato, atto II, cit., 75-76; e ancora ROSSI, Le sentenze della Corte Costituzionale 159 del 2023 e 238 del 2014, cit., 587: «la sentenza 159 dà luogo anche a un’indiscutibile tensione, rasente all’incoerenza, nella stessa giurisprudenza costituzionale». 92 Si veda l’intervento dello stesso Giuseppe Tesauro al convegno “Stragi e deportazioni nazifasciste: per la giustizia e contro l’ambiguità”, tenuto in Senato il 7 marzo 2019 e disponibile su www.youtube.com/watch?v= gpDYeJPX4gU, in cui il redattore della sent. n. 238/2014, nonché Presidente della Corte al momento della sua adozione, suggeriva che la Corte riservasse lo stesso trattamento anche all’immunità dalla giurisdizione esecutiva, affermandone la contrarietà al diritto di accesso alla giustizia laddove si trattasse di riparare gravi violazioni di diritti umani fondamentali e le vittime fossero sprovviste di altri rimedi. 93 In quell’occasione, lo stesso giudice rimettente si era premunito di limitare le questioni sollevate alla giurisdizione relativa alla cognizione della pretesa risarcitoria, non anche alla esecuzione (sent. n. 238/2014, punto 1 cons. dir.). 94 Sez. 4.3. 89 90 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 21 In secondo luogo, la Corte ha eluso, di fatto, le argomentazioni avanzate dalla parte procedente nel giudizio a quo e costituitasi nel giudizio di costituzionalità, relative alla non conformità del meccanismo di cui all’art. 43, co. 3, d.l., con i principi in materia di tutela giurisdizionale effettiva derivanti dall’art. 6 CEDU e dalla relativa giurisprudenza della Corte di Strasburgo, soprattutto in relazione alla giurisdizione esecutiva rispetto a beni rientranti nella sfera delle attività iure gestionis, giurisdizione pure preclusa dallo stesso art. 4395. 4.2. Continuità della norma censurata con gli accordi del 1961 Con la prima “mossa”, la Corte ha trasformato un problema di tutela (giurisdizionale) effettiva dei diritti – al centro della sent. n. 238/2014 – in un problema di soddisfazione effettiva delle pretese risarcitorie vantate – e delle relative azioni esecutive – in relazione ai delicta imperii. Avendo così impostato i termini, la Corte affronta il problema dell’effettività del meccanismo disegnato dalla “norma ristori” a questi fini. In particolare, ormai arrivata al merito delle q.l.c., la Corte compie la seconda mossa, che consiste nell’aderire alla tesi del legislatore della “continuità” tra il meccanismo disegnato dalla norma censurata e quelli di indennizzo e/o ristoro introdotti in passato, in particolare in attuazione degli accordi del 1961. Il legislatore manifesta questa posizione sia con una indicazione di principio (art. 43, co. 1), sia nel modo il cui il l’art. 4396 e il d.m. 28 giugno 202397 disciplinano l’erogazione dell’importo dovuto ai soggetti che hanno titolo per l’accesso al Fondo, che tiene conto dell’erogazione di provvidenze in base alle normative già adottate in passato anche in attuazione di quegli accordi 98. La Corte, in un detour storico-normativo99, ricorda che la definizione delle pretese reciproche tra Italia e RFT a seguito della Seconda guerra mondiale è stata oggetto di regolamentazione fin dagli accordi di Pace 100, e che nel dopoguerra furono previsti Cfr. G. BOGGERO, Una pronuncia “interpretativa di inammissibilità” come tentativo di ricomporre la frattura tra diritto costituzionale e diritto internazionale generale, in BRUNELLI, PUGIOTTO, VERONESI (a cura di), Colpe di stato, atto II, cit., 7172. 96 Al co. 4 lett. b: «Con decreto […] sono stabilite: […] b) le modalità di erogazione degli importi agli aventi diritto, detratte le somme eventualmente già ricevute dalla Repubblica italiana a titoli di benefici o indennizzi ai sensi della legge 10 marzo 1955, n. 96, del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1963, n. 2043, della legge 18 novembre 1980, n. 791, e della legge 29 gennaio 1994, n. 94». 97 All’art. 4, co. 3: «Nel caso in cui la domanda sia accolta, in tutto o in parte, la Direzione competente ne da’ comunicazione all’interessato, anche per quanto concerne la determinazione dell’importo dovuto, che viene effettuata tenendo conto delle somme già percepite dalla Repubblica italiana a titolo di benefici o indennizzi ai sensi della legge 10 marzo 1955, n. 96, del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1963, n. 2043, della legge 18 novembre 1980, n. 791 e della legge 29 gennaio 1994, n. 94» 98 V. spec. l’art. 2, co. 2, del d.m. 28 giugno 2023, in base al quale «è a carico del Fondo […] il pagamento dei danni liquidati […] detratte le somme ricevute dall’avente diritto dalla Repubblica italiana a titolo di benefici o indennizzi ai sensi della legge 10 marzo 1955, n. 96, del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1963, n. 2043, della legge 18 novembre 1980, n. 791, della legge 29 gennaio 1994, n. 94». 99 Punti 5-8 cons. dir. 100 V. il Trattato di pace di Parigi del 1947, eseguito con d.l.gs. del Capo Provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430 (Esecuzione del Trattato di pace fra l’Italia e le Potenze Alleate ed Associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947) che, all’art. 77, comma 4, stabiliva che, fatta salva ogni altra disposizione che fosse stata adottata a favore dell’Italia 95 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 22 contributi e indennizzi di vario genere per danni di guerra, in particolare in base al d. lgs. lgt. 31 agosto 1945, n. 532 101; alla l. 27 dicembre 1953, n. 968 102, perfezionata dalla l. 20 ottobre 1981, n. 593; alla l. 18 novembre 1980, n. 791 103; e alla l. 29 gennaio 1994, n. 94104. In questo tessuto, la Corte ricorda anche i richiamati accordi del 1961 e la relativa normativa di attuazione. Essa non si stanca di sottolineare la natura “forfettaria” delle liquidazioni erogate105; l’inserimento di termini decadenziali per la proposizione di domande di indennizzo106; nonché le finalità «di chiusura definitiva della questione degli indennizzi» proprie di quegli accordi. La Corte non si limita a confermare la tesi della continuità ma si spinge, in modo inusuale, a definire la norma censurata «virtuosa, anche se onerosa» 107. A tal proposito, è possibile quanto meno problematizzare la ricostruzione della Corte. Sull’effettiva “continuità” tra gli accordi del 1961 e la norma censurata si sono già forniti alcuni elementi. 108. Qui si ribadisce che con l’Accordo sugli indennizzi – a differenza dell’Accordo sulle questioni patrimoniali – l’Italia non si era obbligata a tenere indenne la RFT dalle eventuali pretese avanzate da cittadini italiani uti singuli. Ciò anche perché, alla luce dell’allora indiscussa operatività della norma internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione di cognizione per acta iure imperii, tali pretese sarebbero state inconcepibili in relazione alle persecuzioni nazionalsocialiste. Lo stesso legislatore del 2022, consapevole dell’asimmetria tra i due accordi del 1961, per rafforzare la tesi della continuità della “norma ristori”, la collega all’Accordo «reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1962, n. 1263» che è, appunto, quello relativo alle questioni patrimoniali e non quello relativo agli indennizzi per le persecuzioni nazionalsocialiste. Inoltre, gli indennizzi o contributi di cui alla l. n. 968/1953 erano limitati alla «perdita, la distruzione o il danneggiamento di cose mobili o immobili» e l’assegno di cui alla l. n. 791/1980 è stato riservato «ai cittadini italiani che, per le ragioni di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1963, n. 2043, siano stati deportati nei campi di sterminio nazisti [corsivi aggiunti]». Detto altrimenti, non vi è necessariamente continuità di situazioni “protette” dalle normative richiamate dalla Corte e quelle costituiscono il fondamento delle pretese esecutive di cui alla “norma ristori”. Ciò riguarda soprattutto potenziali pretese risarcitorie avanzate iure proprio da cittadini italiani nei confronti della RFT, relative a persecuzioni specificamente nazionalsocialiste – dovute quindi a ragioni di razza, fede o ideologia – compiute dell’ambito delle ostilità dalle forze tedesche, che non si siano concretizzate in deportazioni in un campo di sterminio e dalle quali non siano derivati e dei cittadini italiani dalle Potenze che occupavano la Germania, l’Italia rinunciava, a suo nome e a nome dei cittadini italiani, a qualsiasi pretesa nei confronti della Germania e dei cittadini tedeschi, pendente alla data dell’8 maggio 1945. 101 Che istituì presso il Ministero del tesoro la Direzione generale per il risarcimento dei danni di guerra. 102 Che istituì e disciplinò «gli indennizzi o contributi per la perdita, la distruzione o il danneggiamento di cose mobili o immobili in dipendenza di un fatto di guerra». 103 Che introdusse un «assegno vitalizio di benemerenza» a favore dei cittadini italiani che, per le ragioni di cui all’art. 1 del d.P.R. 6 ottobre 1963, n. 2043, siano stati deportati nei campi di sterminio nazisti. 104 Che ha reso l’assegno di cui alla l. n. 791/1980 reversibile. 105 Punto 5 cons. dir. 106 Ibid. 107 Punto 11 cons. dir. 108 V. sez. 2. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 23 danni a cose mobili o immobili. È questo un ambito, non compreso negli accordi del 1961 ma certamente “coperto” dalla norma sull’immunità, che è stato “aperto” dalla Corte di Cassazione con la sentenza Ferrini e dalla Corte costituzionale con la sent. n. 238/2014. Oltre al fatto che la stessa CIG, nella sentenza del 2012, aveva lasciato impregiudicata la questione relativa a se gli accordi del 1961 implicassero a una rinuncia alle pretese oggetto dei procedimenti pendenti davanti ai giudici civili italiani109, che la narrativa della continuità sia almeno in parte forzata emerge dalla stessa sent. n. 159/2023, là dove si afferma che il termine decadenziale per la presentazione delle domande di indennizzo ex art. 6 d.P.R 2043/1963 è «superato» per incompatibilità con il dictum della sent. n. 238/2014110. Questa affermazione è coerente con la tesi della continuità ma difficilmente si sposa con il fatto che la Corte del 2014 non dichiarò l’illegittimità consequenziale di quella disposizione ex art. 27 l. n. 87/1953, la quale sarebbe stata evidente ictu oculi111. Il riferimento a questo “superamento”, difficilmente riconciliabile con il principio largamente accettato dell’obbligatorietà dell’esplicita dichiarazione di incostituzionalità conseguenziale 112, può essere considerato un elemento a conferma dell’almeno parziale diversità di situazioni ricadenti nell’ambito di applicazione degli accordi del 1961 e quelle disciplinate dalla norma censurata. A ben vedere, la “continuità” con quegli accordi è da considerarsi ab origine problematica, perché è proprio la giurisprudenza italiana di legittimità e costituzionale ad aver “creato” la situazione giuridica fatta valere dai creditori, situazione in oggettiva discontinuità con il sistema di diritto internazionale “presupposto” da quegli accordi. Nell’economia complessiva della decisione della Corte, la valorizzazione della continuità svolge almeno quattro funzioni. In primo luogo, sul piano più strettamente retorico, essa legittima il meccanismo complessivamente disegnato dalla “norma ristori”, presentandolo come tassello di un Cfr. par. 109. Punto 10 cons. dir.: «Il termine decadenziale ultimo per far valere pretese indennitarie, fissato dall’art. 6 del d.P.R. n. 2043 del 1963, è risultato, alla fine, superato nella misura in cui si è riconosciuta, a partire dalla ricordata pronuncia del 2014 di questa Corte, l’azionabilità innanzi al giudice ordinario della domanda di risarcimento del danno, nei confronti della Repubblica federale di Germania». 111 Assunta la natura di atto con forza di legge e non regolamentare del d.P.R. 2043/1963. Sul punto, nonostante l’adozione del d.P.R. non fosse seguita a una delibera del Consiglio dei Ministri (solo «sentito»), sembrano dirimenti due elementi: 1) la norma delegante delegava il «Governo» e imponeva un termine di sei mesi e «criteri direttivi» per l’esercizio della delega stessa; 2) la sua inclusione da parte del d.lgs. n. 179/2009 (cd. “Salvaleggi”) tra «le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, delle quali è indispensabile la permanenza in vigore» (art. 1, co. 1), là dove le “disposizioni legislative statali” sono definite come le «disposizioni comprese in ogni singolo atto normativo statale con valore di legge» (art. 1, co. 3, lett. a). V. anche l’obiter dictum in Cass., sez. un. civ., 2 marzo 1987, n. 2188: «La controversia promossa […] per concorrere alla ripartizione delle somme versate dalla repubblica federale di Germania a titolo d’indennizzo ai cittadini italiani colpiti da persecuzioni nazionalsocialiste, ai sensi del d.p.r. 6 ottobre 1963, n. 2043, ancorché venga introdotta in via d’impugnazione del provvedimento di diniego dell’inclusione fra i beneficiari di detta erogazione, esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo e spetta alla cognizione del giudice ordinario, in quanto investe posizioni di diritto soggettivo nell’ambito di rapporti obbligatori sottratti a discrezionalità amministrativa e direttamente regolati dalla legge, pure con riguardo ai requisiti dei destinatari dell’indennizzo (rispetto ai quali la commissione prevista dall’art. 7, cit. decreto ha compiti di mera constatazione, alla stregua delle prove acquisite) [corsivo aggiunto]». 112 Cfr. RUGGERI – SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., 296-297, ove si ricorda anche che cosa diversa è l’obbligatorietà dell’illegittimità consequenziale in quanto tale. In altre parole, gli Autori sostengono che la Corte non abbia l’obbligo di dichiarare una illegittimità conseguenziale ma quest’ultima non può essere assunta bensì dichiarata esplicitamente. 109 110 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 24 mosaico già definito nel periodo postbellico e che ora necessita di completamento. Tale completamento – si badi – è reso necessario da una giurisprudenza di legittimità presentata – anche se solo tra le righe – come un “incidente di percorso”, che ha in qualche modo rotto un equilibrio preesistente 113 e al quale il legislatore è stato chiamato a porre rimedio. In secondo luogo, la valorizzazione della continuità ha l’effetto di far “rientrare” l’art. 117, co. 1, Cost. nella “topografia del conflitto” ai fini del giudizio sulla ragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore 114. È a questo punto che la Corte inizia a trattare una mera “continuità”115 come una piena attuazione di vincoli giuridici. Detto altrimenti, se l’art. 43 è (costruito come) attuazione di obblighi internazionali derivanti dagli accordi del 1961116, il controllo del Giudice delle leggi sulla ragionevolezza del relativo bilanciamento tiene necessariamente conto di un ulteriore interesse costituzionalmente protetto – il rispetto degli obblighi internazionali117 – che contribuisce a spostare la bilancia a favore del rigetto delle q.l.c. sollevate. L’interesse costituzionalmente protetto al rispetto degli obblighi internazionali, “cacciato” dalla porta tramite la dichiarazione di incostituzionalità, operata dalla sent. n. 238/2014, degli artt. 1 della l. n. 848/1957 e 3 della l. n. 5/2013, “rientra” dalla finestra dell’attuazione degli accordi del 1961. A questo stesso proposito, nell’economia dell’argomentazione della Corte, la valorizzazione dell’art. 117, co. 1, Cost. ha una funzione preminente rispetto a quella svolta dall’art. 10 Cost. Come si vedrà infra, se si fosse basata “solo” sul rispetto della norma consuetudinaria relativa all’immunità degli Stati dalla giurisdizione esecutiva – che, come visto, entra a tutti gli effetti nell’ordinamento italiano anche dopo la sent. n. 238/2014 – la valutazione circa la ragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore sarebbe rimasta legata all’ambito di applicazione di quella stessa norma consuetudinaria, rischiando di compromettere la costituzionalità della norma censurata, nella misura in cui quest’ultima blocca l’esercizio della giurisdizione esecutiva in relazione a tutti i beni e non solo quelli a destinazione pubblicistica. Detto in modo ancora diverso, senza sposare la tesi della continuità/attuazione degli accordi del 1961 e senza far “rientrare” l’art. 117, co. 1, Cost., difficilmente si sarebbe potuta giustificare una pronuncia – processuale o di merito – che non limitasse l’applicazione dell’art. 43, co. 3, ai soli beni a destinazione pubblicistica. In terzo luogo, la costruzione del meccanismo di cui all’art. 43 come attuazione di obblighi internazionali specificamente gravanti sull’Italia in forza degli accordi del 1961 fornisce elementi per giustificare la limitazione dell’accesso al Fondo ai soli creditori che Cfr. punto 8 cons. dir. Cfr. R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, Giuffrè, 1992, 62 ss. Su questo punto, v. infra, sez. 4.3. 115 Termine ambiguo utilizzato dal legislatore, probabilmente per i motivi ricordati supra, nt. 40. 116 Sulla continuità invece di attuazione di obblighi internazionali il legislatore ha preferito non porsi in contrasto con la poszione espressa dal governo davanti alla cig e dalla giurisprudenza 117 Cfr., nella giurisprudenza costituzionale più recente, Corte cost. sent. n. 102/2020, punto 3.2 cons. dir. Con una certa nonchalance, la Corte conferma (punto 10 cons. dir.) che tutte le fonti di diritto internazionale pattizio valgono a integrare il parametro di cui all’art. 117 co. 1 e non solo quelle relative ai diritti umani (o altre categorie “speciali” di trattato), punto sottolineato da SALERNO, Il contenzioso italo-tedesco dopo la sentenza n. 159/2023 della Corte costituzionale, cit., 2078, nt. 24. La questione, fino ad anni recenti, non era del tutto sopita in dottrina, almeno quella costituzionalistica: per il relativo dibattito, v. A. FUSCO, Il mito di Procruste. Il problema dell’interposizione delle norme generative di obblighi internazionali nei giudizi di legittimità costituzionale, in Riv. AIC, 4/2020, 250 ss. 113 114 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 25 vantino un titolo esecutivo derivante da una sentenza italiana. Anche se tale questione, che riguardava la posizione della Sterea Ellada, era fuori dal thema decidendum delineato dal giudice a quo, tale strategia di fatto prepara il campo per future q.l.c. sollevate avverso la norma censurata sulla base dell’art. 3 e 111 Cost. (principio di parità delle parti processuali), degli artt. 2 e 24 Cost. (diritto alla tutela effettiva dei diritti); e finanche degli artt. 11 e 117, co. 1, Cost. (principio di diritto UE della circolazione dei provvedimenti giudiziari 118). In quarto e ultimo luogo, aderendo alla tesi della continuità, la Corte legittima una concezione del diritto internazionale in base alla quale uno Stato può, di fatto, disporre in libertà delle pretese relative a diritti fondamentali di cui siano titolari i propri cittadini. La Corte del 2023 “pensa” il diritto internazionale come un sistema di organizzazione giuridica dei rapporti internazionali in cui gli Stati possono “liberare” gli altri anche dalle pretese avanzate dai propri cittadini in forza di posizioni giuridiche di cui siano titolari in via autonoma. A questi ultimi, uti singuli, non è necessariamente negata la soggettività giuridica di diritto internazionale ma quella che, con terminologia anglosassone di difficile traduzione diretta, è definita agency. Nel sistema assiologico presupposto dalla “norma ristori” e validato dalla Corte costituzionale, la questione relativa a chi risponde in concreto per la soddisfazione di pretese derivanti dalla commissione di crimini di guerra e contro l’umanità è largamente assente119. Completamente sottaciuta è la dimensione simbolica, satisfattiva nel senso più denso del termine, della responsabilità aquiliana e delle riparazioni, tema ormai sviluppatissimo nella riflessione internazionalistica e gius-filosofica, soprattutto in materia di cd. giustizia riparativa. Anzi, la Corte celebra la norma con la quale lo Stato italiano si sostituisce a quello tedesco come «virtuosa, anche se onerosa» e, per facilitare il compito agli interpreti, si spinge ad offrire una qualificazione civilistica del meccanismo, con tanto di riferimento alla disposizione codicistica 120. 4.3. Ragionevolezza del bilanciamento 118 V. l’art. 81 TFUE e gli artt. 36-51 del Reg. (UE) n. 1215/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. 119 Cfr. SALERNO, Il contenzioso italo-tedesco dopo la sentenza n. 159/2023 della Corte costituzionale, cit., 2076, nt. 19: «la sentenza n. 159/2023 assorbe nella determinazione dello Stato italiano di accollarsi i crediti verso la Germania ogni aspirazione, storica e/o ideologica, di affermare la diretta (ed esclusiva) responsabilità dello Stato tedesco a doversi accollare esso stesso il pagamento delle pretese risarcitorie». Non è un caso che, nel disegnare meccanismi simili a quelli della norma ristori, la dottrina, prendendo spunto da esperienze esistenti in altri ordinamenti, avesse previsto l’istituzione di fondi co-finanziati dallo Stato responsabile: v. F. FONTANELLI, Sketches for a Reparation Scheme: How Could a German-Italian Fund for the IMIs Work?, in VOLPE – PETERS – BATTINI (a cura di), Remedies against Immunity?, cit., 159 ss. 120 V. punto 17 cons. dir., ove si parla di «una «sorta di [sic] espromissione (art. 1272 cod. civ.), eccezionalmente a contenuto liberatorio». A tal fine, la Corte richiama anche, a sostegno della propria argomentazione, Corte cost., sent n. 329/1992 (v. nt. infra) che, con riferimento proprio all’immunità ristretta degli Stati in sede esecutiva, ha affermato che «potrà essere predisposta, per esempio, la possibilità che lo Stato italiano intervenga nella procedura esecutiva offrendo al creditore il pagamento del terzo ai sensi dell’art. 1180 cod. civ.». Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 26 L’ultimo passaggio argomentativo della Corte riguarda la verifica relativa al «non irragionevole» bilanciamento operato dal legislatore con l’art. 43, co. 3. Le prime “mosse” hanno preparato la “topografia” del conflitto tra interessi il cui ragionevole bilanciamento la Corte è chiamata a verificare121. Come si anticipava, la Corte non elude il problema dell’effettività della tutela assicurata dal meccanismo previsto dalla “norma ristori”. Tuttavia, grazie alle “mosse” già compiute, essa ha rimosso l’ingombrante presenza di un controlimite e (ri)chiamato in vita l’interesse al rispetto degli obblighi internazionali convenzionali ex art. 117, co. 1, Cost. Si tratta, in modo relativamente più semplice, di verificare se i limiti o le condizioni di specialità introdotte dal legislatore con l’art. 43 si giustifichino alla luce dei contro-interessi in gioco. Come noto, la Corte ha ripetutamente affermato che l’azione esecutiva è essenziale per garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, nella misura in cui consente al creditore di soddisfare la propria pretesa anche in mancanza di adempimento spontaneo 122. Le limitazioni al diritto alla tutela esecutiva, pur ammissibili ai fini del bilanciamento con altri diritti costituzionali, non devono tradursi nella compromissione totale del diritto ad agire in sede esecutiva 123. Con specifico riguardo ai limiti alla giurisdizione esecutiva derivanti dalle norme internazionali sull’immunità degli Stati, il precedente più rilevante è la sent. n. 329/1992, richiamata a più riprese dalla Corte nella sentenza in commento 124. Con quella decisione, si ritenne illegittimo l’articolo unico del r.d.l. 30 agosto 1925, n. 1621, convertito dalla legge 15 luglio 1926, n. 1263, secondo cui non si può procedere al sequestro o pignoramento e, in genere, ad atti esecutivi su beni mobili o immobili, navi, crediti, titoli, valori e ogni altra cosa spettante a uno Stato estero, senza l’autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia, sempre che si tratti di uno Stato che ammette la reciprocità, la quale deve essere dichiarata con decreto del Ministro 125. Di tale norma, la Corte evidenziò la contrarietà al principio supremo di cui all’art. 24 Cost., sottolineando che, sebbene nei rapporti con gli 121 V. punti 13 e 18 cons. dir. A differenza di quanto sostenuto da PALOMBINO, Il Fondo per le vittime del Terzo Reich attraverso il prisma del (necessario) bilanciamento tra principi costituzionali, cit. 191, si ritiene che la sent. n. 238/2014 e la sent. n. 159/2023 non si differenzino per il fatto che la prima prediligerebbe una logica di collisione e la seconda una logica di bilanciamento. Le due sentenze, piuttosto, si distinguono per il diverso modo con il quale esse costruiscono la “topografia del conflitto” e per il conseguente esito del giudizio di bilanciamento. 122 Cfr. Corte cost., sentt. nn. 198/2010, 335/2004, 522/2002, 331/2001, 321/1998. Nella dottrina processualcivilistica, v. V. TAVORMINA, Il processo come esecuzione forzata, Napoli, Jovene, 2003. 123 Sent. n. 225/2018. Con riguardo al “blocco” per effetto di provvedimenti normativi delle procedure esecutive, la Corte ha affermato che interventi legislativi che svuotino di contenuto i titoli esecutivi giudiziali possono ritenersi giustificati da particolari esigenze transitorie a due condizioni. Anzitutto, la limitazione deve essere limitata a un ristretto periodo temporale (sentt. nn. 155/2004 e 310/2003). Inoltre, eventuali disposizioni processuali che incidono sui giudizi pendenti devono essere controbilanciate da norme sostanziali che garantiscano, anche con mezzi diversi da quelli dell’esecuzione giudiziale, la realizzazione dei diritti oggetto di quei giudizi (sentt. nn. 186/2013, 277/2012 e 364/2007; ripercorre da ultimo la complessa problematica sent. n. 228/2022). 124 V. punti 3.1 e 17 cons. dir. 125 Precedente più risalente, e relativo alla stessa norma, è Corte cost., sent. n. 135/1963, ove la Corte aveva ritenuto in parte fondate le q.l.c. dello stesso art. unico del r.d.l. n. 1621/1925. Con riguardo alla violazione dell’art. 24 Cost., la Corte evidenziò che la norma censurata non svuotava di contenuto il diritto del singolo, condizionandone solo l’esercizio ad un’autorizzazione giustificata da superiori esigenze di interesse pubblico, ritenendo che l’art. 24 Cost. non avesse una portata tale da precludere al legislatore la possibilità di subordinare nella fase del procedimento esecutivo a determinati controlli e condizioni l’esperimento del diritto del privato, quando ciò debba farsi a salvaguardia di altri interessi di preminente valore pubblico. Di qui, la sent. n. 135/1963 si era limitata ad annullare la parte della legge che escludeva la possibilità di agire in via giurisdizionale contro il decreto del Ministro negante l’autorizzazione. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 27 Stati stranieri il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale possa subire limiti ulteriori rispetto a quelli imposti dall’art. 10 Cost., questi devono essere giustificati da un interesse pubblico riconoscibile come potenzialmente preminente su un principio annoverato tra i «principi supremi». Di conseguenza, la norma che stabilisce il limite deve garantire una rigorosa valutazione di tale interesse alla stregua delle esigenze del caso concreto. Ancora, quella sentenza precisò che resta ferma la possibilità per il potere esecutivo, allo scopo di evitare che misure coercitive su beni appartenenti ad uno Stato estero possano provocare reazioni pregiudizievoli all’interesse nazionale, di contemplare strumenti di intervento idoneo, quale, ad esempio, l’adempimento satisfattivo delle ragioni creditorie in luogo dello Stato terzo. Nella sentenza in commento, la Corte conferma anzitutto che la tutela esecutiva fa parte – deve far parte – della tutela effettiva dei diritti e anzi proclama «l’indefettibilità della tutela giurisdizionale anche in executivis»126. A tal proposito, essa ricorda che l’immunità degli Stati dalla giurisdizione esecutiva – che, anche alla luce dell’interpretazione “autentica” della sent. n. 238/2014, è pienamente operativa rispetto alle azioni esecutive relative a beni a destinazione pubblicistica – non scherma la giurisdizione del giudice in sede esecutiva, ma incide solo sulla natura dei beni suscettibili di espropriazione forzata127. Si tratta dunque di verificare, in concreto, se la disciplina dettata dalla “norma ristori” sia conforme ai principi costituzionali in materia, alla luce degli interessi in gioco, come “mappati” dalla Corte stessa. La Corte, ricostruendo il meccanismo istituito dall’art. 43 come forma speciale, stragiudiziale, di tutela esecutiva, in cui lo Stato italiano “espromette” quello tedesco sulla base di interessi costituzionalmente meritevoli, ritiene quindi il bilanciamento del legislatore «non irragionevole» in relazione alla due principali censure sollevate dal giudice a quo – quella relativa agli artt. 2 e 24 Cost.128 e quella relativa agli artt. 3 e 111 Cost.129. Ciò è reso possibile dal modo in cui essa ha “mappato” la topografia del conflitto: da un lato, l’interesse al rispetto degli obblighi internazionali e le necessità per l’Italia di mantenere buone relazioni internazionali (specificamente, con la RFT) soprattutto in forza degli accordi del 1961; dall’altro, l’interesse all’effettiva tutela esecutiva dei diritti delle parti lese, ricostruito come interesse alla loro soddisfazione pecuniaria, a prescindere dal soggetto che effettivamente procede alla relativa soddisfazione. Sul primo punto si è già detto in precedenza 130. Sul secondo punto, facendo proprie le posizioni dell’Avvocatura dello Stato, la Corte ridimensiona il sacrificio imposto alla tutela esecutiva. Anzi, gli elementi di specialità del Punto 14 cons. dir., ove si richiama Corte cost. sent. n. 228/2022. Punto 3.1 cons. dir., che richiama Corte cost. sent. n. 329/1992 128 Punto 14 cons. dir. 129 V. punto 18 cons. dir., che, di fatto, estende la stessa argomentazione svolta in relazione alla prima censura: «L’assoluta peculiarità della fattispecie, che vede la necessità di bilanciamento tra l’obbligo di rispetto dell’Accordo di Bonn del 1961 e la tutela giurisdizionale delle vittime dei suddetti crimini di guerra, costituisce ragione giustificatrice sufficiente per una disciplina differenziata ed eccezionale, la quale – per tutto quanto sopra argomentato – segna un non irragionevole punto di equilibrio nella complessa vicenda degli indennizzi e dei risarcimenti dei danni da crimini di guerra». 130 V. supra, sez. 2. 126 127 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 28 meccanismo disegnato dal legislatore sono minimizzati, giustificati, o addirittura valorizzati a sostegno dell’infondatezza delle q.l.c. 131. Se l’interesse da tutelare è, di fatto, la soddisfazione di una pretesa pecuniaria da parte dei creditori, la natura non giurisdizionale della tutela e l’«espromissione» compiuta dallo Stato italiano a favore della RFT non costituiscono un problema da punto di vista del sistema dei valori costituzionali in gioco 132. Ciò che conta, se mai, è la capacità del Fondo di garantire in modo adeguato la soddisfazione del credito risarcitorio. A questa questione, la Corte dà risposta convintamente positiva. Da un lato, essa sottolinea che i soggetti che hanno accesso al Fondo non vantano un diritto al mero indennizzo ma un diritto al risarcimento «pieno e non condizionato». Da ciò, la Corte ricava che l’estinzione dei giudizi pendenti è congruamente compensata dalla natura integrale della soddisfazione della pretesa 133. Dall’altro, essa evidenzia gli elementi di aleatorietà e incertezza che una tutela esecutiva ordinaria porta con sé, soprattutto alla luce della perdurante efficacia nel nostro ordinamento della norma relativa all’immunità degli Stati dalla giurisdizione esecutiva, che limitano quest’ultima ai soli beni a destinazione privatistica o commerciale. Anche in questo caso, tuttavia, emergono elementi di artificiosità nella ricostruzione della Corte. In primo luogo, se la legittimità costituzionale del meccanismo disegnato dalla “norma ristori” ruota intorno alle sue capacità di soddisfare effettivamente le pretese risarcitorie, è quanto meno degna di nota l’omissione di qualunque riferimento all’effettiva capienza del Fondo ristori134. Ciò soprattutto alla luce del fatto che, in sede di giurisdizione di cognizione, le azioni di accertamento e condanna sono ancora consentite entro il termine perentorio di cui al co. 6 dell’art. 43, prorogato fino al 31 dicembre 2023. In secondo luogo, il riferimento all’operatività della norma internazionale relativa all’immunità dall’esecuzione è utilizzato solo per sottolineare l’aleatorietà della tutela esecutiva ordinaria, ma poi la Corte si “dimentica” di far entrare nella valutazione relativa al bilanciamento un elemento che nel corso della motivazione non si è stancata di ripetere, e cioè che oggi quella norma “copre” solo i beni a destinazione pubblicistica, lasciando la possibilità di aggredire beni a destinazione privatistica o commerciale. In tal modo, la Corte finisce per legittimare un meccanismo che non si limita a circoscrivere i beni suscettibili di espropriazione forzata ma impedisce radicalmente qualunque esercizio della stessa giurisdizione esecutiva, andando quindi oltre i limiti oggi accettati nel diritto internazionale 131 Anche se si tratta di questione al di fuori del thema decidendum, i controinteressi costituzionalmente rilevanti sono ritenuti altresì sufficienti a giustificare un’ulteriore disparità di trattamento, e cioè la necessità per i creditori, per poter accedere al Fondo ristori, di ottenere una sentenza passata in giudicato, in deroga alla regola della provvisoria esecutività delle sentenze di condanna di primo grado stabilita in via generale dall’art. 282 c.p.c. 132 Soprattutto alla luce della giurisprudenza costituzionale in cui «si è esclusa la illegittimità costituzionale di disposizioni di carattere processuale che incidevano sui giudizi pendenti, determinandone l’estinzione, in presenza di disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantivano, anche per altra via che non fosse quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte»: cfr. punto 15 cons. dir., ove sono richiamate Corte cost., sentt. nn. 277/2012, 364/2007, 103/1995, 185/1981. 133 Punto 17 cons. dir., che richiama tra le altre Corte cost., sent. n. 103/1995. 134 Sul punto, anche in relazione all’ulteriore profilo delle coperture di bilancio e all’equilibrio finanziario di cui all’art. 81 Cost., v. ancora BOGGERO, La reazione del Governo italiano al (nuovo) ricorso tedesco di fronte alla CIG, cit. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 29 consuetudinario e codificati nella UNCSI. È soprattutto per questo motivo che, come visto, la “continuità” con gli accordi del 1961 svolge nell’economia della decisione in commento un ruolo fondamentale135. In tal modo, l’esito del giudizio di bilanciamento diventa scontato: alla luce del fatto che la pretesa risarcitoria è soddisfatta dalla “norma ristori” in modo equivalente e anzi – da ciò che la Corte sembra far capire – meglio rispetto alla tutela esecutiva giurisdizionale, è del tutto ragionevole sacrificare la componente esecutiva di quest’ultima per far salvo il rispetto del diritto internazionale, sia quello consuetudinario (immunità dalla giurisdizione esecutiva) sia quello pattizio (vincoli derivanti dagli accordi del 1961). Resta poco chiaro come si giustifichi il sacrificio totale – si ripete, senza sospensione ma con l’estinzione delle procedure esecutive – della tutela giurisdizionale esecutiva, fondata sugli artt. 2 e 24 Cost., in relazione ai beni con destinazione non pubblicistica, “coperti” dai soli vincoli pattizi derivanti dall’art. 117, co. 1, Cost. e, come tali, recessivi rispetto non solo ai controlimiti ma all’intera Costituzione. In entrambi i casi, una considerazione dell’almeno potenziale incapienza del Fondo ristori e dell’ambito di operatività effettivo della norma sull’immunità dalla giurisdizione esecutiva avrebbe potuto giustificare decisioni con dispositivi diversi dal rigetto tout court. A questi punti sono dedicate alcune delle osservazioni conclusive nella sezione finale. 5. Osservazioni conclusive: le strade non prese e l’“amministrazione diplomatica” della Corte costituzionale Al netto dei molti altri profili che emergono dalla vicenda in esame, la sent. n. 159/2023 si segnala per il modo in cui la Corte ha costruito la propria argomentazione, compiendo una serie di scelte che avrebbero potuto essere almeno parzialmente diverse. In questa sezione conclusiva, si vogliono menzionare alcune delle possibili strade che la Corte non ha preso. Anzitutto, la Corte avrebbe potuto forse adottare una decisione meramente processuale nella forma di un’ordinanza di restituzione degli atti. A tal proposito, va ricordato che il d.m. che ha dato attuazione alla “norma ristori” e ha reso effettivamente attivabili le pretese dei creditori in forza dei propri titoli esecutivi, già estinte ope legis, è stato adottato oltre i termini previsti dallo stesso art. 43, co. 2, dopo la rimessione della q.l.c., e comunque pochi giorni prima dell’udienza di discussione. Al di là della questione, che resterà evidentemente ipotetica, di come avrebbe deciso la Corte nella perdurante assenza del regolamento di attuazione136, si sarebbe potuta adottare un’ordinanza di restituzione degli atti al giudice a quo perché quest’ultimo procedesse, alla luce del mutato e finalmente definito quadro Soprattutto in relazione alla seconda censura relativa agli artt. 3 e 111 Cost.: v. punto 18 cons. dir. In quel caso, si sarebbe potuta immaginare una sentenza di accoglimento, fondata sull’argomento per il quale la previsione censurata, essendo sostanzialmente una “disposizione in bianco”, in assenza della normativa secondaria di attuazione, non sarebbe stata idonea a costituire un rimedio adeguato idoneo a “controbilanciare” il venir meno del diritto dei creditori a soddisfarsi nell’ambito di una procedura esecutiva, come necessario per assicurare quell’esatto adempimento da parte dello Stato del foro in base ai principi dettati dalla sent. n. 329/1992 (v. supra, sez. 4.3). 135 136 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 30 normativo, ad una rivalutazione del bilanciamento operato dal legislatore. Ciò soprattutto alla luce del ruolo estremamente rilevante dato dalla Corte stessa alla natura giuridica del ristoro assicurato dal Fondo, qualificato come diritto al pieno risarcimento e non al mero indennizzo – natura ricavata, oltre che dal co. 4 dell’art. 43, anche e soprattutto dal d.m. di attuazione. È vero che le ordinanze di restituzione degli atti sono normalmente adottate dalla Corte per consentire al giudice rimettente una rivalutazione circa la perdurante rilevanza a seguito di un ius superveniens o altri mutamenti normativi o giurisprudenziali della più varia natura e che l’adozione del regolamento di attuazione avrebbe inciso sul diverso requisito della non manifesta infondatezza, richiedendo quindi, in via di principio, una pronuncia di merito da parte della Corte. Tuttavia, nella giurisprudenza costituzionale – come noto, tutt’altro che costante in materia – non sono mancati casi di ordinanze di restituzione degli atti fondate su un ius superveniens inerente ad atto subordinato alla legge, idoneo a “colorarne” il significato137. Certo, si sarebbe trattato di un caso estremo di cd. judicial avoidance138, ma una Corte che avesse voluto evitare di decidere avrebbe potuto ricorrere a tale soluzione. Al di là di questa ipotesi estrema, altre soluzioni, diverse dal rigetto “secco” di tutte le questioni, sono state adombrate in dottrina, soprattutto al fine di evitare il sacrificio completo della tutela esecutiva giudiziale, in particolare nei confronti di beni a destinazione non pubblicistica 139. Ad esempio, è stata proposta una decisione di inammissibilità interpretativa140, con la quale la Corte, pur senza adottare una sentenza di merito, avrebbe potuto indicare ai giudici ordinari, come interpretazione conforme a Costituzione (e al diritto internazionale), «una lettura in base alla quale il decreto-legge, oltre a dare correttamente “copertura” a beni publicis usibus destinata, non avrebbe precluso l’esercizio della giurisdizione esecutiva su beni tedeschi destinati ad attività iure gestionis»141. Tuttavia, al netto del fatto che una decisione processuale del genere non avrebbe offerto certezze sul fatto che i giudici dell’esecuzione seguissero la soluzione della Corte, va notato che potenziali decisioni interpretative – anche di rigetto – difficilmente si sarebbero conciliate con la lettera dell’art. 43, co. 3, risolvendosi di fatto in una interpretatio abrogans142. 137 Così A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale plurale, Milano, Giuffrè, 20126, 192, che richiama la relativa giurisprudenza. V. anche RUGGERI – SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., 177-178. 138 La letteratura sul concetto è imponente, soprattutto in lingua straniera: v. solo, tra i lavori più recenti, C. ALVES DAS CHAGAS, Judicial Avoidance. Balancing Competences in Constitutional Adjudication, Oxford, Hart, 2023; e E.F. DELANEY, Analyzing Avoidance: Judicial Strategy in Comparative Perspective, in Duke L. J., 1/2016, 1-67. 139 V. le osservazioni svolte supra, spec. sez. 4.3. 140 BOGGERO, Una pronuncia “interpretativa di inammissibilità” come tentativo di ricomporre la frattura tra diritto costituzionale e diritto internazionale generale, cit. 141 Ibid., 70. 142 V. tuttavia Trib. Roma, sent. 20 settembre 2023, che, in una decisione che, per stessa ammissione del collegio, stride con la lettera della disposizione, ha rifiutato di sollevare una q.l.c. relativamente all’esclusione dal Fondo ristori di soggetti stranieri che abbiano ottenuto all’estero una sentenza resa esecutiva in Italia, ritenendo che privare tali soggetti dell’accesso sia al Fondo che alla tutela esecutiva avrebbe realizzato una violazione della Costituzione e perciò, con un’interpretazione costituzionalmente orientata, che l’art. 43 andasse letto nel senso di non impedire a questi creditori di procedere ad esecuzione forzata in Italia. Il giudice romano ha basato la sua decisione sulla «necessità di bilanciamento tra l’obbligo di rispetto dell’Accordo di Bonn del 1961 e la tutela giurisdizionale delle vittime dei crimini di guerra», argomentando che quegli accordi vincolano l’Italia solo in relazione alle pretese di cittadini italiani. Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 31 Tuttavia, al fine di non sacrificare completamente altri interessi costituzionalmente rilevanti, un’altra soluzione sarebbe stata quella di un accoglimento manipolativo, più precisamente una sentenza sostitutiva che dichiarasse la norma censurata incostituzionale nella parte in cui prevede l’estinzione ope legis delle procedure esecutive già incardinate invece della sospensione delle stesse143. Al fine di disegnare la norma in modo quanto più possibile conforme alla norma internazionale sull’immunità dall’esecuzione si sarebbe altresì potuto disegnare tale intervento manipolativo nel senso di limitare la sospensione ai soli beni a destinazione privatistica. Le presenti osservazioni sono volte a evidenziare che, a fronte di un ventaglio di possibilità e tecniche decisorie disponibili, la Corte non abbia solo “deciso di decidere”, ma anche che il “verso” e il contenuto della decisione siano stati probabilmente co-determinati dalla volontà di dare una soluzione quanto più possibile definitiva a un’annosa vicenda giuridica e diplomatica, “creata” dalle nostre corti in evidente contrasto con gli indirizzi fatti propri dagli organi titolari del cd. potere estero144. Con la sent. n. 159/2023, la Corte sembra essere stata guidata da ragioni lato sensu diplomatiche ad aprire alcune porte argomentative e non altre, per evitare ulteriori imbarazzi e vicoli ciechi agli organi di indirizzo politico 145. È soprattutto questa considerazione a rendere impraticabili soluzioni decisorie forse più equilibrate – in particolare quella dell’accoglimento manipolativo – ma che non avrebbero ottenuto lo stesso “effetto utile”. A tal proposito, attenta dottrina 146 sottolinea come, nel suo recente ricorso alla CIG147, la RFT abbia lamentato la violazione dell’immunità da parte dell’Italia anche attraverso l’esecuzione delle sentenze emesse in violazione del diritto internazionale. In altre parole, anche qualora i creditori aggredissero “solo” beni a destinazione commerciale, «è verosimile che la CIG riterrà comunque sussistere una violazione dell’immunità tedesca, dal momento che le decisioni di cognizione italiane […] violerebbero il diritto internazionale secondo la ricostruzione operata dalla Corte nella sentenza del 3 febbraio 2012»148. La chiara volontà del Giudice delle leggi di mettere fine alla saga Ferrini emerge anche dal modo in cui la Corte sembra pre-ordinarsi elementi argomentativi in vista di future potenziali q.l.c., in particolare quelle relative alla situazione giuridica dei soggetti titolari di titoli esecutivi basati su sentenze straniere che, come ricordato più volte, non hanno accesso al Fondo ristori e non possono procedere all’esecuzione giudiziale in Italia, anche a seguito di un exequatur passato in giudicato. Nella sentenza in commento, la Corte ha potuto liberarsi della questione grazie all’aberratio ictus del giudice rimettente e della conseguente limitazione del thema decidendum149. Ma essa è tutt’altro che risolta. Anche se con le prime A tal proposito, si ritiene che, con uno sforzo interpretativo non impossibile, sarebbe stato possibile leggere l’ordinanza di rimessione nel senso di individuarvi il “verso” per la sostituzione. 144 Sulla nozione di “potere estero” v., nella nostra dottrina, F. LONGO, Parlamento e politica estera. Il ruolo delle commissioni, Bologna, Il Mulino, 2011; V. LIPPOLIS, Parlamento e potere estero, in S. LABRIOLA (a cura di), Il parlamento repubblicano (19481998), Milano, Giuffrè, 1999, 525-573; M. FRANCHINI, La potestà estera, Padova, CEDAM, 1992. 145 Parla di vero e proprio damage control ROSSI, Le sentenze della Corte Costituzionale 159 del 2023 e 238 del 2014, cit. 146 BERRINO, Quale effettività della tutela giurisdizionale nel caso Germania c. Italia?, cit., 231. 147 V. supra, sez. 3. 148 BERRINO, Quale effettività della tutela giurisdizionale nel caso Germania c. Italia?, cit., 231. 149 V. supra nt. 75. 143 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 32 decisioni seguite alla sent. n. 159/2023 i giudici di merito non hanno sollevato q.l.c. 150, con ogni probabilità essa tornerà a bussare alla porta del Palazzo della Consulta, anche in relazione a parametri di diritto eurounitario. A tal proposito, come già si evidenziava 151, la ricostruzione interpretativa dell’art. 43 come attuazione di obblighi internazionali specificamente gravanti sull’Italia fornisce elementi per giustificare la limitazione dell’accesso al Fondo ai soli creditori che vantano un titolo esecutivo derivante da una sentenza italiana. Anche in una situazione del genere, il giudizio di bilanciamento, soprattutto per il modo notoriamente destrutturato con il quale esso è svolto dalla nostra Corte costituzionale 152, mostra ancora una volta tutta la propria malleabilità e intrinseca politicità 153, che, in un caso del genere, consente alla Corte di svolgere funzioni di vera e propria “amministrazione diplomatica”. Dinamiche connesse all’emersione nei testi costituzionali contemporanei di norme sui diritti, di valore, e di scopo154 e alla progressiva commistione tra affari di politica interna e di politica estera spingono oggi corti supreme e costituzionali a svolgere funzioni di “diplomazia giudiziaria” che vanno ben oltre le forme del “dialogo tra corti”, delle “reti giudiziarie”, e della “comitologia” cui quella espressione è solitamente associata 155. Le corti utilizzano norme processuali e sostanziali, nonché schemi argomentativi come il giudizio di proporzionalità, di fatto partecipando alla gestione di questioni di politica estera in senso proprio156 in base ad apprezzamenti almeno parzialmente autonomi157, anche quando decidono di non decidere. Nella prassi contemporanea delle corti costituzionali, il (controllo sul) bilanciamento non è più – se mai lo è stato – «un’attività di conoscenza e di scoperta della gerarchia di interessi immanente nell’ordinamento costituzionale» che contribuisce all’unificazione politica tracciata dalla Costituzione158. Al di là delle più o meno realistiche virtù performative attribuite al diritto (costituzionale) nelle società contemporanee, decisioni come la sent. n. 159/2023, soprattutto alla luce del confronto con la precedente sent. n. 238/2014, sembrano mostrare come i giudizi bilanciatori siano anche strumenti per ri-coordinare, attraverso il linguaggio del diritto, funzioni svolte da apparati statuali – giudiziari, esecutivi, V. la già citata (nt. 142) Trib. Roma, sent. 20 settembre 2023. V. supra sez. 4.2. 152 V. solo M. CARTABIA, I principi di ragionevolezza e proporzionalita฀ nella giurisprudenza costituzionale italiana, Roma, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013, Conferenza trilaterale delle Corte costituzionali italiana, portoghese e spagnola. 153 V, in generale BIN, Diritti e argomenti, cit.; G. SCACCIA, Gli strumenti della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, Giuffrè, 2000; A. MORRONE, Bilanciamento (giustizia cost.), in Enc. dir., Ann. II, Milano, Giuffrè, 2008, 185 ss. 154 Su questi temi v. per tutti il classico C. MEZZANOTTE, Corte costituzionale e legittimazione politica (1984), rist. Napoli, Ed. Scientifica, 2014. 155 J. ALLARD – A. GARAPON, La mondializzazione dei giudici. Nuova rivoluzione del diritto, Macerata, Liberilibri, 2006. 156 Se si vuole, si è tentato di svolgere un’analisi e sviluppare una tipologia di tecniche in GOLIA, Judicial Review, Foreign Relations and Global Administrative Law, cit. 157 A tal proposito, non ci si può astenere dal domandarsi se, ceteris paribus, la Corte avrebbe adottato la stessa identica soluzione se, invece della RFT, si fosse trattato di un altro Stato. Pur in un quadro normativo di diritto internazionale molto diverso, salta certamente all’occhio la diversa e, se si vuole, più raffinata soluzione adottata dalla Corte nella sent. cd. Regeni di poco successiva (sent. n. 192/2023), in quel frangente, per la verità, aiutata da un’ordinanza di rimessione meno pigra. 158 MORRONE, Bilanciamento (giustizia cost.), cit., 202. 150 151 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023 33 legislativi – che oggi agiscono in modo relativamente disaggregato 159. Non attività di “scoperta” di preesistenti gerarchie normative e assiologiche, co-costitutive di unità politiche, ma loro permanente ricostruzione e ridefinizione al fine della “gestione” di conflitti tra ordinamenti e sistemi di vario genere 160. Si tratta chiaramente di questioni di portata enorme, la cui analisi esula dall’economia delle presenti osservazioni. Tuttavia, si vuole concludere sottolineando ancora come, nella sentenza in commento, le porte non aperte, le strade non prese rivelino almeno quanto quelle effettivamente percorse. Ciò che rimane sullo sfondo, il non detto, mostra ancora una volta che le corti costituzionali, in quanto organismi ibridi – allo stesso tempo giurisdizionali e politici – non proteggono solo dal potere, ma le possibilità stesse di quest’ultimo di organizzarsi, anche nelle relazioni internazionali, nelle forme sempre più fluide che assume la statualità (post)moderna. L’aspirazione, per lo Stato costituzionale contemporaneo, di parlare con una sola, granitica voce nelle relazioni internazionali è diventata irrealistica, e forse nemmeno desiderabile. Ciò che resta alle corti, oggi, per adeguarsi agli ammonimenti di Lord Atkin è, piuttosto, inserirsi un coro di voci quanto più possibile coerenti tra loro e, soprattutto, con i valori positivizzati nella Costituzione. V. ancora SLAUGHTER, Disaggregated Sovereignty, cit.; e, se si vuole, A.JR GOLIA – G. TEUBNER, Networked statehood: an institutionalised self-contradiction in the process of globalisation?, in Trans’l Leg. Theory, 1/2021, 7 ss. 160 R. BIN, A discrezione del giudice. Ordine e disordine: una prospettiva quantistica, Milano, FrancoAngeli, 2014. 159 Osservatorio sulla Corte costituzionale Nomos. Le attualità nel diritto - 3/2023