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  Facoltà di Giurisprudenza Università degli Studî Suor Orsola Benincasa Collana diretta da Lucio d’Alessandro e Vincenzo Omaggio  Comitato scientifico Mariavaleria del Tufo, Francesco De Sanctis, Franco Fichera Tommaso E. Frosini, Lucilla Gatt, Paolo Piscitello Aldo Sandulli, Angelo Scala Ilaria Amelia Caggiano Circolazione del denaro e strumenti di tutela II edizione editoriale scientifica © copyright  Editoriale Scientifica srl via San Biagio dei Librai,   Napoli  ---- nel ricordo di mio padre Nec hoc miror; non est enim in rebus vitium sed in ipso animo. Illud quod paupertatem nobis gravem fecerat et divitias graves fecit. SENECA, Ad Lucilium epistularum moralium libri, II, ,  sommario  . Il denaro: un enigma del diritto privato . Principî di un’(apparente) aporia: il denaro nel diritto e nelle altre scienze umane  . Alla ricerca di una definizione  . La questione terminologica  . Dalle funzioni economiche del denaro alla sua nozione civilistica: gli ambiti di rilevanza per il diritto privato  . Il denaro come bene giuridico  .. Segue. Sul concetto di bene giuridico  .. Segue. La metafora del denaro come bene  . Morfologia del denaro (rinvio)  . La tutela dell’interesse recuperatorio quale ambito della ricerca   . Modelli di circolazione e forme strutturali . Appartenenza, denaro e vicende proprietarie  . Il denaro «bene senza qualità»: sul concetto di fungibilità e di quantità  .. Segue. Beni fungibili ed evoluzione del mercato  . Trasferimenti di denaro e leggi di circolazione  .. Segue. Il denaro come oggetto del contratto  .. Segue. La commixtio nummorum: verso una rilettura possibile  .. Segue. La regola italiana del possesso vale titolo: origini e applicazione  . Le forme smaterializzate di denaro  .. Segue. I trasferimenti monetari in ambiente virtuale  . La prospettiva dell’«equivalenza funzionale»   . Gestioni di denaro e strumenti di tutela . Il denaro come oggetto di gestione: interesse recuperatorio e valore finanziario   sommario . Le gestioni di denaro secondo il diritto comune e secondo il diritto speciale dei mercati finanziari  .. Segue. Gestione e destinazione nella prospettiva dell’autonomia privata: rapporto tra regolamento negoziale e separazione patrimoniale  ... Segue. Condotta (infedele) del gestore e tutela del gerito  .. Segue. La disciplina di diritto speciale dei mercati finanziari e la tutela dell’investitore  . Insufficienza della teoria della mera separazione a fornire adeguata tutela in caso di denaro come oggetto della gestione. Il nodo di fondo: la commixtio nummorum e i limiti derivanti dall’adesione all’opinione dominante  . Opponibilità della destinazione e criterio quantitativo-contabile come soluzione possibile  . La rilevanza del dato contabile e il problema della tracciabilità   . Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law . Le ragioni della comparazione  . La gestione patrimoniale nel diritto anglo-americano: riesame di alcuni dati ermeneutici diffusi  .. Segue. L’infedeltà del trustee: i rimedi reali a tutela del beneficiary e altre forme di privilegio  . Gestione mediante trust: i trust monetari  .. Segue. Costituzione e regolamento  .. Segue. Circolazione  . La tutela del beneficiary come modello rimediale per operazioni commerciali diverse dai trust monetari  . Recupero del denaro (recovery of money) e fallimento (insolvency)  .. Segue. Le regole del tracing: la recente ricostruzione ad opera del Restatement (Third) of Restitution and Unjust Enrichment  . Questioni attuali e profili critici di tutela dell’investitore. Il caso Madoff e i Ponzi schemes   . Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili . Appartenenza, denaro e scelte degli ordinamenti  . Prospettive di analisi economica. L’equitable tracing e il modello di agenzia  . La prospettiva della garanzia patrimoniale, la prospettiva restitutoria e le strategie di salvaguardia dell’appartenenza del denaro   Bibliografia Capitolo primo Il denaro: un enigma del diritto privato . Principî di un’(apparente) aporia: il denaro nel diritto e nelle altre scienze umane. – . Alla ricerca di una definizione. – . La questione terminologica. – . Dalle funzioni economiche del denaro alla sua nozione civilistica: gli ambiti di rilevanza per il diritto privato. – . Il denaro come bene giuridico – .. Segue. Sul concetto di bene giuridico. – .. Segue. La metafora del denaro come bene. – . Morfologia del denaro (rinvio). – . La tutela dell’interesse recuperatorio quale ambito della ricerca. . Principî di un’(apparente) aporia: il denaro nel diritto e nelle altre scienze umane Chiunque esegua un’indagine sugli aspetti giuridici del denaro non può non rilevarne, sin da principio, l’intrinseca complessità. Il denaro si presenta, infatti, per un verso, come un fenomeno talmente radicato nella struttura economico-sociale di ogni società moderna da risultare d’immediata percezione per il lettore, ma al contempo, e proprio per il fatto di caratterizzare così profondamente e pervasivamente i comportamenti del vivere aggregato, di difficile approccio e analisi1. E, così, di frequente accade che, nell’ambito delle rispettive discipline di competenza, filosofi, sociologi, economisti e giuristi debbano far rinvio gli uni agli altri nel tentare definire i contorni e le implicazioni del fenomeno monetario2. 1 F.A. HAYEK, The Constitution of liberty, Chicago, , p.  sostiene che non c’è più sottile ed efficace strumento per distruggere i fondamenti di una società che deprezzarne la moneta. 2 AA.VV., New approaches to monetary theory. Intedisciplinary perspective, a cura di H. Ganssmann, Abingdon-New York, , pp. -; M. MONTEAGUDO, Neutrality of money and central bank independence, in AA.VV., International monetary and financial law. The global crisis, a cura di M. Giovanoli e D. Devos, Oxford, , p.  ss., spec. p. .    Invero, pur nella diversità della prospettiva prescelta, può dirsi che la moneta tenda ad essere esaminata, essenzialmente, in due modi: come istituzione (economica o politica), che è la visuale adottata principalmente dall’economia, dalle scienze filosofiche o sociali, e dal diritto bancario relativamente ai suoi aspetti pubblicistici; ovvero nella prospettiva dei diritti individuali, che è, invece, propria del diritto privato3. Nella prima accezione, la moneta è concepita come istituzione sociale, dalla quale viene fatta dipendere l’esistenza stessa della società, organizzata secondo diritto, ovvero, viene correlata con il bene comune (o la felicità individuale)4. 3 Pur precisandosi che, per il giurista, non può dirsi se lo studio della moneta appartenga maggiormente al diritto privato o a quello pubblico A. NUSSBAUM, Money in the law, Chicago, , p.  s.), ci sembra evidente che la prospettiva che guarda alla moneta come organizzazione politica, o comunque istituzione economica (che costituisce la ratio della legislazione-pubblicistica-monetaria), vada tenuta sullo sfondo anche in uno studio giusprivatistico sul denaro, al fine di valutarne le possibili implicazioni. Si pensi, ad esempio, le teorie sulla sovranità monetaria che in vario modo vengono riprese negli studi privatistici o internazionalprivatistici, al fine di definire quale sia l’oggetto dell’obbligazione pecuniaria. Sulla opportunità, anche in virtù dell’evoluzione dei sistemi di distribuzione della ricchezza nelle moderne economie, di evitare una considerazione meramente giusprivatistica dei debiti di denaro A. DI MAJO, voce Obbligazioni pecuniarie, in Enc. dir., XXIX, Milano, , p.  ss., spec. . 4 Sarebbe arduo compito tentare solo di riferire come la storia della filosofia abbia trattato il tema del denaro. Le riflessioni in proposito attraversano il pensiero antico e moderno e tendono a riguardare tanto la filosofia politica, quanto la morale. Si vedano, tra le opere di filosofia politica, a mero fine di illustrativo e senza alcuna pretesa di esaustività, sulla nascita e le caratteristiche della moneta: U. GROZIO, De jure belli ac pacis, II, p. ; LOCKE, Secondo trattato sul governo, Londra, , §§ -; MONTESQUIEU, De l’esprit de lois, Paris, , XXII, II, pp.  ss.,  ss.,  ss.; Nelle opere sulla morale, invece, il discorso sulla moneta si trova, in diverso modo collegato al tema del giusto. Aristotele (ARISTOTELE, Nicomachean Ethics, nella traduzione in lingua inglese a cura di C. Rowe, Oxford, , V, , b-a) ne parla a proposito della giustizia come reciprocità, definendo il denaro come la condizione per la quale possa realizzarsi l’uguaglianza proporzionale e, quindi, la reciprocità in una comunità di scambio (a). Il tema del denaro può essere associato anche a quello della ricchezza individuale come fattore in grado di incidere o meno sulla felicità. Ma si tratta di una visuale – potrebbe definirsi – di tipo borghese. Si pensi, a mero mo’ d’esempio, al cambio di prospettiva dal modello umano aristotelico (ARISTOTELE, Nicomachean Ethics , I, , a), quello del cittadino ateniese, proprietario terriero e benestante, interessato ad un’efficiente amministrazione della propria casa e al governo della città, a quello della filosofia moderna, presente, invece, in KANT, Critica della ragion pratica, traduzione di Vittorio Mathieu, Bompiani, Milano, , p. , ove la ricchezza è eminentemente monetaria in accordo con il modello borghese ottocentesco. Così, secondo Kant, la felicità (distinta ma correlata alla moralità) deriverà dal possesso di abilità, salute, ric- Il denaro: un enigma del diritto privato Può, altresì, essere considerata una variabile macroeconomica aggregata, oggetto di domanda e offerta5, da cui derivano le scelte di politica monetaria (gli interventi da parte dell’autorità monetaria per variare l’offerta di moneta e regolarne quantità e distribuzione)6. chezza, la cui mancanza (e quindi la povertà) è in grado di indurre a trasgredire il dovere stesso. In epoca più recente, una lettura in chiave sociologica del denaro, che in parte riprende la lezione marxiana, è presente in G. SIMMEL, Filosofia del denaro, trad. it. a cura di A. Cavalli e L. Perucchi, Torino, , teoria già contenuta nei due saggi ora raccolti in ID., Il denaro nella cultura moderna, a cura di Squicciarino, Roma, . Essa guarda al denaro come meccanismo di interazione sociale che simboleggia la società contemporanea in quanto principale fonte di alienazione dell’individuo, per effetto della riduzione dei valori qualitativi in quantitativi. Per una lettura “guidata” al testo di Simmel, si veda G. POGGI, Denaro e modernità, Bologna, . Come si diceva, la filosofia di G. Simmel ricalca nei suoi fondamentali aspetti il pensiero di Carlo Marx (si veda in proposito, K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del , trad. it., a cura di N. Bobbio, Torino, , pp.-, ove vengono sviluppati alcuni temi già comparsi in ID., La questione ebraica, trad. it., Roma, , e che resteranno al centro delle opere successive), il quale considerava l’eliminazione del denaro come l’unico mezzo attraverso cui le relazioni umane potessero riacquistare il proprio senso originario, e tali, quindi, da determinare la felicità dell’individuo. Contra, A. RAND, Atlas Shrugged, New York, . Lo studio del denaro all’interno delle scienze umane trova collocazione, a partire dall’Ottocento, eminentemente dagli studi economici, che rappresenteranno poi il viatico per le altre discipline come il diritto (cfr. paragrafo successivo) o la sociologia (E. ESPOSITO, Future of futures. The time of money in financing and society, Cheltenham Glos, , p.  ss.). Sulle teorie economiche della moneta, cfr. infra nt. . I cenni fin qui forniti in con riguardo ai settori scientifici diversi dal diritto non hanno alcuna pretesa di esaustività. Essi mirano, in base all’economia del presente lavoro, a fornire uno sguardo d’insieme sulle implicazioni portate dallo studio del fenomeno monetario, come fenomeno giuridico. 5 Circa il meccanismo dell’offerta di moneta (da parte di famiglie e sistema bancario complessivamente inteso – banche centrali e istituti di credito –), può fin da ora rilevarsi come la nozione di denaro venga intesa in senso ampio dagli economisti. Infatti, la frazione di essa che va sotto il nome di “circolante” comprende, in ragione dell’identico grado di liquidità, sia la carta-moneta, cioè i biglietti di banca emessi dalla banca centrale, sia la c.d. moneta bancaria, ovvero quella creata dal sistema bancario sulla base dei depositi dei clienti. È opportuno sottolineare tale accezione non sempre si è rivelata corrispondente a quella giuridica. Sulla domanda e offerta di moneta, per una iniziale comprensione, ancora G. STAMMATI, voce Moneta, in Enc. dir., XXVI, Milano, , p.  ss., in part. pp. -. 6 Non può essere questa la sede per affrontare le problematiche connesse alle teorie monetarie, secondo la scienza economica. A fini di un necessario inquadramento, può dirsi, tuttavia, che «il nocciolo della teoria monetaria […] sta nel determinare le leggi che regolano il “valore” della moneta e, reciprocamente, il livello dei prezzi», G. STAMMATI, voce Moneta cit., p. . Su questo problema, l’attenzione degli economisti si è concentrata prevalentemente in età moderna, giungendosi progressivamente a formulare come il sistema monetario incida     Ancora, a questo primo significato attengono le questioni relative a come essa venga creata e da quali soggetti: se (esclusivamente) lo Stato, ovvero, o anche, non sia che la risultante evolutiva di singole scelte individuali. Come noto, la riflessione su questo tema ha da sempre interessato il pensiero politico, filosofico, economico7, fino a giungere ad una sostanziale definizione a partire dal pensiero moderno in termini di sovranità monetaria statale, anche per effetto, dell’uniforme trattamento a livello legislativo8. Tuttasugli equilibri dei rapporti economici sottostanti. La massa di moneta circolante è in grado, quindi, di influenzare i processi economici (i prezzi relativi, i tassi di interesse) non rappresentando soltanto un “velo” (ovvero un dato neutrale rispetto all’economia reale, come riteneva il pensiero economico classico), ma un possibile fattore di sostegno all’econonomia e alla produzione. In questo senso si sono mossi principalmente gli autori della teoria quantitativa della moneta (FISHER, The purchasing power of money, New York, ), in parte fatti proprie ma anche superati dal pensiero keynesiano (KEYNES, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, a cura di T. Cozzi, Torino, ) il quale individua come possano esservi situazioni in cui la politica monetaria non è più in grado di esercitare alcuna influenza sull’economia reale, cioè reddito prodotto, occupazione, consumi (la c.d. trappola della liquidità). In questi casi, solo la fiducia degli operatori (ovvero la propensione marginale al consumo) può, nel pensiero dell’a., incidere sull’economia reale. Il tema di come l’ammontare della massa monetaria circolante possa incidere, quanto meno nel breve – medio periodo, sull’andamento dell’economia è stato ripreso dalla teoria monetarista negli anni Settanta, che ha poi condizionato le politiche economiche dell’ultimo trentennio (per un’efficace sintesi sulla scuola monetarista, si veda B.T. MCCALLUM, voce Monetarism, in The Coincise Encyclopedia of Economics, consultabile all’indirizzo http://www.econlib.org/library/Enc/Monetarism.html). 7 Si vedano, ad esempio, i passi di Aristotele e Platone che definiscono la moneta come un segno convenzionale. Cfr., ARISTOTELE, Etica a Nicomaco, V, , a (in ID. op. cit., p. ) e PLATONE, Repubblica, II, , c. (in ID., La Repubblica, Roma, , p. ). Il riferimento alla “convenzionalità” della moneta, con tale termine intendiamo rappresentare il pensiero dei due filosofi non prendendo posizione all’interno del dibattito circa la contestata traduzione del termine nomos, da cui nomisma - moneta - deriva, sviluppatosi principalmente con riguardo all’opera di Aristotele. Infatti, spesso si è fatto riferimento al filosofo stagirita per giustificare come la moneta sia un prodotto della legge, cioè dello Stato. Si rammenta, tuttavia, come il termine sia stato tradotto anche “prassi”(custom), come, ad esempio, in ARISTOTELE, Nicomachean ethics cit., p. . 8 È ormai indiscusso che il potere di emettere moneta avente corso legale appartenga allo Stato, il quale definisce le caratteristiche fisiche di banconote e moneta e il loro valore (KNAPP, The State theory of money, trad. ingl. a cura di H.M. Lucas-J. Bonar, Londra, ). Questa teoria, che va sotto il nome di teoria statale o cartalista, ha ricevuto uniforme consenso, essendo, peraltro correlata al principio nominalistico, ed è universalmente adottata nelle economie moderne. Cfr. sul punto, F.A. MANN, The legal aspect of money, a ed., Oxford,  (rist. ), p. ; C. PROCTOR, Mann on the legal aspects of money, Oxford, , pp. -, - e -, il quale, tuttavia, l’accetta non incondizionatamente (pp.  - ); NUSSBAUM, Money in the law, cit., Il denaro: un enigma del diritto privato via, non sono mancate in passato obiezioni in proposito9, nonché, più di recente, nuove prospettive sono state offerte dai meccanismi di funzionamento dei mercati finanziari10. p. -. Essa non è stata sconfessata, ma ha, invece, ricevuto conferma con l’adozione della moneta unica europea, per la cui introduzione gli Stati Membri hanno accettato limitazioni nella propria sovranità monetaria, trasferendola in capo alla Unione Europea, che la esercita per il tramite della Banca Centrale Europea e del Sistema Europeo della Banche Centrali – SEBC (art.  () del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – versione consolidata, in G.U. Unione Europea C  del  marzo ). Per una dettagliata analisi delle caratteristiche e delle conseguenze, in termini di sovranità monetaria, dell’adozione della moneta unica europea, si veda PROCTOR, Mann on the legal aspects of money cit., pp. -. 9 Il tema della sovranità monetaria “statale” è stata ritenuta passibile di eccezioni: ad esempio, in caso di situazioni di iperinflazione, in cui la moneta statale «may possibly be destroyed by complete depreciation. In this struggle society will in most cases be stronger than the state» (NUSSBAUM, Money in the law cit., p. ). Essa è stata anche fortemente criticata in ambito economico ove si è sottolineato come sia la fiducia della collettività a determinare cosa sia moneta, in virtù della sua accettabilità (cfr. PROCTOR, Mann on the legal aspects […] cit., p.  s.). I principali rappresentanti di tale teoria (c.d. teoria societaria o societary theory) sono rintracciabili all’interno della c.d. scuola austriaca, a partire dal suo precursore C. MENGER, Sul metodo delle scienze sociali, a cura di R. Cubeddu, trad. F. Monceri, Macerata, , p.  e ID., On the origins of money, in  Economic Journal, , pp. -, che guarda alla moneta come ad una istituzione sorta per via evolutiva, opera pertanto dell’azione umana, ma non del progetto umano, come effetto del progressivo utilizzo di alcune merci per abbattere i costi delle operazioni di scambio, fino alla creazione di un sistema monetario completo; e, quindi, in VON MISES, Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione a cura di L. Berti e R. Bellofiore, Napoli, , il quale, elaborando i risultati di Menger, giunse ad elaborare una complessa teoria che proponeva l’istituzione di un sistema bancario con un coefficiente di cassa del cento per cento per i depositi a vista, e la soppressione dell’emissione di moneta fiduciaria. La rilevanza della teoria di Menger, invero, ha trovato un certo accoglimento anche in ambito giuridico, sebbene poi non abbia ricevuto ulteriore seguito, e può essere presa in considerazione tutt’oggi per spiegare la nascita e il meccanismo di funzionamento della moneta. Cfr., T. ASCARELLI, La moneta, Padova, , spec. p.  e, per un esempio riguardo allo sviluppo delle banconote e delle relative regole di circolazione in Inghilterra nel XVII e XVIII sec., D. FOX, Bona fide purchase and the currency of money, in CLJ, , p. . 10 I recenti cambiamenti che hanno interessato il mercato finanziario e dei traffici commerciali hanno determinato modifiche strutturali nel loro funzionamento tali da mettere in discussione i principi della lex monetae. I fattori di mutamento sono così sintentizzabili: le valute sono diventate oggetto di negoziazioni al pari di merci o di strumenti finanziari; le stesse non possono costituire più criterio di riferimento per misurare il valore di merci e servizi; né le autorità statali sono in grado di controllarne il valore, anche per effetto di pagamenti internazionali via annotazioni contabili che sfuggono al loro controllo Cfr. K. SONO e H. KANDA, In seach of order in the world. Monetary system: state intevention after the decline of the lex monetae, in AA.VV., International monetary and financial law. The global crisis cit., pp. -, ove suggerisce,     Infine, il denaro è considerato una grandezza macro-economica anche se si guarda alla ratio degli interventi volti a contrastare le pratiche di riciclaggio11. Le questioni cui si è, da ultimo, fatto riferimento costituiscono i perni fondamentali della legislazione monetaria internazionale e hanno ricevuto particolare attenzione negli ultimi anni a seguito delle crisi finanziarie che hanno interessato l’economia globale12. quali strumenti per arginare crisi finanziarie e speculazione sulle valute, d’introdurre regolamentazioni circa la libera circolazione di capitali a livello internazionale, ridurre il numero delle principali valute, tornare a far riferimento ad una valuta o unità di conto comune (p.  ss.); A. SÀINZ DE VICUÑA, An instituional theory of money, ibid., pp. -, il quale, invece, sottolineando il declino della teoria statalista della moneta, avanza quella che egli stesso chiama “teoria istituzionale della moneta” (institutional theory of money), la quale fonda l’idea della moneta come istituzione globale, la cui essenza è l’essere un credito (nei confronti di una banca centrale o di banche commerciali) trasferibile, e il cui valore (in termini di potere di acquisto), nonché la stabilità e affidabilità sociale, risiede nel complesso sistema delle banche centrali, che sono ormai organismi indipendenti dagli Stati nazionali. Cfr. infra nt. . 11 Le politiche di prevenzione e repressione al riciclaggio del denaro interessano sia il diritto civile, sia – prevalentemente – il diritto penale. Sul punto, può vedersi, per una prima introduzione, AA.VV., Il riciclaggio del denaro nella legislazione civile e penale, a cura di G. Cortese e V. Santoro, Milano, ; nonché AA.VV., Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, a cura di M. Condemi e F. De Pasquale, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, , n. , p.  ss., in cui viene ricostruito il complesso reticolato di principi, di atti e di norme che contraddistinguono a livello sovranazionale l’attività di prevenzione e contrasto sia del riciclaggio di capitali illeciti sia del finanziamento del terrorismo. Come noto, il fenomeno è stato oggetto, più di recente, di un importante intervento dell’Unione Europea con la direttiva //CE, recepito in Italia con il d.lgs.  novembre , n. , il quale ha potenziato gli obblighi di controllo assegnati a intermediari finanziari e professionisti. Per una rapida ricognizione delle problematiche emergenti dalla legislazione, si veda A. COSSEDDU, Riciclaggio: complessità di un percorso normativo, in Cass. pen., , p.  ss. Infine, deve rilevarsi che le politiche anti-riciclaggio tendono necessariamente a convergere sul piano internazionale, in ragione della globalizzazione dell’economia e della finanza e della impossibilità delle singole autorità nazionali monetarie a controllare ritmi e modalità di espansione. Sul punto, si veda Aa.Vv., Anti-money laudering: international law and practice, a cura di Muller-Kälin-Goldsworth, Chichester West-Sussex, . 12 AA.VV., International monetary law. Issues for the new millenium, a cura di M. Giovanoli, Oxford,  (il testo, come si sottolinea nelle premesse, mirava appunto a colmare la carenza nella letteratura sul diritto monetario internazionale) e AA.VV., International monetary and financial law. The global crisis, a cura di M. Giovanoli e D. Devos, Oxford, . A mero scopo didascalico, si rammenta che tra le principali cause che hanno determinato la crisi finanziaria mondiale sono da annoverarsi: l’accumularsi delle tensioni inflazionistiche, dovute all’impennata nei prezzi delle materie energetiche; lo scoppio della bolla immobiliare connessa alla conces- Il denaro: un enigma del diritto privato Si assiste, infatti, a vicende che hanno riproposto, ad esempio, problematiche di liquidità monetaria nei mercati globali, cui si è tentato di rispondere, anche da un punto di vista giuridico, suggerendo soluzioni anche alquanto eterodosse13-14. L’iniziale prospettazione di tali questioni costituisce lo sfondo critico entro il quale collocare le problematiche che la circolazione del denaro – moneta solleva nei rapporti giuridici tra privati15. Accediamo, per tale via, al secondo significato del denaro nell’ambito delle scienze umane: quello di oggetto delle relazioni economiche tra singoli, che diventa, per il diritto, la prospettiva dell’autonomia privata. Quest’ultima conduce a considerare quali siano i diritti e le tutele per il singolo quando spende denaro, o più specificamente, se si guarda alle possibili aree del diritto privato interessate, ad esempio, all’utilizzo di denaro come mezzo di pasione negli Stati Uniti dei mutui c.d. sub-prime (cioè concessi ad una clientela ad alto rischio di non solvibilità) e la diffusione sul mercato finanziario mondiale dei connessi crediti vantati dalle banche attraverso le cartolarizzazioni degli stessi (la c.d. finanza strutturata). Gli intermediari hanno così subito ingenti perdite, generatesi nel momento in cui i mutuatari si sono rivelati non in grado pagare i ratei, con tassi crescenti, dei contratti sottoscritti, aggravatesi per effetto del deprezzamento dei titoli collegati ai mutui sub-prime, e per il ritiro dei depositi. Per tali ragioni le banche centrali sono state costrette ad immettere liquidità nel sistema, al fine di evitarne il collasso. Cfr. R. A. POSNER, A failure of capitalism: the crisis of ‘ and the descent into depression, Cambridge (Mass.), . 13 A. SÀINZ DE VICUÑA, An institutional theory of money, in AA.VV., International monetary and financial law op. cit., pp. -, in cui vengono analizzati i principali interventi adottati dalle banche centrali, governi, organismi internazionali (G-, Commissione di Basilea) principalmente per far fronte alla crisi di liquidità spiegatasi a partire dall’agosto  (si veda anche per ulteriore bibliografia, circa le cause della crisi i documenti ufficiali citati a p. , nt. ). I dati emergenti dalla crisi finanziaria e le misure adottate per contrastarla vengono letti dall’a. come una conferma della teoria prospettata: cioè, che la moneta sia ormai esclusivamente un credito nei confronti del sistema bancario, il quale mira a (e deve, per la sua sussistenza) garantirne, in termini di fiducia presso il pubblico, le classiche funzioni (mezzo di scambio, riserva di valore). 14 Cfr. J. H. DE SOTO, Money, bank credit and economic cycles, Auburn, , p.  ss. ove si propone, onde evitare inevitabili e cicliche crisi finanziarie, riprendendo in vario modo il pensiero di Von Mises e Hayek della scuola austriaca, il ritorno ad un sistema di riserva liquida del % in capo agli istituti di credito e l’abolizione delle banche centrali come prestatori di ultima istanza; nonché M. AMATO E L. FANTACCI, Fine della finanza, Roma, , che propongono invece la creazione di una moneta internazionale, e l’abolizione dei tassi d’interesse (ovvero, la fine della c.d. moneta-merce). 15 Sulla distinzione tra denaro e moneta, si veda infra par. .     gamento in senso stretto (che è il settore delle obbligazioni pecuniarie) o all’impiego di denaro in funzione, in senso ampio, di riserva di liquidità, ovvero di conservazione/incremento di valore (che risponde alla logica dell’appartenenza). Quest’ultimo ambito, che è quello cui principalmente si guarderà nel corso del presente lavoro, trova un primo inquadramento se si guarda alle crisi, cui si è precedentemente fatto cenno, che negli ultimi decenni hanno in vario modo interessato i mercati finanziari e hanno esposto i privati (nella veste, ad esempio, di investitori retail) ad ingenti perdite. Il policy problem che ci si pone è, in altri termini, quale siano i rimedi, non confinati all’area del contratto, che l’ordinamento riconosce in casi simili: se cioè possa prospettarsi una qualche forma di tutela reale. Ebbene, quest’ottica richiama la necessità di valutare più in generale la concezione del denaro nella prospettiva del diritto privato, verificando, altresì, come i processi tecnologici ed lo sviluppo economico possano aver sollecitato nuove richieste di tutela e in che modo queste siano in grado di incidere sui tradizionali paradigmi relativi al denaro nel diritto privato16. È bene anticipare, in questa iniziale presentazione del problema, che le questioni proposte o le soluzioni fornite in ambito giuridico tendono a presentarsi diverse rispetto a quelle offerte dalla scienza economica. Alcuni esempi possono aiutare a chiarire tali differenze. Come si è visto, è ben chiaro agli economisti che la moneta rappresenti un bene (o una merce), in quanto oggetto di scambi e, sul piano macroeconomico, in grado di condizionare l’andamento dell’economia reale17. Analogamente, ad esempio, a quanto sì è visto per le concezioni sulla moneta. Cfr. supra nt. . 17 Cfr. in proposito, supra, ntt.  e . Nello stesso senso, PROCTOR, Mann on the legal aspect of money cit., p. , nt. . Più specificamente, sul denaro come oggetto esso stesso di scambi (subject matter of trade) si veda K. SONO e H. KANDA, In search of order in the world. Monetary system cit., p.  s. ove si evidenzia come il sistema di tasso di cambio variabile tra le valute, unitamente alla liberalizzazione dei movimenti di capitali e alla informatizzazione dei trasferimenti monetari (sottratti ai controlli delle banche centrali e delle autorità monetarie), abbia determinato che nel mercato finanziario globale il mercato le valute vengano scambiate in maniera ormai analoga a beni e strumenti finanziari. Ciò, nel pensiero degli aa., ha ridotto significativamente la capacità delle valute a fungere da misura di valore attendibile, e rappresenta una delle cause principali del proliferare di strumenti di hedging (hedge funds), che, sorti con l’intento di arginare la volatilità delle valute, si sono rivelati invece fattori di aumento di tale volatilità. 16 Il denaro: un enigma del diritto privato Tale affermazione non appare, prima facie, aderente alla prospettiva del diritto privato. Il denaro – lo si vedrà meglio in seguito – nella dinamica delle relazioni economiche singolarmente considerate, è principalmente strumento di scambio, recte mezzo di pagamento. Tuttavia, dal punto di vista giuridico e in via di principio, quando opera in questa veste, è escluso che esso possa costituire oggetto del contratto, ovvero, non avendo un valore intrinseco, che possa essere considerato un bene (nel senso di merce, cioè di commodity)18. Invero, questa logica tende a cogliere, più da vicino, sia la funzione essenziale di mezzo (non oggetto) di scambio, cioè di strumento volto ad ottenere quei beni o servizi che integrano e più profondamente qualificano l’oggetto del contratto, sia le attuali caratteristiche strutturali della moneta, la quale non ha altro valore se non quello nominale espresso dal suo numerario. All’interno di questo quadro, deve, tuttavia, precisarsi che la visione del denaro come merce non sia del tutto peregrina per il diritto. Tutti i sistemi giuridici prevedono, infatti, schemi contrattuali che storicamente hanno tratto origine dalla concezione denaro come merce. Facciamo riferimento ai contratti di prestito di denaro ad interesse, in cui il denaro è inteso come oggetto del contratto19. 18 PROCTOR, Mann on the legal aspect of money cit., p.  s. nonché pp. - e -; NUSMoney in the law cit., pp. -; ASCARELLI, La moneta cit., p. . Contra la risalente posizione della dottrina francese MATER, Traité juiridique de la monnaie et du change, Paris, , p. . Sono, ovviamente, fatti salvi i casi in cui lo scambio guardi alla moneta come ad un oggetto in ragione, ad esempio, della sua rarità, per interessi numismatici, o in altre ipotesi di scarsa ricorrenza. Secondo parte della dottrina, questa costituirebbe l’unica possibilità per la moneta di essere oggetto del contratto. Cfr. PROCTOR, Mann on the legal aspect […] cit., p.  ss., contrariamente a quanto affermato nella quinta edizione del volume dallo stesso Mann che vi aveva ricompreso le ipotesi di contratti di scambio di valute estere (diversi dall’ipotesi in cui la valuta estera rappresenti semplicemente il mezzo di pagamento). In proposito, cfr. MANN, The legal aspect of money cit., pp. -; in senso analogo, NUSSBAUM, Money in the law cit., pp. -, che qualifica l’operazione come una vendita (speciale, cioè, derogatoria rispetto alla disciplina legale) ed esclude che la valuta estera sia soggetta a principi come il bona fide purchase (cfr. infra p.), nonché M. BRINDLE e R. COX, Law of bank payments, a ed., London (Sweet & Maxwell), , pp. -, i quali, sottolineando come tale ambito non necessariamente coincida con quello di tutti i contratti di swap, sostengono che negare, in tali casi, il valore di merce, comporterebbe l’operatività di meccanismi compensativi, contrari alla funzione del contratto, che è quella di rendere disponibile, per ciascuna parte, l’ammontare “lordo” della valuta, in modo da consentirle di soddisfare altre obbligazioni espresse in quella valuta. 19 Cfr. A. DI MAJO, Le obbligazioni pecuniarie, Torino, , p.  ss. SBAUM,     Ora, sia la derivazione storica di tali contratti da quelli di prestito di altri beni fungibili (ad es. grano, vino), sia la stessa previsione, per lungo tempo negata, della produzione di un interesse correlato alla mancata disponibilità del denaro, affondano le proprie radici in una concezione “reale” del denaro, come bene in senso economico, in sé commerciabile, che si traduceva in un’assimilazione anche come bene in senso giuridico20. Tale corrispondenza tra nozione economica e giuridica non sembra più trovare luogo, oggi, in conseguenza di una serie di fattori, tra cui21: le mutate caratteristiche strutturali dell’oggetto del trasferimento del tutto privo di un sostrato corporale, come nel caso dei crediti vantati verso istituti bancari (elemento estrinseco); il meccanismo che determina il funzionamento del sistema monetario internazionale in cui la moneta in sé non è più rap- 20 Quanto al primo aspetto, esso riposa su una concezione metallistica – o, del denaro inteso come merce – come sottolineato da ASCARELLI, La moneta cit., p.  e NUSSBAUM, Money in the law cit., pp. - e pp. -. Quanto al secondo profilo, la c.d. concezione “reale” del denaro si spiega con la previsione di un tasso d’interesse sul denaro prestato. Ora, l’interesse maturantesi sul denaro dato a mutuo è stato inteso, alternativamente, come: frutto del bene stesso; ovvero, più correttamente, corrispettivo dell’utilità che ne trae il mutuatario (Genovesi, Locke – quest’ultimo parla del denaro come “an universal commodity”); o ancora, come frutto del bene acquistato al denaro, così negando al denaro la qualità di merce, ma di sola ricchezza (Quesnay, e il resto della scuola fisiocratica). La tesi avanzate da Locke, Pufendorf, Genovesi, Montesquieu verranno poi più sviluppate dalla scuola fisiocratica (Turgot), che ricollegherà la produzione dell’interesse, in termini espliciti, alla disposizione della proprietà del bene denaro, che è bene giuridico in quanto possibile oggetto di contratti. Sul punto, più ampiamente, cfr. U. PETRONIO, Il denaro è una merce. Il prestito a interesse tra fisiocrazia e codificazione, in Riv. dir. comm., , I, p.  ss., spec. pp. -, ove si analizzano le discussioni politiche e giuridiche che portarono alla previsione del prestito ad interesse, legale e convenzionale, nel code civil francese (artt. , ). Ma sull’idea del denaro come merce avanzata dai fisiocratici, che poi l’a. francese Mater ha provato a trasporre in ambito giuridico, come concetto soltanto economico, ASCARELLI, La moneta cit., p. . 21 Quanto preme rilevare nel testo è cosa sia denaro, da un punto di vista analitico, e come esso possa essere inquadrato nelle relazioni giuridiche tra privati. Essendo la moneta una creatura del diritto (nel senso di non esistere in natura prima della creazione da parte dello Stato o comunque di una comunità organizzata che decida di utilizzarla), cosa costituisce denaro e come esso viene “prodotto” sono delle variabili storicamente definibili. Attesa, quindi, la variabilità della nozione, possiamo indicare, in particolare, come dato intrinseco il complesso di regole e meccanismi che presiedono alla creazione della moneta in un dato sistema e che ne definiscono le caratteristiche essenziali, e, quale dato estrinseco, gli strumenti che costituiscono moneta (cioè utilizzati nella circolazione). Il denaro: un enigma del diritto privato portabile al valore di nessun’altra merce (ad es. l’oro), e infine l’affermazione del principio nominalistico22 (elementi “intrinseci”). A nostro modo di vedere, tuttavia, lo scollamento che, per la parte relativa dell’evoluzione delle forme monetarie, si è verificato tra la concezione economica e giuridica di moneta in questo ambito sembra dipendere dalla lentezza nell’adattamento della forma giuridica alla sostanza economica dei rapporti tra privati23. Pur nella presa d’atto di tali risultati, ci sembra opportuno, in questa fase introduttiva, evidenziare come l’idea del denaro quale bene in sé patrimonialmente rilevante e “fruttifero” abbia rilevanza, anche giuridica. L’altro punto cruciale su cui, per lungo tempo, diritto ed economia hanno assunto visioni contrapposte è rappresentato dall’individuazione di cosa sia moneta. Come si è visto, in ambito economico, essa comprende tanto i pezzi monetari (banconote e monete divisionarie) quanto i depositi bancari24. Dal canto suo, la dottrina giuridica, solo dopo resistente riluttanza, ha accettato tale accezione estensiva, fino, in alcune recenti teorie, a ritenere la prospettiva completamente capovolta25. Sul principio nominalistico, la cui essenza consiste «in the arithmetical relationship of a given money to the pertinent ideal unit (dollar , franc, etc.)» e per cui essendo «the name (“nomen”) of a money […] irrelevant […] It would, perhaps, be more accurate to employ the term “numeralism” rather than “nominalism”» (NUSSBAUM, Money in the law, p.  s.), si veda, più approfonditamente infra ntt. - e testo corrispondente. 23 L’opportunità dell’adeguamento degli istituti giuridici alla realtà economica cui si è fatto cenno nel testo mira a interpretare la necessaria istanza formalistica del diritto in quanto forma della realtà sociale. Su un diverso piano si colloca invece il dibattito relativo ai rapporti tra i differenti settori del sapere (il diritto, l’economia) all’egemonismo culturale della scienza economica rispetto a quella giuridica e su cui più ampiamente infra nt. . Come si vedrà, tale percorso di “adeguamento” è stato compiuto nella dottrina delle obbligazioni pecuniarie del concetto giuridico di moneta. «Whether a particular asset or instrument constitutes “money” in the sense that it can be used as a means of payment must be determined on a case-by-case basis and may in part depend upon changes in banking practice and technological developments […]» PROCTOR, Mann on the legal aspect cit., p. . 24 Cfr. supra nt. . 25 A. SÀINZ DE VICUÑA, An instituional theory of money cit., p. : «[…] the  to  financial crisis has confirmed […] that money is no more than credit against an obligor, whose acceptance as a store of value and as a means of payment by the public is dependent on a comprehensive legal framework that ensures stable purchasing power, its availability even in times 22     Per lungo tempo si è, invece, ritenuto che il denaro in senso giuridico potesse identificarsi soltanto con dei pezzi monetari in forma di cose corporali, cioè con banconote e moneta metallica divisionaria26. Tra le ragioni principali di tale impostazione vi era l’adesione alla teoria statalista della moneta, secondo cui è moneta solo ciò che lo Stato definisce e, quindi, crea – e materialmente conia – come tale. Come si è visto, la teoria statalista va rivisitata, alla luce di una serie di mutamenti che hanno interessato i processi e i soggetti che presiedono alla produzione di moneta, nonché dei concreti strumenti attualmente utilizzati per i trasferimenti di denaro e nei mercati finanziari27. Ciò, comporta che, nella parte in cui tale formulazione si riferiva alla materiale emissione o conio di moneta da parte dello Stato, essa non possa essere più accettata28. Di conseguenza, il concetto giuridico di moneta va esteso a ricomprendere anche le disponibilità monetarie circolanti attraverso strumenti (assegni, trasferimenti elettronici di fondi) che non sono creati da un organismo pubblico ma da istituzioni private29. of banking stress, and its functional capability to settle monetary obligations. It is no longer a chattel, but a transferable credit within an overall institutional legal framework» (corsivo nostro). 26 Tra le più recenti e autorevoli affermazioni ancora in questo senso, MANN, The legal aspect of money cit., p.  ss. 27 Cfr. supra nt.  s. Va, in aggiunta a quanto già esposto in quella sede, che già negli anni Settanta la Scuola Austriaca aveva proposto che la creazione di moneta fosse sottratta al monopolio degli Stati, ed invece fosse trasferita alla competizione tra banche private (come per qualsiasi impresa fornitrice di beni o servizi), le quali avrebbero dovuto concorrere non in relazione a valute aventi corso legale, ma a valute, anche plurime, definite dalle dinamiche del mercato bancario. Cfr. F.A. HAYEK, Denationalisation of Money, a ed., London, , pp.  ss. e  ss. 28 Lo Stato e le banche centrali continuano a rivestire invece un ruolo assoluto nella definizione del diritto monetario e della moneta come unità di conto, ma non possono ormai limitare né la definizione di moneta né direttamente limitare l’ammontare di moneta in circolazione. Sulla funzione di moneta come unità di conto, cfr. infra p.  ss. 29 PROCTOR, Mann on the legal aspect cit., pp.  ss. e  ss. Potrebbe, di conseguenza, dirsi che la nozione di moneta tenda sempre più a perdere una forte caratterizzazione pubblicistica. In questo senso, l’adattamento della concezione statalista della moneta sia interessa l’effettiva allocazione dei poteri tradizionalmente dello Stato in capo ad altri organismi pubblici (ad es. le banche centrali, cfr. supra nt. ), sia, nell’ottica del diritto privato, sia si manifesta come erosione dei poteri pubblici e del terreno conquistato dall’autonomia privata nel definire cosa sia moneta. Va segnalato, infine, che, posta la differenza indicata nel testo tra cosa costituisca moneta per l’economia e per il diritto, le prospettive assunte dall’una e dall’altra scienza sono par- Il denaro: un enigma del diritto privato Tale lettura evolutiva del concetto di moneta non rappresenta meramente lo sviluppo nel pensiero nella scienza giuridica. Esso è maturato, in verità, nella c.d. law in action – per usare la ben nota espressione di Roscoe Pound –, ovvero nella prassi negoziale costante nel settore dei pagamenti, poi recepita, dalla giurisprudenza – anche italiana – nel ridefinire i criteri dell’esatto adempimento30. Appare evidente, da quanto finora rapidamente scorso, che, appaia particolarmente difficile cogliere un significato generale di moneta31. Allo stesso tempo, ci sembra irrealistico confinare i dati rilevanti di un oggetto di analisi comune al sapere economico e giuridico in dipartimenti separati, ma che invece, secondo la prospettiva del diritto, non si possa prescindere da come la moneta si evolve nella realtà e viene recepita nella scienza economica32. zialmente diverse. La macro-economia tende, infatti, a calcolare l’ammontare di moneta esistente in un dato periodo e territorio, mentre il diritto privato come diritto dell’obbligazione pecuniaria, riferendosi all’atto dello scambio, tende ad analizzare gli strumenti utilizzati nella circolazione, tra cui, appunto, gli assegni e le carte di credito o di debito. Ne deriva che, mentre nel primo caso sono rilevanti la “quantità” di moneta circolante e la somma dei depositi presso le banche o altri istituti, nel secondo assumono rilievo gli strumenti (variabili e molteplici) rappresentativi del denaro presso gli istituti bancari o altri istituti. Il punto di contatto tra le due prospettive si coglie anche in PROCTOR, Mann on the legal aspect […] cit., p. : «It would follow that a bank deposit could be regarded as “money” in the legal sense because payment by means of a bank transfer is now a widely accepted medium of payment; as has been shown, a bank deposit is not disqualified as “money” merely because it represents a debt obligation of a private institution». 30 Nel primo senso è evidentemente la lettura di PROCTOR, Mann on legal aspect cit., p.  s. Sull’evoluzione, nel diritto italiano, del sistema dei pagamenti cfr. infra p.  ss. 31 Ciò, avviene, ovviamente, a livello più generale, ma con diversi gradi di intensità per tutti i concetti o fenomeni che siano oggetto di studio da parte di più discipline. Si pensi, solo a mo’ d’esempio, alla diversità di significato che il termine “positivismo” assume nei diversi saperi. 32 In questo senso K. OLIVECRONA, The problem of monetary unit, New York (MacMillan), , pp. -, contestando l’opposta idea (che si tratti, cioè, di scienze in grado di poter astrarre l’una dai dati rilevanti per l’altra) come “metafisica”. Avere una nozione di moneta più restrittiva di quella economica significa infatti solo che «legal science has not caught up with the development of the institution of money; it does not in any way warrant the assertion that money is not the same thing in law as in economics» (p.  s.). Va chiarito, ovviamente, come l’aderenza al dato reale che qui si sottolinea non voglia significare l’adesione a teorie realistiche del diritto (di cui è esponente il teorico scandinavo), come pure il riferimento alla scienza economica non implichi l’adesione a particolari approcci alternativi allo studio del diritto, ma solo     Sulla base di questa premessa, si può provare a meglio definire cosa sia denaro – moneta per il diritto privato. . Alla ricerca di una definizione La situazione iniziale, da cui muovere, potrebbe essere quella di provare a dare una definizione dell’oggetto dell’indagine che fornisca un concetto di sintesi del dato giuridico33. Ciò significa, in altre parole, rintracciare un termine complesso o una locuzione che sia in grado di spiegare ciò che è denaro o ciò che significa la parola denaro (o moneta) all’interno di uno o più sistemi giuridici34. una prospettiva aperta ad altri saperi. Chiarisce, in proposito, D. W. VICK, Interdisciplinarity and the Discipline of Law, in  J. Law Soc., , pp. -, spec. p.  s. che la ricerca giuridica di tipo interdisciplinare può essere condotta, principalmente, in due modi: avvalendosi anche dei risultati raggiunti in altre discipline, utilizzandoli quali informazioni, per rispondere a domande che sono proprie del metodo giuridico; ovvero, applicando la metodologia di una scienza diversa. Nel secondo caso si entrerebbe nel campo di quegli orientamenti del pensiero giuridico che vanno sotto il nome di law and… (economics, finance, etc.) e su cui infra p. , nonché cap. IV nt. . Al primo senso, ci sembra di poter accedere, nel corso di questa prima parte del presente lavoro al fine di poter meglio cogliere l’essenza del fenomeno monetario. Si precisa, inoltre, come, con specifico riguardo al denaro, l’idea che l’analisi filosofica e concettuale del denaro possa aprire a nuove visuali sul diritto monetario è assunto autorevolmente da NUSSBAUM, Money in the law cit., p.  nt.  (con riguardo all’idea di moneta come simbolo presente in Simmel). 33 Sul ruolo delle definizioni nel linguaggio giuridico, uno dei fondamentali scritti in proposito resta A. BELVEDERE, M. JORI e L. LANTELLA, Definizioni giuridiche e ideologie, Milano, , ove, dopo aver fornito la griglia dei concetti e dei problemi coinvolti, attingendo agli ambiti filosofico e di teoria generale (il chiarimento e la classificazione dei concetti di definizione, discorso giuridico, ideologia), viene offerta una complessa analisi critica delle problematiche connesse alle definizioni in ambito giuridico. Si critica, ad esempio, il tradizionale atteggiamento della dottrina giuridica italiana, contrario alla legittimità/opportunità delle definizioni giuridiche da parte del legislatore, e favorevole, invece, all’esclusivo ruolo dell’interprete in proposito. Su quest’ultimo punto, cfr. p.  ss., spec. p.  s. Sulla necessaria elasticità nell’approccio alla questione delle definizioni (nominali) anche nel discorso giuridico dottrinale (esegetico), cfr. pp. -. 34 Non è possibile addentrarsi nei possibili tipi di definizioni giuridiche che possono darsi di un termine giuridico o di un istituto. In via di generale approssimazione può dirsi che, seguendo la tradizione aristotelica, esistono due fondamentali tipi di definizioni: quella nominale che spiega il senso di un termine nel suo uso comune (anche all’interno di un linguaggio artificiale come il diritto); quella reale, che esprime la natura della cosa stessa, e che, normalmente si avvale dell’utilizzo dei predicati del genus proximum e della differentia specifica. Cfr. Il denaro: un enigma del diritto privato Già questo tentativo, se lo si analizza più da vicino, mette in luce una moltitudine di significati e la sfuggevolezza del relativo concetto35. Si è sostenuto, allora, che l’unica definizione possibile di moneta (come unità di conto) sarebbe quella di “nullità” (nothingness)36; che si tratterebbe di un mero simbolo37; ovvero, ci si è interrogati sulla stessa utilità di darne una precisa definizione, finendo per concludere che gran parte del dibattito su cosa sia moneta per il diritto si riveli alquanto sterile e porti con sé ben poche implicazioni per i diritti dei soggetti coinvolti negli atti (di scambio) che lo riguardano. Da ciò deriverebbe che il pagamento, e non il denaro, possa utilmente costituire oggetto della riflessione giuridica, e, che quindi quest’ultimo rilevi per il diritto unicamente quale oggetto della prestazione pecuniaria38. AA.VV., Dizionario filosofico a cura di V. Miano, voce Definizione, Torino, , pp. -. In senso contrario all’utilizzo delle definizioni reali in ambito giuridico, per le loro implicazioni ideologiche, BELVEDERE in BELVEDERE-JORI-LANTELLA, Definizioni giuridiche e ideologie cit., p.  ss. 35 La difficoltà di esprimere in un enunciato di sintesi la natura del denaro, per effetto della molteplicità dei suoi utilizzi, è colta nel ben noto passo di F.A. MANN nella ultima edizione da lui curata del testo The legal aspect of money a ed. cit., p. , ove si chiede cosa sia moneta: «It is a fundamental notion not only of the economic life of mankind but also of all departments of law […] such as debt, damages, value, payment, price, capital interest, tax, pecuniary legacy. Money is a term so frequently used and of such importance that one is apt to overlook its inherent difficulties, and to forget that the multitude of its functions has led to a multitude of meanings». Per altro, come ben ammonisce il Belvedere in BELVEDERE, JORI e LANTELLA, Definizioni giuridiche e ideologie cit., p.  s. (pur riferendosi a definizioni relative ad singoli corpus normativi), non può essere la pluralità di significati ad impedire all’interprete la possibilità di una definizione, giacché tale atteggiamento implicherebbe una portata “cristallizzante” delle soluzioni raggiunte nella definizione. Si veda, sul punto, anche JORI, ibidem, p.  ss., il quale chiarisce come tale atteggiamento si spieghi in virtù dell’abituale identificazione del problema delle definizioni con quello della costruzione dei concetti, e della conseguente ascrizione delle definizioni ai concetti sistematici e classificatori. 36 OLIVECRONA, The problem of the monetary unit cit., p.  ss. L’autore, avendo puntualmente criticato tutte le possibili definizioni di unità monetaria (che egli distingue dalla moneta intesa come mezzo di pagamento), conclude affermando che la parola «denotes something, though we are unable to say what», che essa renda «psychologically possible to count numbers of monetary units. But in reality the something is nothing». L’autore procede sostenendo che, attraverso l’artifizio del diritto, però, si supera quella che sarebbe la conseguenza logica per cui pagare un debito equivarrebbe a pagare nulla. Il diritto prevede, infatti, fornendo elementi rappresentativi della moneta, che il pagamento del debito corrisponda ad una comportamento attivo del debitore (ad es. la consegna di “qualcosa”, carta-moneta, assegni, etc.). 37 SIMMEL, Filosofia del denaro cit., pp. - e passim. 38 È opinione diffusa che l’esclusiva preoccupazione del giurista per l’adempimento     Come si vedrà meglio successivamente, in verità, se si ha riguardo alle funzioni che il denaro svolge (definizione funzionale) è, invece, possibile ottenere informazioni sostanziali e accedere a più concreti campi di analisi (agli istituti giuridici coinvolti)39. In verità, fatto che la moneta non si presti ad una definizione unitaria che possa dirsi esaustiva ci sembra un falso problema, poiché comporta semplicemente che non è possibile renderne il significato in un unico enunciato40, e che, con tutta probabilità, non è possibile elaborarne un unico concetto giuridico – sistematico41. L’utilizzo del denaro attraversa trasversalmente una serie di istituti: rappresentandone l’oggetto, ad esempio, nei trasferimenti di denaro a vario titolo – gratuito, oneroso – nella responsabilità patrimoniale; ovvero costituendone il presupposto (come nel caso della dell’obbligazione tenda a ridurre l’importanza del denaro come «concetto giuridico indipendente», acquistando invece primaria importanza quello del pagamento. Cfr. PROCTOR, Mann on the legal aspects of money cit., p. , nt. ; VON MISES, Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione cit., p.  ss. e GOODE, Commercial law, Oxford, , p. ; ID., Payment obligation in commercial and financial transactions, London, , pp. -. Anche la letteratura giuridica in Italia si è più di frequente soffermata sulla tematica dell’obbligazione pecuniaria, anche al fine di valutare la compatibilità delle nuove «forme virtuali» con i criteri dell’esatto adempimento. Tra le opere più rilevanti, che pure affrontano incidentalmente il concetto giuridico di denaro, possono vedersi: G.F. CAMPOBASSO, Bancogiro e moneta scritturale, Bari, ; A. DI MAJO, Le obbligazioni pecuniarie cit.; FARENGA, La moneta bancaria, Torino, ; SCIARRONE ALIBRANDI, L’interposizione della banca nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, Milano, ; S. MARTUCCELLI, Obbligazioni pecuniarie e pagamento virtuale, Milano, ; LEMME, Moneta scritturale e moneta elettronica, Torino, ; AA.VV., La moneta elettronica, profili giuridici e problematiche applicative, a cura di Sica, Stanzione e Zeno-Zencovich, Milano, . 39 Ci sentiamo di condividere la posizione di J. DASH nella sua recensione (non titolata) al testo di OLIVECRONA, The problem of monetary unit, in  Amer. J. Comp. Law, pp. -, ove si contesta che le definizioni funzionali siano necessariamente “circolari” (usando il lessico di Olivecrona, p. ). Una tale posizione, infatti, finisce con il confinare l’unica possibilità definitoria (scientifica, secondo Olivecrona) all’utilizzo dei criteri del genus proximum e della differentia specifica. Vi è da aggiungere, inoltre, che una definizione funzionale che specifichi il definiens e non si riduca ad un idem per idem non può dirsi tautologica. Sulle definizioni funzionali, cfr. BELVEDERE, JORI e LANTELLA, Definizioni giuridiche e ideologie cit., pp.  ss. e  ss. 40 Ribadiamo che ciò si identifica con l’impossibilità di una definizione in termini di genus e differentia (altamente improbabile dato che il denaro, innanzitutto, non è un fenomeno facilmente ascrivibile ad un genus), e che, in ogni caso, anche una definizione di tal fatta non sarebbe in grado di intercettarne poi tutte le implicazioni. 41 Sul denaro, come concetto normativo in grado di fornire una sintesi della normativa esistente, relativamente alle obbligazioni pecuniarie, cfr. infra p.  s. nt.  s. Il denaro: un enigma del diritto privato collazione – art.  c.c. – o della rescissione per lesione – art.  c.c.). Ora, dall’unico corpus sistematico di norme – quello delle obbligazioni pecuniarie – è possibile cogliere alcune, ma non tutte le, implicazioni del fenomeno monetario. In questo senso si può comprendere, tuttavia, perché il denaro in senso giuridico rilevi principalmente come diritto dei pagamenti. Tenuto conto di ciò, proviamo a sottolineare alcune di quelle “proprietà essenziali” in grado di fornire un migliore inquadramento delle problematiche che andremo ad affrontare, nella consapevolezza che si tratta di alcuni soltanto dei significati possibili42. In fondo in ciò risiede l’utilità e l’opportunità di una discussione sulla concezione giuridica del denaro, attuata via la ricerca di una definizione: nel ruolo razionalizzante per identificare i valori e gli interessi valutati dal diritto positivo come meritevoli di protezione connessi agli impieghi di denaro. Abbiamo in precedenza introdotto alcune delle questioni che si pongono con riguardo alla moneta distinguendo secondo che venga vista come istituzione ovvero come oggetto di rapporti privati. In realtà, questa distinzione si attesta ancora su un piano meramente descrittivo. Ciò che, invece, può essere più illuminante è la distinzione tra il concetto astratto di denaro e le sue manifestazioni fenomeniche concrete43. Essa corrisponde alla già accennata differenza tra dato intrinseco e dato estrinseco44, e prova a classificare da un punto di vista strutturale le caratteristiche del denaro. Sebbene si tratti di aspetti correlati nell’esperienza storica e nello sviluppo giuridico, appare evidente che altro è individuare cosa venga utilizzato come, o cosa costituisca, denaro in un dato sistema (metalli preziosi, 42 Come afferma il Di Majo, infatti, «Una considerazione del denaro sub specie della obbligazione che lo ha per oggetto non pretende […] d’essere l’unica giacché […] tra le varie funzioni giuridiche del denaro e/o moneta si iscrive non solo quella del danaro quale mezzo di pagamento ma altresì quella del danaro quale strumento di valutazione di beni ai fini più diversi […], e, infine, quella del danaro quale oggetto di proprietà di altri diritti reali». A. DI MAJO, voce Obbligazioni pecuniarie cit., p. . 43 MANN, Legal aspect of money cit., p. , chiarisce che vi è differenza tra denaro, inteso nei suoi caratteri fisionomici (money in its concrete form) e il suo concetto astratto (the abstract conception of money). Nel primo caso la domanda da porsi è: «What are the characteristics in virtue of which a thing is called money?»; riguardo al secondo, invece, «what is the intrinsic nature of the phenomenon described by the word ‘money’?». 44 Cfr. supra nt. .     carta-moneta, crediti presso istituti bancari, e con riguardo a questi ultimi, gli strumenti attraverso i quali essi circolano – plastic cards, bits, etc.); altro, invece, definirne le caratteristiche essenziali, le quali possono cogliersi comprendendo le funzioni svolte e i meccanismi di produzione. Con riguardo al primo profilo, si potrà quindi valutare se i pezzi monetari in un determinato periodo storico abbiano o meno un valore intrinseco o correlato ad altro bene e se esso sia rilevante nella regolamentazione dei rapporti giuridici tra privati; se le somme disponibili presso un istituto bancario siano assimilabili giuridicamente al denaro contante (nel senso di pezzi monetari)45, nel senso di non determinare modifiche oggettive ai rapporti giuridici in cui vengono utilizzati (cioè, si tratti di strumenti di pagamento irrifiutabili). Attengono, invece, al secondo profilo le questioni che si riconnettono al significato del denaro, in senso più generale e astratto, nei rapporti interprivati, e relative a se dalla complessiva regolamentazione possano dedursi dei principi fondamentali. A nostro parere si tratta di aspetti riconducibili al problema di individuare quale sia il “valore del denaro”46. Questa seconda accezione rileva per il diritto privato, ad esempio, nel definire come tale “astratto potere patrimoniale” venga disciplinato in ragione del fattore tempo, ad esempio nel perdurare di un rapporto giuridico (principio nominalistico)47, ovvero nel dare contenuto alle situazioni soggettive insistenti sul denaro (crediti o altre forme di titolarità), recte alle tutele attribuite al soggetto48. Cfr. supra p.  ss. Invero, il dualismo del denaro come forma esterna e valenza interna ricorre di frequente nelle analisi del fenomeno monetario, soprattutto di teoria generale. Ad esempio, il pensiero di Olivecrona (cfr. supra nt. ), in definitiva, non fa che cogliere questo aspetto. Così pure la prospettiva filosofica (cfr. infra nt. ) 47 Come si è già rilevato in altri esempi, anche con riguardo al valore della moneta, il discorso involge aspetti diversi in ambito giuridico ed economico. Sul primo aspetto, cfr. infra p.  (su unità di misura di valori); mentre con riguardo al “valore della moneta” in ambito economico, deriva da una valutazione complessa. A grandi linee, può dirsi che esso (come valore della monetary unit), si ricava da un doppio criterio: il valore interno (in termini di potere di acquisto, a sua volta dipendente dalla stabilità dei prezzi) ed esterno (derivante dai valori del cambio con le altre valute). Sul punto, cfr. SÀINZ DE VICUÑA, An instituional theory of money cit., p.  s. 48 Il denaro nel diritto privato “esiste” principalmente in quanto referente oggettivo di situazioni giuridiche/tutele. Comprenderne l’“essenza” significa comprendere come esso si 45 46 Il denaro: un enigma del diritto privato A ben vedere, la tassonomia appena proposta, che si basa su un criterio di tipo sostanziale (cos’è moneta da un punto di vista fenomenico e astratto), tende ad offrire una diversa prospettiva di problematiche, che secondo un percorso più consueto, sono presentate nel discorso tradizionale sulle funzioni del denaro49. Si è soliti, ad esempio, ascrivere le discussioni sulle forme di denaro nelle problematiche sollevate dal denaro come mezzo di pagamento, mentre quelle sul “valore” in quelle sul denaro come unità di misura (unità ideale). Riservandoci in quella sede di fornire una più compiuta illustrazione delle stesse, ci sembra tuttavia che questa iniziale classificazione possa meglio anticipare uno dei punti centrali che ci proponiamo di verificare nel corso del presente lavoro, cioè, il senso dell’oggettività giuridica del denaro50. comporti (venga regolato) come tale. L’itinerario si presenta più certo e consolidato riguardo alla tematica delle obbligazioni pecuniarie; meritevole di maggiore cautela quando si provi ad introdurre un discorso di tipo recuperatori. In ogni caso, comunque, quando il denaro rilevi a fini di valutazione di altri beni (come unità di misura di valori, si chiarirà in seguito, e nel testo dopo nt. ), non assurge propriamente a categoria generale dal punto di vista giuridico, comportando una mera operazione matematica, in cui rileva, per lo più il momento in cui viene compiuta. Su quest’ultimo aspetto, cfr. DI MAJO, voce Obbligazioni pecuniarie cit., p. , spec. nt.  s., per relativa bibliografia. 49 Va chiarito come proprio quello che nel testo definiamo “concetto astratto” di moneta sia, in verità, l’aspetto maggiormente problematico, quello che ha creato i problemi definitori cui si è fatto cenno supra nel testo. Esso si presta infatti ad inglobare una serie di caratteristiche che sono state tradizionalmente elaborate in relazione alle funzioni del denaro, ad esempio, l’idea del denaro come astratto potere patrimoniale, maturata negli studi sul debito pecuniario (cfr. infra p. ), o quella di unità monetaria (infra p.  ss.). Questi aspetti verranno più analiticamente analizzati in seguito, ma ci pare utile tenere a mente anche, in una prospettiva parzialmente diversa, anche questa possibile alternativa tassonomia. 50 Il concetto di oggetto del diritto si giustifica in una teoria dell’esperienza giuridica che pone l’interesse a fondamento del diritto, e che vede appunto l’oggetto come quel dato esterno all’individuo (anche se ideale, nel senso di utilitas), il quale una volta riconosciuto dal diritto (attraverso un strumento di tutela), consente la soddisfazione di quell’interesse. Il carattere formale dell’oggetto (in quanto tale perché oggetto di protezione giuridica) si concretizza, secondo l’impostazione tradizionale, come riconoscimento di una situazione giuridica soggettiva. Sul punto, D. MESSINETTI, voce Oggetto dei diritti, in Enc. dir., XIX, , p.  ss., in part. p. . Come vedremo più avanti, tuttavia, ci sembra che, in una visione più avanzata, tale processo di oggettivazione non possa compiersi tramite il riconoscimento (o il ritrovamento, da parte dell’interprete) di rimedi, anziché di diritti. Cfr. infra p. .     . La questione terminologica Da un punto di vista analitico e per una selezione progressiva delle questioni relative al denaro, ci siamo finora concentrati sui diversi piani dei significati connessi alle parole moneta/denaro. Abbiamo, invece, volutamente, tralasciato un punto che normalmente, ove si presenti necessario, viene posto all’inizio di una ricerca, per la migliore intelligenza della problematica. Ci riferiamo alla questione terminologica, ovvero al chiarimento relativo all’accezione vocaboli che vengono usati nel corso del lavoro. In virtù della scelta compiuta, come si vedrà, è stato, in questo caso, possibile differire l’esposizione a questo momento. Si tratta, ora, di chiarire il significato dei lemmi con i quali usualmente si indica, nella lingua italiana, il fenomeno monetario: quelli, appunto, di moneta e denaro51. Il primo, nella sua accezione più caratterizzante, viene coincidere con quello di valuta («l’insieme di tutto ciò che in un dato Paese e periodo, è accettato come mezzo di pagamento, e usato come intermediario di scambi, come misura dei valori e riserva di valore»52); l’altro, nel linguaggio comune, sembra assumere una valenza più generale, potenzialmente indicativa di aspetti più astratti. Il termine moneta deriva dal latino monēta, antico attributo di Giunone, l’avvertitrice (come derivato di monēre, avvertire), per gli avvertimenti dati dalla dea ai Romani nei pericoli. L’estensione del significato, ad indicare i dischetti di metallo coniati dalle autorità statali, prima, e quindi tutto ciò che, in un dato Pese e periodo, è accettato come intermediario degli scambi (misura e riserva di valore), si deve al fatto che la zecca di Roma si trovava nei pressi del tempio di Giunone. Anche dal latino deriva il sostantivo denaro (der. dall’aggettivo denarius, che accompagnandosi al sostantivo nummus, indicava le monete, emesse per la prima volta in argento, nel  a.C., del valore di dieci assi – nome utilizzato anche nell’ambito della riforma monetaria di Carlo Magno (?), che segna l’origine della monetazione medievale –), il quale, nel linguaggio comune assume anche al singolare valore collettivo, identificandosi con quello di somma di denaro. Cfr. le voci Moneta e Denaro, in AA.VV., Il Conciso. Vocabolario della lingua italiana Treccani, Roma, . A mero scopo illustrativo, ricordiamo che, mentre la lingua francese, al pari di quella latina, utilizzi il vocabolo argent avendo in mente gli strumenti storicamente utilizzati nella circolazione monetaria, in altre lingue, ad esempio in quella greca, troviamo vocaboli (per il greco, il già ricordato nomisma) che si riconnettono all’idea astratta di denaro. Cfr. supra p. nt. . 52 Cfr. voce Moneta, in Il Conciso. Vocabolario della lingua italiana Treccani, Roma, , p. . 51 Il denaro: un enigma del diritto privato D’altro canto, nel linguaggio giuridico, se si guarda anzitutto alle disposizioni del codice civile, il sostantivo denaro compare nelle locuzioni somma di denaro o anche, somma e denaro, quantità di denaro, equivalente in danaro (a titolo esemplificativo, si vedano gli artt. , , , , , , ,  c.c.) ad identificare l’oggetto dell’obbligazione ovvero dell’operazione di calcolo (come nel caso della collazione); mentre nel complesso organico di norme relativo alla disciplina delle obbligazioni pecuniarie, cioè del «debito di somma di danaro» (art. - c.c.), compare il termine moneta (cfr. artt. , , ,  c.c.), nel senso di valuta (moneta avente corso legale nello Stato), ovvero di divisa estera (arg. ex art. ,  c.c.), o di altra «specie monetaria» (art.  c.c., ma nello stesso senso anche art.  c.c.), in funzione di specifica determinazione della prestazione di somma di denaro dovuta («se la somma dovuta è determinata in una moneta […]» art.  c.c.)53. In tale contesto, pertanto, la relazione denaro – moneta si atteggia a rapporto di genus ad speciem, conferendosi alla seconda un significato più ristretto e suscettibile di necessarie specificazioni qualificatorie (il riferimento è alla diverse specie monetarie)54. Si è, inoltre, acutamente sottolineato come uno tra i più illustri autori che si siano occupati del tema abbia logicamente distinto il significato dei vocaboli denaro e moneta, ascrivendo la valenza semantica di astratta misura di valore e di scambio al primo, e al secondo quella di moneta materialmente coniata e stampata dallo Stato55. Tale distinzione, che ci sembra trovi con53 Cfr. anche F. CARBONETTI, voce Moneta, in Diritto monetario, , Dizionari del diritto privato, a cura di Irti e Giacobbe, Milano, , p.  ss., pp. -, anche in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, n. , , p.  ss. 54 Da una diversa prospettiva, ma, in certo senso, analogamente, si veda l’interessante testo di M. G. TURRI, La distinzione tra moneta e denaro. Ontologia sociale ed economia, Roma, , ove si sostiene che «il denaro è un concetto ontologico e (…) la moneta è un oggetto sociale» (p. ). Per quanto qui d’interesse, l’a., opportunamente, distingue tra il principio di astrazione che sottende al concetto di denaro (che è mero simbolo), e il processo di graduale smaterializzazione della moneta, che affatto coincide con l’assunzione del carattere simbolico da parte di uno specifico oggetto fisico. Il denaro è di conseguenza un a priori pratico che fonda le sue radici in un’ontologia naturale, la quale è tuttavia di tipo quantitativo e non qualitativo, nella misura in cui essa consente la misurazione di ogni tipo di ricchezza (p. ). 55 Il riferimento è al pensiero dell’Ascarelli. Cfr. B. INZITARI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. c. c. Scialoja Branca, a cura di F. Galgano, Libro IV, Delle obbligazioni, art.  -, BolognaRoma, , p.  s. Invero, nell’opera del  (ASCARELLI, La moneta cit.), la distinzione poggiava sull’alternativa tra valuta (moneta avente corso legale) e denaro (rifiutabile).     ferma anche se si guarda all’elaborazione operata negli altri saperi non giuridici56, non viene però poi adottata dallo stesso autore, il quale poi tende ad identificare i vocaboli danaro e moneta57. Le possibili differenze semantiche cui si è fatto cenno non appaiono, tuttavia, unanimemente percepite nel linguaggio giuridico, che attingendo a quello specialistico della scienza economica, e in virtù del carattere universale, e non territoriale, di questa, tende a prediligere anche in sede di trattazioni generali il termine moneta58. Tale uso riteniamo sia altresì dovuto alla tendenza imitativa verso il mondo anglofono che utilizza, in senso generale, solo il termine money59. Cfr. supra p.  nt. . ASCARELLI, La moneta cit., p.  e ID., Obbligazioni pecuniarie, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, , passim. 58 Il fenomeno monetario è individuato, in ambito economico, con il termine “moneta” (non denaro). In questo senso, esiste, ad esempio, una teoria generale della moneta (non del denaro). Cfr., ma gli esempi sono innumerevoli, G. DEL VECCHIO, Ricerche sopra la teoria generale della moneta, Milano,  (che si segnala, per aver, tra gli altri, collegato l’utilità marginale della moneta non agli impieghi alternativi di ricchezza). L’influenza del predominio (se non della egemonia culturale) della scienza economica anche in ambito giuridico, si è tradotta nell’utilizzo di una medesima terminologia. Si pensi solo alla ricorrenza, nelle principali enciclopedie giuridiche, del lemma moneta (in luogo di denaro), il quale invece, proprio in virtù del richiamo legislativo all’endiadi «somma di denaro», tende a ricomparire allorquando ci si riferisca agli istituti del pagamento o dell’obbligazione pecuniaria. Si vedano, oltre al succitato CARBONETTI, voce Moneta op. loc. cit. e B. INZITARI, voce Moneta, in Dig. IV, Disc. priv., sez. civ., VIII, Torino, , p.  ss., le voci enciclopediche, invero singolarmente curate da economisti, G. STAMMATI, voce Moneta cit., p.  ss.; DE VECCHIS, voce Moneta e carte valori (profili generali e diritto privato), in Enc. giur., XX, , p.  ss.; U. PAPI, voce Moneta (diritto civile), in Noviss. Dig. it., X, Torino,  (rist. ), p.  ss.. Invero, il Novissimo Digesto dedica una voce specifica alla locuzione somma di denaro: N. DISTASO, voce Somma di danaro (debito di), in Noviss. Dig. it., XVII, Torino, , p.  ss., mentre generalmente, nelle opere sistematiche, si rinvia, appunto, alle voci pagamento (che riguardano però la natura giuridica degli atti/attività costituenti adempimento – nelle obbligazioni di dare – e quindi tipicamente nelle obbligazioni pecuniarie), ovvero obbligazioni pecuniarie. Cfr., a mero titolo esemplificativo, A. DI MAJO, voce Obbligazioni pecuniarie cit., A. MAGAZZÙ, voce Pagamento, in Diritto monetario, V, Dizionari del diritto privato, a cura di Irti-Giacobbe, V, , p.  ss.; e, infine, M. GIORGIANNI, voce Pagamento, in Noviss. Dig. it., XII, Torino, , p.  ss., e CIAN, voce Pagamento, in Dig. disc. Priv. IV, sez. civ., XIII, p.  ss. In questo contesto, in posizione singolare si colloca invece la lucida analisi condotta dal Quadri sul concetto generale di denaro/moneta, quale introduzione alla tematica delle obbligazioni pecuniarie. Cfr. E. QUADRI, Le obbligazioni pecuniarie, in Tratt. di dir. priv., a cura di Rescigno, IX, Torino, , p.  ss. 59 La lingua inglese, in verità, conosce una pluralità di termini che esprimono le di56 57 Il denaro: un enigma del diritto privato Pertanto, la frequente sovrapposizione dei significati ci ha indotto, nel corso del presente lavoro, a non adottare una rigorosa distinzione nell’utilizzo dei due termini, che potrebbe comportare ad inutili complicazioni comunicative, salva in ogni caso la predilezione per la maggiore forza evocativa del sostantivo denaro60. . Dalle funzioni economiche del denaro alla sua nozione civilistica: gli ambiti di rilevanza giuridica Come si è accennato in precedenza, ogni trattazione in tema di denaro – sia in ambito economico, sia giuridico – esordisce illustrando le funzioni del denaro61. verse proprietà della moneta. I termini currency, legal tender fanno riferimento, rispettivamente alla moneta come valuta («which is issued as money under the sanction of the nation»), ovvero, nel secondo caso, alla moneta accettata come strumento irrifiutabile nei pagamenti («That sort of money in which a debt, or other obligation calling for money, may be lawfully paid, if a specific medium of payment is not required by statute or the terms of the contract or obligation»). Tuttavia, solo il termine money, tra le sue varie accezioni, rappresenta – potremmo dire – la categoria generale nella quale le precedenti possono essere ricomprese, di «The medium of exchange recognized by the custom of merchants and the laws of the country». Cfr. W. S. ANDERSON (cur.), voci National currency, legal tender, money, in Ballantine’s Law Dictionary, a ed., New Providence (NJ), in banca-dati Lexis Nexis Academic. Al pari della lingua latina e di quella italiana, la lingua francese, invece, è tra le poche a conservare due vocaboli per indicare il denaro: argent e monnaie. Il primo al pari del nostro denaro, ha la plurima valenza di metallo, moneta (anche moneta contante), capitale (cfr. PETRONIO, Il denaro è una merce cit., p. ). Monnaie compare, invece, nell’accezione più ristretta di valuta e, allo stesso tempo, più vasta – se si pensa alle sue implicazioni – quando viene utilizzata nelle trattazioni di droit monétaire (PIERRE-FRANÇOIS, La notion de dette de valeur en droit civil, Parigi,  (rist.) p.  e passim). Invece, l’espressione monnaie légale corrisponde all’inglese legal tender (corso legale). Cfr. DOUGLAS, DENIS GIRARD e THOMPSON, voce Monnaie, in Cassel’s French and English dictionary, New York, , p. . È da segnalare che già NUSSBAUM, Money in the law cit., p.  riconosce ai termini moneta e monnaie un significato tecnico rispetto a denaro e argent. 60 In senso analogo, ci sembra, ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie cit., p. , che, per differenza rispetto al vocabolo valuta (unità valutaria e pezzi valutari), come relativi a l’unità di misura e i pezzi monetari aventi corso legale nel territorio corrispondente ad un determinato ordinamento, sceglieva di ricorrere indistintamente ai termini denaro / moneta per comprendere qualunque misura di valore adottata e qualunque oggetto corrente in un determinato ambito come strumento di scambio. 61 J.M. KEYNES, A treatise on money, London, , cap. I; VON MISES, Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione cit., capp. I-II; ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  ss.; NUSSBAUM,     Le ragioni sono molteplici e tra queste vi è, innanzitutto, il rilievo che il denaro non può essere definito in termini strutturali, ovvero in base caratteristiche fisiche intrinseche. La storia della moneta ha dimostrato e continua a dimostrare, infatti, come gli strumenti utilizzati siano continuamente variabili e pertanto una definizione incentrata su di essi sarebbe necessariamente limitativa62. Inoltre, il rinvio al profilo funzionale evidenzia la comune percezione che lo stesso concetto giuridico di denaro si esaurisca nella sua dimensione funzionale, la quale costituisce, in effetti, l’unica reale alternativa definitoria63. Ciò porta a dover rispondere alla domanda: a cosa serve il denaro? Per comprendere i termini essenziali della questione, proviamo, quindi, ad illustrare brevemente, rifacendoci a dati pre-giuridici (econoMoney in the law cit., pp. -; PROCTOR, Mann’s on the legal aspect of money cit., pp. -. Ancora una volta si fa riferimento alle opere fondamentali della letteratura giuridica straniera, le già citate opere di F. A. Mann e A. Nussbaum (del quale il primo si dichiara tributario), nonché all’unico autore italiano cui è stata riconosciuta rilevanza internazionale, ASCARELLI, La moneta cit., ; ID., Studi giuridici sulla moneta, Milano,  e, infine, Obbligazioni pecuniarie cit.. Va evidenziato, infatti, come la rilevanza del fenomeno monetario lo renda argomento particolarmente adatto all’analisi comparativa, come dimostrato dai rinvii che le opere succitate compiono le une alle altre. 62 Rifacendosi all’opera di Knapp, INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  s. individua diverse fasi nell’evoluzione degli strumenti di pagamento: quella di strumento amorfo (metalli preziosi – oro e argento – in verghe); moneta coniata, ma pur sempre pesata all’atto del pagamento; moneta cartacea, convertibile in metalli preziosi; moneta cartacea, convertibile in altra specie monetaria, regolata dal c.d. corso legale); all’inconvertibilità ovvero al corso forzoso. A questi passaggi fondamentali possono aggiungersi considerazioni relative alle ragioni che hanno indotto all’adozione di alcuni strumenti, anziché di altri: ad esempio, l’utilizzo dei metalli preziosi, in vece degli originari capi di bestiame o materie prime, si giustifica per la loro indeteriorabilità e attitudine alla tesaurizzazione; il passaggio alla coniazione da parte degli Stati per le possibili entrate per l’erario; l’affiancarsi alle monete perfette di quelle divisionali, aventi un valore legale superiore a quello del metallo in esse contenuto, per la loro maggiore leggerezza; infine, la creazione della moneta cartacea e la nascita del sistema bancario alla maggiore convenienza a depositare tali metalli preziosi presso terzi, e così via. Per una più puntuale analisi di questi aspetti, si veda Aa.Vv., voce Moneta, in Enc. treccani on line, consultabile al link http://www.treccani.it/enciclopedia/moneta/. Mentre, sul processo di smaterializzazione della moneta, infra p. nt. . 63 QUADRI, Le obbligazioni pecuniarie cit., p. , riprendendo le posizioni della letteratura tedesca in proposito (SIMITIS, Bemerkungen zur rechtlichen Sonderstellung del Geldes, in Ar. Civ. Pr., , , p.  ss., spec. p.  s.), INZITARI, Le funzioni giuridiche del danaro nella società contemporanea, in Riv. dir. civ., , I, p.  ss., spec. p.  e più di recente V. LEMME, Moneta scritturale […] cit., p. . Il denaro: un enigma del diritto privato mici), quali siano i ruoli svolti dalla moneta e la loro traduzione in termini di disciplina giuridica64. Essi sono solitamente indicati come: funzione di mezzo di scambio (giuridicamente, di mezzo di pagamento); riserva di liquidità; misura di valori. Appare evidente che il denaro sia nato come mezzo volto a favorire gli scambi tra merci (e servizi) in veste di intermediario universale e abbia la sua essenza nel suo valore di scambio65. Per una sintesi sulle funzioni della moneta, in senso economico, si rinvia a PAPI, voce Moneta cit., p.  s. e STAMMATI, voce Moneta cit., p.  s. 65 Senza necessità di rifarsi alle consuete descrizioni degli inconvenienti del baratto per giustificare la nascita della moneta, la sua funzione storica di intermediario degli scambi è così, icasticamente, rappresentata da LOCKE, Secondo trattato sul governo, Londra,  nella traduzione di A. Gialluca in Il secondo trattato sul governo: saggio concernente la vera origine, l’estensione e il fine del governo civile, a cura di T. Magri, Milano, : «§. Così nacque l’uso del denaro, qualcosa di durevole che gli uomini potevano conservare senza che si deteriorasse, e che per comune consenso poteva essere preso in cambio dei veri e propri, ma deteriorabili, beni di sussistenza. § . E, come i diversi gradi d’industria erano capaci di dare agli uomini ricchezze in proporzioni diverse, così l’invenzione del denaro diede loro l’opportunità di accrescerle ed estenderle. […]§ . […]. Questa divisione dei beni, nella disuguaglianza della proprietà privata, gli uomini l’hanno resa attuabile al di fuori della società e senza un patto, semplicemente attribuendo un valore all’oro e all’argento e tacitamente accordandosi sull’uso del denaro». Come noto, nella teoria lockiana l’emersione della moneta compare nel secondo stadio dello sviluppo dell’umanità, nel processo di emancipazione dallo stato di natura. Essa rappresenta il meccanismo attraverso cui evitare il deterioramento dei beni in eccesso in capo ad un individuo (di per sé contrario al diritto naturale degli altri di goderne), ma che è allo stesso tempo fonte di ineguaglianze e conflitti. Appare evidente l’ambivalenza che nel pensiero lockiano ha l’istituzione monetaria: strumento che favorisce comportamenti produttivi, ma allo stesso tempo – appare – moralmente deprecabile, come quando egli deride chi lavora solo per accumulare un bene intrinsecamente privo di valore (II, ). Cfr. E. Penlaver, An Introduction to Property Theory, Cambridge (CUP), , p.  (del manoscritto per gentile concessione dell’a.) Sulla nascita della moneta, vedi anche infra p.  s. nt. , nonchè supra p. , nt. . La scienza economica si è altresì interrogata sulle ragioni del nascere della moneta. A. ALCHIAN, Why money?, in  Journal of money, credit and banking, , p.  ss., astraendo la funzione di mezzo di scambio da quella di riserva di valori (che non necessitano risiedere nel medesimo bene, p. ), sostiene che l’utilizzo della moneta (come intermediario universale) non sia dovuto alla necessità di favorire l’incontro tra domanda e offerta di beni tramite la riduzione dei costi di ricerca del potenziale acquirente o venditore, ma alla necessità di ridurre i costi di informazione sulle caratteristiche dei beni che fungono da moneta. In questa visuale, è la riduzione dei costi informativi sul bene a favorire gli scambi di moneta (che non dovrà sostare come scorta liquida) e non generare costi “transattivi” ulteriori rispetto a quelli connessi al bene ricercato. 64     Tale funzione viene indicata, in ambito giuridico, come l’attitudine a circolare quale mezzo di pagamento, sebbene quest’ultima nozione sia parzialmente diversa da quella di mezzo di scambio66. Mentre la prima rende l’idea di un bene avente un’utilità mediata, l’idea di mezzo di pagamento, invece, cattura aspetti che vengono solitamente tralasciati o diversamente valutati dall’analisi economica, quali, l’intervento dello Stato nel definire lo strumento idoneo ad estinguere le obbligazioni pecuniarie67, e quindi la rilevanza dello stesso nell’influenzare il concetto giuridico di moneta, cui si è già fatto cenno; la giuridica irrifiutabilità della moneta legale68; in principio, i caratteri stessi delle operazioni commerciali che realizzano l’una o l’altra funzione69. 66 Contra la distinzione tra mezzo di scambio e di pagamento, ascrivibile allo Scaduto, ASCARELLI, La moneta cit., p.  s., sebbene, come noto, l’a. poi non ritenga che «la coincidenza tra i due concetti […] non significa ancora che il diritto consideri come danaro qui medesimi oggetti che considera l’economia» 67 Alla funzione di pagamento si riconnette la stessa nozione giuridica di moneta (in quanto valuta): tale è infatti solo ciò che sia riconosciuto dalla legge dello Stato come mezzo di pagamento. Cfr. PROCTOR, Mann on the legal aspects of money cit., pp.  e ; DE VECCHIS, voce Moneta e carte valori (profili generali e diritto privato) cit., p.  ss. Una compiuta elaborazione del principio di sovranità monetaria nell’ottica del diritto privato (come mezzo di pagamento legalmente non rifiutabile) è in INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  s. Sulle nozioni di corso forzoso e legale si veda invece ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  ss. 68 L’attributo della irrifiutabilità per il pagamento dei debiti, che può essere conferito solo dal diritto (legislatore nei tempi moderni, piuttosto che dalla consuetudine), va sotto il nome di corso legale (o legal tender). L’espressione corso forzoso s’identifica con il corso legale ma riferito alla carta-moneta (banconote), implicando non il rapporto tra debitore e creditore, ma anche quello tra portatore della banconota e il suo emittente (lo Stato) nel senso della inconvertibilità dello strumento di pagamento. Cfr. NUSSBAUM, Money in the Law. National and International cit., pp.  ss. e . Il rifiuto del pagamento in moneta legale comporta nell’ordinamento italiano, al di là della mora creditoris, una sanzione amministrativa (cfr. art.  c.p. come modificato dalla l.  novembre , n. ). 69 Le due funzioni valgono ad individuare aree parzialmente differenti, nelle ipotesi in cui, ad esempio, l’atto di pagamento non inerisca ad un rapporto di scambio, mancando la corrispettività. E, tuttavia, la funzione di mezzo di pagamento dipende dalla prima quanto a giustificazione logica; il denaro può essere accettato in pagamento (recte previsto come strumento solutorio irrifiutabile), o ancora considerato come mezzo ultimo, coattivo, per il pagamento di debiti ad una diversa prestazione, o concretare l’oggetto «equivalente» dell’obbligo risarcitorio, solo perché può essere utilizzato in seguito. Sul punto LOJACONO V., Aspetti privatistici del fenomeno monetario, Milano, , pp.-. Deve, inoltre, avvertirsi sin da ora che anche nel linguaggio giuridico, di frequente, quando ci si riferisce al denaro nella sua funzione di mezzo di pagamento, si comprenda ogni trasferimento di denaro, non solo solvendi, ma anche credendi o donandi causa. Cfr. CARBONETTI, voce Moneta cit., p. , e MAIORCA, voce Commistione, in Noviss. Il denaro: un enigma del diritto privato Tenute in debito conto tali considerazioni, va riconosciuto che la funzione di mezzo di scambio (e di pagamento) rappresenti la funzione fondamentale, dalla quale tutte le altre dipendono70. Ad essa, infatti, si riconnette, in ragione del fattore tempo, quella di accumulazione di potere di acquisto (riserva di liquidità), che si spiega per la non contemporaneità delle operazioni di acquisto e di trasferimento di moneta. È, infatti, inevitabile che un certo ammontare di moneta tenda ad essere custodito in vista di futuri scambi71. Tale funzione tende a ridursi nelle società attuali a causa di fenomeni inflativi per cui la moneta, non essendo in grado di garantire la conservazione del valore, non è più atta a svolgere il ruolo di riserva, che sembrerebbe essere assolto invece principalmente da alcuni tipi di prodotti finanziari o altre forme d’impiego remunerativo72. Tuttavia, essa è in grado di evidenziare come possano insistere sul denaro interessi (giuridici) attuali alla conservazione dei valori monetari esistenti all’interno di un determinato patrimonio, cioè a mantenere e recuperare tali valori, pur in vista di utilizzi futuri in funzione di scambio73. dig. it., III, Torino, , p.  ss., spec. p. , ove espressamente si includono nella funzione di mezzo di pagamento tutte le ipotesi in cui il denaro sia considerato fungibile (ma, tale prospettiva non sembra più attuale), sia che sia ricevuto a titolo di pagamento sia in prestito. NUSSBAUM, Money in the law cit., p. , a proposito dei depositi bancari, afferma che, l’apertura del deposito avviene per il tramite di un “pagamento” fatto dal depositante alla banca e che «”Payment” presupposes a transfer of ownership in the money to the bank», ovvero atti equivalenti, come, ed es. il versamento di assegni. 70 Almeno logicamente. NUSSBAUM, Money in the law cit., p.  concorda sulla posizione secondo cui tale funzione è emersa, almeno simultaneamente rispetto a quella di misuratore dei valori. ASCARELLI, La moneta cit., p.  ss.; ID., Obbligazioni pecuniarie, in Comm. cod. civ. diretto da A. Scialoja e G. Branca cit., p.  ss., assegna invece prevalenza assoluta alla funzione di “strumento di scambio”, come contenuto esclusivo del concetto giuridico di denaro. 71 Si tratta della funzione, che per la prima volta, in termini macroeconomici, è stata evidenziata, in quanto connessa alla domanda di moneta e alla politica fiscale da J. M. KEYNES, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, cit., p.  s. Sotto diverso profilo, a tale funzione si riconnette la concettualizzazione del “denaro come merce” di cui supra p. , nt. . 72 Ciò ha indotto l’analisi economica a negare la qualifica di moneta alle scorte liquide. Si allude alla c.d. teoria del circuito monetario secondo la quale la funzione propria della moneta è quella di consentire la circolazione delle ricchezze. Quando la moneta, sia pure in vista di pagamenti futuri, viene accantonata come scorta liquida inerte, essa non sarebbe più moneta ma ricchezza in una forma particolare. Cfr. A. GRAZIANI, La teoria monetaria della produzione, Arezzo, , p.  ss. 73 Riteniamo che né una valutazione statistica del ridotto ruolo del denaro in funzione     La funzione di riserva interpreta inoltre, a nostro parere meglio delle altre, quel significato del denaro come c.d. astratto potere economico, secondo la ben nota quanto contestata espressione del Savigny74. Sebbene decontestualizzata dalla sua originaria collocazione, l’idea dell’astratto potere economico ben si presta, infatti, a rappresentare il denaro nel suo aspetto “statico”, cioè come valore economico avente una rilevanza giuridica propria (anche se potenziale) all’interno del patrimonio di un soggetto, valore che consiste in un determinato numero di unità di conto75. Rifacendoci a tale eco, ma al fine di evitare possibili confusioni, identificheremo questo aspetto d’ora in poi come “valore finanziario”. di riserva di valore in senso stretto, né una considerazione dello stesso (invero più prossima ad una visione economica del fenomeno monetario) come bene essenzialmente di utilità mediata possano offuscare l’attenzione del giurista su questo aspetto. In tal senso, PROCTOR, Mann’s on the legal aspect cit., p. , che sottolinea un aspetto che ci appare fondamentale: « […] a person in possession of money is not legally bound to buy anything, or to exchange his money for goods or services. In such a case, money does not become valueless merely because it si not in use as a medium of exchange; on the contrary, it serves as a store of value, representing the wealth of the holder and his abstract purchasing power». 74 F. C. VON SAVIGNY. Le obbligazioni, tradotto dall’originale tedesco con Appendici di G. Pacchioni, I, Torino, , p.  ss. (F. C. VON SAVIGNY, Das Obligantionsrecht, I, Berlin, , p.  ss.); A. BROWN, An epitome and analysis of Savigny’s treatise of obligations in Roman law, London, , p.  ss. Come noto, la teoria di Savigny, elaborata con riguardo alle obbligazioni pecuniarie, vede la moneta come l’espressione di una quantità di astratto potere economico, per cui – di conseguenza – il debito pecuniario consiste nell’obbligo di trasferire una determinata quantità di valore, cioè di tale astratto potere economico (p. ). La definizione dell’oggetto del debito pecuniario come consegna di cose fungibili (p. ) sembra interpretare, allora solo l’aspetto esterno, non il reale significato dell’obbligazione. È altrettanto noto come tale concetto, che pure mantiene un indubbio fascino e frequenti rinvii, nasceva per supportare la teoria del debito di tipo valoristico e pertanto, nella sua interezza, che non può essere né è stata accolta nel pensiero successivo. Nussbaum, ad esempio, critica duramente Savigny, ritenendo questo generale potere economico (che egli traduce in “finanziario”), né un concetto giuridico in sé, né un’espressione in grado di definire l’oggetto dell’obbligazione (Money in the law cit., p. ; si vedano anche p.  ss. per una più puntuale critica alla complessiva teoria) e ascrive l’influenza esercitata sul pensiero successivo come dovuta alla notorietà dell’autore. 75 Si accolga, per ora, il richiamo all’idea dell’astratto potere patrimoniale in via generica, come capacità di costituire ricchezza per il suo titolare. Tale attitudine, ovviamente, si spiega, in virtù del valore di scambio – differito – della moneta, rispetto agli altri beni. In questo senso, però, il concetto di astratto potere economico va isolato della pur pregnante forza evocativa che esso possiede con riguardo alla sua caratterizzazione nel senso di potere d’acquisto. Soffermarsi per ora su questo passaggio logicamente anteriore consentirà di introdurre, più avanti, il dibattito sulla quantificazione di tale valore in sede recuperatoria. Il denaro: un enigma del diritto privato Similmente a tale intuizione, la funzione di riserva di valori è stata ritenuta rilevante per il diritto, in quanto operante nei settori dell’arricchimento ingiustificato e dei meccanismi utilizzati per il recupero dei beni (tracing/following), nell’esperienza di common law76. Il rinvio poc’anzi fatto al concetto di unità di conto ci consente di illustrare l’altra funzione della moneta, quella, appunto, di unità di valore (di conto o unità ideale). Si tratta di una funzione che si connette, poiché ne è il presupposto, a quella di mezzo di scambio universale e, al pari di quest’ultima, la cui elaborazione teorica si è evoluta nel corso del tempo, in virtù dei mutamenti tecnici occorsi negli strumenti utilizzati come moneta. La funzione di unità di conto rappresenta la capacità di misurare in termini omogenei tutti i beni e servizi che vengono scambiati, e, anzitutto, la moneta stessa, ad esempio con riguardo alla misurazione dei debiti pecuniari77. Tale funzione, nel diritto positivo, è evocata ogniqualvolta si introduca il concetto di “equivalenza in denaro”78. In via più generale, essa con- 76 D. FOX, Property rights in money, Oxford (OUP), , p.  s., relativamente al fatto che, nel primo caso, chi riceve denaro senza titolo giustificativo è ritenuto essersi arricchito, quanto meno, nei limiti del suo valore nominale; nel secondo esempio, l’idea del valore inerente un determinato ammontare di denaro è valutato nel percorso delle successive sostituzioni di quell’iniziale valore con altri beni, o di vicende in cui tale valore viene ad essere “commisto” con altre somme. Vedi, più ampiamente, infra cap. IV.. 77 Si tratta, tuttavia di una qualità che, logicamente distinta da quella di mezzo di scambio, neppure è esclusiva della moneta, poiché la necessità di individuare un denominatore di valore nei rapporti di scambio è rinvenibile anche in economie basate sul baratto. Ciò era ben chiaro già alla scuola fisiocratica, come sottolinea NUSSBAUM, Money in the law cit., p.  s., nt. , riportando il ben noto passo di Turgot nelle Réflexions sur la formation et la distribution des richesses, , XXXVI, disponibile anche al seguente link http://fare.tunes.org/books/Turgot/refl_ fdr.html. 78 Si vedano, ad esempio, gli artt. ,  c.c. e i già citati artt.  e  c.c., nonché l’art.  c.c. (sulla patrimonialità della prestazione) e l’intera disciplina del risarcimento pecuniario per equivalente. Ma la funzione di misura di valori compare anche quando è necessario esprimere in termini unitari un complesso di beni (il capitale sociale è espresso in denaro ex art. c.c.), o il valore di alcuni (artt.  c.c. relativamente alla distinzione tra l’oggetto dell’ipoteca e la somma per cui è iscritta). Nella letteratura più recente, il tentativo di guardare al denaro nella prospettiva di valore chiave del connotato della “patrimonialità”, e quindi della tendenza, criticata, ad egemonizzare il ruolo della responsabilità patrimoniale o del risarcimento per equivalente è in D. LA ROCCA, Diritti e denaro. Il valore della patrimonialità, Milano, .     sente di ridurre tutti gli elementi di un patrimonio in cifre omogenee, permettendo paragoni oggettivamente riscontrabili del loro valore intrinseco. Più analiticamente, deve osservarsi, tuttavia, che si tratta di un attributo il quale solo in via successiva consente di rapportare altri beni al denaro, e che, invece, trova il suo primigenio significato nella dimensione interna alla quantificazione del valore della moneta stessa. Può dirsi, che in quest’accezione, il denaro acquisti il precipuo senso di unità valutaria (euro, dollaro, yen etc.) e manifesti la sua dimensione più propriamente ideale, insuscettibile di una chiara definizione, eppure condizionante ogni tentativo di analisi giuridica79. Infatti, quale sia la prospettiva esaminata (nel diritto privato, quella del detentore di liquidità monetaria ovvero dell’obbligazione pecuniaria), un ammontare di moneta s’identifica con un valore numerico, che è la somma di denaro quale multiplo o sottomultiplo, unito, ovvero espresso in termini, di una unità valutaria80. In senso inverso, l’unità valutaria (ideal unit) esprime l’unità di riferimento del valore numerico che è la somma di denaro. Essa rappresenta appunto quella entità astratta e puramente artificiale, attualmente non ragguagliabile ad alcun valore esterno, che riceve la sua legittimazione soltanto dall’autorità statuale (o sovrastatuale) che la crea in quanto tale e che sarebbe in sé definibile solo in chiave storica o nel raffronto con altre o precedenti valute81. 79 Cfr. NUSSBAUM, Money in the law cit., pp. - ne parla in termini di ideal unit e INZIObbligazioni pecuniarie cit., p.  e passim, che aderisce appieno, anche talora accentuando taluni aspetti, al pensiero dell’autore tedesco; e infine K. OLIVECRONA, The problem of the monetary unit, cit., p.  ss. Tuttavia, il senso del concetto ci sembra sia perfettamente colto dall’espressione di Nussbaum che, con riguardo al dollaro, afferma che «is as little susceptible of definition as, say the concept of ‘blue’». Cfr. NUSSBAUM, Money in the law. National and International, nd ed., Brooklyn (The Press Foundation), p. . In questo senso il ben noto e frequentemente citato passaggio di K. OLIVECRONA, La struttura dell’ordinamento giuridico, Milano, , p. , che paragona il concetto di unità monetaria con quello di diritto soggettivo, pur evocativo, è, per un verso, fuorviante, poiché utilizza come termine di comparazione un concetto giuridico generale e altamente comprensivo, ma elaborato, induttivamente, sul piano delle categorie giuridiche. Il concetto di unità monetaria acquista la propria complessità sul piano dell’esperienza fattuale, per non essere rapportabile a nessun altro fenomeno o concetto. 80 NUSSBAUM, Money in the law cit., p. . Sulla critica dell’Ascarelli a tale teoria si veda infra nt. . 81 L’idea che il valore dell’unità di conto sia definibile in termini relativi solo con il ri- TARI, Il denaro: un enigma del diritto privato Il fatto che essa, poi, si traduca in termini di un attuale potere di acquisto, continuamente variabile, o di una generica, e parimenti astratta, convertibilità in beni, specifica soltanto il suo carattere di grandezza astratta, cui, solo in via logicamente successiva, anche se presupposta quanto a fondamento, possono essere posti in relazione quantitativa altri beni82. Da quanto appena illustrato, appare evidente come quest’ultima funzione costituisca il crocevia degli aspetti più peculiari del denaro. Infatti, pur essendo assimilabile ad un concetto di grandezza, il denaro, nella funzione di misura di valori, si presenta diversa da altre unità di misura (ad esempio, lunghezza o peso)83. La peculiarità risiede, infatti, nell’essere “misura di sé stesso”, non solo nel senso di dare significato effettivo a valori numerici (,  … dollari piuttosto che euro), ma poiché non è rapportabile a nessuna altra grandezza ed è pertanto mutevole. ferimento a precedenti unità di conto venne espressa da Knapp, The State Theory cit., p. , accolta da MANN, The legal aspect […] cit., p.  s., ma, da ultimo, criticata da PROCTOR, Mann’s on the legal aspect cit., p.  s. Invece, sulla ridotta affidabilità delle valute correnti, nel sistema valutario internazionale, a funzionare come affidabili strumenti di misura del valore di beni e servizi, cfr. supra nt. . 82 Per ulteriori riferimenti alla duplice accezione della nozione di potere patrimoniale si veda E. QUADRI, Le obbligazioni pecuniarie cit., p. . Parla, invece, di nozione statica, cioè il denaro come valore estrinseco per ogni bene o servizio oggetto di scambio, e nozione dinamica del valore che l’unità monetaria deve misurare (il potere d’acquisto), G. LEMME, Moneta scritturale cit., p. . 83 L’idea del denaro come mensura, pur nella sua genericità, sembrerebbe richiamare il pensiero dell’Ascarelli che ebbe a definire in termini di mensura-mensuratum, il rapporto tra unità valutaria e pezzi monetari, sebbene riconoscesse che una grandezza legalmente definita (la valuta) differisca dalle unità di misura del mondo fisico (immutabili), ASCARELLI, Le obbligazioni pecuniarie cit., p.  ss., specialmente pp. -. Tale posizione, che contestava in termini netti la teoria del Nussbaum sull’ideal unit (ASCARELLI, Le obbligazioni pecuniarie cit., p. ), è stata poi valutata criticamente dalla letteratura successiva in tema di obbligazioni pecuniarie, la quale ha negato rilevanza all’idea della obbligazione pecuniaria come obbligazione generica. Cfr. DI MAJO, voce Obbligazioni pecuniarie cit., pp. -, il quale pur riconosce l’originalità e il rigore sistematico dell’elaborazione teorica dell’autore italiano nel panorama della letteratura specialistica (p. ); INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  ss. , si esprime in termini maggiormente tranchant. Ciò che invece – ci sembra – possa essere conservato della concezione del denaro come mensura – che si rintraccia anche nel pensiero di San Tommaso d’Aquino («moneta regula est mensura rerum veniarum», cfr. per una più puntuale analisi V. CUSUMANO, Dell’Economia politica nel Medioevo, in Arch. Giur., , XVI, p.  ss., spec. p. ) – è l’idea che si tratti di un concetto puramente quantitativo (‘an abstract and quantitative conception’). Ne continua a parlare in questi termini anche PROCTOR, Mann on the legal […] cit., p. .     Si tratta di un attributo che, tuttavia, è venuto definendosi soltanto con l’evoluzione storica, ed in relazione allo sviluppo degli strumenti rappresentativi del denaro: i pezzi monetari aventi un valore intrinseco (per la quantità di metalli preziosi in essi contenuta)84; i pezzi monetari solo indirettamente ragguagliabili ad un valore metallico, cioè convertibili secondo un rapporto di parità aurea prestabilito; quelli comparabili ad altra grandezza (ad altra moneta, a sua volta avente un valore espresso in termini di oro); infine, quelli privi di alcun valore intrinseco, neppure de relato, cioè non comparabili a nessun altra grandezza85. I passaggi appena riferiti attengono a ben precise scelte maturate all’interno del sistema monetario internazionale, ovvero a quel livello che all’inizio di questo capitolo abbiamo definito come istituzionale e i cui attori principali sono gli Stati nell’esercizio dei poteri di politica monetaria, intesa quale strumento di indirizzo dell’economia86. Sul concetto di bonitas intrinseca, contrapposta a quella extrinseca, che risale all’elaborazione canonistica, si veda ASCARELLI, La moneta cit., p.  ss. L’idea che una specie monetaria possa avere valore intrinseco è tuttora sancito dall’ordinamento. Cfr. art.  c.c. Sul punto A. BELVEDERE, Debito di moneta avente valore intrinseco, in Diritto monetario a cura di Irti e Giacobbe, Milano, , p.  ss. 85 Sulle varie fasi cfr. supra nt. . Il regime di circolazione cartacea inconvertibile della moneta (per cui il denaro non è più documento rappresentativo di una certa quantità di metallo prezioso; c.d. fiat money o fiat currency) s’inaugura con la modificazione degli accordi di Bretton Woods ( agosto ), quando il governo degli Stati Uniti sospese la convertibilità del dollaro in oro e inaugurò il sistema dei cambi flessibili. Sino ad allora, infatti, quasi tutte le monete dei paesi ad economia capitalistica – seppure non direttamente convertibili in oro – lo erano indirettamente attraverso la convertibilità in dollari e di questi ultimi in oro. Quest’ultimo sistema traeva origine dagli accordi di Bretton Woods del  luglio  con i quali si instaurò, inoltre, il Fondo monetario internazionale – funzionante come una banca centrale di cui gli stati aderenti sono correntisti – entrato in vigore il  dicembre . Per un’analisi dell’evoluzione del sistema monetario italiano cfr. F. CARBONETTI, Moneta cit., p.  ss. Sul meccanismo di stabilizzazione delle valute stabilito a Bretton Woods, cfr. G. SHILD, Bretton Woods and Kumbarton Oaks, New York, (St. Martin’s Press), , pp. -. Più di recente, ancora sul valore nominale, imposto e garantito dall’ordinamento negli scambi monetari, e non per il valore intrinseco o di riferimento, si veda M. PROSPERETTI, Il pagamento intermediato, in Europa e dir. priv., , p. , spec. p. . 86 Ad esempio, il controllo del mercato dei cambi siglato con gli accordi di Bretton Woods traeva origine dal tentativo di evitare il ripetersi dell’esperienza della Grande Depressione (cfr. SHILD, Bretton woods cit., pp. -); come pure la decisione di Nixon di porre fine alla convertibilità del dollaro in oro nasceva dalla crisi di tale sistema in cui di fronte all’emissione di dollari e al crescente indebitamento americano, aumentavano le richieste di conversione delle riserve in (J. KURTZMAN, The death of money, New York (Simon & Schuster), , p.  ss.) . 84 Il denaro: un enigma del diritto privato Ebbene, il concetto di denaro come unità di misura – valuta, se è vero che si è venuto definendo in relazione alla moneta coniata, all’allontanamento di questa dalla rilevanza della sua composizione metallica, e al rapporto con le altre valute, viene ad applicarsi ugualmente alle altre forme rappresentative (ad esempio i fondi disponibili presso istituti di credito), anch’esse – ma in diverso modo – prive di ogni referente materiale. Tali fattori (cioè, in sintesi, l’evoluzione degli strumenti rappresentativi del denaro e il rapporto con il denaro come grandezza della loro misura) hanno inciso sul concetto di moneta in generale per il diritto privato87. Il fatto che i pezzi circolanti non abbiano più alcun valore intrinseco o indiretto ha alterato una, invero risalente, percezione del denaro come quantità materiale (e misurabile come avviene per la lunghezza o il peso)88 e, poiché sempre in quest’ambito sono maturate le relative riflessioni, delle obbligazioni di somme di denaro come aventi ad oggetto cose, seppur di genere. Di talché, l’unità ideale, viene ormai pienamente identificata con il denaro: la somma di denaro non è altro che un valore numerico associato ad una unità monetaria (ideale)89. Un ulteriore aspetto del denaro come unità di conto (o di valore) è rappresentato dal fatto che tale valore numerico tenda a risultare poi, nell’ambito delle obbligazioni che hanno per oggetto somme di denaro, “autosufficiente”, tale cioè da non essere ancorato a nessun altro valore neppure 87 Ci riserviamo di meglio esplicitare in seguito quale possa essere l’incidenza dei mutamenti della forma concreta del denaro sul suo valore astratto e sulla disciplina legale. Si è in precedenza accennato al fatto che l’idea di denaro non possa dipendere totalmente dalle manifestazioni fenomeniche, necessariamente transeunti (cfr. supra p.  ss.). Anticipiamo che ci sembra questo costituisca un punto centrale della riflessione sul denaro in virtù del quale possono giustificarsi i diversi orientamenti in proposito. Ad esempio, Ascarelli contestava a Nussbaum una visione troppo aderente alla realtà a lui contemporanea, mentre Inzitari taccia l’opera di Ascarelli di aver per un verso tentato, inutilmente, di essere universale e per l’altro di fondarsi su aspetti intrinseci ad un periodo storico in cui la moneta aveva una consistenza materiale. Cfr. INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  s. 88 È abbastanza agevole verificare come, a parte termini più moderni e di matrice più astratta (ad es. il sostantivo euro o franco), i nomi delle valute derivino dall’unità di misura del peso relativo al metallo usato: lira (da libbra), pound, peso, mark, etc. 89 NUSSBAUM, Money in the Law. National and International cit., p. , secondo cui «in domestic legal relations the nominal value dominates – there money is only mensura, not mensuratum» cap. II, ult. par.     in ragione del fattore tempo90. Ciò significa che al momento dell’estinzione di un rapporto obbligatorio avente ad oggetto somme di denaro il valore numerico manifestato nell’accordo definisce l’oggetto delle situazioni giuridiche delle parti, ovvero l’entità della somma “prestanda”, senza necessità di far riferimento ad altre grandezze “reali” a valori dell’oro o di altri metalli, o, in alternativa al valore di scambio con altri beni) che possano modificare quel valore numerico. L’irrilevanza delle variazioni del potere di acquisto della moneta rappresenta un ulteriore aspetto del valore nominale della moneta, che va più propriamente sotto il nome di principio nominalistico e che costituisce una costante nei sistemi giuridici contemporanei91. L’inquadramento finora fornito ha evidenziato come, nonostante il tentativo classificatorio, i diversi aspetti della istituzione monetaria non possano essere scissi. Si è visto, ad esempio, come le politiche monetarie internazionali possano influenzare il ruolo della sovranità monetaria statale; come quest’ultima risulti condizionata dalle evoluzioni tecnologiche; ed, infine, di come tutti questi elementi tutti convergano verso l’evoluzione del concetto giuridico di denaro. Tale excursus ha consentito, altresì, di verificare come, in assenza di definizioni legislative, e attesa la pluralità degli ambiti in cui il denaro rileva (cioè delle funzioni che svolge), una sua qualificazione sub specie iuris giunga a coincidere con quella di funzione (prospettiva teleologica). 90 Si fa riferimento, in proposito, al principio nominalistico in senso stretto, come criterio di determinazione della somma di denaro da offrire in pagamento, che è aspetto distinto dal principio nominalistico applicato alla concezione del denaro tendente a dissociare lo stesso dal suo contenuto metallico per ancorarne il valore al puro nomen (cioè la teoria del valore nominale), di cui si è trattato sinora. Non può che farsi riferimento alla lucida analisi di DI MAJO, voce Obbligazioni pecuniarie cit., p.  s., e PROCTOR, Mann on the legal cit., p. . 91 Sintentizzando le fondamentali ragioni dell’adozione del nominalismo, E. QUADRI, Le obbligazioni pecuniarie cit., p.  le rintraccia nella smaterializzazione monetaria (come perdita di valore dei pezzi monetari) e nella prevalenza del credito nell’economia moderna. Il nominalismo interpreta, quindi, l’esigenza di adottare meccanismi che introducano requisiti di certezza degli scambi monetari tra i privati: in questo senso, quale criterio di calcolo costante, esso rappresenta una necessità del capitalismo. Nello stesso senso, e guardando alle concrete scelte di politica legislativa, DI MAIO, voce Obbligazioni pecuniarie cit., p.  ss., spec. pp.  e  (sul contemperamento derivante da forme di “valorismo contrattuale”). Ad entrambi gli autori si rinvia per un più puntuale inquadramento della tematica. Per l’ordinamento italiano, che, singolarmente esplicita il principio nominalistico all’art.  c.c., da ultimo, cfr. INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  ss., in particolare p.  ss. Il denaro: un enigma del diritto privato Ora, se si ha riguardo più specificamente all’area di emersione del denaro nei rapporti di diritto privato, la funzione di mezzo di pagamento riveste una posizione assolutamente centrale, mentre le altre non assurgono ad avere una portata sistematica, come dimostra il fatto che gran parte delle considerazioni da ultimo esposte, e del dibattito sul denaro nel diritto privato, si siano sviluppate sulla teorica delle obbligazioni pecuniarie92. Si è parlato in proposito di un concetto normativo93. 92 Nel corso del paragrafo si è fatto cenno, per la funzione di unità di conto, ai riferimenti codicistici alla equivalenza in termini monetari e, per quella di riserva di valore, al denaro come entità patrimoniale e ai settori come l’ingiustificato arricchimento e dei procedimenti per il recupero di somme (aspetti che, tuttavia, verranno meglio definiti in seguito). Seguendo DI MAJO, Le obbligazioni pecuniarie cit., p. , nel primo caso, il denaro non entra a far parte di figure giuridiche, non appartenendo né al sistema dei diritti reali né a quello delle obbligazioni e dei contratti, mentre anche con riguardo al secondo, rimarrebbe centrale l’attitudine allo scambio, in quanto essa rende appetibile il danaro per il singolo, spiega le possibili situazioni di conflitto tra detentori e non, tra creditori e debitori di somme, e pone un reale problema di qualificazione. 93 Secondo la nota definizione dell’ASCARELLI, Interpretazione del diritto e diritto comparato, in Riv. dir. comm., , a differenza dei concetti tipologici, che servono per identificare gli elementi di una fattispecie, i concetti normativi sono quelli che descrivono in forma abbreviata una disciplina. La distinzione, concepita nell’ambito della teoria dei titoli di credito, aveva la funzione di riservare all’interprete un ruolo nella definizione della fattispecie (concetto tipologico), non ricavabile induttivamente dalla normativa esistente, così rispettando la potestà normativa in capo al legislatore. Come noto, la teoria è stata ulteriormente sviluppata in LIBERTINI, Profili tipologici e profili normativi nella teoria dei titoli di credito, Milano,  (il quale utilizza il metodo ascarelliano, per attribuire all’interprete il ruolo di correggere eventuali erronee concettualizzazioni delle fattispecie messe dal legislatore alla base delle sue norme), ma ha ricevuto, altresì, ferme obiezioni. Cfr. F. CHIOMENTI, Il titolo di credito, Milano, , pp.  - . La fondamentale critica mossa alla teoria ascarelliana è di aver introdotto nell’ambito di una nozione giuridica (il concetto, la fattispecie) un dato pre-giuridico. Si è proposto, pertanto, quale suo correttivo, la distinzione tra norme astratte e norme concrete, tale da salvare comunque la libertà dell’interprete, (sul punto CHIOMENTI, op. loc. cit.). Sul ruolo dell’interpretazione, si veda anche ASCARELLI, Antigone e Porzia, in Problemi giuridici, Milano, , t. I, p.  ss. Sul rapporto tra titolo di credito e moneta, si veda infra p. , nt. . L’idea del concetto normativo, riferito al denaro, è ripresa da LEMME, Moneta scritturale cit., pp.  e , secondo cui «la moneta è in realtà una serie di norme, sulla cui base viene costruito l’ordinamento monetario e le forme di circolazione monetaria» ovvero come «astrazione giuridica (così come lo è il credito) da non confondersi con le entità materiali (o, nel caso della moneta scritturale, immateriali) attraverso le quali essa concretamente assolve la sua funzione di mezzo di pagamento e di scambio». Basandosi sulla similitudine credito - moneta, l’a. conclude che come nella prima accezione, anche in base alla seconda non possano esistere diritti (reali) sul denaro.     Tale osservazione consente di tenere a mente, per un verso, la necessità di far riferimento al dibattito sull’obbligazione pecuniaria, per altro, di meglio contestualizzare le ragioni di taluni risultati, anche nell’affrontare problematiche diverse da quelle dei rapporti obbligatori aventi ad oggetto somme di denaro. In questo senso il riferimento al denaro-mezzo di pagamento in termini di concetto normativo può servire da criterio sistematico di riferimento per la disciplina dei trasferimenti monetari94. La macro-area tematica cui afferiamo ai fini del presente lavoro è, infatti, quella dei trasferimenti monetari, dalla quale ricaveremo i principi che più strettamente attengono alla prospettiva recuperatoria, per individuare se esistono e come si atteggiano le tutele in caso di trasferimento, nelle ipotesi in cui sussista un interesse qualificato al riottenimento (quantomeno) dell’iniziale valore. Per cominciare ad addentrarci nell’argomento, proviamo a meglio definire l’oggetto dell’interesse del privato che possiede e dispone di somme di denaro. Pur consapevoli della inscindibilità dei due aspetti, in una prospettiva analitica, il discorso che segue sviluppa innanzitutto il primo termine (il denaro come oggetto giuridico), provando ad assumere una visuale più gene- 94 Sul ruolo dei concetti giuridici, cfr. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, , pp. -; F. GALGANO, Dogmi e dogmatica nel diritto, Padova, , pp. -; CAPOGRASSI, Il problema della scienza del diritto, Milano, , p.  e p.  ss. e ORESTANO, Diritto romano e tradizione romanistica, in Riv. it. sc. giur., , p. , ove, in particolare, il ruolo dei concetti viene rapportato alla categoria dell’esperienza giuridica, intesa quale cifra riassuntiva del dato normativo, della sua interpretazione ed applicazione, all’interno della comunità alla quale è indirizzato. In questo senso, la natura e la funzione svolta dai concetti giuridici, dei quali pure da lungo tempo si discute la crisi, recupera il proprio ruolo di strumentario della scienza giuridica, intesa come attività di conoscenza ed interpretazione delle norme giuridiche, e quindi manifestazione del sapere e delle modalità del ragionamento umano, e si sottrae, di contro, alle visioni della dogmatica tradizionale che li qualificava come assiomi insostituibili. Sul punto, PUGLIATTI, La logica e i concetti giuridici, in Riv. dir. comm., , I, p.  ss. e JEMOLO, Ancora sui concetti giuridici, in Riv. dir. comm., , p.  ss. L’istanza sistematica necessaria in ogni sistema giuridico è ben sintetizzata da L. SMITH, Common law and Equity in RRUE, in  Washington and Lee Law Review, , p.  (del manoscritto), riferendosi al noto passo di Maitland sulle forms of actions: «They still rule us, because all lawyers have to categorize grievances; it is the only way to have a legal system based on principle rather than instinct». Il denaro: un enigma del diritto privato rale, per poi, successivamente, meglio qualificare il secondo (l’interesse da tutelare)95. . Il denaro come bene giuridico Dall’analisi che precede sono emersi dei caratteri affatto peculiari, che inducono a qualificare il denaro come un’entità astratta, di cui i pezzi monetari o le disponibilità (nella forma di crediti presso istituti terzi, bancari o non) costituiscono le forme rappresentative, ovvero i mezzi atti a consentirne la circolazione. In questo senso, la cosa (il dato fisico) non è altro che segno di un astratto valore (il valore nominale); inoltre, più di recente, si è assistito a processi tecnologici per cui anche il “significante”, per adoperare una metafora linguistica, ha assunto forme che non appartengono più al mondo fisico, ma che si qualificano in termini di astrattezza ed immaterialità96. Il fenomeno monetario ha sperimentato un duplice processo di smaterializzazione. Da un lato, la “smaterializzazione” dei pezzi monetari (coniati dallo Stato), secondo le leggi del sistema monetario internazionale (la c.d. fiat money o currency), ha comportato l’assenza di valore dei pezzi monetari (banconote e moneta divisionale), e la loro inconvertibilità in beni aventi una bonitas intrinseca (ad esempio, oro). Dall’altro, l’evoluzione della fenomenologia del denaro, il quale attualmente transita principalmente sotto forma di disponibilità presso terzi soggetti (gli istituti di credito) ed è sottratto in ogni caso ad una dimensione “cosale” (che chiameremmo “smaterializzazione” in senso ampio) ha significato il venir meno, se non e in via parziale nei trasferimenti monetari di scarso valore, dell’utilizzo degli stessi 95 Cfr. infra paragrafo . La scelta espositiva fatta sembra invertire il percorso logico più consueto che individuerebbe anzitutto l’interesse da tutelare per poi determinare l’oggetto del diritto. In realtà, essa si giustifica per fini descrittivi, in virtù della molteplicità degli utilizzi giuridici del denaro. 96 A proposito dei diversi strumenti monetari utilizzati nel corso dei secoli e che progressivamente hanno assunto una veste astratta, è stato notato: «The symbolism of these forms, such as special pieces of paper, only the most primitive of which is today in the form of bank notes, or electronic symbols on a computer tape, tend to conceal the underlying substance of the monetary system of which money itself is but a symbol» S. A. SILARD, voce Money and foreign exchange, in International Encyclopedia of Comparative Law, XVII, , The Hague, , p. .     pezzi monetari (cose mobili) a fronte del preponderante ricorso ad altre forme rappresentative (le disponibilità bancarie o in ogni caso i crediti vantati presso istituzioni qualificate, i.e. gli istituti di moneta elettronica o gli istituti di pagamento). Nella prospettiva dell’obbligazione pecuniaria, ciò ha inciso sulla stessa definizione di tale obbligazione quale debito di somma di danaro (i. e. astratta indicazione numerica di un determinato insieme di unità ideali)97, finalizzato a conferire al creditore un valore, che s’identifica nella nozione giuridica di somma di denaro, di cui i mezzi monetari sono, appunto, una mera rappresentazione98. La logica della res qui scompare del tutto, venendo meno la intuitiva percezione del denaro come merce universale, idonea ad essere scambiata con altre merci, ma qualitativamente differente da queste ultime; idea, che F. BOCCHINI ed E. QUADRI, Diritto privato, a ed., Torino, , p. . Lo scambio merce-moneta non viene considerato, anche alla luce dell’impianto codicistico in cui il denaro è mezzo di pagamento, uno scambio di res contro res, ma il «trasferimento della proprietà di una cosa o trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo» (art.  c.c.) ovvero il «trasferimento o ritrasferimento di un titolo di credito sulla base del prezzo convenuto» (art.  c.c.). In tal caso il fenomeno giuridico dello scambio interessa l’alienazione del bene e l’attribuzione del prezzo, che danno contenuto alla funzione e all’oggetto del contratto. Cfr. C. M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. dir. civ. it. diretto da F. Vassalli, VII, t., Torino, . Questi caratteri hanno indotto ad escludere la possibilità d’inquadrare le obbligazioni pecuniarie nell’ambito delle obbligazioni generiche, come invece autorevole dottrina aveva proposto, non riconoscendo alla locuzione somma di danaro significato sostanzialmente diverso da quello di “quantità”. Cfr., SCADUTO, I debiti pecuniari e il deprezzamento monetario, Milano, , p.  ss.; e seppure in termini diversi T. ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca cit., p.  ss. L’obiezione fondamentale a questa tesi risiede appunto nel fatto che l’obbligazione generica, avente cioè ad oggetto un bene determinato esclusivamente in riferimento alla sua appartenenza ad un genere, è finalizzata all’acquisizione per il creditore della proprietà o del godimento di (una quantità di) cose, mentre nell’economia moderna il denaro non rileva ormai per la materialità dei pezzi monetari ma per il valore di cui è simbolo. Il credito pecuniario non ha ad oggetto il denaro, inteso come strumento di pagamento, ma il conseguimento di un valore monetario. Si veda in proposito, INZITARI, voce Moneta cit., p.  ss., pur dovendosi necessariamente ricordare che una elaborazione critica dell’obbligazione pecuniaria come obbligazione di genere è già in SAVIGNY, Le obbligazioni cit., p.  ss.; ugualmente il DI MAJO, voce Obbligazioni pecuniarie cit., p. , analizza i tratti differenziali della due specie di obbligazioni, della inapplicabilità alle obbligazioni pecuniarie delle norme sulla “qualità” della prestazione (art.  c.c.) e sull’impossibilità sopravvenuta, per effetto del principio della responsabilità patrimoniale generica del debitore (art.  c.c.), rifacendosi agli studi di Esser e Larenz. 97 98 Il denaro: un enigma del diritto privato pure – come si è già visto – era stata presente sin dalle iniziali teorizzazioni del prestito ad interesse, e che, in via di ragionamento per differenza, compare altresì nella letteratura sui titoli di credito99. La coerente applicazione di una lettura, che astrae da argomentazioni “realistiche” o “cosali”, ha determinato una significativa estensione della disciplina del debito pecuniario anche al pagamento effettuato con mezzi di pagamento diversi dalla moneta contante, assecondandosi così finalmente una esigenza nei traffici economici da tempo percepita100. Se, tuttavia, si valuta tale processo di progressiva astrazione, spostando la visuale dalla obbligazione che ha per oggetto somme di denaro a quella di eventuali interessi appropriativi con riguardo ad un’entità “astratta” A. DI MAJO, Le obbligazioni pecuniarie cit., p. . Invero, con particolare riguardo alla carta-moneta e al rapporto con i titoli di credito, la differenza viene rintracciata nel fatto che la prima costituisca una res, mentre questi ultimi sarebbero, giuridicamente, diritto ad una prestazione e non res. Cfr. CHIOMENTI, Il titolo di credito cit., p. , nt. . A differenza della originaria elaborazione scientifica sui titoli di credito, che identificava giuridicamente biglietti di banca e titoli di credito, per effetto della comune destinazione alla circolazione e della derivazione di questi ultimi dai titoli di debito pubblico (cfr. riferimenti in CHIOMENTI, op. cit., p.  e PELLIZZI, Principi di diritto cartolare, Bologna, , p. ), il corrente inquadramento vede nel carattere di bene strumentale soltanto un elemento comune di tipo funzionale, non strutturale, come confermato anche dalla disciplina normativa (artt.  e  c.c.) che trova, a sua volta, la propria ratio nella distinzione tra creazione statale (per la moneta) e creazione libera (per i titoli di credito). Cfr. CHIOMENTI, ivi, p.  ss. e NUSSBAUM, Money in the law. National and international cit., p.  s. Lo scambio merce-moneta non può essere considerato, anche alla luce dell’impianto codicistico in cui il denaro è mezzo di pagamento, uno scambio di res contro res, ma è visto come il «trasferimento della proprietà di una cosa o trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo» (art.  c.c.) ovvero il «trasferimento o ritrasferimento di un titolo di credito sulla base del prezzo convenuto» (art.  c.c.). In questo senso il valore espresso dalla moneta è solo misura del valore delle altre cose e servizi e la moneta, quando funge da strumento di pagamento. 100 Che il denaro non sia una res, come si è visto, si spiega anche sotto il profilo della varietà degli strumenti utilizzati. In proposito, di recente, la giurisprudenza ha accolto l’orientamento della dottrina dominante (cfr. bibliografia supra, p. , nt. ): il S.C., SS. UU., con la sentenza del  dicembre , n. , in Banca, borsa, tit. cred., , II,  ss., ha, infatti, chiarito che l’espressione «moneta avente corso legale contenuta nell’art.  c.c., alla stregua di una interpretazione evolutiva della stessa, significhi «che i mezzi monetari impiegati si debbono riferire al sistema valutario nazionale, senza che se ne possa indurre alcuna definizione della fattispecie del pagamento solutorio». Per cui, l’interesse del creditore è all’ottenimento della giuridica disponibilità della somma e non al possesso dei pezzi monetari, ovvero al valore monetario (ovvero – recita la sentenza – la quantità di denaro) e che pertanto l’interesse deve ritenersi soddisfatto quale sia la forma con cui tale disponibilità viene trasmessa. 99     (la somma di denaro corrispondente al valore nominale), il risultato si presenta più complesso101. Il tentativo di confrontarsi con le categorie dell’appartenenza – si è già accennato – è funzionale a meglio comprendere il complessivo statuto giuridico del denaro nella prospettiva di possibili conflitti rispetto a soggetti terzi, ove sorge il problema della individuazione dell’oggetto della tutela102. L’utilità di un discorso sulla qualificazione del denaro nel quadro degli oggetti di diritti appare, quindi, un passaggio preliminare per definire il grado di protezione sugli interessi coinvolti da parte dell’ordinamento, nell’ambito del diritto privato103. Tuttavia, le problematiche che sorgono in proposito sono plurime. Anzitutto, può sorgere il dubbio di quale dato prendere in considerazione quando si prova a qualificare il denaro come bene giuridico: le cd. forme rappresentative, ovvero ciò di cui tali forme costituiscono il simbolo, cioè il valore finanziario? Se prendiamo in considerazione la prima opzione, deve rilevarsi come la pluralità di forme rappresentative, res corporali – pur prive di valore – ovvero situazioni giuridiche di tipo relativo, tenda ad impedire una reductio ad unitatem dei diritti sul denaro e, ad esempio, delle sue regole di circolazione. Ma anche nel secondo caso, fungono da ostacolo ad un inquadramento secondo i più consueti schemi almeno due fattori, tra cui vi è la diffi- 101 In verità mancano studi che affrontino tale aspetto approfonditamente. Tuttavia, l’idea di considerare il denaro quale in una prospettiva “reale”, anziché obbligatoria, sebbene valutando la possibilità e i limiti di un suo possibile inquadramento strettamente quale oggetto della proprietà o diritti reali è in DI MAJO, voce Obbligazioni pecuniarie cit., p.  e nt.  e in J. CARBONNIER, Droit civil, , Les biens, Paris, , p.  ss., spec. p.  e  s. 102 Sulla funzione di mezzo di scambio (o mezzo di pagamento) come nozione atta a ricomprendere tutte le ipotesi in cui il denaro sia oggetto di trasferimenti, cfr. supra nt. . 103 Si analizzerà in seguito la disciplina dei trasferimenti e dei rimedi concretamente esperibili. Ci sembra a questo punto opportuno evidenziare che il significato del denaro come valore che abbiamo tentato di sottolineare sinora, valore che tendenzialmente trova il proprio significato in una dimensione autorefenziale (si legga, il principio nominale), converge a giustificare la considerazione del denaro come autonoma entità giuridica, non proiettata nel valore di altri beni. Ciò non esclude, tuttavia, che nell’ambito di tale nozione possa aprirsi la considerazione della rilevanza di un “astratto potere patrimoniale” (volendo evocare, con l’espressione savignana, la trasformazione che può subire questo valore tramite l’investimento in altri beni), nelle ipotesi in cui una dinamica giuridica abbia condotto una trasformazione della somma iniziale. Il denaro: un enigma del diritto privato coltà di analizzare un elemento totalmente immateriale, e, in ogni caso, l’essenza circolatoria del denaro, la quale, come si vedrà, ne qualifica lo statuto giuridico104 e lo rende altresì dato sfuggente alle tradizionali qualificazioni in termini di oggetto di diritti, cioè di bene giuridico105. Come vedremo, da un punto di vista ricostruttivo, il discorso può essere affrontato solo se non si considerano come alternativi dato fenomenico e valore finanziario. Inoltre, accanto ad una teoria dei beni che, partendo dal dato positivo, si colloca sul terreno delle situazioni giuridiche soggettive, può forse affiancarsi un tentativo più moderno di classificare l’oggetto dell’interesse giuridicamente rilevante da una prospettiva rimediale. A questo punto, appare doveroso chiarire lo stato dell’arte relativo al concetto giuridico di bene, e quindi verificare come sia possibile coniugarlo con quello di moneta – denaro, cioè se sia possibile qualificare il denaro come bene in senso giuridico106. Cfr. infra cap. II. Nell’ambito di una teorica della circolazione giuridica che attinga, strettamente, ad un’analisi economica del fenomeno monetario, il denaro sfuggirebbe del tutto ad una qualificazione in termini di bene. In tal senso, si veda F. CARNELUTTI, Teoria giuridica della circolazione, Padova, , che esplicitamente costruisce le categorie dell’analisi giuridica della circolazione sulla base di quella economica. Ne deriva la qualifica della moneta come «medio economico (obbiettivo)» della circolazione giuridica, ens medium (medio circolante) che agevola la circolazione tra due beni che devono essere scambiati, poiché riduce gli stessi al medesimo denominatore. L’A., ricostruendo la storia della moneta come evoluzione dallo schema del baratto, afferma che l’«interposizione della moneta» converte in «un solo scambio, […] scambi collegati […]; chi ha troppo grano e troppo poca lana per i suoi bisogni difficilmente troverebbe che abbia, invece, troppa lana e troppo poco grano; il mercante e la moneta gli permettono di trovare non già direttamente costui, ma un tale che è sempre disposto a prendere grano contro moneta e un tal altro che è del pari sempre disposto a prendere moneta contro lana». Il ruolo assegnato alla moneta s’inserisce in un quadro in cui il fenomeno della circolazione giuridica ha come oggetto esclusivamente beni (recte diritti assoluti) e, all’interno di questa, lo scambio, una delle forme della circolazione, può essere anche gratuito (o unilaterale). Quest’ultima categoria conferma ulteriormente che l’essenza dell’atto dello scambio consiste nel passaggio (definitivo o temporaneo) nel godimento del bene, e quindi nella tutela degli interessi, da un soggetto ad un altro, senza interessare il corrispettivo pecuniario. In tale contesto anche i contratti di cessione del credito sono visti in funzione strumentale, come fenomeni «secondari» e complessi, il cui lo scambio del bene avviene per il tramite di un’altra persona, che non ha il bene, ma lo deve avere o lo deve dare. 106 Segnaliamo che parte delle difficoltà connesse a questo tentativo risiedono, per un verso nella problematicità di individuare un’appropriata nozione di bene giuridico, dall’altro, 104 105     .. Segue. Sul concetto di bene giuridico Il concetto di bene, nel sistema giuridico italiano, rappresenta il termine di riferimento oggettivo delle relazioni di cui l’ordinamento si occupa organizzando gli interessi dei soggetti rispetto alle entità del mondo esterno, attraverso l’attribuzione di situazioni giuridiche soggettive, ovvero l’inclusione all’interno di rapporti giuridici107. Come noto, la dottrina dei beni giuridici si fonda sull’esegesi e la tradizione storica dell’art.  del codice civile vigente, al quale si è debitamente ascritta una portata più ampia rispetto al libro III, in cui l’articolo è collocato108. di confrontarlo con un oggetto, come abbiamo visto sinora, con una caratterizzazione quantomeno duplice. 107 Per la letteratura classica, si vedano, ex multis, S. PUGLIATTI, voce Beni (Teoria generale), in Enc. dir., V, Milano, , p.  ss.; PINO, Contributo alla teoria giuridica dei beni, in Riv. trim. dir. proc. civ., , II, p.  ss. F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, I, a ed., Milano, , p.  ss.; D. BARBERO, Sistema del diritto privato italiano, I, Torino, , p.  ss.; B. BIONDI, voce Cosa (diritto civile), in Noviss. dig., IV, , Torino, p.  ss.; TABET, OTTOLENGHI e SCALITI, La proprietà, a ed., Torino, , p.  ss. Nella tessitura, più o meno aderente al dato letterale codicistico, delle varie tassonomie, si è proceduto, come fa l’orientamento maggioritario (MESSINEO, Manuale cit., pp. -), a distinguere tra bene (categoria giuridica) o cosa (categoria pre-giuridica), ovvero ad identificarle, come fa il Biondi; ovvero, ad identificare nelle cose i soli beni corporali e nei beni tutti gli altri oggetti di diritti (V. ZENO-ZENCOVICH, voce Beni, in Digesto IV, Disc. priv., Sez. civ., IV, Torino, , p.  ss., spec. p. ; C. M. BIANCA, Diritto civile, , La proprietà, Milano, , pp. -, il quale conferma la validità della distinzione gaiana tra res corporales – oggetto del diritto di proprietà – e res incorporales – tutti gli altri diritti patrimoniali tra cui anche i diritti). Nella incertezza dell’utilizzo terminologico all’interno del codice (B. BIONDI, voce Cosa cit., p.  testo e nota), non ci sembra, tuttavia, che tale aspetto meriti ulteriore approfondimento. Da sottolineare ci sembra, invece, il fatto che si tratti di un criterio di qualificazione formale: cioè che la nozione di bene vada attinta ad una valutazione di tipo giuridico, non economico (ex multis PUGLIATTI, voce Beni cit., p.  e MESSINETTI, voce Oggetto dei diritti cit., p. ), la quale – quest’ultima – può rappresentare solo un presupposto, ma non la causa, della qualificazione giuridica (M. COSTANTINO, La proprietà in generale, in Tratt. dir. priv. diretto da Pietro Rescigno, , t., Torino, , p.  ss., spec. p. ). 108 Sul punto, molto chiaramente, P. PERLINGIERI, Introduzione alla problematica della proprietà, Camerino, , che a proposito di beni e proprietà parla di istituti diversi, non semplicemente di definizioni legislative rappresentanti punti di vista convergenti e rappresentative di un unico fenomeno. Va, quindi, chiarito che il codice civile italiano del  ha considerato come possibile oggetto di rapporti giuridici (ossia del dovere giuridico e/o del diritto soggettivo) entità incorporali (invenzioni e opere dell’ingegno o beni essenziali della persona, vita, onore etc.) e vi ha parificato i diritti (cfr. art.  c.c.; art.  c.c.). Di contro e seguendo l’impostazione tradizionale della dottrina, che interpreta coerentemente il contenuto della disci- Il denaro: un enigma del diritto privato Ora, sulla base di questa considerazione, se si prova ad individuare l’estensione della nozione di bene giuridico partendo dall’analisi del dato positivo ovvero delle disposizioni aventi maggiore portata sistematica, si rinviene che il legislatore utilizza il termine bene (o cosa) in un’accezione polisemica che, nei termini essenziali, va ricondotta non soltanto all’art. , ma, altresì, all’art.  c.c.109 Quindi, all’interno del sistema codicistico, la nozione di bene è presente in almeno due configurazioni: punto di riferimento oggettivo di situazioni giuridiche (o di rapporti giuridici), e/o le stesse situazioni giuridiche o rapporti giuridici, quelli in particolare dotati di una rilevanza patrimoniale, cioè economica. Le due accezioni non sono necessariamente alternative. A sua volta, l’elaborazione fatta dalla dottrina ha sviluppato una teorica dei beni la quale, pur prendendo le mosse dalla lettura dell’art.  c.c., tende poi ad ampliare lo spettro d’indagine nel tentativo di costruire un concetto sistematico generale relativo all’oggetto del diritto, all’accertamento dei poteri e delle facoltà del titolare nonché i suoi strumenti di tutela110. Una plina di cui agli artt. - c.c., l’oggetto del diritto di proprietà dev’essere un’entità fisica anche se non strettamente tangibile, come nel caso delle energie (art.  c.c.) e in ogni caso distinta dai cd. beni immateriali, cui si applica la disciplina di settore (ex multis, BARBERO, Sistema cit., p. , nt.  e p. , nt. ; DE MARTINO, Dei beni in generale, in Comm. c. c. Scialoja Branca, Roma-Bologna, , p. ). Cfr. supra nt. . Per un raffronto sulla nozione di bene giuridico nell’ordinamento italiano e degli altri sistemi giuridici europei può vedersi lo studio coordinato da Von Bar (http://ec.europa.eu/consumers/cons_int/safe_shop/fair_bus_pract/cont_law/ study.pdf) Study on Property law and Non-Contractual liability as they relate to Contract Law, pp. . In senso contrario, ritenendo che l’art.  c.c. valga soltanto a delimitare la sfera oggettiva dei diritti reali e, quindi, l’ambito di applicazione della regolamentazione contenuta nel Libro Terzo, L. BIGLIAZZI GERI, F. D. BUSNELLI, U. BRECCIA e U. NATOLI, Diritto civile, , Torino, , pp. -. 109 Il riferimento, in questa materia, al sistema del codice civile è conforme all’impostazione più generale che assegna al sistema di concetti ricavabili dal codice un ruolo di relativa stabilizzazione, anche se non di superiorità di rango, rispetto a quella che pure è stata definita l’“anamorfosi del diritto civile”. Sul punto, G. B. FERRI, Le anamorfosi del diritto civile attuale, Padova, , p.  ss. Contra BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato nella teoria dei beni giuridici, in Quadrimestre, , p.  ss., il quale ritiene, invece, che la costruzione del concetto di bene giuridico (che definisce come concetto sistemico) vada riservata alla scienza giuridica, dipartendo dall’art.  c.c. Questa è la ragione per cui, tra gli altri aspetti, l’a. esclude dall’ambito teorica della dottrina dei beni i valori personalistici. 110 «… sia le condizioni che le forme in cui una data situazione può rappresentare per     teoria dei beni così concepita è dunque una categoria ordinante, con funzione di coordinare e organizzare sistematicamente i molteplici bisogni della vita che costituiscono il referente oggettivo degli interessi giuridicamente rilevanti; essa, in tempi più recenti, si è prestata a fungere da collante descrittivo per nuove forme di ricchezza, o novità sociali e tecnologiche111. Dalla portata onnicomprensiva della norma contenuta nel libro III del codice civile, deriva tuttavia una sostanziale diversità di vedute nelle qualificazioni di bene giuridico, in base all’adesione a modelli alternativi delle forme di protezione giuridica degli interessi, e quindi all’individuazione dei protagonisti nella produzione di tali formalizzazioni in senso giuridico (se i privati o il legislatore)112. Si tratta di parametri che assegnano una diversa rilevanza ricostruttiva del concetto bene giuridico: quale mezzo di identificazione di oggetti di appropriazione in forma esclusiva, la cui qualificazione, tendenzialmente, è riservata al legislatore113; ovvero, categoria aperta legata all’esistenza di un il soggetto un utile», D. MESSINETTI, voce Oggetto dei diritti cit., p. . La disciplina dei beni concorre, quindi, a disciplinare i diritti segnandone la natura e il contenuto. Cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile, , La proprietà, cit., pp. -. 111 Tale spettro d’indagine ha quindi consentito di recuperare un ruolo autonomo alla teoria dei beni rispetto al diritto di proprietà o agli altri diritti reali, pur generando, tuttavia, risultati talora abnormi, categorizzazioni talora descrittive, ovvero ad alto tasso di teoreticismo. Si consideri, altresì, come, con terminologia anglofila e partendo dal ben noto scritto di C. REICH, The new property, in  Yale Law J., , p.  ss., più di recente si tenda a parlare dei nuovi beni in termini di new properties, ove ovviamente il significato di property assume un risvolto economico-sociologico. Proprio sulla falsariga del saggio di Reich, che qualificava come property le libertà individuali o i diritti sociali, nei confronti della Pubblica Amministrazione, le nuove proprietà sono state invocate per valori affatto eterogenei tra loro (diritti della personalità, servizi pubblici, informazione, diritti della personalità, l’etere). Sul punto può vedersi, anche per ulteriore bibliografia, A. ZOPPINI, Le «nuove proprietà» nella trasmissione ereditaria della ricchezza (note a margine della teoria dei beni), in Riv. dir. civ., , I, p.  ss., in part. -. 112 M. BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato cit., pp. -. 113 È questa la prospettiva nella quale la dottrina dei beni giuridici è stata elaborata nella forma più rigorosa: S. PUGLIATTI, Beni (Teoria generale), in Enc. dir., V, Milano, , p.  ss.; D. MESSINETTI, voce Oggetto dei diritti cit., p. ; T. O. SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, , spec. p. , ma anche la relativa recensione di A. BELFIORE, I beni e le forme giuridiche di appartenenza. A proposito di una recente indagine, in Riv. crit. dir. priv. , p.  ss.; COSTANTINO, I beni in generale cit., p.  ss. Un concetto di bene così costruito svolge la funzione di rappresentare sinteticamente le tecniche attraverso le quali il sistema determina le utilità che intende distribuire tra i consociati, delle diverse possibili forme nelle quali ciascuno può far proprie tali utilità, nella identificazione del discrimine tra rilevante ed irrilevante giu- Il denaro: un enigma del diritto privato mercato, operante indipendentemente sia da un’espressa previsione normativa sia da una situazione soggettiva di tipo proprietario, senza che ciò implichi assenza di un principio attributivo dell’utilità114. Tanto all’interno del primo quanto nel secondo modello, si pongono una serie di questioni. Così, nel primo caso, gli orientamenti si sono variamente diversificati: le posizioni oscillano tra chi fa rientrare nella nozione di bene giuridico l’oggetto di diritti assoluti, i c.d. beni immateriali, e quanto può essere oggetto dei diritti di credito115, e chi sostiene che beni giuridici possano essere solo gli oggetti di situazioni soggettive assolute di tipo proprietario116, in quanto è ridico quanto al problema dell’appropriazione privata delle risorse. Si veda in proposito l’illuminante M. BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato cit., p. . In particolare sullo ius excludendi omnes alios come criterio di selezione normativa anche per i nuovi beni, si veda DE NOVA, I nuovi beni come categoria giuridica, in Aa.Vv., Dalle res alle new properties, a cura di G. De Nova, B. Inzitari, G. Tremonti e G. Visentini, Milano, , p.  ss. 114 M. BARCELLONA, op. ult. cit., p. . Il problema, qui, potrebbe sconfinare nell’analisi dei caratteri e dei limiti dello stesso diritto di proprietà rispetto a cui la dottrina continua ad interrogarsi in proposito. La letteratura in merito è vastissima, a puro titolo introduttivo si veda M. TRIMARCHI, Le situazioni giuridiche di godimento, in AA.VV., Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia a cura di V. Scalisi, Milano, , p.  ss.; A. GAMBARO, Dalla new property alle new properties, in Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia a cura di V. Scalisi, Milano, , p. ; ID., L’ambiguo destino del libro della proprietà, in AA.VV., Per i cinquant’anni del codice civile a cura di M. Sesta, Milano, , p.  ss., ove si sostiene che “il vero contributo del III Libro sta nelle norme sulla circolazione della ricchezza, nelle norme sui modi di acquisto della proprietà oltre che nelle norme sul possesso e sulle azioni possessorie”. Il tema, del quale, non può qui darsi pienamente conto, risente peraltro dell’apporto delle dottrine di common law, soprattutto in tema della possibile metamorfosi del diritto di proprietà in valore di scambio, problematica questa sottesa alla stessa configurabilità delle situazioni suscettibili di circolazione in termini di beni. Sul punto J. R. COMMONS, I fondamenti giuridici del capitalismo, trad. it. a cura di G. Rebuffa, Bologna, , p. . 115 S. PUGLIATTI, voce Beni (Teoria generale) cit., pp. -. 116 Da ultimo T.O. SCOZZAFAVA, I beni cit., p.  ss. e p.  ss. il quale definisce come forme giuridica di appartenenza la proprietà e quelle “situazioni limitrofe” caratterizzate da uno ius excludendi. Ma sulla vaghezza del requisito della esclusività, si veda V. ZENO-ZENCOVICH, voce Beni cit., p. , secondo cui, se è vero che la nozione di cosa e la teoria dei beni rilevano primariamente per l’accertamento e la affermazione di diritti di esclusiva sulle diverse entità che possono costituire oggetto di interessi giuridicamente rilevanti e che il principale di tali diritti di esclusiva, il diritto di proprietà, che ha come presupposto un rapporto di tipo possessivo, può avere come oggetto unicamente le entità corporali; vale altresì che per tutte le entità diverse dalle cose l’attribuzione di diritti di esclusiva è regolato, nel nostro ordinamento, da un sistema sostanzialmente tipico. In una prospettiva storica, qualifica l’esclusività come il     questo lo schema attraverso cui l’ordinamento tutela e garantisce ai soggetti l’attribuzione fondamentale e originaria di un’entità, che diviene per questo giuridicamente rilevante117. In questo quadro, i diritti relativi, invece, non potrebbero assumere rilevanza ai fini della teoria dei beni giuridici, poiché attengono alla circolazione della ricchezza e presuppongono sempre, ma non realizzano mai, un’attribuzione originaria del bene118, così come i diritti reali limitati, che presupponendo, logicamente e cronologicamente, l’esistenza di un diritto di proprietà, presuppongono ancora una volta come risolto il problema della qualificazione di un’entità come bene119. Nel secondo caso, l’area dei beni giuridici viene estesa a tecniche aperte di qualificazione proprie dell’obbligazione e del contratto, ovvero a tutto ciò che può essere oggetto di scambio120. Questa operazione ha insito in sé il rischio della generalizzazione, facendo perdere alla stessa teoria dei beni la portata ordinante cui si alludeva, e rischiando di ricondurre il concetto di bene al sistema disciplinare che ruota intorno alla nozione di patrimonialità, la quale rappresenta quella seconda accezione in cui il termine bene pur rileva nel nostro ordinamento121. Quanto brevemente illustrato potrebbe aprire una discussione più ampia sulla stessa categoria di bene giuridico in una prospettiva generale. Infatti, con riguardo all’accezione di oggetto di diritti etero-determinati dal letratto costante dei diritti proprietari, e proprio per questo non caratterizzante la proprietà moderna P. GROSSI, La proprietà e le proprietà nell’officina dello storico, Napoli, , p.  ss. 117 T.O. SCOZZAFAVA, op. ult. cit., p. . 118 T.O. SCOZZAFAVA, op. ult. cit., p. . 119 T.O. SCOZZAFAVA, op. ult. cit., pp. -. 120 A. JANNARELLI Beni interessi valori, in Trattato di dir. priv. europeo a cura di N. Lipari, II, Padova, , p. ; ID., La disciplina dei beni tra proprietà e impresa nel codice del , in Riv. critica dir. privato, , p.  e M. BARCELLONA, Attribuzione normative e mercato nella teoria dei beni giuridici cit., passim. 121 Su un piano generale, questo orientamento non ha ancora elaborato compiute dottrine dei beni giuridici che siano in grado di definire correttamente le forme soggettive delle attribuzioni; il rapporto in cui queste stanno con le situazioni soggettive tradizionali; definire in dettaglio i diversi regimi di appropriazione che discendono dal sistema di qualificazioni inizialmente costruito e i corpi di regole che li rappresentano. In questo senso M. BARCELLONA, Attribuzione normative e mercato nella teoria dei beni giuridici cit., p.  ss. La possibilità di predicare per il denaro la qualifica di bene nell’ottica di tali teorie, se non ulteriormente specificato, finirebbe con il dire che l’interesse sul denaro è rilevante per il diritto, ma non darebbe nessuna informazione sul perché è rilevante o sulla forma di tale rilevanza o sulla logica normativa che unisce la ragione della sua rilevanza al modo della sua rilevanza. Il denaro: un enigma del diritto privato gislatore in termini di situazione assoluta o reale, questa rischia di non avere significati funzionali ulteriori ovvero di avere un mero contenuto descrittivo del diritto oggettivo; nel secondo senso (quello di una declinazione comprendente i valori economico-giuridici delle situazioni soggettive) il concetto di bene non si presta ad essere ricondotto a costanti specifiche, che non siano la mera patrimonialità. Probabilmente, può ritenersi che all’interno dell’ampia portata dell’art.  c.c., che riguarda il referente degli interessi protetti dall’ordinamento, il compito dell’interprete non possa che essere calibrato, di volta in volta, in relazione alla diversa tipologia degli interessi da analizzare, servendo il concetto di bene a meglio definire, dal lato dell’oggetto, il significato di tali classificazioni (diritti patrimoniali, diritti assoluti – anche non patrimoniali –, diritti reali) e a verificare se e come esse possano declinarsi in relazione all’evoluzione economica, tecnologica, sociale122. Ovvero, in una prospettiva alternativa, potrebbe pensarsi a delimitare il concetto di bene utilizzando il modello rimediale, che è per sua natura spoglio dall’istanza della concettualizzazione, e potrebbe risultare idoneo ad aggregare situazioni soggettive tra loro, per tradizione sistematica, distanti: in questo contesto il rimedio – quale categoria distinta dal diritto soggettivo e dalla tutela giurisdizionale – può fungere da criterio sistematico123. 122 Si prenda un esempio. Come si chiarirà meglio più avanti (cfr. infra), assume notevole rilievo nel dibattito giurisprudenziale la problematica della possibile inclusione di crediti nella comunione legale tra coniugi. Ora, in questo ambito, appare evidente che una lettura restrittiva dei termini bene e acquisto ex art.  lett. a), c.c., cioè limitata ai soli beni suscettibili di immediato godimento, ovvero di trasferimento della relativa proprietà (in tal senso, ex multis cfr. M. FINOCCHIARO, Aspetti controversi del regime patrimoniale tra i coniugi (regime patrimoniale e matrimonio, nonché questioni diverse in tema di comunione legale e di suo scioglimento), in Vita not., , p.  e COMPORTI, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. not., , II, p.  ), risulti aprioristica e, comunque, tale da escludere anche utilità economiche (molto spesso finanziarie) per il soggetto che ne è titolare. In tal senso, ritiene che invece il termine bene vada esteso anche ai diritti di credito, anche alla luce dell’art.  c.c., che ne fornisce una nozione lata, F. REGINE, Comunione legale fra coniugi e diritti di credito, in Dir. e giur., , p. , nota a Cass.,  settembre , n. , sebbene, di contro, si finisce con l’aderire ad una lettura restrittiva dell’art.  c.c. 123 Altre esperienze ordinamentali (si pensi al diritto romano, o all’esperienze del common law) dimostrano come la rilevanza giuridica non debba necessariamente passare attraverso il riconoscimento del diritto soggettivo, ma il riconoscimento da parte dell’ordinamento può nascere anche dal riconoscimento di una tutela (secondo il ben noto brocardo ubi remedium ibi ius). Come ben noto, a partire dagli anni Settanta e per mezzo del decisivo contributo del Di     Riteniamo che nel perimetro di questi passaggi essenziali possa fondarsi il tentativo di collocare il denaro all’interno della teoria dei beni. .. Segue. La metafora del denaro come bene Come si è in precedenza detto, provare a verificare la nozione del denaro come bene giuridico apre una serie di bivî argomentativi, che, fondamentalmente, dipendono dall’ambivalenza morfologica e dalla stessa funzione del denaro quale mezzo principalmente deputato allo scambio. Vi è un punto di partenza, d’immediata evidenza, che non può essere revocato in dubbio: la considerazione che il denaro costituisca il valore economico – ovvero, la patrimonialità - per eccellenza. Esso rappresenta, pertanto, oggetto di situazioni giuridiche nel sistema di diritto privato positivo. Se si prova, tuttavia, a meglio definire questa affermazione alla stregua delle tassonomie individuate al paragrafo precedente, e così verificare di quali diritti (o rapporti giuridici) il denaro possa costituire oggetto, il discorso tende a presentare le suindicate ambiguità. Accedendosi all’orientamento più tradizionale nella teoria dei beni, che individua il bene con l’oggetto dei diritti assoluti patrimoniali, il problema che si pone diventa quello di qualificare del denaro in termini di oggetto del diritto di proprietà, o di altro diritto assoluto. Tale analisi rappresenta la cartina di tornasole circa il riconoscimento giuridico di interessi appropriativi in forma esclusiva sul denaro124. Majo (Cfr., più di recente, A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano,  e ID., Le tutele contrattuali, Torino, ) si è sviluppato in Italia un notevole dibattito circa l’utilità di una metodologia in grado di verificare la meritevolezza giuridica attraverso la violazione di situazioni, per ciò stesso, “tutelate”. Tale prospettiva interpretativa che sposta l’oggetto d’indagine dal diritto al rimedio mira a riproporre la centralità dell’interesse, anziché della situazione giuridica soggettiva. Cfr. infra p.  nt. . 124 Il fatto che vi siano ipotesi caratterizzate dall’interesse del privato a detenere e preservare il valore di somme di denaro (nella forma di risparmio o comunque di momentaneo non utilizzo in funzione di scambio) è ipotesi d’immediata evidenza. In tali casi, infatti, egli certamente non diventa creditore o debitore verso terzi del proprio capitale. Invece, le questioni che si pongono riguardano quali diritti e quali tutele l’ordinamento predisponga nelle ipotesi in cui si verifichi un evento patologico rispetto al soddisfacimento di tale interesse (problematica che autorevole dottrina ha chiamato, guardando alle possibili forme di appartenenza non necessariamente coincidenti con la proprietà, della “conformazione”, P. GROSSI, «Un altro modo di possedere». L’emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Mi- Il denaro: un enigma del diritto privato Questo tentativo qualificatorio, in un primo senso e stante l’attuale configurazione del diritto di proprietà nel nostro ordinamento come diritto su res corporales, guarda al denaro nella sua forma rappresentativa tradizionale di res125. Ma, anche riferendoci al denaro – res, la soluzione al problema qualificatorio potrebbe prospettarsi negativa per due ordini di motivi: a) per la mancanza del riferimento oggettivo corporale (non sempre il denaro è res); lano, , p. ). Un argomento interessante proviene da quel filone di studi, che non si è – ancora – affacciato nella dottrina giuridica italiana. Facciamo alla corrente di pensiero che associa diritto e neuroscienze, anche attraverso il tramite della cd. “neuro-economia”(neuroeconomics). Con riguardo alla moneta, è stato infatti dimostrato come essa attivi le medesime aree del cervello che vengono stimolate dai beni primari (es. cibo, acqua), o dalle sostanze che generano dipendenza; ed inoltre che gli incentivi relativi al denaro siano principalmente connessi all’ottenimento di un guadagno immediato anziché differito. Si è pertanto sostenuto che «if money were merely a tool, then the brain would not consider money tokens as subjects of immediate pleasure; rather it would consider them as objects that may bring about pleasure in the future. […] Many scholars agree that money’s incentive power cannot be fully explained by its use as a tool». Cfr. N. E. AYDINONAT, Explaining the origin of money. Interdisciplinary persepectives, in AA.VV., New approaches to monetary theory cit., p.  ss., spec. pp. - anche per ulteriore bibliografia. 125 Il requisito della materialità quale caratteristica necessaria dell’oggetto di diritti reali si giustifica, tradizionalmente, per il fatto che solo in relazione alle cose materiali può esplicarsi quel potere immediato (cioè l’esercitabilità del diritto senza l’intermediazione altrui) che rappresenta connotato essenziale di tale categoria di diritti. La letteratura classica sul punto sarebbe sterminata. Facciamo rinvio, per tutti, a C.M. BIANCA, Diritto civile cit., p.  ss. Sulla nozione di immediatezza, riferita al contesto dei diritti reali di godimento, al fine di rivedere globalmente la distinzione tra diritti di credito e reali, non può che citarsi M. GIORGIANNI, voce Diritti reali (Diritto civile), in Noviss. dig. it., V, Torino, , p.  ss. In un’ottica che guarda alla relatività storico-culturale dell’idea di proprietà e alla variabilità delle sue forme, denuncia la “crisi d’identità” del modello capitalistico L. MOCCIA, Riflessioni sull’idea di proprietà, in Riv. trim. dir. proc. civ., , p.  ss. Ovviamente non può essere questa la sede per affrontare la problematica dei “mobili confini del diritto di proprietà” e delle prospettive di evoluzione dell’istituto proprietario. Un’adeguata comprensione della problematica non può che attingere, tuttavia, alla prospettiva storiografica e, in particolare, all’opera di Grossi (da ultimo, in P. GROSSI, La proprietà e le proprietà nell’officina dello storico cit., in part. p.  «nella nuova proprietà il principio della corporeità dell’oggetto resta soltanto come l’ipoteca della pesante eredità romanistica»); nonché a quella sociologica, se si pensa alle radici capitalistiche del modello borghese/individualisti della proprietà individuale e ai suoi possibili sviluppi (cfr. J. RIFKIN, L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, (trad. it.) Milano, , sul passaggio dall’idea della titolarità di beni necessitata da un’economia di scambio al regime di accesso, ovvero della disponibilità temporanea di beni, garantita dai fornitori all’interno delle reti).     b) quand’anche si concreti in una res, per il carattere degli interessi giuridici rilevanti riferibili al denaro. Infatti, il rapporto tra la moneta e il suo detentore è ritenuta esaurirsi nella disposizione, ovvero, se si vuole, in un godimento che non può che attuarsi mediante il trasferimento a terzi; si è parlato in proposito di disponibilità in senso oggettivo126. Tale caratteristica sarebbe in contraddizione con un istituto che consiste essenzialmente nel godimento e nella disposizione. Invero, relativamente a questo secondo aspetto (sub b), tale obiezione appare formalistica, se si considera, tra l’altro, che la dottrina più avanzata individua lo statuto minimo della proprietà non nel contenuto della situazione soggettiva (le facoltà di godimento e di disposizione127) alla luce della proliferazione di statuti proprietari, ma nelle leggi di circolazione e nei modelli rimediali128, ovvero esclusivamente nelle prime129. Invero, la dottrina maggioritaria e più autorevole tende ad escludere la rilevanza del denaro nella sistematica dei diritti reali, in virtù della inutiLEMME, op. cit., pp. - Il denaro sarebbe bene insuscettibile di godimento come dimostra, il dato positivo (art.  c.c.) che definisce i frutti civili «come corrispettivo del godimento» di terzi sulla cosa (in questo caso, capitale). La norma importa, infatti, la negazione di tale facoltà, che risulta formalmente contraddittoria con il trasferimento della proprietà, ed invece l’asserzione della titolarità di un diritto di credito. La disposizione appena citata, pur nella sua atecnicità, mette in luce come il godimento, nel senso di utilizzazione giuridicamente rilevante di un bene, si realizzi con riguardo al denaro in una forma del tutto speciale, «intermediata», che ne presuppone la detenzione e, dato l’innato valore di scambio del bene, il trasferimento ad altro soggetto. La produzione dell’interesse compete, dunque, al capitale soltanto quando detenuto presso terzi. Ciò, tuttavia, non sembra essere sempre vero: si può rilevare come in altre ipotesi di trasferimenti di denaro (si pensi al deposito regolare, o, secondo parte della dottrina, al pegno irregolare) il conferimento al ricevente della facoltà di disporre non necessariamente comporti il trasferimento della proprietà. In tal caso, può ipotizzarsi che il contenuto del diritto resti in capo al tradente, stante il conferimento ad altri di una legittimazione indiretta, e che esso mantenga un qualche contenuto in termini facoltà di godimento (pur sempre intermediato). Un’idea di quanto affermato è già in DE MARTINI, Sulla natura giuridica del deposito cauzionale, nota a Trib. di Napoli,  settembre , in Giur. it., , I, , c.  ss. 128 SCOZZAFAVA, op. cit., pp. -, spec. p. ; GUARNERI, Diritti reali e diritti di credito: valore attuale di una distinzione, Padova, , p.  ss., ove i punti di emersione (o di offuscamento) della distinzione sono rintracciati tra gli altri, in una prospettiva comparatistica, al principio del consenso traslativo, come momento che tende ad obliterare la distinzione tra diritti reali e diritti di credito; all’atto ricognitivo; alla tutela aquiliana (estesa anche dei diritti di credito); nell’esistenza (o meno) del binomio possesso/detenzione. 129 GALGANO, Diritto civile e commerciale, I, Padova, , pp. -. 126 127 Il denaro: un enigma del diritto privato lizzabilità dei rimedi possessori o reipersecutori propri dei diritti reali, assumendo, altresì, la rilevanza di leggi di circolazione assolutamente peculiari nel nostro ordinamento130. La ragione è rappresentata dal fatto che il denaro è un bene fungibile ovvero, è regolato da una disciplina autonoma131. Tale prospettiva induce a guardare alle leggi di circolazione al fine di verificare lo statuto giuridico del denaro132, il che non necessariamente comporta che il denaro si sottragga al modello proprietario e alle sue possibili conformazioni; e che invece, la sua appropriabilità (che come vedremo sembrerebbe coincidere con il problema della sua individuazione) possa essere valutata, seppur in maniera problematica, partendo dalla categoria delle cose mobili fungibili133. Questa prospettiva verrà più attentamente valutata successivamente. Per quanto qui d’interesse, essa, pur ponendo in evidenza l’astratta collocazione del denaro all’interno della categoria dei beni e quale oggetto del diritto di proprietà, non dà risposte ancora esaustive in termini di effettive tutele esercitabili134. Passiamo, quindi, al punto di vista alternativo nella qualificazione del denaro come bene giuridico, quello che si basa su una nozione di oggetto di Si vedano, per la tesi negativa, A. DI MAJO, Le obbligazioni pecuniarie cit., pp.  - ; GALGANO, I contratti di prestito e finanziamento, in Diritto civile e commerciale, II, t. , Padova, , p.  ss.; GAMBARO, La proprietà. Beni, proprietà, comunione, in Tratt. dir. priv. Iudica-Zatti, Milano, , p. ; INZITARI, La moneta cit., p.  ss.; MAGAZZÙ, voce Pagamento cit., p. ; P. FERROLUZZI, Lezioni di diritto bancario, I, a ed., Torino, , p.  s. 131 Su cui si veda, infra, cap. II. Come vedremo, la prospettiva del denaro come bene fungibile, che appare ormai obsoleta con riguardo alle problematiche dell’obbligazione pecuniaria, diventa, invece, un passaggio obbligato allorquando si assuma una prospettiva recuperatoria. 132 Come vedremo più avanti (cfr. cap. II - III), la circolazione di un diritto dev’essere intesa in senso ampio, comprendendo non solo le leggi che regolano gli acquisti ma anche le conseguenze derivanti dalla conclusione di atti inefficaci. 133 CARBONNIER, Droit civil cit., p.  e . Ci permettiamo di rinviare al nostro, Il denaro tra proprietà e credito: le logiche dell’appartenenza, in Contratto e impresa, , p.  ss., in part. p. , ove, tra l’altro, si fa rinvio alla categoria dominicale, in quanto fondamentale categoria dell’appropriazione esclusiva. Più dettagliatamente in proposito, cfr. cap. II, paragrafi  e .. 134 Concordiamo con il rilievo che «avere denaro non tanto designa la “proprietà” di una “cosa”, quanto significa poter disporre di un valore la cui appartenenza nella sua giuridica essenzialità è totalmente smaterializzata» (MAGAZZÙ, voce Pagamento cit., p. ). Tuttavia, il fatto che lo schema proprietario classicamente inteso non ne colga la fisonomia e l’operatività non consente di discostarcene in via assoluta. 130     diritti esclusivamente legata al connotato della patrimonialità, in cui rientra certamente il denaro135. Esso ha un indubbio pregio: quello di avere in considerazione non l’elemento esterno (la cosa, il credito), ma la sostanza interna, cioè il valore economico. Il denaro sarebbe irriducibile a «schemi di reificazione»136 e, pertanto, costituirebbe mero valore patrimoniale. Ciò significa che può essere oggetto di pretese al conseguimento della sua disponibilità, ovviamente nella forma del diritto di credito; mentre una possibile sua difesa, all’interno di un patrimonio, ha più incerti contorni137. La tesi si ricollega alla considerazione che, come si vedrà più avanti, il concetto di proprietà non appaia utile nella spiegazione degli effetti acquisitivi (siano essi derivativi o originari) collegati ai trasferimenti di denaro, per il rilievo che tali effetti si producono “semplicemente” in capo a chi ne assume la disponibilità materiale. Da ciò deriverebbe l’assoluta specificità del “bene” denaro nei contesti circolatori138, ovvero la considerazione che esso sfugga del tutto alla stessa nozione di trasferimento, poiché l’acquisto della somma prescinde dalla precedente titolarità in capo ad un determinato soggetto o da specifici titoli (negoziali o legali)139. In questo senso, e non può diversamente inferirsi seguendo tale argomentazione, si assume che sussista una norma non codificata effettivamente operante nell’ordinamento giuridico che sottrae il denaro alla sistematica dei diritti reali e alle relative vicende. Per altro verso e avendo riguardo alla tutela della posizione di chi «Qui dit patrimonial dit pécuniaire, c’est-à-dire monétaire», CARBONNIER, Droit civil cit., p. . La patrimonialità del denaro può ovviamente essere intesa in duplice senso: a rappresentare quella che abbiamo definito la funzione di misura di valori, in quanto potere di acquisto indifferenziato, per cui ha i caratteri giuridici della fungibilità assoluta ovvero l’”equivalente assoluto” (in sede di valutazione dei danni - interessi) e della liquidità innata (poiché non ha bisogno di alcuna valutazione) [CARBONNIER, Droit civil cit., p. ]; ovvero, (nel senso da noi inteso, vicino al suo significato economico) di componente (esso stesso asset patrimoniale). 136 L’espressione è in R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino, in Enc. dir., Aggiornamento III, Milano, , p.  ss. 137 Parla di diritto al valore INZITARI, La moneta, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da F. Galgano, VI, Padova, , p.  ss., spec. p.  ss.. riprendendo la dottrina tedesca, cfr. SIMITIS, op. cit., , nella traduzione di Inzitari, voce Moneta, cit., p. . 138 Ancora R. MESSINETTI, voce Acquisto cit., p. . 139 Sulla nozione giuridica di trasferimento, si veda infra cap. II, par. . 135 Il denaro: un enigma del diritto privato «quelle somme già» detiene «nel proprio patrimonio» e aspira a «difenderle verso l’esterno», il denaro in quanto oggetto del patrimonio, e non del diritto di proprietà, potrebbe ricevere il trattamento giuridico che è proprio del patrimonio o di parti di esso140. Dalla prospettiva delle tradizionali categorie di tutela degli interessi giuridicamente tutelati (proprietà o responsabilità extracontrattuale), l’inquadramento del denaro come entità patrimoniale, non sembra, però, garantire alcun rimedio141. A tal proposito infatti, seguendo autorevoli suggestioni, saremmo indotti a pensare alla controversa figura del c.d. danno al patrimonio (o danno meramente patrimoniale o pure economic loss negli ordinamenti di common law), tramite cui si mira ad assicurare un rimedio alla perdita economica consistente in una diminuzione del valore economico (cioè monetario) del patrimonio non derivante dalla lesione di una specifica situazione giuridica soggettiva. In tal modo, anche il titolare di somme di denaro potrebbe ricevere tutela142. 140 In proposito, ma in senso parzialmente critico, A. DI MAJO, Le obbligazioni pecuniarie cit., p. . Un discorso più ampio sulle tipologie di tutela delle situazioni giuridiche soggettive non può ovviamente essere affrontato in questa sede. L’approccio che si sta seguendo, cioè della valutazione della rilevanza giuridica attraverso lo spettro delle situazioni giuridiche riconosciute e dei rimedi esperibili, induce a considerare lo strumento della responsabilità extra-contrattuale, il quale rappresenta, pur in una visione che l’assuma come sistema tipico (cfr. per tutti, C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, , p. ..), il terreno più fertile sul quale l’ordinamento valuta la rilevanza giuridica di un interesse (CASTRONOVO, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Europa dir. priv., , pp. - ) e quindi la sua rilevanza come bene giuridico (in questo senso, adottando una nozione di bene giuridico come di bene avente un mercato, riconosce implicitamente alla responsabilità contrattuale la funzione di evidenziarlo, S. MAZZAMUTO, Il danno da perdita di una ragionevole aspettativa patrimoniale, in Europa dir. priv., , p.  ss., spec. p. ). Gli esempi sono molteplici: si pensi solo al dibattito sulla perdita di chance, o, come si vedrà nel testo, sul danno meramente patrimoniale. Appare evidente che un interesse può dirsi acquistare autonoma rilevanza giuridica (in negativo, attraverso il requisito della ingiustizia) solo nel caso in cui sia protetto contro la violazione da parte di terzi e ciò non debba essere mediato dal giudizio di riprovevolezza attinente al rapporto giuridico in cui si è manifestato quell’interesse (che è il giudizio di avvenuta violazione del programma obbligatorio). 142 Acutamente osserva che la difesa di somme di denaro come parte del patrimonio sia alla base della figura del “danno al patrimonio” DI MAJO, ult. op. loc. cit. Si rileva, tuttavia, che la figura, ove ammessa come ipotesi di responsabilità extra-contrattuale, riconoscerebbe tutela al denaro principalmente in veste di misura di valori, prima ancora che come bene-in-sé. Il 141     Tuttavia, la più consapevole ascrizione di tale figura giurisprudenziale all’area del danno contrattuale, ovvero, solo nell’ambito di rapporti qualificati (sotto il profilo soggettivo o perché lesivi di situazioni giuridicamente rilevanti), lascia intendere come, neppure per tale via, il denaro sembri costituire oggetto di una tutela riferita ad interessi appropriativi in forma esclusiva143. problema è qui quello di verificare se il patrimonio (non il denaro) trovi tutela nell’ordinamento in quanto situazione unitaria. 143 La tematica del danno meramente patrimoniale (o pure economic loss) ha trovato un fervido dibattito all’interno della giurisprudenza e della dottrina italiane. Senza alcuna pretesa di esaustività nella definizione delle problematiche ad esso connesse, si indicano qui solo alcuni passaggi essenziali. Sulla irrilevanza giuridica della figura, non ulteriormente qualificata, il S.C. (Cass.,  giugno , n. , in Foro it., , I, c. ) ha efficacemente riassunto il rilievo principale: cioè che la mera perdita economica in sé non possa essere risarcita, difettando il requisito dell’ingiustizia del danno. Si è escluso, infatti, che possa esistere un diritto all’integrità del patrimonio «poiché se esistesse, tutti i danni sarebbero, in sé stessi, sempre ingiusti». Ma in senso contrario, Cass.,  maggio , n. , in Not. giuridico lav., , p. , secondo cui l’appropriazione da parte del lavoratore, nell’esercizio delle sue mansioni, di somme affidategli dal datore «integra un illecito aquiliano poiché lede il diritto assoluto all’integrità del patrimonio, di cui il datore di lavoro è titolare anche prima del e comunque indipendentemente dal contratto». Sul punto, si veda S. MAZZAMUTO, Spunti in tema di danno ingiusto e di danno meramente patrimoniale, in Europa dir. priv., , p.  s. In effetti, i maggiori nodi problematici della figura (la quale, secondo il comune intendimento e astenendoci da ulteriori precisazioni, ha trovato origine e maggior successo in ordinamenti aventi un sistema di responsabilità civile tipizzato (che nell’ordinamento inglese si fa risalire al case Spartan Steel & Alloys Ltd v Martin & Co (Contractors) Ltd []  QB )), si appuntano, per un verso, sull’ascrizione della stessa all’area del “contratto o torto”; e, quindi, sui criteri idonei a conferire rilevanza giuridica alla diminuzione quantitativa di un patrimonio (si veda ad es. la rilevanza della qualifica professionale del danneggiante, e in generale tutte le situazioni tali da generare un oggettivo affidamento in capo al danneggiato, come nel caso della fattispecie cd. di danno da informazioni inesatte), che comunque, pur in assenza di un preesistente rapporto negoziale possono essere ascritti solo all’area della responsabilità contrattuale. Si veda, C. SCOGNAMIGLIO, Sulla responsabilità dell’impresa bancaria per violazione di obblighi discendenti dal proprio status, in Giur. it., , IV, p. . In generale, ex multis, cfr. M. MAGGIOLO, Il risarcimento della pura perdita patrimoniale, Milano, ; C. SCOGNAMIGLIO, Il danno al patrimonio, Milano, ; A. DI MAJO, Il problema del danno al patrimonio, in Riv. crit. dir. priv., , p. ; A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, , p.  ss.; CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, , il quale dimostra come tutte le problematiche invocate a giustificare un “danno al patrimonio” siano tutelabili solo in quanto riconducibili ad una responsabilità di tipo contrattuale ovvero all’arricchimento ingiustificato, cui aderisce C. SCOGNAMIGLIO, Il danno al patrimonio tra contratto e torto, in Resp. civ. e prev., , p. . Si veda anche, N. MUCCIOLI, Osservazioni in tema di danno meramente patrimoniale, in Nuova giur. civ. comm., II, p.  ss. Il denaro: un enigma del diritto privato Un tale risultato comporta uno stato dell’arte che vede la rilevanza del denaro per il diritto privato esclusivamente nell’ambito dell’obbligazione pecuniaria, giungendo ad escludere rilievo giuridico all’interesse di chi detiene della disponibilità monetaria e aspira a «difenderle verso l’esterno». Volendo mutuare il modello euristico dell’analisi economica che individua il binomio property rules – liability rules144, potrebbe dirsi che l’ordinamento appronta una protezione che è basata sulla criminal law145 (per quanto riguarda le property rules) e la responsabilità contrattuale (quanto alle liability rules)146. L’inapplicabilità per il denaro di un’analisi economica basata su costi 144 Si rinvia al ben noto, G. CALABRESI e D. MELAMED, Property rules, liability rules and inalienability: one view of the cathedral, in  Harvard law rev., , p.  ss., ove elaborandosi la nozione di entitlement, come la posizione di vantaggio – diritto – concessa dall’ordinamento per il mezzo dell’attribuzione di tutele proprietarie (inibitorie) o risarcitorie, si elabora un modello in cui i diritti stessi vengono definiti in funzione dei costi transattivi associati alla loro protezione. Si badi, tuttavia, come gli aa. siano ben consapevoli della possibilità che più tutele concorrano sullo stesso bene (p. ). Pertanto, le tecniche di protezione si pongono come alternative, in base non solo alla scelta del legislatore, ma anche del giudice, di tutelare rigorosamente un determinato assetto distributivo, ovvero promuovere lo sviluppo di una risorsa, nel quadro di un’analisi costi-benefici. Questa prospettiva ha sollecitato, anche al di fuori dell’utilizzo del metodo dell’analisi economica, un approccio integrato ai diritti e ai rimedi, alle aree dei rimedi reali e risarcitori, che lì assumono la forma di meccanismi di incentivazione ex-ante e della minimizzazione dei costi di transazione ex-post. Il contributo offerto dall’analisi economica tramite questo modello ha poi ricevuto successivi sviluppi all’interno della letteratura giuseconomica, nel dibattito relativo alla selezione efficiente tra tutele inibitorie e tutele risarcitorie (ad es. Kaplow-Shevell , Epstein ). Un accurato quadro, e ulteriore bibliografia, nella prospettiva dell’ordinamento italiano, è in A. NICITA, R. PARDOLESI e M. RIZZOLI, Le opzioni nel mercato delle regole – SIDE Working Papers , disponibile al link http://www.side-isle. it/wp//nicita-pardolesi-rizzolli.pdf . Per i motivi che si enucleeranno più innanzi, il modello di Calabresi e Melamed, pur già nella sua essenzialità non può tuttavia poter essere applicato al denaro. 145 Sulle aree d’intervento del diritto penale, si veda paragrafo successivo e cap. II, nt. . 146 Il criterio fondamentale in base al quale i rimedi predisposti dall’ordinamento a tutela della property siano volti, per un verso, se strettamente proprietary, ad incentivare le contrattazioni sui beni, al fine di determinarne il prezzo, che invece, ove vi sia una regola di liability, viene rimesso alla determinazione collettiva (da parte dello Stato, e.g. del giudice), induce facilmente ad estendere la classe dei rimedi che fanno parte dell’una o dell’altra categoria (fissati da Calabresi e Melamed, nell’injuction e nel tort) anche a rimedi di tipo recuperatorio, nel primo caso, da responsabilità contrattuale, nel secondo. Sul punto, si veda R. COOTER, T. ULEN, Law and Economics, th ed., Pearson, , p.  s. Sulla stessa rilevanza della criminal law a costituire un rimedio di tipo “proprietario” in quest’ottica, CALABRESI e MELAMED, Property rules, liability rules and inalienability: one view of the cathedral cit., pp. -     transattivi e di informazione147, non consente di allargare le maglie di tale modello economico148. Invero, la qualificazione del denaro come entità patrimoniale (sia esso un credito ovvero un diritto reale) consente un avanzamento del ragionamento e fa guadagnare al denaro un proprio spazio di operatività nella teoria dei beni: in termini di una tutela di tipo reale, tale cioè da consentire al titolare di tale entità, un soddisfacimento con prevalenza rispetto ai terzi (ad es. creditori sulla medesima somma), quando la somma sia stata conferita a terzi con una destinazione specifica. Tale tutela sembra perdere di effettività allorquando – come sovente può immaginarsi accadere – non si sia in grado di identificare una somma di propria spettanza ma di cui non si disponga direttamente, perchè si trovi nel patrimonio di un terzo (ad es. gestore), ovvero degli acquisti operati con quella somma. Si parla in questi casi dell’operare del principio della cd. confusione patrimoniale149. Tuttavia, l’interesse al recupero della somma (interesse al valore finanziario in prospettiva recuperatoria) assume autonomo rilievo e impone la considerazione degli strumenti disponibili, in una prospettiva che prescinde da una qualificazione basata sulle situazioni giuridiche soggettive. Anche consapevoli di quest’ultima valutazione, si possono, a questo punto, evidenziare alcuni provvisori risultati sul tentativo di qualificazione del denaro come bene. Dall’analisi condotta emerge come, in virtù delle funzioni svolte, ed in una prospettiva realistica (ovvero non affetta dai retaggi delle finzioni giuridiche), il denaro stenti a prestarsi alle comunque problematiche tassonomie del bene in senso giuridico in senso stretto, le quali – pur nelle strettoie 147 Già Calabresi e Malamed concludono sulla maggiore efficienza delle regole di responsabilità in caso di costi transattivi alti, ovvero di quelle “inibitorie” in caso di costi transattivi bassi. Il problema della rilevanza delle informazioni a disposizione del giudice è invece in L. KAPLOW e S. SHAVELL, Property Rules Versus Liability Rules: An Economic Analysis, in  Havard law rev., , p.  ss, i quali concludono che il rimedio (se proprietary o compensatory) vada scelto sulla base del valore relativo che assume l’entitlement per il proprietario, in rapporto a quello per l’usurpatore e della conoscenza di tale valutazione da parte del giudice. Ciò comporta che l’allocazione efficiente dell’entitlement debba avvenire anche come decisione meno dispendiosa in termini di tali costi informativi. 148 Al di là dei generici richiami, la stretta applicazione del modello non appare possibile. 149 Cfr. infra paragrafo , p.  ss. Il denaro: un enigma del diritto privato concettuali che le caratterizzano - sono pensate per i beni aventi un proprio mercato (e ciò è vero tanto per l’analisi giuridica, quanto per quella economica). Tuttavia, l’idea di ipotizzare il denaro come bene in sé e quindi di utilizzarne le relative classificazioni ha consentito di offrire una panoramica sufficientemente ampia su quali siano gli interessi giuridicamente protetti con riguardo al denaro e quale il loro grado di tutela, all’interno del diritto privato. Dalla loro rilevanza emerge come, il punto più controverso resti quello del denaro come bene in sé appropriabile, anche tramite tutele ex post, come è emerso sia dal tentativo di adottare il criterio dei diritti reali, sia da quello di utilizzare il più ampio giudizio di patrimonialità. Questo particolare aspetto (l’appartenenza del denaro), invero, costituirà la tematica centrale cui provar a dare una risposta concreta, rispetto alla quale la mera asserzione dell’essere il denaro oggetto di diritti – di credito o se si vuole come bene giuridico in senso generico – non appare sufficiente se si omette di valutare il fondamento (o se si vuole) il titolo del diritto. Per correttamente condurre il discorso, a questo punto, si deve meglio definire il termine di riferimento150. Nel caso del denaro, come si è già detto, l’elemento esterno serve meramente ad individuare un bene la cui utilità però non risiede nella forma esteriore. Ciò nondimeno, quale sia il supporto fisico del denaro (cartaceo, metallico o informatico), la forma rappresentativa è preposta a conservare le proprietà minimali rispondenti e funzionali alle esigenze di versatilità negli scambi e di sicurezza nell’identificazione151. Difatti, l’oggetto della protezione giuridica è appunto il valore finanziario – che nel caso di denaro come bene in sé considerato è, tendenzialmente, quello nominale152 –, non la forma esterna, secondo uno schema con- 150 Nel paragrafo , si darà conto, invece, più ampiamente dell’interesse di tipo appro- priativo. 151 Si giustifica anche per la mancata rilevanza accordata a questo aspetto lo sviluppo dell’ortodossia, nelle teorie monetarie, secondo cui la qualità di strumenti irrifiutabili fosse attratta solo dai pezzi monetari. Cfr. MANN, The legal aspect of money cit., passim cap. I. Cfr. supra nt. . Un approccio ancora fortemente ancorato alla natura cosale del denaro è presente nel diritto inglese, come si vedrà infra al cap. IV. 152 Il concetto di valore, riferito al denaro si presta a qualificarsi in duplice modo: come     cettuale, simile a quello relativo ai beni immateriali e che in parte si ritrova nei titoli di credito. Si è sostenuto in proposito che il diritto si atteggi rispetto al denaro così come con l’opera d’ingegno: in senso metaforico. «Come si ritiene che il libro sia il corpus dell’opera letteraria o scientifica, ma che l’idea creativa dello scrittore costituisce l’anima del corpo stesso […] così anche in tema di moneta diciamo che l’anima di questa sia costituita dal valore potenziale patrimoniale che essa incorpora e trasferisce da soggetto a soggetto»153. Il che – si potrebbe dire – non può significare tralasciare il corpus, ma renderlo oggetto di tutela tenendo presente il suo animus, sul quale si appunta l’interesse meritevole di tutela154. Si tratta, ovviamente, di assimilazioni che si collocano su un piano tendenzialmente strutturale e non disciplinare155. Essa quindi non può convalore-in-sé (principio nominalistico); come concetto relazionale (commisurato al valore di altri beni), che nella prospettiva restitutoria diventa il valore dell’eventuale bene scambiato. 153 V. LOJACONO, Aspetti privatistici del fenomeno monetario, Milano, , p. . Uguale immagine è in L. MOSCO, Gli effetti giuridici della svalutazione monetaria, Milano, , p.  154 La metafora del denaro come bene qui assume il significato di evidenziare la prospettiva storica di trattare il denaro come se fosse una cosa (ovvero un’entità), per acquisire rilevanza giuridica nei processi circolatori. Tale inquadramento porta con sé tutte le insidie connesse al rischio di “scambiare la metafora per la realtà” e quindi interpretare, o forzare le norme, avendo come punto di riferimento il c.d. dominio bersaglio (nel nostro caso, il bene corporale) e non il dominio sorgente (qui, il denaro come valore). La rilevanza delle metafore nel diritto, della loro utilità ma anche del possibile valore ingannevole è stato di recente oggetto della riflessione di F. GALGANO, Le insidie del linguaggio giuridico, Bologna, , secondo un discorso che, per quanto qui di rilievo, converge sul rapporto tra valore e forma indicato nel testo. Il tema con particolare riguardo ai prodotti finanziari e all’ingannevolezza della metafora, è stato parallelamente percepito da A. HUDSON, Money as property in financial transaction, in  J.B.L.R., , p.  ss., spec. p.. Vanno, tuttavia, a questo punto precisati alcuni aspetti che qualificano in maniera peculiare la costruzione concettuale del denaro come metafora. Innanzitutto, il significato metaforico qui non traduce meramente nell’ambito della tecnica giuridica (quale ne sia l’autore, legislatore, giudici, dottrina) la figura linguistica della “similitudine sottintesa”, come ad esempio è avvenuto per la qualifica di particolari tipi di contratti come prodotti finanziari (legislatore), o di organizzazioni come persone giuridiche (dottrina). Essa, invece, traduce un’ambivalenza già presente nella realtà (giuridica), in quanto creata dal legislatore: il denaro come valore e carta-valore. Peraltro, pur collocandoci nell’ambito della categoria della metafora in ambito giuridico – intesa in senso ampio come allusione ad altro –, appare evidente che essa possa assumere più precisi connotati della figura metonimica. 155 L’analogia con i beni immateriali si limita al profilo strutturale (a valere come esempio delle tecniche utilizzate dal legislatore), attesa la diversità degli interessi da proteg- Il denaro: un enigma del diritto privato durre ad una possibile definizione del denaro come bene immateriale, in senso stretto156. Ma tale “metafora” consente di cogliere le linee di evoluzione dei modelli di circolazione all’interno dei diversi sistemi giuridici; oltre che meglio catturare il significato di una generalizzata identificazione del denaro come res157. In questa prospettiva funzionale, il concetto di “valore” (valore finangere nelle diverse ipotesi. Se, infatti, nel caso dei beni immateriali, la regolamentazione, mira a contrastare l’indiscriminata appropriabilità del bene (immateriale) da parte di terzi, trovandoci in presenza di beni c.d. non esclusivi (l’inventore o l’autore dell’opera d’ingegno non può facilmente escluderne l’utilizzo da parte di terzi) e non rivali (nel senso che l’utilizzo da parte di un soggetto non limita il contemporaneo utilizzo da parte di altri, per via della sua riproducibilità) [cfr. W. LANDES e R. A. POSNER, The economic structure of intellectual poperty law, , p. ; ID., La legge sui marchi industriali: una prospettiva economica, in AA.VV., L’analisi economica del diritto, a cura di D. Fabbri, G. Fiorentini e L. A. Franzoni, Roma, , p.  ss.]; nel caso della moneta (che è bene, per contrasto, tendenzialmente esclusivo e rivale) le questioni fondamentali che si pongono riguardano gli aspetti, se si vuole inquadrarli nella prospettiva circolatoria, degli incentivi alla facilità e velocità delle transazioni, come pure ad altri aspetti connessi all’attitudine allo scambio, e quindi al suo valore (se nominale o d’acquisto). Deve, tuttavia, rilevarsi come il carattere artificiale del bene (immateriale o moneta), creato da un soggetto terzo, ponga in entrambi i casi l’esigenza di evitarne la falsificazione. Sull’autenticità (e quindi sulla falsità), come unico limite alla sufficienza della carta-moneta, cfr. PELLIZZI, Prinicipi di diritto cartolare cit., p. . Quanto all’assimilazione del denaro ai titoli di credito, qui, le differenze in termini di rationes disciplinari si fanno più sfumate. In entrambi i casi, infatti, l’ordinamento mira a promuovere la circolazione dello strumento. Storicamente, ciò è avvenuto, tramite l’incorporazione, in un caso; l’evoluzione verso l’utilizzo di strumenti che, poi, sono stati inquadrati nella categoria delle carte-valori, nell’altro (cfr. nt. succcessiva). Sulla derivazione della carta-moneta (inglese) dai promissory notes, si veda FOX, Bona fide purchase cit.; sull’obsolescenza, però, dell’idea della carta-moneta come promessa di pagamento, già durante il corso legale della lira (che, unitamente alla firma del governatore e del cassiere, ancora riportava la scritta «pagabili a vista al portatore», definita come residuo storico), cfr. PELLIZZI, Principi cit., p. . Cfr., altresì, supra p.  nt. . 156 SANGIORGI, Pagamento e moneta scritturale, Torino, , p.  ss. 157 Tale identificazione trova fondamento nell’immediatezza della fruibilità del valore giuridico (perché attribuito dalla legge) della moneta e rappresentato dall’estinzione dell’obbligazione pecuniaria; e nell’essere il collegamento tra il valore e l’elemento materiale elemento necessario e sufficiente al prodursi dell’effetto giuridico. Per l’esigenza di distinguere l’oggetto dell’indagine dalla carta-moneta, presidiata dal controllo della circolazione monetaria – di carattere pubblicistico –, la dottrina sui titoli di credito ha, per differenza, definito la prima caratteristica suindicata come l’assenza dell’intermediazione di un soggetto (qual è il debitore nei titoli di credito) obbligato ad una prestazione, preannunciata nella carta o promessa. Cfr. PELLIZZI, Principi cit., pp. -.     ziario) rappresenta l’elemento costruttivo dell’interesse protetto (non esso stesso oggetto del diritto), che in questa sede si qualifica per finalità recuperatorie158. Sotto più profili abbiamo quindi visto come il denaro si presti, anche se poi sembri sfuggire, a qualificazioni idonee a determinarne uno spazio di tutela non interno alla logica del diritto di credito. Il tentativo di ascrizione alla categoria di bene giuridico rappresenta un tentativo di sintesi di tale ricerca. Essa, al termine dell’iniziale e più consueto tentativo basato sull’interrogazione delle situazioni giuridiche riferibili allo stesso, si è poi più consapevolmente rivolta ad una valutazione del tipo di tutele applicabili. Per altro verso, la prospettiva del denaro come valore induce a pensare all’adozione di modelli di disciplina equivalenti nella circolazione delle diverse forme rappresentative, sulla base della clausola di apertura contenuta nel codice civile (art.  c.c.). . Morfologia del denaro (rinvio) Il denaro assume nella realtà attuale diverse manifestazioni fenomeniche ed è soggetto a conseguenti diverse modalità di circolazione: i pezzi monetari, suscettibili di traditio materiale; e alle disponibilità monetarie (c.d. moneta bancaria o forme monetarie virtuali), le quali rappresentano, insieme alle altre forme di fondi detenuti presso intermediari diversi dalla banche – gli Istituti di moneta elettronica ovvero Istituti di pagamento159 –, il patrimonio monetario di effettiva rilevanza economica nella società contemporaCome già evidenziato, che l’essenza del denaro consista nel suo valore finanziario (che è il valore numerico della somma di denaro), e che l’interesse del privato sia all’ottenimento di quel valore e non dell’entità fisica o risultanza scritturale che lo rappresenta è dato ormai universalmente percepito nella dottrina economica e giuridica e, sul piano storico, proprio tali acquisizioni hanno consentito l’evoluzione dei modi di circolazione della moneta, verso forme sempre meno dotate di valore intrinseco e, attualmente, ampiamente spiritualizzate (virtuali). “Thus the value of the monetary unit seems to be somewhat disconnected from any object in the real world, or as one may say, from materiality”. A NUSSBAUM, Money in the Law cit., 1a ed., , p . 159 Si tratta, ai sensi della direttiva sui servizi di pagamento (PSD), //CE, di recente attuata nell’ordinamento italiano (con il d. lgs.  gennaio , n. , artt.  che introduce il Titolo V-bis al T.U.B.), di persone giuridiche autorizzate dalla Banca d’Italia che possono svolgere anche altre attività commerciali. 158 Il denaro: un enigma del diritto privato nea160. Tali disponibilità monetarie “circolano” (ma la terminologia, come vedremo, è impropria) attraverso movimentazioni di conti correnti bancari o dei fondi tenuti presso altre istituzioni emittenti, garantendo dal punto di vista economico la più ampia libertà di utilizzazione, con possibilità di servizi ulteriori rispetto agli impieghi di denaro contante161. La presente ricerca si confronta, alla base, con tale dato strutturale (le caratteristiche morfologiche) del denaro. Infatti, in astratto, la forma rappresentativa del denaro contante continua a rilevare, ancora oggi, poiché costituisce il referente materiale sul quale si sono formate, ad esempio, le leggi giuridiche di circolazione, e quindi vale come punto di riferimento per un ragionamento anche in chiave di analogia funzionale rispetto alle altre nuove manifestazioni (virtuali). Le banconote e la moneta metallica divisionaria sono res, ormai prive di valore intrinseco né convertibili in altro bene (oro, valute estere, obbligazioni governative), cui è attribuito da ciascun ordinamento il regime del corso forzoso, ma che nei moderni traffici economici, vengono utilizzate nelle transazioni (pagamenti) di più modesto ammontare. Tale limitazione del denaro contante risulta giustificata, per un verso, da una necessità storica e tecnologica (lo sviluppo dei traffici commerciali – nazionali e transfronta- Va tenuto in considerazione a questo proposito del fatto che negli ultimi anni la letteratura giuridica sul denaro è cresciuta copiosamente non tanto in relazione alle tematiche generali (quelle relative al concetto di interessi e di usura, al principio nominalistico, etc.), ma soprattutto in relazione alle problematiche sorte in relazione agli spostamenti di denaro mediante l’ausilio di mezzi elettronici e bancari. In proposito, traccia una breve storiografia della dottrina giuridica sul tema del denaro, B. INZITARI, Il sistema del «diritto del denaro» nella più recente dottrina tedesca, in Riv. trim. dir. proc. civ., , p.  ss., spec. a p. , distinguendo tre periodi (sec. XIX, secondo dopoguerra, anni Settanta), caratterizzati rispettivamente, dall’inquadramento della prestazione pecuniaria nell’ambito delle obbligazione, dall’analisi del principio nominalistico, tematiche connesse all’inflazione. 161 In virtù della disciplina antiriciclaggio, essi rappresentano, anzi, l’unico strumento utilizzabile nei trasferimenti di somme di denaro superiori ai . euro. Si veda l’art.  del d. lgs.  novembre , n.  (Attuazione della direttiva //CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva //CE che ne reca misure di esecuzione) e successive modifiche, che sostituisce, rafforzandone la portata, l’art. , d. l.  maggio , n. , convertito, con modificazioni, dalla legge  luglio , n. , e aggiornato con successive modifiche. Fino al d.l.  maggio , n.  conv. in l.  luglio , n.  il quale prevedeva un massimale per i trasferimenti di denaro contante pari a . euro. Cfr. infra cap. III nt. . 160     lieri – non avrebbe potuto continuare a reggersi sui trasferimenti materiali), dall’altro dalla legislazione antiriciclaggio162. Dal canto suo, la c.d. moneta virtuale (nelle sue varianti di moneta bancaria, elettronica, fondi detenuti presso istituti diversi da quelli bancari), rappresenta, invece, il fondamentale valore monetario circolante da un punto di vista economico-quantitativo, e trova il suo archetipo nella situazione soggettiva qualificabile come credito disponibile163. Quest’ultimo vale ad individuare il diritto di credito che il cliente ha nei confronti dell’istituto bancario, sulla base di una provvista iniziale costituita dal deposito di somme di denaro contante, ovvero dell’apertura di credito, affinché quest’ultimo renda disponibili (tramite le diverse operazioni che costituiscono lo svolgimento del rapporto, siano esse attive o passive: i.e. ordini di giro, rimesse e servizi di cassa continua, etc.), secondo le regole del mandato, le somme a diverso titolo affluite sul conto e risultanti a suo credito, appunto disponibili sul conto164. Il concetto di disponibilità va quindi riferito alla immediata predisposizione della disponibilità della somma da parte della banca sia alla gamma di possibili utilizzazioni connesse al conto corrente bancario (o di corrispondenza)165. È importante, sin da ora, chiarire che i versamenti e gli addebitamenti annotati sul conto con rappresentano crediti/debiti autonomi, ma alla stregua di somme facenti parte di una massa, confluiscono nel valore unitario rappresentato dal saldo. Di conseguenza, e seguendo una suggestione della giurisprudenza inglese166, la circolazione di somme/ crediti disponibili da un Vedi, infra, cap. II. L’opera di riferimento sul tema resta F. GIORGIANNI, I crediti disponibili, Milano, . 164 «Non vi è nessun momento in cui la banca possa considerarsi creditrice della somma impiegata per l’esecuzione, anche quando l’ordine viene dato allo scoperto se la somma necessaria rientra nei limiti dell’affidamento, perché anche in tal caso la banca utilizza una somma che aveva messo a disposizione del cliente». F. GIORGIANNI e C.M. TARDIVO, Diritto bancario, Milano, , p. . 165 GIORGIANNI e TARDIVO, op. ult. cit., pp. -. 166 Regina v. Preddy [] AC . Il caso, in sede penalistica, concerneva le false informazioni fornite per ottenere un prestito, che era stato poi elargito via trasferimenti elettronici di fondi. Il thema decidendum sottoposto alla House of Lords era se questo processo avesse procurato ai mutuatari «property belonging to another» come richiesto dalla s. () del Theft Act . La House of Lords ritenne che non vi fosse stato alcun trasferimento di somme, così ribaltando il pronunciamento del secondo grado. 162 163 Il denaro: un enigma del diritto privato conto all’altro non dà origine a vicende di circolazione di un credito, ma al ridursi o estinguersi di un saldo e all’incrementarsi di un altro sulla base delle annotazioni in conto. Un trasferimento materiale di somme, o di crediti, non avviene neppure necessariamente tra le banche per l’operare dei sistemi/infrastrutture interbancarie di compensazione dei pagamenti (clearing houses), in cui gli istituti, con regolamento lordo o netto, pareggiano i rispettivi conti di dare e avere167. Per gli altri valori monetari (moneta elettronica – fondi presso Istituti di pagamento), pur corrispondenti a diritti di credito nei confronti dell’emittente, potrebbero anche ritenersi non riconducibili a crediti disponibili in senso stretto, per diverse ragioni connesse alle caratteristiche dei fondi versati, che non possono essere, per espressa previsione di legge, assimilati a depositi bancari e per le regole di funzionamento degli enti stessi (sterilizzazione dei fondi, se non tra gli utenti del servizio di pagamento, rispetto al patrimonio dell’istituto di pagamento)168; ma, in ogni caso, la circolazione dei medesimi avviene, in sostanza, nello stesso modo. Quanto sinora detto rende chiaro che il panorama delle forme strutturali del denaro presenta connotati tipologici tra loro molto diversi che non ne rendono immediatamente possibile l’inquadramento in una cornice qualificatoria unica. È, tuttavia, evidente che il diritto nel predisporre o articolare gli strumenti di protezione degli interessi giuridicamente rilevanti debba guardare alla sostanza interna dei rapporti economici, ricercando risultati funzionalmente equivalenti, pur nella diversità della struttura giuridica in cui si manifesta l’oggetto del diritto. Diversamente, si rischia che il grado di tutela giuridica sia dettato dalle caratteristiche materiali della forma esterna. 167 Cfr., per una prima introduzione sui sistemi nazionali (BI-REL, BI-COMP), G. OLIVIERI, Compensazione e circolazione della moneta nei sistemi di pagamento, Milano, ; e più di recente, con riguardo anche all’area SEPA, MANCINI, Il sistema dei pagamenti e la banca centrale, in AA.VV., Diritto delle banche e degli intermediari finanziari a cura di Galanti, Padova, ,  ss.; e ID., Procedure, regole, funzione della compensazione multilaterale dei recapiti monetari nei pagamenti transnazionali e in quelli interni, in Il diritto del sistema dei pagamenti a cura di Carriero e Santoro, Milano, , p.  ss. 168 Ma, si veda infra cap. II, para. , nt. .     . La tutela dell’interesse recuperatorio quale ambito della ricerca Le questioni finora poste con riguardo al denaro hanno rivelato tutta la complessità di un tentativo di affrontare, in una prospettiva “olistica”, la considerazione del denaro quale oggetto autonomo dell’analisi giuridica (bene-in-sé) anziché quale strumento di scambio (come nel caso del pagamento in senso stretto) o mezzo di valutazione (come nel caso della responsabilità per equivalente) di altri beni. Esse, allo stesso tempo, consentono di meglio collocare le problematiche che attengono al settore prescelto, quello che più volte finora abbiamo definito l’“interesse al recupero”, e di cogliere quali siano gli ambiti di rilevanza giuridica. Il denaro vede sempre più potenziato, nella società contemporanea, e venuta meno la sua funzione di riserva di valore in senso stretto, il ruolo di provvista per l’acquisto dei c.d. beni di secondo grado (o di grado esponenziale), cioè non ad utilità diretta, ma per finalità d’investimento169. Lo sviluppo dei mercati finanziari, inoltre, prevede la necessaria la presenza di soggetti intermediari nelle attività d’investimento, ai quali i singoli risparmiatori, che usufruiscono di servizi d’investimento, conferiscono le somme iniziali le quali confluiscono nei “portafogli” oggetto di gestione da parte dell’intermediario. Il portafoglio – ma più in generale ogni somma di denaro soggetta ad amministrazione c.d. dinamica – è un’entità complessa mutevole al suo interno, destinata a tramutarsi in altri beni, fungibili (strumenti finanziari, dematerializzati), comprensiva, ad esempio per effetto di operazioni di disinvestimento, di regola, di una certa quota di liquidità monetaria, pur finalizzata a successivo reimpiego. Tale fenomeno che, sotto altro profilo, è stato definito della finanzia- 169 Sull’importanza che assume nella società contemporanea la ricchezza finanziaria (nella forma c.d. di beni di secondo grado, ovvero non ad utilità diretta) rispetto ai beni reali in genere e alla proprietà fondiaria in ispecie, che un tempo rappresentava la ricchezza per antonomasia, si veda SCHLESINGER, Il primato del credito, in Riv. dir. civ., I, , p. . Sulla nozione di beni ad utilità indiretta, o di secondo grado, per la prima volta proposta dall’Ascarelli con riguardo alle azioni di società (ASCARELLI, Riflessioni in tema di titoli azionari e società tra società, in Saggi di diritto commerciale, Milano, , p. ) si vedano: L. SALAMONE, Unità e molteplicità nella nozione di valore mobiliare, Milano, , pp. - e, più recentemente, G. LA ROCCA, Autonomia privata e mercato dei capitali, Torino, , pp. -. Il denaro: un enigma del diritto privato rizzazione dell’economia170, cioè di un eccesso di transazioni finanziarie rispetto a quelle connesse all’economia reale, comporta, peraltro, in un’economia globalizzata, il verificarsi di effetti domino ogni qualvolta si verifichi una crisi di uno degli attori del mercato171. Le forme degli impieghi di denaro che tendono a ritradursi in altri beni mobili-fungibili o, nuovamente in denaro, non si esauriscono, tuttavia, all’ambito dei mercati finanziari. Si tratta di un settore che può definirsi delle gestioni di denaro. Esso viene a comprendere forme di c.d. fiducia dinamiche, patrimoni destinati per specifiche finalità, trust mobiliari, e più in generale ad ogni forma di cooperazione giuridica caratterizzata dalla cifra dell’ “agire per conto”, che nel contesto attuale dei rapporti patrimoniali tende a rappresentare la modalità ordinaria, spesso obbligatoria, per il perseguimento degli interessi privati; e che si specifica, altresì, per avere ad oggetto somme di denaro, le quali, conferite inizialmente per l’acquisto di beni (principalmente – ma non esclusivamente – con finalità d’investimento), tendono poi a ricomparire quale risultato del disinvestimento o in ogni caso nel corso del rapporto. La domanda che ci si pone è, dunque, quale sia la posizione, rispetto a tali somme, del privato una volta che le abbia affidate a terzi. Come vedremo, e come probabilmente può già cominciare ad inferirsi, i diritti (o, se si vuole, le tutele) assumono in questo caso una fisionomia totalmente diversa rispetto alle ipotesi in cui l’oggetto dell’attività gestoria sia rappresentato da altre tipologie di beni. Il soggetto gerito si trova ad essere esposto, da un lato, a perdite pa- 170 Per ogni transazione reale c’è un multiplo potenzialmente illimitato di transazioni finanziarie che prendono la forma speculativa dei contratti derivati e delle relative varianti. Per alcuni dati in proposito, R. DORE, Finanza pigliatutto. Attendendo la rivincita dell’economia reale, Bologna, . 171 Si pensi agli scandali che a partire dal  hanno riguardato i mercati finanziari (si pensi ai fallimenti della Enron, alle vicende Cirio e Parmalat, alla crisi dello Stato argentino e ai problemi di liquidità che si sono riversati sui titolari dei bonds emessi da quello Stato, e più di recente alle crisi di colossi quali Leheman Brothers). Quest’ultima, in particolare, è in grado di dimostrare in maniera esemplare come la crisi dei mutui sub-prime – dovuta all’operare del sistema bancario statunitense –, per effetto della successiva cartolarizzazione dei crediti vantati dagli istituti mutuanti e dell’introduzione di parti dei titoli generati dalla cartolarizzazione in strumenti finanziari complessi, sia stata poi in grado di intossicare l’intero sistema americano e, a catena, il sistema finanziario mondiale. Cfr. supra nt. .     trimoniali derivanti dall’inadempimento del gestore (ad esempio, nei termini di eccesso di mandato), dall’altro alle vicende patrimoniali di quest’ultimo172. Tanto nell’uno quanto nell’altro caso, la difficoltà principale che si 172 Sui rischi che le relazioni giuridiche subiscono per effetto dell’interposizione di figure intermediarie nella prospettiva del venir meno delle relazioni di immediatezza tra il soggetto e l’oggetto in cui si attualizza(va) la risorsa, l’utilità patrimoniale, e tra gli stessi soggetti della circolazione, si veda SPADA, La circolazione della «ricchezza assente» alla fine del millennio, in Banca borsa e tit. cred., , p.  ss., ove a  si legge: «che l’appartenenza si basata su atomi o su bits […] che sia materiale o virtuale, sembra sistematicamente assai meno significativo […] del fatto che l’esercizio e la circolazione dei diritti siano o non intermediati». E ancora ( s.): «Lo sviluppo dell’intermediazione finanziaria è certamente una necessità iscritta nella storia delle istituzioni economiche e della tecnologia. Che il diritto prenda atto di questa necessità e si studi di imprimerle una disciplina funzionale ad evitare soprusi dell’intermediario ai danni del risparmiatore ed ad assicurare le condizioni proprie ad un impiego consapevole del risparmio è politicamente tanto civile da apparire doveroso». Tuttavia, «il costo che, in termini di libertà individuale, una scelta dal genere comporta può non apparire a tutti lieve […] Certo, il titolo di credito può essere smarrito, sottratto o distrutto e lo strumento finanziario dematerializzato non; ma lo strumento finanziario dematerializzato soffre di altre non meno gravi volatilità: di quelle che affliggono l’informatica e di quelle generate dal comportamento dell’intermediario. E non so se il rischio della disappropriazione sia, nell’ottica dell’individuo, minore del rischio dell’inadempimento e dell’insolvenza dell’intermediario, se, insomma, l’abdicazione alla (auto) tutela dei propri interessi economici che offre l’appartenenza (tutela reale per antonomasia) sia compensata dalla tutela assicurata da un comportamento dovuto (tutela tutta obbligatoria)». La riflessione, lì incentrata sulla dematerializzazione dei titoli di massa, può essere applicata anche al denaro. In entrambi i casi all’appartenenza del pezzo monetario o del titolo si sostituisce l’intestazione, in un conto tenuto dall’intermediario. Pertanto, le prerogative sul valore vanno oggi rintracciate nei sistemi di opponibilità propri dei rapporti. L’a. è di recente ritornato a riflettere su questi aspetti, registrando l’aumento dei rischi nel processo di virtualizzazione della ricchezza, per effetto non solo del carattere “intermediato” della circolazione, ma anche della evoluzione dei mercati finanziari e delle caratteristiche dei prodotti in essi negoziati. Si veda SPADA e COSSU, Dalla ricchezza assente alla ricchezza inesistente – divagazioni del giurista sul mercato finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., , I, pp. -, ove, con riguardo particolare alla struttura dei prodotti derivati e alle operazioni finanziarie nelle quali il conseguimento finale della ricchezza monetaria dipende non solo dal fattore tempo, ma dal riferimento ad un “dato” rilevante che determina la differenza tra danaro iniziale e danaro finale, si ripropone la tesi della natura aleatoria (assimilabile alla scommessa) dei relativi contratti, quando non giustificati da una sottostante funzione di “copertura”. In senso analogo, le riflessioni di GALGANO, Le insidie del linguaggio giuridico. Saggio sulle metafore nel diritto, Padova, . Contra, sulla modificazione dei rischi per il titolare di moneta, da cartacea a virtuale, PROCTOR, Mann on the legal aspect […] cit., p. , nt. : «[…] a claim on a financial institution may be lost in the event of insolvency of that insitution, and that is thus inappropriate to treat its deposit obligations as “money”. This is, of course, true, but the holder of physical money also accepts risks of loss (e.g. through fire or theft)». Il denaro: un enigma del diritto privato pone e che costituisce la cifra comune e specifica quando la gestione abbia per oggetto somme di denaro è rappresentata dagli ostacoli alla effettiva tutelabilità della posizione dell’investitore/mandante rispetto ai terzi. Infatti, come vedremo più avanti, nell’ambito del rapporto gestorio, la pretesa del primo (investitore/mandante) riguardo al denaro investito o ricavato, è una pretesa – quando non risarcitoria – avente carattere restitutorio. Essa si spiega in virtù della tradizionale ma mai discussa regola per cui il passaggio del denaro da una sfera patrimoniale ad un’altra determina il trasferimento della proprietà sullo stesso in capo all’accipiens (si spieghi questo come derivante da norme di acquisto a non domino, dalla natura fungibile, dalla cd. confusione patrimoniale relativa al denaro). Ciò significa che, al di là di casi specifici, non è ammessa la possibilità di una scissione tra titolarità e legittimazione (o se si vuole tra proprietà e possesso) sul denaro e che il recupero del bene da parte dell’originario titolare non può realizzarsi che come esercizio di un diritto di credito173. Ora, questo sembrerebbe non comportare ricadute negative nei rapporti inter partes. Invero, la natura fungibile del denaro, se impedisce l’esperimento di forme di tutela reale (in quanto avente titolo in un diritto reale, ove cioè la causa petendi sia un diritto reale), per altro verso non determina difficoltà nel recupero del valore, in veste di obbligo di restituzione dell’equivalente (anziché in un titolo reale), ovvero, ove ne ricorrano gli estremi, di obbligazione risarcitoria. Da tale prospettiva, il legittimo interesse al recupero del bene può dirsi, in via di principio, ugualmente tutelabile174. 173 Ci riferiamo, innanzitutto, a norme quali quella contenuta nell’art.  c.c. che, ascrive, appunto, al contenuto del regolamento negoziale l’alternativa tra il trasferimento o meno della proprietà sulla res deposita. Come vedremo, con riguardo ai beni fungibili, la lettura di tali norme richiede particolare cautela. Peraltro, come si vedrà infra al cap. III, l’interpretazione in questo senso della disposizione sul deposito irregolare, con riguardo ai beni fungibili, si è sviluppata nell’ambito dei rapporti dei depositanti rispetto al fallimento e alla massa creditoria; tuttavia, essa poi finisce con il fermarsi rispetto all’evenienza della c.d. confusione nel patrimonio del depositario. 174 Nei rapporti inter partes, i principali interrogativi giuridici sono, come vedremo comuni anche a queste ipotesi, quelli relativi all’individuazione del quantum della restituzione o risarcimento (nei termini dell’alternativa tra debiti di valuta o di valore, che pur resta, in questi casi, problematica, si veda, più di recente, N. RIZZO, Il problema dei debiti di valore, Padova, , p.  ss.) e al rischio di perdite economiche a seguito di investimenti svantaggiosi – se si pensa, altresì, alla complessità e velocità dei trasferimenti nel mercato finanziario. Aspetto che, a sua volta, merita separata valutazione è rappresentato dall’alternativa tra rimedi restitutori e     Il problema che invece si pone è quello di far valere tale diritto rispetto ai terzi, siano essi, ad esempio, i creditori del mandatario, ovvero il fallimento di quest’ultimo, o ancora il terzo contraente175. Si tratta di una tematica che guarda all’appartenenza latu sensu sulle somme di denaro176, attraverso l’individuazione degli strumenti di tutela che presidiano gli interessi del titolare di somme di denaro il quale disponga di tali valori (monetari) per finalità di gestione, al fine del recupero delle somme somministrate, ovvero dei risultati gestori177. Si prenda ad esempio l’ipotesi dell’incapienza patrimoniale del gestore, che comprende anche l’evenienza della decozione del medesimo: in tali casi la soddisfazione del gerito può realizzarsi soltanto attraverso il recupero del bene (o di un valore equivalente), che non subisca la falcidia della procedura concorsuale, o del concorso con altri creditori. Tuttavia, qui, l’operatività di meccanismi confusori tra i beni del mandante e del gestore nel patrimonio di quest’ultimo – in assenza di una specifica separazione delle somme –, se per un verso impedisce, ancora una volta, il mantenimento di una situazione di appartenenza in senso stretto sui beni da parte del primo; allo stesso tempo, non trova contraltare nella possibilità di esercizio del “diritto sul valore” in termini di diritto di credito. Infatti, pur a fronte di un diritto alla disponibilità dei valori monetari e, nell’ipotesi patologica, a recuperare il proprio denaro presso il terzo (gestore infedele), la qualifica in termini di diritto di credito non consente alcuna prevalenza rispetto a concorrenti diritti personali: nè in una – auspicabile – distinzione basata sul titolo del pagamento (come nel caso delle azioni revo- risarcitori, nella prospettiva del più conveniente utilizzo da parte del legittimato attivo (in termini di prova). 175 Queste ipotesi hanno trovato applicazione, in giurisprudenza, con riferimento, ad esempio, alla revocabilità delle rimesse effettuate dal mandatario al mandante, ovvero ai pagamenti effettuati da terzi (poi falliti) al mandatario; alle pretese restitutorie degli investitori a seguito della decozione dell’intermediario. 176 L’idea dell’opponibilità a terzi come appartenenza latu sensu apparirà più chiara dal confronto con l’esperienza di common law, in cui la categoria proprietaria è tradizionalmente concepita come rapporto con i terzi, anziché essere affetta dall’idea dell’incidenza sulla cosa. Cfr. più ampiamente, infra, cap. IV. 177 L’attenzione sul centro d’interessi costituito dal titolare di liquidità monetaria trae le mosse dalla letture delle pagine iniziali della nota monografia di Di Majo sulle obbligazioni pecuniarie (DI MAJO, Obbligazioni pecuniarie cit., p. ). Il denaro: un enigma del diritto privato catorie)178; nè, nelle forme di separazione patrimoniale, pur previste in sede di dettato codicistico o di legislazione speciale (sull’intermediazione finanziaria), poiché la persistenza delle stesse viene affidata ad obblighi contabili in capo al titolare dell’interesse avverso (gestore)179. Il problema dell’ottenimento del valore si qualifica, quindi, come problema del suo aspetto reale nel senso di opponibilità ai terzi180, e quindi come prevalenza rispetto, principalmente, ai creditori del proprio debitore, o della procedura concorsuale, e si localizza, nell’area della responsabilità patrimoniale, o meglio della specializzazione del patrimonio generale. Tuttavia, raggiungere tale consapevolezza non appare risolutivo appunto quando l’opponibilità riguarda somme di denaro. In questi casi, infatti, l’astratta titolarità di una situazione giuridica su una parte del patrimonio appare destinata a non poter essere tutelata, per il difetto di poter individuare/ tracciare la porzione di patrimonio aggredibile. Il presente studio mira, tenendo conto delle rinnovate esigenze che i moderni traffici pongono, a proporre una rilettura critica della problematica La giurisprudenza, eccezion fatta per casi di fattispecie riguardanti l’intermediazione mobiliare (Trib. Firenze,  febbraio , in Foro it., , I, c. ), tende ad includere nella nozione di pagamento revocabile, rispetto al fallimento, qualsiasi atto di trasferimento di somme di denaro in adempimento di debiti liquidi ed esigibili, sancendo la sostanziale irrilevanza del titolo in virtù del quale viene effettuato il pagamento. Ne deriva che, ad esempio, la rimessione delle somme dovute al mandante, intervenuto il fallimento del mandatario, viene considerata, in presenza della ricorrenza degli altri presupposti, revocabili e quindi attratti, almeno in via di principio, alla massa fallimentare. Ciò sulla base della considerazione che il versamento di tali somme al mandante, costituenti distinti atti di ritrasferimento, integrano gli estremi del pagamento di debiti, ascrivibili all’obbligo di rendiconto ex art.  c.c., liquidi ed esigibili e revocabili ex art.  l. f.. Cfr. Cass.  dicembre , n. , in banca dati De jure e Giust. civ. Mass. . Nella specie, si trattava il procacciatore di affari di un concessionario di autoveicoli, in forza del rapporto di mandato intercorrente con quest’ultimo, riscuoteva il prezzo delle vendite per poi ritrasferirlo successivamente, trattenendo la provvigione. La Suprema Corte ha escluso che potesse essere invocata, nella fattispecie, la regola di cui all’art.  c.c.. Si veda, altresì, Trib. Milano,  gennaio , in Giur. it., , p. . 179 Ad es. con riguardo all’esercizio della rivendica fallimentare, ex multis, Trib. Roma,  maggio , in Giur. romana, , p. . Ma si veda, infra, cap. III. Va precisato, in proposito, che la problematica dell’opponibilità ai terzi dell’”appartenenza del denaro” (nel senso chiarito nel testo, come pretesa al riottenimento di un determinato ammontare) si è sviluppata, negli ordinamenti di civil law, proprio sul terreno delle c.d. rivendiche fallimentari (si veda amplia bibliografia, per dottrina e giurisprudenza, infra cap. III), sebbene trovando, nella maggior parte dei casi, risposta negativa. 180 SPADA, La tipicità delle società, Padova, , p. . 178     che viene tradizionalmente indicata come individuazione (come contraltare della confusione) del denaro (e di altri beni fungibili) all’interno di masse patrimoniali più ampie, ma che può, utilizzandosi una terminologia scevra da precomprensioni “fisiciste”, più comodamente dirsi della quantificazione o identificazione. Essa è funzionale all’analisi delle forme di tutela recuperatoria, che – si ribadisce – diventa necessaria allorquando sorgano conflitti rispetto a terzi sul patrimonio del comune debitore, affidatario dei beni181. Centrale diventa, in tale contesto, l’analisi, in chiave rimediale, delle fattispecie relative alla custodia e alla gestione di valori monetari (ad es. nei servizi d’investimento), ipotesi che s’informano sui modelli negoziali dei depositi di denaro e del mandato – ad alienare (nella parte relativa alla sorte delle somme ricevute in corrispettivo) o ad acquistare (con riguardo alla somministrazione dei mezzi necessari). 181 Questa tematica veniva inclusa da NUSSBAUM, Money in the law. National and international cit., pp. -, nell’ambito della parte dedicata a “Transfer and Litigation” avente ad oggetto “specific money”, sotto il titolo di “Substitute Rights (Constructive Trust and Lien), evidenziando come si trattasse di uno settore in cui la tutela dell’originario possessore di moneta trovasse spazio solo nei sistemi di common law, e non di civil law. «In civil law, - which through its commingling rule (corsivo nostro) further adds to the obstacles – O (the original owner of specific money ndr) is […] reduced to the status of a general creditor of W (the Wrongdoer ndr). Not so the common law. If the proceeds of W’s transaction can be traced into W’s possession, O may enforce upon them a constructive trust, or at his option, an equitable lien to secure his claim for reimbursement from the wrongdoer. Thus if W loaned O’s money to T, O could prevent W’s general creditors form realizing on the debt owed to W by T. If T is himself mala fide, or did not give a valuable consideration, O would have the same in rem rights against T […]. In case he does not succeed in this proof, or in case the intermediary balance (Bank ndr) is insignificant, only a personal claim against W is left for O, just an in civil law» (pp.  - ). Il passo, che potrà essere meglio compreso alla luce di quanto si dirà infra cap. II, evidenzia come l’illustre a. guardasse ad una fattispecie ideale, per un verso, più ampia, cioè quella relativa a qualsiasi appropriazione illegittima di somme di denaro da parte di un terzo; dall’altro più circoscritta, poiché, nella prospettiva dei rimedi esperibili nell’ordinamento statunitense, si concentrasse sulla regole elaborate in quel sistema a garantire una certa tracciabilità (omissis). In questo si spiega la contestualizzazione della tematica all’interno delle problematiche riguardanti la specific money. Il problema della rilevanza rispetto ai terzi della moneta che noi qui assumiamo, a ben vedere, ci sembra non rappresenti altro che l’esigenza di fondo che nell’ordinamento di common law viene assolta attraverso la tracciabilità del bene specifico e che l’a. tedesco conclude come invece non soddisfatta affatto negli ordinamenti di civil law. Invero, come vedremo, nonostante il già richiamato principio della confusione patrimoniale, anche l’ordinamento italiano tende a fornire soluzioni che si fondano sull’esigenza di una costante e rigida identificabilità del bene. Il denaro: un enigma del diritto privato D’altronde già la disciplina positiva relativa ai rapporti gestori (all’archetipo dei contratti di cooperazione in funzione sostitutiva) conferisce rilievo specifico – per il tramite della concessione di rimedi, non della proclamazione di diritti182 – all’interesse del gerito in relazione al recupero dei beni (art. , co. , c.c.), sebbene in relazione all’oggetto monetario, in virtù della sua fungibilità, la disciplina degli acquisti (del mandatario) sembri cedere il passo a meccanismi che dipendono dalla diligenza del gestore (la rimessione delle somme, artt. - c.c.). L’approccio che s’intende seguire è in qualche modo tributario della c.d. prospettiva rimediale183. Il rimedio quale alternativa alla prospettiva formalistica del diritto soggettivo ben si presta, infatti, alla ricerca di «quale soluzione concretamente l’ordinamento offre ad un individuo di fronte alla violazione del suo interesse»184 nell’ambito d’indagine prescelto. La formazione 182 Lo dimostra la sostanziale sterilità del dibattito sulla proprietà del mandatario (su cui, cfr. infra cap. III). 183 Nella riflessione continentale, in particolare italiana, una rilettura del diritto privato in chiave di meccanismi di attuazione degli interessi, piuttosto che dal punto di vista della loro proclamazione a livello sostanziale si deve, principalmente, ai contributi di A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Torino,  e ID., Le tutele contrattuali, Torino, , D. MESSINETTI, Sapere complesso e tecniche giuridiche rimediali, in Europa dir. priv., , p.  ss. e più di recente, di S. MAZZAMUTO, I rimedi, in Manuale di diritto privato europeo a cura di C. Castronovo e S. Mazzamuto, II, Milano, ,  s. Una completa ricostruzione del dibattito nella dottrina italiana relativamente alla funzione e ai confini dell’“approccio rimediale” è in F. PIRAINO, Alcune osservazioni in tema di rimedi, in Riv. dir. economia, trasporti, ambiente, , p.  ss., il quale ripercorre altresì le aree del diritto privato, anche di fonte comunitaria, che più hanno stimolato la riflessione in termini “rimediali”. Appare, a tal proposito, opportuno notare che una più compiuta formulazione dell’approccio rimediale sia ascrivibile all’ultimo ventennio, e che essa resti, nelle sue diverse espressioni, in certo modo condizionata dallo specifico settore cui, di volta in volta, è stata applicata (ad es., nelle formulazioni che partono dall’analisi dei diritti della persona o del diritto privato di matrice europea). Entrambi gli aspetti possono spiegarsi con la sostanziale estraneità di tale prospettiva ai consueti percorsi della scienza giuridica continentale, più avvezza ad un approccio di tipo “sostanzialistico”, cioè fondato sulla analisi della fattispecie nel prisma del diritto soggettivo, di guisa che il suo adattamento non può che rimanere condizionato dallo specifico oggetto di analisi. In quest’ottica, il tentativo allo stato più compiuto, proprio per la sua duttilità ci sembra resti quello che adotta il rimedio come una prospettiva metodologica, volta a “disvelare” quei bisogni di tutela che, pur non apparendo formalizzati all’interno di una fattispecie, trovano nell’esperibilità del rimedio il momento di rilevanza giuridica. 184 MATTEI, I rimedi, in ALPA, GRAZIADEI, GUARNERI, MATTEI, MONATERI e SACCO, La parte generale del diritto. . Il diritto soggettivo, in Tratt. dir. civ. diretto da R. Sacco, Torino, , p. . È singolare, tuttavia, notare come negli ordinamenti tipicamente sviluppatisi sulla base     di un giudizio di rilevanza (giuridica) e la conseguente individuazione della disciplina dell’interesse recuperatorio su somme di denaro, anche per l’assenza di una normativa di riferimento, appare difficilmente rintracciabile mediante un approccio di tipo dogmatico, ovvero incentrato sulle categorie del diritto soggettivo. Tale giudizio risulta, di contro, più chiaro in un’ottica che miri a riconnettere più direttamente l’interesse (il bisogno di tutela) al congegno di tutela185. Se il rimedio rappresenta, in qualche modo, la chiave di lettura della tematica, ci sembra opportuno ritornare ad evidenziare l’interesse che questo studio prende in considerazione (l’interesse di tipo appropriativo sul denaro) e le circostanze che lo rendono rilevante (un’attività gestoria posta in essere da un terzo intermediario). La circostanza della gestione intermediata, infatti, fa emergere la rilevanza giuridica di un interesse (quello appropriativo) che risulta soccombente nella comune analisi della dinamica dei trasferimenti monetari (rispetto, ad esempio, all’interesse alla circolazione), e che pone, invece, una serie di interrogativi su come consentirne l’attuazione. La valutazione sul ruolo dell’intermediazione assume, quindi, valore centrale. All’intermediario/gestore, infatti, competono, non soltanto – secondo lo schema contrattuale prescelto – le scelte circa gli impieghi del denaro conferito, ma, altresì, la contabilizzazione degli stessi. Dalla sua diligenza e correttezza (ad es. la più o meno veritiera contabilizzazione delle operazioni per conto) viene fatta dipendere, nell’ipotesi patologica, la prova civile per determinare il quantum del diritto al recupero spettante all’altro contraente (i.e. le scritture contabili). Questo schema di funzionamento impone di valutare le possibili scelte di policy per l’ipotesi del comportamento abusivo dell’intermediario186. della concessione di rimedi, si avverta l’ansia esattamente opposta, cfr. L. SMITH, Common law and Equity in RRUE cit., sulla necessità di riaffermare il valore sostanziale del constructive trust, troppo spesso relegato a mero rimedio. 185 S. MAZZAMUTO, I rimedi, in Manuale di diritto privato europeo cit., p.  s. Laddove, infatti, come si è visto si provi a ragionare in termini di situazioni giuridiche soggettive insistenti sul denaro (proprietà o credito) ciò non porterebbe che all’affermazione di un diritto non assistito da rimedio (proprietà), ovvero alla affermazione di un credito, che rischierebbe tuttavia di non essere contestualizzato nella prospettiva della responsabilità patrimoniale. 186 Tale tipo di lettura, pur non necessariamente attingendo alle questioni di social wel- Il denaro: un enigma del diritto privato Per l’ordinamento si pone cioè l’alternativa se l’infedeltà dell’intermediario debba essere assunta come costo a carico del sistema (in termini di responsabilità penale dell’intermediario187), in caso di mercato specifico, di chi accede a tale mercato (laddove si potenziassero, ad esempio, i sistemi di indennizzo)188, ovvero, se tale rischio, in qualche modo vada ad essere distribuito all’interno del ceto creditorio189. Tale costo rappresenterebbe allo stesso tempo un incentivo all’utilizzo dei sistemi di gestione, venendo potenziati gli strumenti di graduazione del rischio. Questa prospettiva, evidentemente, rivaluta il ruolo del private enforcement degli interessi quale meccanismo di tutela dei mercati190. Peraltro, lo specifico settore del mercato finanziario ha dimostrato che la previsione di sistemi d’indennizzo degli investitori risulti di scarsa operatività e, in ogni caso, non soddisfacente191. fare poste dall’analisi economica del diritto (Sul punto cfr. R. A. POSNER, Economic analysis of law, th ed., , p. -), ne condivide la visuale che consente di meglio astrarre gli interessi in gioco nella regolamentazione normativa. 187 Secondo la disciplina generale, le ipotesi di furto o appropriazione indebita; ovvero, in base alla disciplina speciale, l’ipotesi della confusione patrimoniale (art.  T.U.F.). 188 È d’immediata evidenza che l’accentuazione dei ruolo svolto dai sistemi di indennizzo, distinti ad esempio in ragione dei diversi mercati, potrebbe disincentivare l’attività economica privata, delle imprese o professionisti operanti nel settore ovvero, molto più probabilmente, aumentarne i costi, caricati, inevitabilmente, sugli utenti finali. Cfr. infra nt. . 189 Un’analisi economica su un versante limitrofo (quello della destinazione ad uno specifico affare), che guarda, tuttavia, al rapporto tra creditori generali e creditori della separazione del disponente, è in G. ROJAS ELGUETA, Il rapporto tra l’art. -ter c.c. e l’art.  c.c.: un’analisi economica della nuova disciplina, in Banca, borsa, tit. cred., , p.  ss. 190 Ad esempio, la letteratura giuseconomica valorizza il ruolo del private enforcement come sistema che incrementa le probabilità di scoprire condotte illegali. Si veda, anche per ulteriore bibliografia, A. MASTRORILLI, Autonomia privata, mercato e contratti d’impresa, in Riv. crit. dir. priv., , p.  ss., spec. pp. -. Cfr., per una nostra idea in proposito, infra cap. V, para. . 191 La tutela dell’interesse pubblico alla tutela dei piccoli risparmiatori (al fine di scongiurare la perdita di fiducia degli stessi nella stabilità del sistema) ha portato il legislatore italiano a prevedere una pluralità di sistemi di indennizzo [art.  T.U.F. (integrato con il decreto del Ministero del Tesoro d.m. --)], cui gli intermediari finanziari sono obbligati ad aderire degli investitori in ipotesi di crisi degli intermediari finanziari, e che continuano a coesistere con il Fondo nazionale di Garanzia per la tutela dei crediti vantati dai clienti delle Sim – tuttora operante (ex art. , co. , lett. jj, T.U.F.) e riconosciuto oggi come uno dei sistemi di indennizzo operativi -, il quale a due anni dall’istituzione, aveva rivelato, tuttavia, una consistenza tanto esigua da non poter soddisfare i crediti dei clienti di una sola Sim insolvente (sistema della quota contributiva fissa), e che pertanto è stato adeguato ai nuovi canoni fissati dal     Individuati, seppur sommariamente, gli ambiti della ricerca, e le principali problematiche emergenti, può quindi procedersi ad un’analisi più dettagliata, partendo dalla vicenda giuridica che rappresenta la premessa logica al sorgere di un interesse recuperatorio: quella che si realizza tramite i trasferimenti di denaro. Ministero dell’Economia. I sistemi di indennizzo sono organismi privati che operano sulla base di propri statuti e sono sottoposti al controllo del Ministero dell’economia e delle finanze, della Banca d’Italia e della Consob. Operano in libera concorrenza e quindi le imprese di investimento obbligate potranno orientare la loro scelta in ragione dell’onere contributivo richiesto che dev’essere contenuto nello statuto. Onde, la necessità che il Ministero all’atto del riconoscimento, valuti la capacità di rispondere alle aspettative dei risparmiatori. In verità il meccanismo di funzionamento alla stregua di un contratto di assicurazione obbligatoria, quantificando il corrispettivo dovuto dal singolo intermediario (premio) in base alla sua solidità economica e al concreto rischio di insolvenza, può deporre in senso positivo. I crediti tutelati sono, nell’ipotesi di liquidazione della SIM aderente, quelli derivanti da operazioni di investimento. Mentre i crediti risarcitori originati da inadempimenti contrattuali ovvero dalla violazione di norme di comportamento con gli investitori sono protetti dalla lg. / e d.lgs. / emanato a seguito dei tracolli Parmalat, Cirio, bond argentini. Nel primo caso la misura del ristoro prevede la copertura integrale del credito fino all’importo di . euro. Per crediti di importo superiore, il rischio coperto è commisurato ad una quota dell’investimento effettuato. Tali limiti non potrebbero essere più alti, in quanto la garanzia di un indennizzo eccessivamente elevato si tradurrebbe nell’inevitabile incremento del prezzo dei servizi finanziari offerti dalle impresi di investimento: il costo della tutela degli investitori, apparentemente sostenuto dalle prime ricadrebbe in definitiva su questi ultimi. Nel secondo caso, non si tratta di un sistema di indennizzo nel senso degli artt. - T.U.F., ma di un dispositivo volto ad obbligare banche ed intermediari finanziari, responsabili di violazioni degli obblighi di comportamento nei confronti della clientela, ad indennizzarli da tali inadempimenti. Il dispositivo si collega alla procedura di arbitrato amministrato dalla camera arbitrale istituita presso la Consob per la risoluzione di controversie insorte a seguito di tali inadempimenti. La procedura arbitrale, non obbligatoria, e fa salvo il diritto dell’investitore di adire l’autorità giudiziaria. Anche su questo sistema resta il ragionevole dubbio che possa sortire l’effetto di incrementare notevolmente il prezzo dei servizi finanziari. Capitolo secondo Modelli di circolazione e forme strutturali . Appartenenza, denaro e vicende proprietarie. – . Il denaro «bene senza qualità»: sul concetto di fungibilità e di quantità. – .. Segue. Beni fungibili ed evoluzione del mercato. – . Trasferimenti di denaro e leggi di circolazione. – .. Segue. Il denaro come oggetto del contratto. – .. Segue. La commixtio nummorum: verso una rilettura possibile. – .. Segue. La regola italiana del possesso vale titolo: origini e applicazione. – . Le forme smaterializzate di denaro. – .. Segue. I trasferimenti monetari in ambiente virtuale. – . La prospettiva dell’«equivalenza funzionale». . Appartenenza, denaro e vicende proprietarie L’idea che anima questo lavoro guarda al denaro come ad un bene in sé e ne studia il comportamento nella circolazione, qualificata dal titolo del trasferimento (dimensione funzionale), tenendo a mente di tale bene le intrinseche peculiarità. Abbiamo chiarito come, quando si faccia riferimento alla circolazione del denaro (cioè ai trasferimenti monetari), sia necessario circoscriverne gli ambiti di rilevanza, ovvero limitare l’analisi in funzione dell’utilizzo. Nel capitolo successivo, analizzeremo più da vicino l’ambito (le fattispecie dell’intermediazione gestoria) in cui il concetto di denaro come “valore finanziario” assume rilevanza in vista di un interesse recuperatorio particolarmente qualificato. Per far ciò è, tuttavia, necessario comprendere quali siano le caratteristiche del denaro tali da poter incidere nella disciplina dei trasferimenti a causa gestoria. Il denaro è, per eccellenza, il cespite universale e universalmente presente, in virtù della sua convertibilità in ogni (altro) bene. Ogni soggetto di diritto ha del denaro, come pure è vero che, in virtù della sua funzione di equivalente universale (fungibilità – che diremmo – “esterna”), nessuno è interessato    a specifiche banconote, monete – se non per interessi numismatici o comunque singolari – o a particolari caratteristiche dell’oggetto in sé (fungibilità interna). Se pertanto è vero che non ha rilevanza pratica l’interesse sul denaro come cosa determinata, ciò assume come presupposto una idea di determinatezza della cosa propria di tutte le altre entità materiali, non dei beni fungibili, e non del denaro, ove può inferirsi invece solo un interesse ad un valore determinato (nel senso di quantità, ammontare). Esistono almeno due ambiti nei quali l’interesse al denaro, in quanto bene che assume connotati di specificità, nel senso che può essere proprio dei beni fungibili, emerge. Si tratta di casi in cui vi sia un interesse alla restituzione di una somma inizialmente versata per fini d’investimento/gestione ovvero ai risultati del suo investimento. In tali ipotesi assume rilievo il denaro come bene specifico, allorquando vi sia stato l’inadempimento del gestore, perché qui può sorgere l’esigenza di far valere un titolo poziore/“preferenziale” sulla somma restituenda, come pure, in caso di acquisti effettuati con tale somma, di attribuirne i risultati ad una delle parti del rapporto, tanto nell’ipotesi negativa (cioè di acquisto, da un punto di vista economico, in perdita), quanto in quella positiva (cioè di acquisto profittevole). Nel primo caso il denaro diventa bene scarso. L’ipotesi per eccellenza è quella della insolvenza, ovvero dell’esecuzione del patrimonio del gestore, in cui diventa necessario per l’originario detentore (gerito) aggredire specifici beni del patrimonio del debitore, per sottrarli alla falcidia creditoria. Ebbene, per consolidato orientamento si ritiene che ciò non possa avvenire con riguardo al denaro: la sua naturale fungibilità e la tendenziale confusione nel patrimonio di chi lo detiene sembra escludere tale possibilità. Vedremo, anche alla luce di recenti contributi ed evoluzioni legislative, come tale argomentazione meriti un qualche ripensamento. L’ulteriore classe di possibili fattispecie, in cui l’interesse al denaro come bene specifico può trovare cittadinanza abbraccia le ipotesi in cui – secondo la naturale destinazione di un fondo monetario non funzionalizzato alla mera custodia – questo si trasformi per effetto dell’acquisto di altri beni, che dell’iniziale somma possono considerarsi surrogati. In questo caso, dell’interesse dell’originario disponente e titolare, si trasferisce dalla somma di denaro al nuovo bene1. 1 Il fenomeno della surrogazione interna ad un compendio di beni si afferma sempre Modelli di circolazione e forme strutturali Tuttavia, anche in questo caso, può sorgere un problema di attribuzione dei diritti sui beni acquistati (sostituti dell’originaria somma), di quantificazione del valore spettante, di identificazione del bene, quando nel caso di inadempimento del gestore (eccesso o difetto di mandato), s’intenda far valere una pretesa restitutoria che escluda il concorso con gli altri creditori. Infine, in queste ipotesi il coinvolgimento di terzi, nella veste di aventi causa nel trasferimento, apre ad un possibile loro coinvolgimento nell’azione restitutoria2. In sintesi, l’interesse sul denaro come bene specifico (o valore finanziario) si manifesta in tutti quei casi in cui diventa necessario assicurare la restituzione di somme o di acquisti da tali somme, che sia prevalente rispetto a concorrenti diritti di terzi, non essendo possibile (o ugualmente satisfattorio) garantire una tutela risarcitoria. Si tratta di una esigenza che si ricollega, come si è visto, emblematicamente, ai casi in cui il denaro diventa “bene scarso” all’interno del patrimonio che si intende aggredire (come nel caso dell’insolvenza), ovvero in tutte quelle ipotesi in cui il denaro sia stato già scambiato con altro bene, sul quale far valere analoga pretesa. Il problema che qui viene a porsi è come dar voce a tale interesse in modo da fondare una pretesa valevole anche nei confronti di terzi creditori, una volta che non è possibile applicare gli usuali criteri della corporeità e specificità corporale, che sono soliti determinare l’oggetto del diritto e fungono da criterio concorrente per l’opponibilità ai terzi. Si tratta di problematiche concernenti l’individuazione (o, onde evitare l’adesione ad una teoria piuttosto che ad un’altra, l’identificazione), le quali sorgono solo quando il denaro venga affidato a terzi. più diffusamente nelle operazioni economiche commerciali (si pensi ad esempio, oltre alla diffusione delle previsioni di separazione patrimoniale, all’operatività delle garanzie finanziarie, o alla più diffusa figura negoziale del pegno rotativo, su cui più ampiamente infra II. ..). Pur ingenerando problematiche differenti in relazione alle istanze originate da tali operazioni, esse possono rappresentare un utile strumento per valutare come lo sviluppo del diritto (e del diritto vivente) riconoscano la surrogabilità dell’oggetto di diritti reali. Ancora, per la surrogazione come caratteristica delle universalità patrimoniali e dei patrimoni separati, si veda infra cap. III, spec. nt. . 2 Sui confini della restituzione presso il terzo di cosa (determinata), si veda infra cap. III... e cap. IV...     In questi casi, infatti – come meglio si vedrà – sorge il problema di qualificare la natura dei diritti e identificare i beni3. Nel quadro così tracciato, assume un contorno più definito quell’interesse di tipo “appropriativo” (ovvero di appartenenza) avente ad oggetto il denaro, cui abbiamo fatto cenno nel capitolo che precede4. Esso riguarda non 3 Come si è già altrove segnalato (cfr. anche I. A. CAGGIANO, () Property rights over money. The Italian perspective and English law, Global Jurist: Vol. : Iss.  (Topics), Article ), il problema di individuare i beni fungibili sorge in tutti quei casi in cui l’originario proprietario li affidi a terzi. Nello stesso senso E. JOHANSSON, Property rights in investment securities and the doctrine of specificity, New York (Springer), p. , ntt.  –  e testo corrispondente, ove (nt. ) «As long as the owner keeps the property in its possesion there is no need to identify each asset». E ancora (testo) «that property rights only concern individuualy specified assets is an old principle that can be found in most jurisdictions». 4 La nozione di appartenenza ha una portata polisemica nella letteratura giuridica, e varia a seconda del settore del diritto che si prende in considerazione. Per una prima introduzione, si veda LEVI, voce Appartenenza (diritto penale), in Nuovo Dig. it., Torino, ,  ss. In ambito privatistico, la principale area tematica cui afferisce la nozione di appartenenza è quella dei diritti reali. Anche qui, in difetto di una definizione legislativa, la dottrina ha elaborato una pluralità di accezioni. Secondo BIGLIAZZI GERI, BUSNELLI, BRECCIA e NATOLI, Diritto civile cit., pp. - e , nt. ; NATOLI, La proprietà (rist.), Milano, , p.  ss. “appartenenza” indica solo il diritto di proprietà, contrastando così alcune tesi romanistiche (principalmente BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano6, I, Torino, , p.  s.), secondo cui tutti i diritti reali sono espressione di situazioni, nelle quali si realizza, sia pure in diversa misura a seconda dei casi, l’appartenenza di un bene ad un determinato soggetto. Secondo Barbero, in particolare, l’appartenenza sarebbe massima per il proprietario e andrebbe poi diminuendo, via via che il contenuto del diritto si restringe sino a farsi minima con riferimento a certe specie di servitù (negative), che non implicano, né consentono il “fatto dell’uomo”, cioè l’esplicazione di una determinata attività sul bene oggetto. Nello stesso senso GAMBARO, Il diritto di proprietà, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, VIII, t. , Milano, , p. , che indica i diritti reali come «altre situazioni di appartenenza». Secondo gli aa. inizialmente indicati, si opera così l’indebita generalizzazione di una formula, che ricorre nelle fonti del diritto romano e che serviva ad indicare sempre e soltanto il diritto di proprietà, del quale metteva in evidenza la funzione qualificante per la condizione giuridica di una res: l’essere, cioè, questa, riservata ad un determinato soggetto (ad eum pertinens), compresa nel patrimonio di lui, sua. Ciò rispecchierebbe anche la terminologia della Costituzione (art. , comma ) e del codice civile italiano, in cui il riferimento al fenomeno della cosiddetta appartenenza di un bene ad un determinato soggetto si può riscontrare esclusivamente come indicativo del diritto di proprietà (artt. , , , , , , , , ). Nonostante la dizione dell’art. , ancora oggi, quindi, soltanto il diritto di proprietà consente la possibilità della determinazione di quella che si può considerare la condizione giuridica del bene. Una cosa appartiene ad un soggetto se questi ne è proprietario, se essa è sua. Altro orientamento dottrinale (PUGLIATTI, La proprietà nel nuovo diritto, Milano, , p. ; COSTANTINO, La proprietà in generale, in Trattato di dir. civ., cit., p. ; C. M. Modelli di circolazione e forme strutturali tanto l’astratta titolarità di somme (una situazione di tipo proprietario)5, quanto, i margini di recuperabilità di un bene dal patrimonio di un altro soggetto (l’intermediario), con prevalenza rispetto a terzi (suoi creditori)6. BIANCA, Diritto civile,  cit., p. ) riduce invece l’appartenenza a mero sinonimo di titolarità del (o di un) diritto, in tal modo sottolineando la sterilità della nozione. L’appartenenza ha il più ampio significato di afferenza del bene o del diritto alla sfera giuridica del soggetto. Al soggetto appartengono quindi i beni in proprietà, ma anche i diritti di credito, i diritti d’autore, ecc. Nello stesso senso il BONFANTE, Corso di diritto romano, II La Proprietà, , Roma,  (rist. Milano, ), p. , che indica l’appartenenza (o pertinenza) l’altra faccia del diritto soggettivo, come «pertinenza dell’obietto al subietto», che tuttavia nella definizione di proprietà equivale a quello di signoria (diritto soggettivo). Rispetto all’appartenenza distingue la spettanza, quale diritto al conseguimento di un bene (es. la sostituzione fedecommissaria), P. PERLINGIERI, Introduzione alla problematica della proprietà, Camerino, , ove si critica la tesi che, sulla scia della dottrina tradizionale, afferma che la proprietà sia la massima gradazione di appartenenza, rispetto alle altre situazioni soggettive reali. Così, ritiene l’a., si sottolinea che la proprietà è la situazione giuridica che dal punto di vista quantitativo maggiormente appartiene al suo titolare. «Qui dunque la titolarità incide sul contenuto della situazione giuridica, sulla sua estensione sì da diventarne anche l’aspetto caratterizzante, l’aspetto qualitativo. […] non si può dire che se un bene appartiene quantitativamente di più ad un soggetto questi ne è proprietario mentre se gli appartiene quantitativamente di meno ne è soltanto creditore.» La titolarità non indica la natura del diritto, ma costituisce soltanto il legame tra il soggetto e la situazione giuridica, né essa costituisce il legame tra soggetto e bene. Critica altresì la tesi che identifica l’appartenenza con l’esistenza stessa della situazione giuridica soggettiva. Appartenenza è nozione successiva all’esistenza della situazione giuridica soggettiva. Essa indicherebbe invece una titolarità particolarmente qualificata (in quanto attuale), che è il legame tra la situazione giuridica soggettiva (sia reale, sia obbligatoria) ed il soggetto, distinguendosi dalla spettanza che è titolarità meramente potenziale, dipendente cioè da un titolo idoneo all’acquisto della titolarità definitiva. Tuttavia, a voler qualificare la nozione di appartenenza, onde evitare che se non con la proprietà (o i diritti reali), essa si identifichi con quella di titolarità (sebbene non mera, ma attuale), può darsi valore sistematico al concetto di appartenenza di cui agli art.  e  c.c. (in materia di azioni di società) ritenuto essere di portata più ampia di quello della titolarità, «essendo sufficiente la effettiva e concreta disponibilità di tutto il pacchetto azionario o della totalità delle quote, quale si realizza, ad esempio, con l’intestazione in parte a proprio nome e in parte ad interposta persona, ovvero attraverso una intestazione fittizia di parte del capitale sociale a terzi, ovvero ancora attraverso una intestazione reale al terzo, la quale sottintenda un patto fiduciario». Così T. Pisa,  aprile , in Rep. Foro it., voce Società [], n. . 5 Cfr. supra cap. I, par. ., pp. -. 6 Questa nozione di appartenenza è quella che accede, come vedremo, all’idea di patrimonio di un soggetto e della sua responsabilità patrimoniale e che non si limita a situazioni giuridiche soggettive di tipo reale. Si veda, in proposito, L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, Padova, , p.  ss. In senso più generico, ma valevole a qualificare la dimensione     A questa nozione di realità si può fare riferimento con riguardo al denaro, perché essa intercetta quelle ipotesi in cui un conflitto con i terzi può sorgere relativamente ad una somma facente parte di un complesso di beni, o a suoi sostituti7. Questo contesto dà il senso della formula di appartenenza, riferibile al denaro e sollecitata dall’esperienza pratica: quella che delimita l’area della responsabilità patrimoniale del debitore, e che ha la funzione di fornire il discrimine tra il patrimonio aggredibile e ciò che può essere sottratto all’aggressione8. Si rinvia, cioè, all’idea di patrimonio facente capo (appartenente) ad un soggetto e di cui il denaro fa parte9, rispetto al quale ci si interroga non se sia passibile di esecuzione, bensì se possa essere sottratto all’esecuzione, e se la situazione che sulla stessa viene fatta valere sia opponibile ai terzi (creditori). Secondo questa prospettiva – potrebbe facilmente inferirsi – poco conta la tipologia di situazione giuridica soggettiva che si intende far valere sul denaro (se diritto reale o di credito), solo rilevando la opponibilità di tale diritto a terzi (o a particolari categorie di terzi)10. Tuttavia, come è facilmente intuibile e come si analizzerà più compiutamente nel capitolo successivo, gli aspetti della responsabilità patrimofunzionale delle problematiche qui poste, in altro luogo (CAGGIANO, Il denaro tra proprietà e credito cit.) abbiamo parlato di appartenenza (di un regime che si fa prossimo all’appartenenza esclusiva) come la prospettiva di chi detiene, ed impiega, somme facenti parte del proprio patrimonio, ovvero il capitale monetario. 7 A. DI MAIO, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  ove testualmente: «Oggi è difficile pensare che un capitale monetario sia destinato a restare immutabile nella propria forma. […] La tutela, in tal caso, è quella stessa riservata a beni, dati ad es. in affidamento ad altri. In tal caso, il principio nominalistico non può essere evidentemente d’ostacolo a ritenere che il soggetto investitore possa vantare pretese acché il proprio capitale non subisca deterioramento e/o diminuzione di valore. La tutela, in tal caso, si muove in duplice direzione: in quella dei contratti di investimento e della loro corretta osservanza e in quella proprietaria e/o meglio re-persecutoria, ove si tratti di difendere il proprio capitale rispetto ad atti o iniziative che ne possano pregiudicare addirittura la stessa consistenza e/o identità». 8 Appare singolare notare che, se pera antonomasia, il denaro rappresenta il bene del patrimonio su cui è possibile soddisfare anche crediti di altra natura, correlativamente, esso manca, per altro, di una tutela forte in sé, ovvero la tutela in forma specifica. 9 Cfr. quanto già espresso supra p.  ss. 10 È questa la nota posizione di SALAMONE, op. cit. e su cui più ampiamente, infra, cap. III. Modelli di circolazione e forme strutturali niale connessi alle gestioni monetarie richiamano vicende di tipo proprietario quali la perdita del diritto per confusione, che viene di solito ricondotta e contrario all’istituto della individuazione, o l’acquisto della proprietà per individuazione ex art.  c.c., ovvero in virtù della mera detenzione. Da esse viene, infatti, fatta dipendere la soluzione dei conflitti con i creditori11. Tali vicende costituiscono il principale ostacolo alla tracciabilità del denaro e quindi all’affermazione di un diritto su una somma (e sui suoi succedanei) di cui non si abbia detenzione, o legittimazione a disporre12. Pertanto, se è vero che interrogarsi sulla proprietà sul denaro è ininfluente sotto il profilo delle tutele strettamente proprietarie (o possessorie), le quali vengono normalmente superate dall’esperibilità della tutela risarcitoria, tale analisi assume rilievo nella misura in cui alle categorie della proprietà si è soliti rinviare quale criteri serventi dell’appartenenza (patrimoniale). A questi aspetti è dedicato il presente capitolo. In questa prospettiva, va altresì chiarito il discorso sull’aspetto morfologico del denaro13. L’ascrizione del denaro alle categorie della proprietà si è avuta in un mondo che vedeva circolare monete e, quindi, banconote, sebbene gli istituti della proprietà, già rispetto alla “vecchia versione”, si mostrassero incapaci poi di svolgere una qualsiasi funzione di sequela, in virtù del carattere fungibile e, progressivamente, degli attributi derivanti dal corso forzoso. In un mondo che vede la prevalenza della c.d. moneta bancaria, quelle categorie e quegli istituti sembrano apparire del tutto inappropriati14. E, tuttavia, ad essi è necessario fare riferimento per comprendere quali siano le regole applicabili. Alla luce di ciò, può giustificarsi l’analisi delle regole del denaro come Sul punto, si veda infra cap. III, nonché la ricostruzione dell’orientamento dominante, sebbene funzionale ad una visione critica, fatta dal SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p.  ss. 12 Si consideri che tale prospettiva assume il denaro come bene fungibile, cui pertanto sono astrattamente riconducibili tutte le situazioni e vicende predicabili per quest’ultimo. Sul punto, cfr. infra para. successivo. 13 Cfr. supra cap. I, par. , p.  ss. 14 Avendo riguardo alle forme di moneta scritturale, si è osservato che «conta piú l’ingegno […] dei giuristi, che ne assicurano le forme ed il regime di appartenenza e di trasferimento, piuttosto che la loro sostanza materiale». INZITARI, Le New Properties nella società post – industriale, in AA.VV., Dalle res alle new properties, Milano, , p. . 11     cosa, cioè tornare a considerare il denaro come una res, facendo riferimento alla sua forma rappresentativa storicamente tipica (i pezzi monetari), in relazione ai quali si sono infatti formate le leggi di circolazione del denaro15. Quello che s’intende verificare è quali siano le regole che si sono formate con riguardo ai trasferimenti monetari e quali siano le regole che possono risultare utili in una prospettiva recuperatoria. . Il denaro «bene senza qualità»: sul concetto di fungibilità e quantità16 Il denaro in quanto unità ideale, astratta, ovvero quale astratto potere patrimoniale è ritenuto insuscettibile di un utile collocazione nell’ordine sistematico dei diritti reali17. Eppure, come si è già rilevato, la tradizionale tendenza a materializzare il denaro in banconote e monete ne ha determinato, per molti aspetti, non ultimo quello relativo alle regole di trasmissione, l’identificazione come bene mobile, ed in particolare fungibile18. 15 PROCTOR, Mann on the legal aspect…, cit., p. , riferendosi alla funzione di mezzo di pagamento «In this context it may be helpful to have regard to some of the special attributes of physical cash, for if an instrument is to qualify as “money”, then the law must surely attribute to it characteristics which will enable it effectively to fulfil functions which are similar to those performed by notes and coins. If money is to exist in several different forms, then the law should certainly ensure that the rights of a person who receives “money” are essentially the same, irrespective of the precise form in which that money is received». Si veda, analogamente, sulle leggi di circolazione del denaro ispirate a quelle dei diritti reali, INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  s. In proposito, cfr. infra in questo cap., para. . 16 L’espressione “bene senza qualità” è ricavabile dall’opera di SIMMEL, Filosofia del denaro cit., p.  che parla di bene la cui «qualità consiste esclusivamente nella sua quantità». 17 INZITARI, Obbligazioni pecuniarie, cit., p. , che, ripercorrendo e specificando, il fondamentale contributo dei suoi scritti precedenti sulla materia, pur conviene come sia «stato, per quanto concerne la sua circolazione, preso in considerazione e regolato nell’ambito della disciplina relativa alla circolazione della res» (p. ). E, successivamente, in un discorso che abbraccia anche lo sguardo sui titoli di credito: «Il sistema dei diritti reali conferma, dunque, un ruolo di estrema rilevanza che va ben al di là della circolazione dei beni materiali, ma influenza o, in ogni caso, si pone come sistema di principi atto a governare la circolazione di valori patrimoniale anche non direttamente identificabili con quelli tipicamente oggetto dei diritti reali. È quindi ben comprensibile che il danaro sia stato solitamente inteso come oggetto della disciplina dei diritti reali». 18 Cfr. NUSSBAUM, Money in the law cit., p. . «Attempting then to house money in the Modelli di circolazione e forme strutturali Questo tradizionale indirizzo, ampiamente diffuso in tutti i sistemi giuridici (e anche nel sottosistema privatistico), come vedremo, stenta però a tradursi in un trattamento uniforme rispetto agli altri beni mobili. Ciò avviene in diversi settori, come ad esempio nell’ermeneusi dell’atto del pagamento (cioè, di adempimento dell’obbligazione pecuniaria), per le intrinseche peculiarità del “bene denaro”19. Ma questo trattamento diversificato non toglie rilievo alla identificazione del denaro con le res materiali. Procediamo, quindi, ad analizzare con maggiore dettaglio la qualificazione del denaro, quando si attualizza in una dimensione corporale, quale bene fungibile. I dati legislativi, innanzi tutto codicistici, e la tradizione dottrinale qualificano il denaro in termini di bene mobile, fungibile e consumabile20. Si pensi alle definizioni dei contratti di mutuo e di deposito irregolare, ove la naturale “consumabilità giuridica” del denaro impedisce la restituzione dell’eadem res ma non dell’oggetto dell’interesse del tradens (eadem genus), per via della sua fungibilità21. Ma è quanto si rinviene in numerosi altri luoghi nel codice, sebbene relativi a rapporti obbligatori, per i quali il denaro costituisce il paradigma field of law, the first shelter to think of is the group of fungible things […].», anche se critico in proposito, nella più generale ricomprensione del fenomeno, ispirata alla idea della ideal unit «This classification of money is old; […] Only the relationship of the money piece to a certain ideal unit […] has relevancy, inasmuch as the ting is treated as money and not as a mere piece of metal […] Money, the concrete object, is thus a thing which, irrespective of its composition, is by common usage treated as a fraction, integer of multiple of an ideal unit». 19 Cfr. infra para. successivo. Ma si pensi anche al trattamento del denaro nella comunione legale tra i coniugi, su cui infra II. , nt. . Sul punto, T. ROMOLI, Trasferimento di beni personali del coniuge in comunione legale, in Notariato, , p.  ss., in part. p. . 20 Si parla, infatti, di «consumo civile», che consiste nell’alienazione, «in modo che non me ne resta niente, e che è per me consumato allorché ne ho disposto», secondo le parole di POTHIER, Traitè de pret de consomption, in Oeuvres, Paris, , pp. -. La nozione che ne deriva di denaro come bene consumabile è tuttavia soltanto una finzione logica che serve ad equipararlo alle altre cose fungibili della stessa specie, ma solamente per motivi di carattere sistematico, non rappresentando alcuna vicenda di carattere economico. MAZZONI, La funzione del denaro nei contratti di credito, in AA.VV., Credito e Moneta a cura di Mazzoni e Nigro, Milano, , p. . La distinzione tra cose consumabili ed inconsumabili, secondo tradizione, ha importanza nella teoria dei diritti reali, quanto al quasi usufrutto, e nella teoria delle obbligazioni quanto al comodato. Il dato codicistico ne continua a far menzione all’art.  c.c., la cui disciplina risulta applicabile anche al denaro. Sul punto v. ASCARELLI, La moneta. Considerazioni, cit., p. . 21 Cfr. BIONDI, I beni, in Tratt. dir. civ. it. diretto da Vassalli, Torino, , p.  ss.     legislativo di cosa fungibile, secondo l’endiadi «il denaro ed altre cose fungibili» (artt. , , ed inoltre artt. , , ,  c.c., etc.)22. Così pure nel codice di procedura civile si fa rinvio cumulativamente a «somma liquida di denaro», unitamente ad una «determinata quantità di cose fungibili» (artt.  ss.)23. L’ascrizione del denaro al novero dei “beni fungibili”, come ben noto, risale al diritto romano24. Il denaro, infatti, veniva considerato come l’archetipo delle res quae pondere numero mensura constant 25. A partire da tale qualificazione, come appresso si chiarirà, è possibile definire il precipuo significato giuridico della “fungibilità”, differenziandola altresì dagli altri attributi (consumabilità, genericità). Il nostro sistema positivo, sulla scorta di quello tedesco, distingue, infatti, tra cose di genere, fungibili (in part. art.  c.c.), consumabili, riconnettendovi diversi effetti giuridici (ad esempio, legato di genere e legato di prestazioni periodiche – artt.  e  c.c.)26. Ciò non esclude una stretta connessione tra i vari concetti poiché il requisito della surrogabilità di un bene con un altro (fungibilità), al dì là di possibili diverse determinazioni delle parti, inerisce normalmente a cose appartenenti al medesimo genere27, così come l’avvenuta consumazione di alcuni beni (di regola appartenenti Ma si veda, sempre con riguardo al procedimento monitorio, il successivo art.  c.p.c. che distingue invece la prestazione in natura (con riguardo alla determinata quantità di fungibili) dall’equivalente in denaro. 23 Si ricorda come l’influenza del diritto romano viene definita come un anacronismo che ha oscurato il diritto. Così anche in NUSBAUMM, Money in the law, a ed., cit., p. . 24 Invero, la parola res fungibiles, nell’accezione di sostituibilità, nasce solo nel XVI sec. Le fonti romanistiche (PAOLO, Digesto, , , , a proposito del mutuo, «mutui datio consistit in his rebus, quae pondere numero mensura consistunt, quoniam eorum datione possumus in creditum ire, quia in genere suo functionem recipiunt per solutionem») parlano di res res quae pondere numero menusura constant, ovvero quelle che appartenenti alla stessa specie che, per la loro comune natura, non differiscono le une le altre nella qualità. Per l’evoluzione del concetto di fungibile nelle fonti romane classiche, M. VARVANO, Per la storia del certum, Torino, , p.  ss. 25 VARVANO, Per la storia del certum, p.  s. 26 Ma ciò non significa che si tratti di nozioni identiche, come si evince dall’art.  c.c., che nell’indicare i requisiti della compensazione legale e giudiziale, richiede “una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere” (corsivo nostro). Cfr. VARVANO, Per la storia del certum, cit., p. . Cfr. infra nt. . 27 P. E. BENSA, Sul concetto di cose fungibili nel diritto italiano, in Scritti giuridici in onore di Carlo Fadda, Napoli, , p.  ss., spec. p.  ss.; VARVANO, Per la storia del certum, cit., p.  s. 22 Modelli di circolazione e forme strutturali allo stesso genere) induce, ove necessario, alla restituzione dell’equivalente28. È bene a questo punto meglio precisare cosa intendere per fungibilità, che – secondo il dettato legislativo e la tradizione – va intesa come sostituibilità29. A volerne rintracciare le radici storiche, queste risiedono nelle caratteristiche dei beni in grado di determinarne la possibile equivalenza, cioè nel fatto che tali beni siano valutabili in base alla semplice quantità, ovvero all’eguaglianza per valore (parametri quantitativi)30. A stretto rigore, infatti, non possono rilevare, tra beni considerati o considerabili fungibili, differenze qualitative. Ciò, in altri termini, significa che l’eguaglianza qualitativa rappresenta un presupposto della fungibilità31. P. E. BENSA, Sul concetto di cose fungibili nel diritto italiano, cit.; B. BELOTTI, Sul fedecommesso di cose fungibili, in Monitore dei Tribunali, , XLI, p.  ss.; G. SCARPELLO, Il furto di cose comuni fungibili, in Circolo giuridico “L. Sampolo”, , I, p.  ss. 29 «La fungibilità richiede sempre un criterio comparativo tra due o più quantità identiche di cose della stessa qualità» non è «un attributo della cosa in sé, isolatamente considerata». Pertanto «è la volontà legislativa o privata che in un dato caso può autorizzare l’assunzione di una certa quantità in funzione di altra quantità omologa». Cfr. BENSA, Sul concetto di cose fungibili nel diritto italiano, cit., p. . 30 In ciò risiederebbe la distinzione rispetto alle cose generiche, come sostenuto da VARVARO, Per la storia del certum cit.,  ss. che rintraccia quale profilo discretivo della distinzione tra cose fungibili e generiche proprio il dato qualitativo. In altri termini, mentre all’interno di uno stesso genere non tutti i beni possono considerarsi fungibili, poiché non tutti i componenti del genere hanno necessariamente le medesime qualità, quando si discorre di beni fungibili, la qualità si presuppone equivalente, – aggiungiamo noi – sia che la si consideri come dato obiettivo ovvero subiettivo (cioè oggettivamente valutabile o determinato dalle parti). Nel codice civile vigente, tale distinzione è presente all’art.  (obbligo del debitore di non prestare cose inferiori alla media). Sulla differenza tra cose fungibili e di genere secondo la dottrina tradizionale, si veda anche infra nt. . 31 La pertinenza della nozione di fungibilità alla categoria delle obbligazioni si giustifica principalmente per il fatto che un diritto reale non è concepibile che su un oggetto individuato. Tale afferenza si riflette anche nelle tutele disponibili. Si osserva che le cose fungibili sono «piú vicine alla tutela del credito che non alla tutela proprietaria. Infatti la titolarità di beni fungibili è sì disposta erga omnes, ma è risarcitoria» – e restitutoria (nostro) – «anziché recuperatoria ed è quindi esposta al rischio creditorio classico». GAMBARO, La proprietà. Beni, proprietà, comunione, in Tratt. Iudica-Zatti, cit., p. . Nel quadro di una ben più complessa analisi, che guarda alla rilevanza del diritto delle restituzioni in ragione della causa dell’obbligo restitutorio (si distingue, soggettivamente, tra volunteers e other nonbargaining providers, e in base al mercato dell’attività o del trasferimento restituenda), sottolinea come il settore dei mistaken pay28     Tale rilievo mette in buona luce come, quando si discorre di cose fungibili, né la logica giuridica né il dato legislativo possono aprire la strada a distinzioni interne delle diverse classi di beni (fungibili). La categoria delle res fungibiles, formatasi proprio avendo riguardo al denaro e poi ampliatasi ad altri beni per i quali – in astratto – possono rilevare delle differenze qualitative di genere, è soggetta ad una disciplina uniforme, la quale consente che l’oggetto della prestazione sia rappresentato da beni equivalenti (come negli obblighi restitutori, o nel caso della caparra confirmatoria), presuppone tale equivalenza (come nel caso della compensazione), ovvero tiene conto della possibilità di frazionare la prestazione che li ha per oggetto (come nelle prestazioni periodiche). Se, quindi fungibilità vuol dire sostituibilità, che ha il proprio presupposto nella equivalenza qualitativa (per cui cioè la qualità non è dato rilevante), va meglio compreso quali ne siano i caratteri e in quali ambiti tale sostituibilità emerga. Infatti, una volta chiarito che l’unico dato che rileva con riguardo ai beni fungibili, rispetto all’obbligo di restituzione del tantundem piuttosto che nel calcolo della compensazione, è la determinazione quantitativa (o il valore), bisogna tuttavia ancora definire cosa questo comporti rispetto alle situazioni giuridiche a tali beni riferibili. La collocazione, ad opera del codice civile, dei beni fungibili nel sistema delle obbligazioni induce a considerare che la qualificazione di bene fungibile stenti a rilevare nell’ambito dei diritti reali, nella misura in cui questi possono affermarsi solo su di un oggetto specifico. In tal senso, la necessità di una individuazione dell’oggetto attuale del rapporto (che è rapporto con l’oggetto del diritto) è immanente e trova la propria ratio nel principio generale della certezza dei diritti32. ments normalmente non incontri ostacoli e limitazioni alla restituibilità, e come esso meglio si presti all’obbligo restitutorio rispetto a servizi o facere resi, S. LEVMORE, Explaining Restitution, in  Va. L. Rev., , p. , in part. p.  ss. È palmare espressione di tale rilievo il dibattito domestico sulla restituibilità delle prestazioni caratterizzare da malpractice, di cui non può darsi conto, tuttavia, in questa sede. In proposito, a titolo meramente esemplificativo, si veda Trib. Roma, ° luglio , in Danno e responsabilità, , p. , e commento di A. DI MAIO, La teoria del saldo e la irripetibilità della prestazione, in Corr. giur., , p.  ss. 32 A. ZARRELLI, Fungibilità ed infungibilità nell’obbligazione, Napoli, . La nozione di fungibilità proposta dall’a. è quella di una intercambiabilità dell’oggetto fondata sulla volontà delle parti, mitigato dall’attività interpretativa basata anche su criteri economici e di apprezza- Modelli di circolazione e forme strutturali Di contro la fungibilità, come fenomeno della sostituibilità oggettiva, sembra attenere soltanto ai rapporti obbligatori, in quanto oggetto della prestazione (ad es. nei contratti restitutori, o in caso di compensazione di debiti, ex art.  ss. c.c.)33. L’argomentazione di fondo, a ben vedere, ci sembra essere la seguente: la fungibilità è un concetto relazionale (tale cioè da potersi affermare soltanto su un bene, in rapporto di surrogabilità con altri beni, così considerati dalla comune valutazione sociale, o dalla volontà delle parti34). Ciò comporta, che nel momento statico, la pertinenza di un bene individuo, singolarmente inteso, ad un soggetto possa corrispondere ad una situazione proprietaria. Tuttavia, in situazioni dinamiche, di circolazione del bene35, che è il momento in cui la relazione con potenziali beni ad esso sostituibili sorge, mento sociale, e comunque imperniata sull’interesse del creditore (principalmente). Le cose fungibili, in quest’ottica, sono tutte oggetto della prestazione, e pertanto un problema di fungibilità in senso tecnico viene esclusa nel risarcimento in forma specifica (art.  c.c.). Secondo la tradizionale elaborazione della dottrina, la fungibilità è, invece, caratteristica che non dipende da considerazioni soggettive dei contraenti ma va determinata sulla base di criteri oggettivi di valutazione sociale. Sono cose fungibili, pertanto, quelle che, in base alla considerazione sociale che si fa comunemente delle cose (che cioè sono, socialmente, identiche), sono sostituibili, surrogabili, sebbene sia possibile che l’autonomia privata consideri come non fungibile una cosa che socialmente è fungibile. Al contrario, quando la fungibilità è solo soggettiva, e cioè le cose sono sostituibili solo per volontà delle parti, si ha determinazione generica della prestazione, ma essa non importa l’estensione degli istituti che valgono per fungibilità oggettiva, che è la sola e vera fungibilità ai sensi di legge. Cfr. BIONDI, I beni, cit.,  ss.; ID., voce Cosa fungibile e non fungibile, in Noviss. Dig., IV, Torino, , p.  ss., distinguendo tra fungibilità e mera equivalenza; PUGLIATTI, voce Cosa (teoria generale), in Enc. dir., XI, Milano, , p. . In verità, vanno ricordati pure quegli orientamenti dottrinari che non riconoscono nessuna rilevanza pratica alla distinzione in principio tra le due categorie, a partire da BONFANTE, Corso di diritto romano cit., p. . Nell’ordinamento inglese, una posizione analoga, che non distingue tra beni fungibili e generici, facendo dipendere tale qualificazione dalla volontà delle parti, ovvero dalla «nature of the obligation owed with respect to them» è in GOODE, Commercial law, cit., p.  e ID., Are intangible assets fungible?, in LMCLQ, , p.  ss. 33 Sulle diverse teorie in merito, si veda nt. precedente. 34 BELOTTI, Sul fedecommesso di cose fungibili cit., p. , rileva che le cose fungibili per loro stessa natura escludano l’immobilità, e siano sempre libere alle contrattazioni e ai commerci. Sulla scorta di tale considerazione, l’a. ammette, perché la natura di cosa fungibile (generica) esclude l’immobilizzazione della ricchezza e quindi l’interesse sociale a proibirlo, il fedecommesso di somme di denaro, che si risolverebbe in un legato di credito. A ben vedere, però, questa visione attesta la posizione per cui la pertinenza di somme di denaro presso un terzo non è attuabile, né nei rapporti inter partes, né riguardo ai terzi. 35 Cfr. supra nt. .     l’interferenza di questo concetto, cioè l’esistenza di beni – considerati identici – nel patrimonio dell’accipiens, non comporta ancora individuazione dell’oggetto del diritto. Si spiega così il perché i beni, nella valutazione della loro fungibilità, vengano esclusi dal novero delle situazioni giuridiche soggettive assolute. Il carattere fungibile di un bene rileva, invece, in tutte le ipotesi in cui vi sia stato/o vi debba essere il trasferimento di certi beni da un patrimonio ad un altro, rilevando una valutazione di equivalenza rispetto a quelli prestandi. Il fatto che tale valutazione di equivalenza tenda ad attenere a cose appartenenti ad un medesimo genus36 (il che vale certamente per il denaro)37 spiega, poi, perché si faccia comunemente riferimento alla caratteristica di bene fungibile quando sorge l’esigenza di individuare la cosa determinata, per trasferirne la proprietà (art.  c.c., specificamente attinente ai contratti di trasferimento di cose generiche)38. Infatti, la distinzione logica tra cose fungibili e generiche, ereditata dalla pandettistica e fatta propria dall’ordinamento italiano, non ha escluso che l’aspetto fondamentale di tali beni, come già negli scritti dei giuristi romani, sia quello della possibilità di essere valutati per quantità al momento della costituzione o dello scioglimento di un vincolo obbligatorio39. 36 Con riguardo al denaro, la distinzione tra cose fungibili e generiche sembra scomparire, in virtù della impredicabilità di alcuna possibile differenza interna al genere monetario. Ciò comporta che tutte le cose appartenenti al genus monetario siano tra loro scambiabili. L’obiezione basata sulla inapplicabilità dell’art.  c.c. alle obbligazioni pecuniarie è, infatti, tra le principali ragioni addotte contro la riconducibilità di queste ultime a quelle di cose di genere (cfr. infra para. successivo). Invero, l’inclusione di altri tipi di beni nel novero dei fungibili è solo successiva. Alle origini, la formazione di tale categoria è relativa al solo denaro, come frutto di un processo di evoluzione da un’economia premonetaria (ad es. quella greca, in cui non vi è traccia di questa classificazione), ad un’economia monetaria, in cui il metallo coniato poteva essere quantificato in base al conto. VARVARO, Per la storia del certum cit., p.  37 BENSA, Sul concetto di cose fungibili nel diritto italiano, cit., p.  s. chiarisce l’origine della confusione tra le qualificazioni di cosa come fungibile e generica. Essa risiederebbe nel fatto che, in un’obbligazione di genere, finché non intervenga la specificazione, tutti gli individui che appartengono al genere vengono considerati equivalenti, cioè fungibili. Tuttavia, al momento della individuazione, quando c’è il trasferimento della proprietà non si verifica alcuna sostituzione. Nel caso di mutuo, ad esempio, è l’obbligazione restitutoria ad essere generica, perché relativa al tantundem, e allo stesso tempo riguardante cose fungibili, perché realizzanti la sostituzione (functio) rispetto a quelle prestate. 38 VARVANO, Per la storia del certum cit., p.  e passim. 39 Sull’astratta ammissibilità della situazione possessoria sul denaro, appunto, relativa- Modelli di circolazione e forme strutturali Appare evidente allora che, il riferimento ai beni fungibili necessiti di specificarsi secondo che si tratti di beni fungibili (idonei ad essere valutati come equivalenti rispetto ad altri beni), generici (non individuati), ovvero determinati (individuati), il punto nodale essendo costituito dai criteri della individuazione. In virtù di tale precisazione può comprendersi come mai si sia soliti affermare che la proprietà sui beni fungibili non possa essere sganciata dal possesso40 e che, con riguardo al denaro, non possano esercitarsi le azioni a mente al momento statico, si veda GAMBARO, op. ult. cit., p. . In senso analogo, nel diritto inglese: «the stamp denotes its value and possession alone must decide to whom it belongs» (Wookey v. Poole []  B & Ald ), ove qui possession va intesa in termini di de facto possession ovvero physical control detention (the actual relation between thing and person). Sui tre possibili significati della possession in common law cfr. il classico POLLOCK e WRIGHT, An essay on possession in the common law, Oxford, ,  ss. Più chiaro è il dictum in Hartop v Hoare ()  Atk , p. -: «Property, by the rule of law, does not follow possession, unless in cases of goods that have no marks whereby they may be known». 40 Con riguardo ai fungibili, la giurisprudenza esclude l’ammissibilità non solo delle azioni strettamente a difesa della proprietà, ma di ogni tipo di pretesa nella quale sia richiesta una statuizione di proprietà. A parte il fondamentale giudicato (Cass.,  febbraio , n. , in Riv. dir. comm., , I, p.  ss. ove si precisa che l’azione di rivendica debba avere ad oggetto una cosa determinata, concreta, individuata e che perciò non potrebbe esercitarsi su una cosa di genere, che mal sopporta un diritto reale come tale immediato), numerose altre pronunce sono rinvenibili in tema di richiesta di sequestro giudiziario di denaro. Laddove questo non sia identificabile nella sua individualità, si esclude la concedibilità del provvedimento, attuabile nelle forme dell’esecuzione in forma specifica, per carenza del requisito ex art. , n. ), c.p.c., cioè l’esistenza di una controversia su proprietà o possesso del bene sequestrando. Si veda Cass.  novembre , n. ; Cass.,  maggio , n. , in Rep. Foro it., , voce Sequestro conservativo [], n. ; Tribunale Milano  marzo  in Giur. it., , I, , p. ; Trib. Torino  luglio , disponibile al link http://www.giurisprudenza.piemonte.it/civile/procedura/ .htm. Si aggiunga che, in tema di denaro, nelle sentenze sopra riportate non solo si esclude il sequestro giudiziario poiché solitamente il bene non è individuo, ma anche poiché si tratta di rapporti bancari/finanziari (conti correnti, depositi, gestioni patrimoniali, polizze), cioè rapporti di credito per i quali, a priori, non potrebbe sorgere una controversia sulla proprietà o sul possesso e la possibilità di esercitare un’esecuzione in forma specifica. Invero, adottando l’ottica di una interpretazione estensivo-evolutiva ispirata ad una logica di equivalenza funzionale (di cui infra al para.  del presente cap.), si potrebbe pensare ad estendere l’ambito di applicazione del provvedimento anche i crediti presso istituti bancari che sono nella piena disponibilità del loro titolare, rimanendo quale ostacolo effettivo esclusivamente il problema della individuabilità della stessa (sui criteri, si veda infra II.. e cap. III), o la possibilità che vi provveda l’ufficiale giudiziario. In proposito, anche sulla scorta di autorevoli opinioni che estendevano l’ambito del provvedimento all’appartenenza dei beni, è stato altresì proposto in     tutela della proprietà o del possesso41. Entrambe richiedono, infatti, un oggetto determinato, che non può essere un bene nel momento in cui lo si qualifica come fungibile e solo determinato nel genere42. dottrina che in caso di somme destinate il sequestro giudiziario sia ammissibile (CANTILLO e SANTANGELI, Il sequestro nel processo civile, Milano, , p. ). È solo il caso di far cenno in questa sede che, in presenza di presupposti differenti, le somme di denaro possono essere oggetto di altre forme di provvedimenti cautelari o di condanna, come il sequestro conservativo (art.  c.c.) o, in sede penale, il sequestro preventivo (art.  c.p.p.) e la confisca (anche per equivalente: sul prezzo, prodotto o profitto del reato). Nel primo caso, il dato è pacifico. Cfr., Trib. Palermo-Bagheria,  aprile , in Merito, , , con nota di BISCEGLIA in Rep. Foro it., , voce Sequestro conservativo, , n. ; Cass.,  febbraio , n. , in Rep. Foro it., , voce Sequestro conservativo, , n. , anche se le somme di denaro consistano in “moneta bancaria”. Pret. Milano,  settembre , in Banca, borsa, tit. cred., , II, p.  e in Rep. Foro it., , voce Contratti bancari, [], n. . Nei secondi, giova notare che quando l’oggetto del provvedimento è rappresentato da somme di denaro, la giurisprudenza, indotta dalla necessità di distinguere le nozioni di corpo del reato/cosa pertinente al reato, argomenta in merito alle vicende della commistione e quindi alla conservazione ovvero alla trasformazione dell’identità dei beni costituenti originario prodotto del reato, adottando appieno i criteri civilistici. In tale ambito, infatti, costituisce orientamento costante la considerazione della commistione come evento idoneo a determinare la modificazione dell’identità del bene e quindi, ferma la sequestrabilità/confiscabilità dello stesso, la qualificazione in termini di cosa pertinente al reato. Ugualmente, nel caso di versamento di somme su conto corrente: il credito disponibile cui dà origine il deposito in un istituto di credito è considerato rappresentare «cosa pertinente al reato». Cfr. Cass.,  aprile , in Rep. Foro it., , voce Confisca [], n. ; Cass.,  febbraio , in Rep. Foro it., , voce Sequestro penale [], n. . Quanto, infine, all’inammissibilità dell’azione di reintegrazione a tutela del possesso delle somme di denaro, si veda la recente Trib. Bergamo,  maggio  (ord.), in Giur. it., , I, p. , con nota di E. Arcioni, p.  s. 41 In mancanza di un oggetto determinato, non resta che agire per la sola soddisfazione del credito alla restituzione di uguale quantità di beni. Cfr. FERRERI, voce Rivendicazione (dir. vig.), in Enc. dir., XLI, Milano, , p. . Ma questo evidentemente comporta la degradazione ad azione personale alla consegna del bene. In tema di cose fungibili, il S. C. ha affermato che, poiché l’azione di rivendicazione ha per oggetto la restituzione dell’eadem res che l’attore afferma essere posseduta o detenuta dal convenuto, nel caso in cui la cosa sia venuta a mancare per distruzione o per altra causa, è esperibile oltre all’azione personale o di risarcimento dei danni (Cass.,  febbraio , n. , in Rep. Foro it., , voce Proprietà (azioni a difesa), ), la restituzione di cosa analoga per specie, qualità, quantità e in tale ipotesi rimane irrilevante, ai fini della qualificazione dell’azione, la circostanza che l’attore ponga a presupposto di essa l’affermazione della sua proprietà della cosa (Cass. , n. , in Comm. breve c.c. – Complemento giurisprudenziale Cian-Trabucchi, sub art. , Padova, , p. ). Cfr. S. TROIANO, voce Proprietà (azioni a tutela della), in Il diritto - Enc. Giur. del Sole  ore, , vol. , p.  ss. 42 Come vedremo, tuttavia, infra cap. III, le regole di “individuazione” possono essere differenti. Modelli di circolazione e forme strutturali La vicenda della individuazione, che è propria del trasferimento di cosa inizialmente determinata solo nel genere, si pone quindi negli stessi termini anche nella circolazione dei beni fungibili (cioè quando assume rilevanza la valutazione di equivalenza rispetto a beni simili)43. Nel momento in cui la cosa viene trasferita, essa è (stata) individuata; una volta divenuta di proprietà dell’accipiens (ad es. il mutuatario), questi avrà l’obbligo di restituirne altrettanti in quantità e valore al termine del rapporto, procedendo ad una nuova individuazione. Medesime questioni si pongono, tuttavia, anche in altre fattispecie circolatorie in cui, pur non essendovi stato un contratto che giustifichi l’effetto traslativo, con il trasferimento della disponibilità da un soggetto ad un altro si verifichi una successiva “disindividuazione” (cioè confusione) della quantità o somma con beni simili, o considerati equivalenti, del detentore44. La materiale vicenda confusoria (ovvero, l’impossibilità di tenerne traccia) farebbe quindi perdere nuovamente specificità al bene, e quindi la possibilità di affermarvi un diritto reale, e sorgere sul tantundem un diritto di credito45. Così che, quando bisogna – a vario titolo – ritrasferire, ovvero rintracciare, la quantità o la somma, essa vada nuovamente individuata o determinata46. 43 Ci sia consentito rinviare, a proposito di tale classificazione, a CAGGIANO, Il denaro tra proprietà e credito cit., p.  ss. 44 Sul punto, si veda, infra in questo capitolo, para. .. 45 Come abbiamo visto, l’obbligazione restitutoria rappresenta una delle fattispecie più frequenti di rilevanza delle cose fungibili e, con riguardo al contratto di mutuo, quella dalla quale la categoria delle cose fungibili è maggiormente ricorrente nelle fonti. VARVANO, Per la storia del certum cit., p. . 46 Se si guarda al profilo della circolazione dei diritti, è noto che sia nel caso di furto, sia – secondo parte della dottrina – in caso di pagamento senza titolo (non volendo entrare nel dibattito tra concezioni traslative o meno del pagamento dell’indebito), la proprietà del bene determinato resti in capo al proprietario derubato o che ha trasferito il bene senza causa. Tuttavia, l’esistenza di beni dello stesso genere e fungibili nel patrimonio dell’accipiens determina una vicenda confusoria, dalla quale dipenderebbe l’acquisto della proprietà in capo all’accipiens e quindi, una corrispondente obbligazione restitutoria avente ad oggetto il tantundem, essendo impossibile applicare le regole relative al pagamento indebito di cosa determinata. In relazione alla valutazione del tantundem, la dottrina ha proposto un calcolo basato sull’uguale quantità, ovvero sul valore dei beni al momento della confusione, opzione possibile però solo al percipiente in buona fede. Cfr. P. TRIMARCHI, L’arricchimento senza causa, Milano, , p. ; E. MOSCATI, Del pagamento dell’indebito, in Comm. Scialoja-Branca, sub art. -, Bologna-Roma, , p.  ss., e, più di recente, C. ABATANGELO, Intermediazione nel pagamento e ripetizione dell’indebito, Padova, , p.  ss., spec.  s.     Ad esempio, nel caso di indebita sottrazione di un bene (e.g. nel caso di furto), o di pagamento dell’indebito, la fungibilità determina la impossibilità di reiperseguire il bene nella sua individualità, potendosene richiedere, con un’azione personale, il solo tantundem47. In verità, ciò non esclude, in principio, che, se il bene non si è confuso, non sia esperibile un’azione reale volta al riottenimento della eadem res, ovvero che non si possa pensare di ricorrere alle regole dell’unione e commistione, ovvero al sorgere di una comunione pro quantitate sulla massa commista (art. , co. , c.c.), sebbene – come vedremo – ciò tende a non essere compiutamente accolto con riguardo al denaro48. In sintesi, se si guarda alle regole di imputazione riguardanti i beni fungibili, le vicende riferibili sono quelle che determinano il passaggio dall’essere determinate solo nel genere ad individuate, e viceversa: la individuazione o separazione (ex artt.  e , co. , c.c.), ai fini della costituzione/trasferimento; per l’estinzione, l’unione/commistione, secondo un’interpretazione applicabile ai beni fungibili, (art.  c.c.), ovvero – nel caso di denaro – una diversa c.d. “confusione patrimoniale”49. Il nodo di fondo che si pone con riguardo alla possibilità di predicare situazioni di tipo reale sui beni fungibili si riallaccia, quindi, ad un problema di discernibilità, ovvero di individuabilità degli stessi mentre, e contrario, l’ostacolo principale è rappresentato dall’avvenuta confusione. A questo punto va chiarito che, limitatamente all’ipotesi della commistione a causa negoziale (quella avente cioè la sua causa in un contratto), è principio consolidato, anche in giurisprudenza, che, compatibilmente alla causa tipica del negozio, il regolamento negoziale voluto dalle parti possa escludere il trasferimento della proprietà del bene fungibile in capo all’accipiens, nonostante la materiale “mescolanza” in una massa determinata, o impossibilità di discernere i beni conferiti (come nel deposito regolare di beni fungibili)50. Si sostiene – limitatamente ai casi in cui la massa non sia destinata a mutare. R. SACCO, Il contratto, in Tratt. dir. civ. it. diretto da F. Vassalli, VI, t. , Torino, , p. . 48 Cfr. infra para. .. e .. 49 Cfr. infra cap. III. Sulla tesi, c.d. volontarista in tema di fungibili (secondo la quale la perdita della proprietà singolare avviene per volontà delle parti), si veda anche SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p.  s. È chiaro che tale tesi tende a limitare le conseguenze della qualificazione della confusione come fatto giuridico, indipendente dalla volontà delle parti (sui cui, cfr. PUGLIATTI, voce Cosa (teoria generale), in Enc. dir., XI, Milano, , p.  e C. MAIORCA, voce Commistione, in Noviss. Dig. it., III, Torino, , p. ). 50 Sul primo aspetto, P. PISCITELLO, Costituzione in pegno di beni dell’impresa e spossessa47 Modelli di circolazione e forme strutturali .. Segue. Beni fungibili ed evoluzione del mercato L’attenzione sulle situazioni relative alle quantità di beni fungibili e alla loro circolazione ha trovato particolare favore in epoca relativamente recente, in conseguenza dello sviluppo dei rapporti d’impresa e delle loro esigenze di finanziamento, della diffusione dei titoli di massa e della dematerializzazione degli strumenti e delle attività finanziari, e dell’ingente numero di movimentazioni, spesso c.d. “in monte”, che avvengono su di essi. In relazione a tali fenomeni, legislatore e dottrina sono stati chiamati ad interrogarsi sull’operatività delle norme esistenti, ovvero ad adeguarle51. Si tratta di fenomeni e di modelli che sebbene non siano sempre sorti in relazione all’oggetto monetario, consentono di verificare come il diritto si atteggi oggi rispetto ai beni fungibili (titoli di credito, strumenti finanziari, ma anche, ad es., scorte e materie prime), e quindi (quanto meno in determinate condizioni) anche al denaro. Le esigenze dettate da nuovi modelli di operazioni commerciali e finanziarie hanno condotto a riproporre nuove e antiche questioni intorno al concetto di fungibilità52. mento, in Banca, borsa, tit. cred., , I, p.  ss. Sui mercati finanziari, G. OPPO, Una svolta dei titoli di massa (il progetto Monte Titoli), in Scritti giuridici, IV, Padova, ; M. CIAN, Titoli dematerializzati e circolazione cartolare, Milano, ; ID., Strumenti finanziari dematerializzati, diritto cartolare e diritto societario, in Banca, borsa, tit. cred., , I, p.  ss.; G. PORTALE e A. DOLMETTA, Deposito regolare di cose fungibili e fallimento del depositario, in Banca, borsa, tit. cred., , I, p.  ss. Per la letteratura anglosassone, J. BENJAMIN, Interests in Securities cit.; A. PRETTO-SAKMANN, Boundaries of Personal Property, Oxford e Portland (Hart Publishing), ; S. WORTHNGTON, Proprietary interests in commercial transactions, Oxford (OUP), ; GOODE, Are intangible assets fungible? cit. 51 Come vedremo, alcune delle problematiche fondamentali che si pongono con riguardo alla tematica delle “garanzie ad oggetto variabile” si pongono ugualmente sulle gestioni di denaro, che saranno oggetto di più puntuale attenzione nel cap. III. Il discorso che qui s’introduce integra la usuale considerazione del denaro in quanto oggetto di garanzia (tradizionalmente, nel pegno irregolare), aprendo alla prospettiva del meccanismo della surrogazione, la quale, anzitutto, è nozione, quanto all’oggetto, più ampia della fungibilità, poiché non limitata al tantundem eiusdem generis et qualitatis. In secondo luogo, la sostituibilità dell’oggetto, prevista convenzionalmente dalle parti, nel pegno regolare ha una valenza ben diversa (e più vicina alla rilevanza che assume nelle ipotesi gestorie) rispetto a quella operante nel pegno irregolare, dove, in conseguenza del passaggio della proprietà dei beni oppignorati in capo al creditore, non rivestono interesse le vicende di tali beni ai fini della operatività della garanzia fino alla scadenza (REALMONTE, L’oggetto del pegno: vecchi e nuovi problemi, in Banca, borsa, tit. cred., I, p.  ss. e App. Milano,  ottobre , in Banca, borsa, tit. cred., , II, p.  ss.). 52 Si rammenta che l’esigenza di sostituire l’oggetto della garanzia è sorta storicamente     Ciò è avvenuto, in primo luogo, nell’ambito dei rapporti di garanzia reale di fonte contrattuale ove, sorta la necessità di estendere l’efficacia del rapporto oltre la durata del bene oggetto della garanzia, si è giunti a coniugare la presenza di beni, normalmente fungibili, ad un meccanismo di surrogazione53. In tal modo, quando ad essere coinvolti sono beni fungibili, il concetto di equivalenza non rimane confinato allo spazio – tempo della prima individuazione ma, grazie alla previsione di una clausola di sostituibilità (o rotatività), esso si esplica nell’ambito di un rapporto di fonte contrattuale a rilevanza reale54. In altri termini, e quando si tratta di beni fungibili, si ha una in relazione al caso in cui gli strumenti finanziari pignorati (solitamente titoli di Stato) venissero a scadenza. È, infatti, da tempo, invalsa la prassi di garantire i finanziamenti bancari con pegno su titoli che la banca, alla loro scadenza, ha il potere di realizzare, con l’obbligo di successivo reimpiego delle somme ricavate in nuovi titoli da sottoporre al vincolo pignoratizio. Nei rapporti d’impresa, invece, il patto di rotatività assolve una diversa, ma ugualmente rilevante, funzione, consentendo l’utilizzo del bene da parte del debitore pignoratizio, che può incidere sul valore della garanzia, nel corso della durata di quest’ultima (sulle problematiche emergenti in relazione al problema di come poter considerare avvenuta la consegna in questi casi, cfr. P. PISCITELLO, Costituzione in pegno di beni dell’impresa e spossessamento cit., p.  ss.). 53 Il concetto di fungibilità e surrogabilità sono nozioni differenti, l’una attenendo ad una equivalenza basata sull’appartenenza ad un genus comune (ove non si accolgano tesi volontaristiche); l’altra, meramente, alla sostituzione, di un bene ad un altro, anche di genere differente. Diversa ancora è l’idea della equivalenza di valore che comporta un’assimilazione basata su una considerazione puramente economica (BIONDI, voce Cosa fungibile e non fungibile cit., p.  ss.). In questo quadro, l’attitudine del denaro ad essere scambiato con altri beni, a voler cogliere la suggestione derivante dalla qualificazione di “fungibile” (nel senso di idoneo a tenere il posto di un altro, agli effetti giuridici), potrebbe essere definita come “fungibilità esterna”. Non a caso il termine fungibilità – nel senso chiarito di sostituibilità – può colorarsi in maniera diversa, in ragione di un valore o una destinazione (P. SPADA, La tipicità delle società cit., p.  nt. , riprendendo MODUGNO, voce Funzione, in Enc. dir., XVIII, Milano, , p.  ss.). Al di là delle espressioni più o meno evocative, fondamentale in questo quadro è il concetto di surrogazione (reale), nelle ipotesi in cui la sostituzione avviene per effetto dello scambio con altri beni, di modo che i diritti esistenti sul bene originario (denaro o altro bene successivamente scambiato) si mantengano sui suoi sostituti (che non devono essere dello stesso genere), come vedremo meglio nelle fattispecie gestorie (infra Cap. III). I modelli di garanzie convenzionali prevedono la surrogabilità con altri tipi di beni rispetto a quelli originari, per i quali la sostituzione non deve garantire l’identità di specie, ma l’equivalenza di valore. Il valore diventa, pertanto, criterio valutativo dell’oggetto del contratto. Vedi infra nel testo. 54 Con specifico riguardo al pegno – una delle ipotesi che prenderemo in considerazione – sostiene E. GABRIELLI, Il pegno, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco, , Torino, , p. , che «il problema della natura reale del pegno […] si rivela in ogni caso di scarso rilievo pratico, dato che appare remota l’eventualità di un ricorso alla disciplina dei diritti reali per risolvere questioni specifiche, in ipotesi irresolubili mediante norme dettate per il pegno». Modelli di circolazione e forme strutturali massa mutevole sulla quale – nonostante gli scambi interni alla medesima – un soggetto diverso dal possessore/proprietario mantiene una situazione giuridica opponibile a terzi55. Facciamo riferimento, qui, all’ammissibilità dell’oggetto “variabile”, assistito da un principio di equivalenza del valore, come nel caso del modello convenzionale del c.d. pegno rotativo56 e nella categoria legislativa delle garanzie finanziarie57. Nella prospettiva del contratto, il bene prestato in ga- 55 La tesi del Gabrielli (a partire dalle opere fondamentali E. GABRIELLI, Il pegno «anomalo», Padova,  e ID., Sulle garanzie rotative, Napoli, , ora, con riflessioni anche sugli orientamenti giurisprudenziali, in E. GABRIELLI, Il pegno, in Tratt. Sacco cit., p.  ss.), è da tempo consolidata in dottrina e giurisprudenza, a partire dalla Cass.  maggio , n. , in Foro it., , I, c. . Sul punto, ex multis, C.M. BIANCA, Diritto civile, , Le garanzie reali. La prescrizione, Milano, , p.  ss.; M. RESCIGNO, Le garanzie «rotative» convenzionali: fattispecie e problemi di disciplina, in Banca, borsa, tit. cred., , I, p.  ss. Rispetto alla figura elaborata dalla dottrina, e recepita dalla giurisprudenza, presenta, quantomeno, caratteri di specialità la fattispecie del pegno flottante (art. , co. , d. lgs.  giugno , n. . , c.d. decreto Euro, così indicato nella Relazione al decreto), il quale tende a riprodurre il floating charge di stampo anglosassone, e che prevede la costituzione di vincoli su strumenti finanziari registrati in conto, e il permanere di tali vincoli su quelli successivamente registrati in conto in sostituzione o integrazione di quelli originariamente costituiti – a parità di valore. Sul punto, ampiamente P. PISCITELLO, Le garanzie bancarie flottanti, Torino, , p.  ss. 56 D. lgs.  maggio , n. , «Attuazione della dir. //CE, in materia di contratti di garanzia finanziaria». Si tratta di un provvedimento volto a creare un regime comunitario per la fornitura in garanzia di titoli e contante, attraverso procedure di ricorso alle garanzie finanziarie più snelle quanto ad oneri giuridici ed amministrativi. La dir. //CE è stata poi modificata dalla dir. //CE, attuato in Italia con d. lgs.  marzo , n. . In generale, va subito detto che la direttiva si applica ai contratti di garanzia finanziaria che soddisfino alcune condizioni soggettive, ed oggettive: che le parti del contratto siano persone giuridiche particolarmente qualificate (autorità pubbliche, banche centrali, enti finanziari sottoposti a vigilanza prudenziale, controparti centrali); che la garanzia fornita debba essere in contanti o strumenti finanziari, a copertura di obbligazioni finanziarie; che infine il contratto risulti per iscritto e dalla scrittura sia desumibile la data di costituzione (artt. , ,  d. lgs. /, come modificati da d. lgs.  marzo , n. ). Un quadro generale sull’integrazione a livello europeo in tema di garanzie finanziarie, e in particole di operazioni pronti contro termine, è in F. RECINE, Verso un sistema bancario e finanziario europeo? Politiche legislative e contrattazione standardizzata nel settore finanziario, in Quaderni di ricerche Ente L. Einaudi, n. , p.  ss. 57 La possibilità di una sostituibilità ai beni oggetto di pegno, viene costruita dal Gabrielli partendo dal dato di cui all’art.  c.c. (surrogazione nell’indennità della cosa); in senso contrario, P. PISCITELLO, Le garanzie bancarie flottanti cit., p.  ss. che la riconduce, invece, alla disciplina del pegno dei crediti (art.  c.c.), che espressamente ammette che il diritto costituito sul credito non sia un rapporto obbligatorio ma diritto reale di pegno in senso stretto e     ranzia viene considerato non più nella sua individualità, bensì per la sua componete di valore, in sintonia con l’interesse del titolare della garanzia che non è rivolto al bene in sé, ma al suo valore economico. Nel primo caso il c.d. patto di rotatività consente il mutamento del bene oggetto di garanzia, purché entro il limite del valore dei beni originari, salvaguardando così la continuità del rapporto e quindi del vincolo precedentemente costituito. A ben vedere, in tali casi la funzione della clausola di rotatività è proprio quella di prevedere la sostituibilità per volontà delle parti dell’oggetto del pegno, attualizzando l’interesse del creditore pignoratizio non al bene nella sua individualità ma al suo valore economico58. È stata così riconosciuta rilevanza giuridica alla clausola che prevede la sostituibilità del bene oggetto della garanzia, così assecondando lo sviluppo delle prassi commerciali59. Nel secondo caso, pur se relativamente a fattispecie in cui sono coinvolti quasi esclusivamente operatori istituzionali60, è stata prevista la possibiche quindi nella fattispecie considerata vi sia continuità del rapporto e non sostituzione di un pegno sulle somme ad un diritto di garanzia (personale) sul credito. 58 In particolare, sulla diffusione delle garanzie finanziarie come la principale tecnica di mitigazione del rischio creditizio nei mercati finanziari all’ingrosso, si veda E. JOHANSSON, Property Rights in Investment Securities cit., p.  s., che, tuttavia, con riguardo ai contenuti della legislazione parla del prevalere di interessi lobbistici (p. ). Si segnala come, tra le numerose istituzioni chiamate a collaborare nel dibattito sul provvedimento comunitario sulle garanzie finanziarie, la ISDA (International Swaps and Derivatives Association composta da esponenti internazionali della industry finanziaria), nelle  ISDA Collateral Guidelines  e Margin Survey  , rilevasse che il contante rappresentava il % degli strumenti usati come collateral (garanzia finanziaria) e che gli unici strumenti assimilabili fossero i titoli di debito pubblico. L’ISDA Margin Survey , p. , Tab. . attesta un ulteriore crescita delle valute come garanzia finanziaria, fino ad un ammontare pari all’%. I documenti sono consultabili sul sito www.isda.org. 59 Art. , co. , lett. b) d. lgs.  marzo , n. , che opera il collegamento e fa salva la disciplina relativa al contratto di credito ai consumatori (considerando , dir. //CE). 60 Artt. , co. °, lett. g),  e  d. lgs. /, che assecondando la prassi con cui datore e beneficiario della garanzia (collateral provider e collateral taker) prevedono la sostituzione della garanzia, escludendo effetti novativi alla substitution, danno facoltà alle parti di inserire, nei contratti di garanzia finanziaria, una clausola di sostituzione, «che prevede la possibilità di sostituire in tutto o in parte l’oggetto, nei limiti di valore dei beni originariamente costituiti in garanzia» (art. ), e rispetto alla quale «la ricostituzione della garanzia equivalente non comporta costituzione di una nuova garanzia e si considera effettuata alla data di prestazione della garanzia originaria» (art. , co. ). Lo scopo di tale norma è quello di agevolare gli scambi nel mercato finanziario e favorirne la liquidità, consentendo, da un lato nuove possibilità di reddito in forza del riutilizzo (poiché si crea immediata liquidità nel creditore beneficiario della Modelli di circolazione e forme strutturali lità di alienare e ricostituire attività finanziarie (cioè, contante e strumenti finanziari), tendenzialmente della medesima specie, originariamente trasferite al creditore con funzione di garanzia (contratto di garanzia finanziaria con trasferimento di proprietà), o sulle quali sia stato costituito un diritto di garanzia (contratto di garanzia finanziaria con costituzione di garanzia reale), senza che ciò, però, comporti la costituzione di una nuova garanzia61. Rileva, ai fini del presente lavoro, l’inclusione esplicita, tra gli oggetti di garanzia finanziaria, del denaro contante62, il che apre al riconoscimento e ulteriore sviluppo figure ulteriori rispetto al pegno irregolare63. Ad esso si applica la disciplina delle garanzie finanziarie anche nel caso in cui la somma inizialmente trasferita al creditore garantito (in maniera analoga al pegno irregolare) sia successivamente trasferita da questi a terzi64. Nel quadro di un provvedimento normativo volto all’abolizione di norme e procedure che potesgaranzia), dall’altro un minor costo dell’indebitamento. Per un sintetico commento alla normativa, si vedano A.V. GUCCIONE, I contratti di garanzia finanziaria, in Le nuove leggi civ., , p.  ss.; D. LOIACONO, A. CALVI e A. BERTANI, Il trasferimento in funzione di garanzia tra pegno irregolare, riporto e diritto di utilizzazione, in Banca, borsa, tit. cred.,  (Supp. n. ), p.  ss.; P. CARRIÈRE, La nuova normativa sui contratti di garanzia finanziaria. Analisi critica, in Banca, borsa, tit. cred., II, p.  ss.; R. TAROLLI, Le garanzie finanziarie: il diritto di utilizzazione dell’oggetto della garanzia, in Giur. comm., , p.  ss. 61 Ai sensi dell’art. , co. °, lett. h), è da intendersi contante il «denaro accreditato su un conto od analoghi crediti alla restituzione di denaro, quali i depositi sul mercato monetario» 62 Dal coordinamento della disciplina preesistente con quella di fonte comunitaria, si desume che il contratto tipico di pegno irregolare viene a costituire una species nella categoria generale e aperta dei trasferimenti con funzione di garanzia. Sul punto, D. LOIACONO, A. CALVI e A. BERTANI, Il trasferimento in funzione di garanzia cit., p. . Tra i trasferimenti in garanzia già sviluppati nella prassi, vi sono, ad esempio, i contratti c.d. pronti contro termine. 63 Garanzia equivalente è, nel caso del contante, quella che ha per oggetto un ammontare dello stesso importo e nella stessa valuta; quando si tratta di strumenti finanziaria, «strumenti finanziari del medesimo emittente o debitore, appartenenti alla medesima emissione o classe e con stesso importo nominale, stessa valuta e stessa descrizione o, quando il contratto di garanzia finanziaria prevede il trasferimento di altre attività al verificarsi di un evento che riguardi o influenzi strumenti finanziari forniti come garanzia finanziaria, queste altre attività» (art. , co. °, lett. l)). 64 Art. , co. , lett. a) e co. , d. lgs.  marzo , n. . La previsione sostituisce gli originari artt.  e  d. lgs. /, che, nel pieno spirito di limitazione delle formalità amministrative, subordinavano l’efficacia, anche rispetto ai terzi, esclusivamente alla presenza del requisito della forma scritta del contratto di garanzia finanziaria (non anche della data certa), e alla prova scritta (essendo ritenute sufficienti le annotazioni sul conto di pertinenza) della prestazione della garanzia. La novellazione non ha tuttavia modificato, al di fuori dei casi di cessione di crediti, la portata della norma.     sero ostacolare la diffusione di questi strumenti di contenimento del rischio, si prevede che la somma costituita a garanzia risulti opponibile ai terzi sol che il contratto di garanzia presenti i requisiti per il perfezionamento ed efficacia tra le parti (la forma scritta e un’annotazione contabile in accredito sui conti di pertinenza, ovvero la costituzione di un credito in favore – al fine di consentire l’indicazione della data di costituzione e delle attività finanziarie), esclusion fatta per i casi di cessione di crediti65. Più in generale, l’efficacia nei confronti dei terzi rappresenta il principale effetto, in virtù della sua incidenza pratica, di questa nuove tecniche di garanzia caratterizzate dalla c.d. variabilità dell’oggetto66. La rilevanza nei confronti dei terzi è stata, tuttavia, sganciata da discorsi di tipo proprietario sui beni oggetto di garanzia, e quindi da questioni relative, in presenza di sostituzioni dei beni, al mantenimento della proprietà sul bene oppignorato da parte del debitore/terzo. Invero, da un punto di vista teorico, il problema si presenta duplice ed interessa, per un verso, la possibilità che il creditore possa disporre del bene senza acquistarne prima la proprietà. Una prospettazione in senso favorevole a tale ricostruzione è rimasta, invero, isolata in dottrina (DE MARTINI, Sulla natura giuridica del deposito cauzionale cit., c.  s., che configura nel caso di pegno irregolare, ma –sembra – di ogni altro negozio su cose non individuate, una proprietà ambulatoria sul tantundem eiusdem generis). L’altro aspetto astrattamente configurabile riguarda la perdita della proprietà (da parte del debitore o creditore, a seconda della tesi accolta) a seguito della utilizzazione. Se è pur vero che il patto di rotatività, ovvero la previsione di una clausola di utilizzazione per le garanzie finanziarie, determina, con l’alienazione dell’oggetto di garanzia, la perdita della proprietà del bene oppignorato in capo al debitore o terzo, sorgendo invece in capo a quest’ultimo un diritto personale di credito alla costituzione di una garanzia equivalente, non è parso che ciò possa costituire, nell’ambito dell’economia del rapporto di garanzia, una questione di particolare rilevanza pratica, al di fuori della possibilità o meno di ascrizione a figure e modelli già esistenti di alienazioni in funzione di garanzia. Ciò probabilmente, anche in virtù dello status dei creditori coinvolti in questo tipo di utilizzazioni (per entrambe le figure si tratta degli istituti bancari). In proposito, sulle garanzie finanziarie cfr. TAROLLI, Le garanzie finanziarie: il diritto di utilizzazione dell’oggetto della garanzia cit., p.  ss.. La svalutazione del profilo proprietario è chiara in GABRIELLI, Il pegno cit., p. , a proposito del pegno su valori in gestione patrimoniale. 66 Nel caso di pegno, ai sensi dell’art. , co. -, c.c., «la prelazione non ha luogo se il pegno non risulta da scrittura con data certa, la quale contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa. Se però il pegno risulta da polizza o da altra scrittura di enti che, debitamente autorizzati, compiono professionalmente operazione di credito su pegno, la data della scrittura può essere accertata con ogni mezzo di prova». L’interpretazione dominante della norma considera il requisito della data certa e della sufficiente indicazione del credito garantito e della cosa prestata a garanzia come requisiti di opponibilità ai terzi della prelazione, al fine di scongiurare frodi in danno degli altri creditori. In tal modo si afferma l’indipendenza e autonomia funzionale della costituzione della garanzia (art.  c.c.) rispetto alla nascita del diritto di prelazione. Cfr. ex multis, COLOMBO, Pegno bancario: le clausole di estensione, la prova della data, in Banca, 65 Modelli di circolazione e forme strutturali Anche in relazione alle fattispecie di pegno rotativo, infatti, pur rimanendo applicabile la disciplina di diritto comune ai fini dell’opponibilità ai terzi e quindi escludendo la semplificazione delle condizioni richieste per costituzione ed efficacia delle garanzie finanziarie, la garanzia pignoratizia è efficace anche nei confronti dei terzi (principalmente, i creditori) a far data dalla costituzione67, quando siano adempiuti i requisiti per la costituzione ed opponibilità68. L’unità formale della operazione economica, non verificandosi alcuna soluzione di continuità o effetto novativo nelle successive sostituzioni dei beni oggetto di garanzia, rende, ad esempio, revocabili solo quelle garanzie che siano state costituite nel periodo sospetto, non rilevando le date delle sostituzioni69; né, ai fini della continuità della garanzia, le formalità adottate per queste ultime70. Il problema che si pone allora è quello di chiarire quali siano le condizioni, anche con riguardo ai beni scritturali, che vanno adempiute per la costituzione e sostituzione della garanzia71. borsa, tit. cred., , I, p.  ss.; Cass.  ottobre , n. , in Banca, borsa, tit. cred., II, p.  s. Ciò come vedremo, tende a determinare, tuttavia, una serie di distonie, in punto di requisiti della individuazione, in un sistema caratterizzato dalle scritturazioni contabili. 67 Il patto di rotatività per essere efficace deve essere manifestato in un atto avente data certa e contenente le indicazioni necessarie per individuarne nei successivi passaggi del vincolo gli oggetti. Per tutti, GABRIELLI, Il pegno cit., p. . 68 Cass.  novembre , n. , in Foro it., , I, c. ; Trib. Milano,  novembre , in Fallimento, , p. ; Trib. Livorno,  dicembre , in Giur. Merito, , p.  69 Ciò comporta che le parti non devono stipulare, ad ogni successiva sostituzione, un nuovo atto che contenga gli elementi di cui all’art.  c.c.: diversamente, resterebbe certamente preclusa la continuità della prelazione. In questo senso, GABRIELLI, op. loc. cit.; ma in senso contrario, per il necessario rispetto dei presupposti ex artt.  e  c.c., in ogni modificazione dell’oggetto della garanzia, RESCIGNO, Le garanzie rotative convenzionali cit., p.  ss.; A. M. AZZARO, Pegno rotativo su titoli dematerializzati, spossessamento e revocatoria fallimentare nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza, in Banca, borsa, tit. cred., , II, p.  ss., in part. p. . 70 Cfr. infra cap. III. 71 D. MESSINETTI, Le strutture formali della garanzia mobiliare, in Riv. crit. dir. priv. , p.  ss., spec. p.  s. evoca una svalutazione del sostrato materiale dell’oggetto della garanzia e una indipendenza dalla specifica identità delle singole componenti. Cfr., inoltre, F. BOCHICCHIO, Il pegno di valori mobiliari. Servizi finanziaria e garanzie reali, in Contratto e impresa, , p. . Alla luce di questa interpretazione, è stata stigmatizzato l’orientamento della Suprema Corte, inaugurato con il pronunciamento di Cass.  settembre , n.  (in Riv. not., , II, p.  ss., e in Dir. Giur., , p. , con nota di F. BRIZZI, Cosa e valore nel pegno rotativo) che interpreta il pegno rotativo come una fattispecie a formazione progressiva. Cfr., per una compiuta critica, GABRIELLI, Il pegno cit., p.  s.     Le vicende, nonché l’evoluzione delle tecniche negoziali e le previsioni legislative, relative principalmente a beni fungibili, tra cui talora espressamente anche il denaro, hanno mostrato come il dinamismo delle operazioni commerciali e finanziarie abbia sollecitato a riconoscere rilevanza giuridica all’interesse al valore economico, in quanto tale72. Tale interesse – come vedremo – rappresenta nodo centrale nelle gestioni di denaro, delle quali si verificherà entro quali limiti è possibile riconoscere tutela. Nell’ambito delle tecniche evolutive delle garanzie reali ciò ha comportato il riconoscimento di meccanismi di surrogazione, ma, allo stesso tempo, induce a dover precisare quelle regole poste a tutela della conoscibilità dei terzi e che, con riguardo ai beni fungibili, diventano quelle relative alla identificazione/individuazione dell’oggetto del diritto73, e che andranno verificate con riguardo al denaro. In proposito, si è già cominciato a rilevare che a tale operazione non necessariamente inerisce la definizione di un diritto reale, purché si tratti di requisiti che consentano la prevalenza su terzi74. Su di esse, non necessariamente coincidenti con quelle della individuazione, anche se relativamente ad un altro contesto, si tornerà più avanti al Cap. III. Con l’espressione “identificazione del bene” si fa normalmente riferimento all’accertamento del bene specifico dedotto in contratto, quale elemento concorrente per la determinazione dell’oggetto dello stesso. Cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile, , Il contratto, Milano, , p. . 73 In tal senso, l’affermarsi del pegno regolare rotativo non modificherebbe internamente il modello del pegno come diritto reale, cioè, su un piano sistematico, non significherebbe l’evoluzione del diritto reale come situazione avente ad oggetto un valore. Essa, preservando il modello positivo del diritto reale di stampo romanistico, verrebbe ad attenere alla sfera della responsabilità patrimoniale, assegnando al creditore pignoratizio prevalenza rispetto ai creditori che agiscono in revocatoria sul patrimonio del comune debitore. 74 Circa i percorsi interpretativi che assumono il denaro come res, generica e fungibile, da ultimo, critica è M. SEMERARO, Pagamento e forme di circolazione della moneta, Napoli, , p.  ss. e passim che si pone sulla scia di quegli aa., (principalmente Inzitari), i quali argomentano l’assoluta irriducibilità del denaro a cosa, nonché l’inutilità di un tale tentativo. Tuttavia, se è vero che un’impostazione “materialista” non comporta alterazioni di disciplina nel settore delle obbligazioni pecuniarie, ci appare dubbia la validità di sganciare la qualificazione del denaro da categorie esistenti, in virtù di una fondamentale esigenza di certezza del diritto. Per il medesimo principio, quando si nega la qualificazione di credito (per quanto disponibile, avente quindi indubbi tratti di specialità) alla moneta scritturale o alle altre forme di disponibilità monetarie (EAD., ult. op. cit., p.  ss. e p.  ss.), in favore del ricorso all’idea di moneta come disciplina di un potere economico (sulla scia delle tesi di LEMME, Moneta scritturale cit., pp.  e ) non solo si contraddice il dato positivo, ma si elude quella che a nostro modo di vedere è una necessaria formalizzazione entro le esistenti categorie giuridiche. Cfr. supra cap. I, nt. . 72 Modelli di circolazione e forme strutturali Prima di approfondire questi aspetti appare, tuttavia, necessario affrontare una pregiudiziale logica: cioè, quale sia l’usuale comportamento del denaro nella circolazione giuridica e in che rapporto si ponga rispetto agli altri beni fungibili. . Trasferimenti di denaro e leggi di circolazione Nell’ambito delle problematiche tradizionalmente ascritte ai beni fungibili, è insegnamento costante che il denaro tenda ad assumere una posizione di assoluta specialità. Tale atteggiamento si colloca, innanzitutto, nell’ambito della storica considerazione del denaro come oggetto di proprietà e quindi delle vicende proprietarie75. Le regole peculiari che reggono la circolazione del denaro sono giustificate in vario modo: a causa l’inapplicabilità della disciplina dettata per le obbligazioni generiche; per l’operatività del principio della c.d. confusione patrimoniale, secondo cui, una volta consegnata una somma di denaro, di essa si perde la proprietà, quale ne sia la causa o anche sine causa, poiché la somma ricevuta è destinata ad essere reimmessa nel flusso circolatorio76; infine, sottraendo il denaro alla logica dei diritti reali, si argomenta che tale specialità si spiegherebbe per la incompatibilità con la logica della fisicità e corporeità dei diritti reali (per cui in caso di masse fungibili si parla di quantità mentre concetto più consono al denaro sarebbe quello di somma)77. Ad ogni buon conto, ci sembra che, in difetto di una disposizione scritta, queste considerazioni debbano essere valutate per una ricostruzione delle regole di circolazione del denaro78. MAIORCA, voce Commistione, cit., pp. -, spec. p. . Anche TRIMARCHI, op. loc. cit., afferma che in caso di denaro, la confusione nel patrimonio dell’accipiens avvenga sempre, escludendo in nuce, ogni discorso sulla persistente individualità del bene. 76 Per l’esclusione, relativamente al denaro, delle vicende dell’unione e della commistione, fondata su tale presupposto, si veda INZITARI, Moneta cit., p. . 77 L’assenza del dato positivo non viene necessariamente ritenuto un elemento ostativo all’applicabilità di una disciplina o soluzione giuridica, «potendo, anche in assenza di esso, fondarsi sulla valutazione che degli interessi sostanziali in questione compie la coscienza sociale». Cfr. A. LENER, «Expressio causae» e astrazione processuale, in Studi in onore di Francesco Santoro Passarelli, III, Napoli, , p.  ss., spec. p. . 78 La scelta di inquadrare il fenomeno monetario sotto il profilo effettuale (il trasferi75     Vediamo, più analiticamente, come esse vengano argomentate con riguardo ai trasferimenti monetari79. Nel lessico comune il vocabolo trasferimento, conformemente alla sua etimologia, indica l’atto del passare, dell’esser portato, da un luogo ad un altro. Tuttavia, il lemma assume una diversa valenza (descrittiva)80 nel linguaggio giuridico ove i caratteri distintivi del concetto di trasferimento si rintracciano, da un punto di vista effettuale, nella relazione necessaria tra la perdita di un diritto in capo ad un (precedente) titolare e il correlativo acquisto da parte di altro soggetto81. All’interno della dinamica giuridica, lo schema traslativo in senso stretto vede pertanto come propri termini, da un lato, l’effetto privativo di una situazione giuridica attiva, dall’altro, quello acquisitivo della medesima situazione, determinati da una sola medesima causa o atto unitario, sia esso volontario o d’imperio82. mento come risultato dell’attività giuridica) anziché causale (incentrandosi sulla prospettiva dell’atto), che pure origina da una ben precisa connotazione giuridica dei trasferimento del denaro, mira a fornire una considerazione unitaria che possa poi rappresentare punto di riferimento nell’analisi del settore delle gestioni monetarie. Sull’attitudine ad impostare le indagini «più sull’atto che sull’effetto», NICOLÒ, voce Attribuzione patrimoniale, in Enc. dir., IV, Milano, , p.  ss. segnalando, lì, come tale atteggiamento determini lo scarso rilievo ricostruttivo della categoria dell’attribuzione patrimoniale. 79 PUGLIATTI, voce Acquisto del diritto b) Acquisto a non domino, in Enc. dir., I, Milano, , p. ; DALMARTELLO, La prestazione nell’obbligazione di dare, in Riv. trim. dir. e proc. civ., , p.  ss. 80 PUGLIATTI, I fatti giuridici, ed. riv. e aggiornata a cura di A. Falzea, Milano, , p. ; ID., voce Acquisto del diritto a) Teoria generale, in Enc. dir., I, Milano, , p.  ss., spec. p.  ove il concetto di trasferimento viene più propriamente inteso, nella prospettiva dell’acquirente, all’acquisto derivativo. 81 Sull’inquadramento dell’acquisto come effetto giuridico relativo a situazioni giuridiche, prima che operante sui rapporti, nonché sulla derivatività dei trasferimenti coattivi, si veda PUGLIATTI, Acquisto del diritto, cit., p.  s. Sul ruolo della titolarità nella circolazione giuridica, si veda anche C. MAIORCA, voce Fatto giuridico - Fattispecie, in Noviss. dig. it., VII, Torino, , p.  ss., spec. p. . Ciò spiega come quella dell’effetto attributivo sia solo una possibile prospettiva dalla quale guardare ai processi circolatori dei diritti, dando così rilevanza al momento e ai differenti modi dell’acquisto del diritto. Allo stesso tempo appare chiaro come gli acquisti a titolo originario, ovvero a non domino, non rientrano nello schema traslativo (-derivativo). Sulla dinamica giuridica come produzione di effetti giuridici, si veda CATAUDELLA, voce Fattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano, , p. , spec. p. . 82 È pleonastico notare che nell’ordinamento italiano il prodursi dell’effetto traslativo è effetto del contratto di alienazione (art.  c.c.). Sulla rilevanza di un atto traslativo autonomo nel caso di obbligazioni di dare, si veda infra nt.  e testo successivo. Modelli di circolazione e forme strutturali Incidono, pertanto, in astratto, su una fattispecie traslativa, le norme di circolazione dei (diritti sui) beni, nonché l’atto (traslativo)83, il quale è in grado di condizionare l’effettività dell’acquisto84. Abbiamo accennato come la rilevanza del denaro nei traffici giuridici come mezzo di scambio, per l’acquisizione di beni ad utilità diretta, ovvero come entità patrimoniale trasferibile (ad es. nelle attribuzioni donandi o credendi causa), il cui valore (interesse ad ottenerlo) è comunque da rintracciare in scambi futuri, abbia determinato la regola non scritta secondo cui ogni atto di consegna di materiale passaggio di disponibilità (o consegna, se si vuole) determini il trasferimento della proprietà formale sul denaro. Tale regola appare ispirata ad esigenze di semplificazione e stabilità dell’attribuzione patrimoniale, senza che ciò sembri comportare una sostanziale alterazione degli spazi di tutela tradizionalmente riservati al proprietario originario (tramite l’equivalente tutela restitutoria)85. Lo vediamo, anzitutto, con riguardo alla qualificazione dell’atto di pagamento nell’obbligazione pecuniaria, quando effettuato con pezzi monetari86. 83 Sull’inefficacia, come figura applicabile ai soli negozi giuridici (e non alle altre categorie dei fatti giuridici), si veda SCALISI, voce Inefficacia (dir. priv.), in Enc. dir., XXI, Milano, , p.  ss., spec. p.  ss. Una sintetica ricognizione delle categorie dei fatti giuridici è in MOSCHELLA, voce Fatto giuridico, in Enc. giur., XIV, Roma, , p. . In particolare, per la rilevanza che questa assume nel prosieguo della trattazione, sulla inefficacia relativa, ancora SCALISI, Inefficacia, cit., p. , p.  ss., p.  s., ove si chiarisce come la categoria dell’inefficacia relativa si riferisca a situazioni di conflitto tra più situazioni giuridiche incompatibili su un medesimo bene. Tale conflitto viene risolto dalla legge assegnando prevalenza all’esercizio della situazione soggettiva del terzo, non essendo stati assolti dalle parti del negozio gli oneri di legalità prescritti (si pensi ad oneri di carattere formale relativi all’atto, come la data certa). 84 Si veda, in proposito, R. SACCO, Il contratto, in Tratt. dir. civ. it cit., p.  ss., ove esemplifica quali potrebbero essere le difficoltà pratiche connesse, nella successione dei pagamenti, ad un calcolo della quota di denaro di spettanza del singolo trandens (ai fini dell’art.  c.c.), nelle masse di denaro dei diversi accipientes. 85 Le voci enciclopediche generalmente (fa eccezione MAGAZZÙ, voce Pagamento cit., p.  ss.), e conformemente al dettato codicistico, utilizzano il termine pagamento come sinonimo di adempimento, e non in quell’accezione più ristretta, pur frequente, di obbligazione avente ad oggetto un’attività di dare, di trasferire la proprietà di cose, tradizionalmente una somma di denaro. Si veda, M. GIORGIANNI, voce Pagamento cit., spec.  s.; G. CIAN, voce Pagamento, in Dig. IV cit., spec.  s.; M. PROSPERETTI, voce Pagamento, in Enc. giur., XII, , p.  ss. 86 Il ricorso allo schema dell’obbligazione di dare cose generiche, per la letteratura italiana, è a partire dagli scritti classici di ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. Scialoja-     La classica ascrizione del denaro alla categoria delle res generiche e fungibili e dell’obbligazione pecuniaria come obbligazione di genere è stata da sempre oggetto di critiche e, in ogni caso, limitazioni87. Da un punto di vista disciplinare, inapplicabili sono, ad esempio, le norme sulla qualità dell’oggetto (art.  c.c.)88, o sulla produzione dell’effetto traslativo (art. )89. Ne discende che la consegna materiale è il solo atto, che integra l’individuazione, fonte dell’effetto traslativo e del passaggio del rischio, e che ogni fattispecie contrattuale che contempli il pagamento di una somma sia una fattispecie reale e ad efficacia reale. Su queste premesse, l’ancoraggio alle cose di genere fa sganciare il regime di circolazione del denaro contante/banconote dal principio consensualistico90; e induce altresì, se scendiamo nella qualificazione dell’atto di pa- Branca cit., p.  ss.; G. SCADUTO, I debiti pecuniari e il deprezzamento monetario cit., p.  ss.; N. DISTASO, Somma di denaro (debito di), in Noviss. dig. it. cit., p.  ss. 87 INZITARI, La moneta cit., p. ; A. DI MAJO, Le obbligazioni pecuniarie cit., p. . 88 L’individuazione, che nelle obbligazioni generiche ha la funzione di anticipare l’effetto traslativo rispetto alla consegna dei beni, sarebbe inconciliabile con il regime delle obbligazioni pecuniarie. Cfr. INZITARI, La moneta cit., p. . Ciò significa, in altri termini, che nessuna modalità di separazione della somma di denaro dovuta, diversa dalla consegna materiale, integra un adempimento del debito. Sull’individuazione di cose, come atto non negoziale, successivo al perfezionamento dei contratti previsti dall’art.  c.c., e volto ad integrare il titolo idoneo al trasferimento, cfr. MENGONI e REALMONTE, voce Disposizione (atto di), in Enc. dir., XIII, Milano, , p. ; C. M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. dir. civ. diretto da F. Vassalli, Torino, , p. . Esclude il carattere di atto di disposizione della individuazione, ancora MENGONI, Gli acquisti a non domino, Milano, , pp.  e , con la conseguenza che la specificazione fatta con cose altrui non impedisce la «giusta causa» del possesso in buona fede tutelato dall’art.  c.c. Nel caso di pagamento in senso stretto ( di somma di denaro, ad es. il contenuto dell’obbligazione di pagare un corrispettivo pattuito, oppure dell’obbligazione del mutuatario di “restituzione” del tantundem), tuttavia, lo strumento di attuazione del trasferimento previsto dal contratto s’identifica con la traditio, della quale, del pari si nega la qualifica di atto negoziale-dispositivo. Cfr. MENGONI, Gli acquisti a non domino cit., p.  e CHIOMENTI, Il titolo di credito cit., p. , secondo cui, in virtù dei caratteri del denaro, chi lo riceve va considerato pagato nel momento in cui lo riceve. 89 Su questo principio generale di circolazione giuridica, si vedano P. M. VECCHI, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, ; nonché P. SIRENA, Sulla derogabilità del principio consensualistico, in AA.VV., Colloqui in ricordo di Michele Giorgianni, NapoliRoma, , p.  ss.. 90 Sui pagamenti traslativi M. GIORGIANNI, voce Causa (dir. priv.), in Enc. dir., VI, Milano, , p.  ss.; A. LENER, «Expressio causae» e astrazione processuale, in Studi in onore di Modelli di circolazione e forme strutturali gamento, a configurarlo alla stregua di quanto avviene nelle obbligazioni generiche, come un pagamento traslativo91. Il pagamento pecuniario, al pari della dazione di cose da trasferire in proprietà al creditore, integrerebbe un’ipotesi di un pagamento con effetti traslativi, con la conseguente rilevanza, ai fini del trasferimento della titolarità sulla somma, di una valida dichiarazione di volontà manifestata dal soggetto legittimato92. Anche con riguardo a tale aspetto, tuttavia, il modello ricostruttivo dell’obbligazione generica all’obbligazione pecuniaria non si è rivelato pienamente applicabile93. Nel caso della consegna di denaro non troverebbe spazio il dibattito circa il regime conseguente al difetto di causa esterna (se il regime di invalidità del negozio traslativo ovvero, come ritiene la dottrina dominante, un’azione personale di restituzione). Si è ritenuto, infatti, come, verificandosi un trasferimento della proprietà in assenza di causa solvendi, si darebbe vita ad un fenomeno di astrazione causale (transfert)94, ovvero ad una mera conseguenza determinata dall’“indole dell’oggetto”. Essa sarebbe legata unicamente alla restituzione del Francesco Santoro Passarelli cit., p. ss.; L. MENGONI, Il trasferimento dei titoli di credito nella teoria dei negozi traslativi con «causa esterna», in Banca, borsa, tit. cred., , I, p.  ss.; MARICONDA, Il pagamento traslativo, in Contratto e impresa, , p.  ss.; e più di recente, NAVARRETTA, Le prestazioni isolate nel dibattito attuale, in Riv. dir. civ., , II, p.  ss. 91 DALMARTELLO, La prestazione nell’obbligazione di dare cit., p.  ss., in part. p.  ss., che individua la delegatio solvendi come uno degli esempi che dimostrano la separazione tra l’atto traslativo (i cui la volontà traslativa si manifesta nell’accordo delegante - delegatario) e la consegna (dal delegato) nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria; LENER, «Expressio causae», cit., p.  s., che limita pagamento di denaro l’ipotesi della consegna avente efficacia traslativa. Della categoria del pagamento traslativo parla anche L. GATT, La liberalità, I, Torino, , p. , nt. , con riguardo agli atti di trasferimento di beni o denaro (corsivo nostro). 92 Esclude la inclusione dei trasferimenti monetari dalle c.d. prestazioni isolate o atti di adempimento traslativo U. LA PORTA, Il problema della causa del contratto, I, Torino, , p. , che definisce la figura del pagamento traslativo come l’ipotesi in cui l’adempimento dell’obbligazione «si sostanzi nel trasferimento del diritto di proprietà su una cosa o di altro diritto; ossia il caso in cui si tratta di adempiere ad un’obbligazione di dare, in senso tecnico, non avente ad oggetto una somma di denaro». 93 Come abbiamo visto parla di astrazione causale in questi casi SACCO, Il contratto, in Tratt. dir. civ. it cit., p.  (che riproduce ID., Causa e consegna nella conclusione del mutuo, del deposito e del comodato, in Banca, borsa, tit. cred., , I, p.  ss., in part.  ss.), ma già anteriormente L. CARIOTA-FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d.,  s. Parla di astrazione (principle of abstraction) riferita al denaro, anche per il diritto inglese, D. FOX, Property rights in money cit., p.  e cap. III. 94 LENER, «Expressio causae», cit., .     tantundem95, mentre, con riguardo al bene trasferito, si tratta di «vera e propria irripetibilità» non estensibile a nessun altra ipotesi96. Anche l’obbligazione restitutoria da indebito, quindi, si atteggerebbe in maniera differente, secondo che il pagamento abbia avuto ad oggetto il denaro, ovvero altre cose fungibili, per le quali soltanto si presenta come possibile un’indagine circa l’avvenuta confusione o meno97. Ci sembra, invero, che tale distinzione si ispiri ad un principio, inespresso nel diritto positivo, il quale si giustifica con valutazioni di economicità dei mezzi giuridici. Nel caso del denaro, la naturale destinazione alla reimmissione nel flusso circolatorio determinerebbe l’inutilità di discorsi proprietari sullo stesso98. LENER, «Expressio causae» cit., . P. TRIMARCHI, L’arricchimento senza causa cit., p. ; G. ANDREOLI, La ripetizione dell’indebito, Padova, , p.  ss., che, per le cose fungibili, ricostruisce l’obbligo di restituzione del tantundem, a partire dall’avvenuta commixtio. Cfr. supra nt. . 97 È, in sintesi, il pensiero di C. MAIORCA, voce Commistione cit., p. , che ci sembra l’a. che l’abbia più ampliamente esplicitato. Cfr. infra nt.  e SACCO, Il contratto, in Tratt. dir. civ. it cit., p. , che, a proposito dell’art.  c.c., parla di «inaccettabili complicazioni di questa teoria della comproprietà», nonché P. TRIMARCHI, L’arricchimento senza causa cit., p  s., che difende la tesi, di derivazione romanistica (cfr. infra par. . in questo cap.), dell’indebito di somma di denaro come debito di un’ugual somma, con il rischio del furto o del perimento – di banconote o monete – sempre a carico dell’accipiens, e quale che sia la sorte del denaro ricevuto. Secondo l’illustre a., la tesi e la sua costante applicazione nel corso dei secoli, si giustifica, innanzitutto, nell’enorme difficoltà di seguire le vicende delle singole banconote. L’idea della semplificazione nell’utilizzo degli strumenti giuridici, come via per far fronte alla complessità del mondo moderno, e il richiamo esemplare all’esperienza del diritto romano, è in R. EPSTEIN, Simple rules for a complex world, Cambridge (Harvard University Press), , ove, tuttavia, la semplicità è funzionale alla creazione di regole efficienti e di un sistema di incentivi (sul ruolo della proprietà, si veda p.  ss.). In ogni caso, l’idea di una regola che risulti funzionalmente semplice (nel senso di ridurre ad esempio il contenzioso, consentendo tuttavia una tendenziale soddisfazione degli interessi in gioco – attraverso, ad esempio, l’obbligazione restitutoria) ci sembra l’unica possibile ratio alla base di un principio (e non scritto) di circolazione “anomala” del denaro. 98 Si tratta dei contratti di credito (art.  ss. c.c.) e cd. irregolari (artt.  e  c.c.) in cui il codice civile fa riferimento al denaro in termini di quantità e proprietà, il cui trasferimento è previsto come effetto legale che determina l’obbligo in capo all’acquirente-debitore di restituire l’equivalente o, in caso di gestione, i beni rimasti a seguito della gestione, ovvero l’eccedenza (art.  c.c.) oppure il controvalore degli stessi (art.  c.c.). Cfr. ZACCHEO, Gestione fiduciaria e disposizione del diritto, Milano, , pp.  e  anche per ulteriore bibliografia. In verità, dottrina risalente ma autorevole, con riferimento al denaro è orientata nel senso che, in caso di confusione materiale, si verifichi sempre in capo al tradens un mutamento della situa95 96 Modelli di circolazione e forme strutturali Di tale principio, però, va verificata, pur alla luce di una tale ratio, e conformemente ad essa, la effettiva vigenza ed, eventualmente, i limiti. .. Segue. Il denaro come oggetto del contratto Parzialmente diverso appare il quadro nel contesto negoziale, quando il denaro costituisca cioè oggetto del contratto, per due ordini di ragioni. Innanzitutto, mancano sia dati positivi, sia eventuali esigenze di economicità nell’utilizzo dei mezzi giuridici (o di semplificazione) che giustifichino un trattamento diversificato tra denaro e altri beni fungibili, che invece vengono trattati congiuntamente dal legislatore, ad esempio, nei contratti tipici di pegno o deposito irregolari, mutuo99. Con riguardo alle vicende della proprietà, pur essendo previsto l’effetto traslativo, e la realità delle fattispecie ogni qual volta il referente oggettivo della contrattazione sia costituita dal danaro, ovvero da altri beni fungibili100, zione giuridica sulla somma versata da reale ad obbligatoria. Cfr. rif. in MAIORCA, Commistione cit., p. ; F. PIGA, Commistione e unione, in Enc. dir., VII, Milano, , p. , spec. p. . Come è stato, e viene più volte sottolineato, si è più consapevolmente giunti a ritenere che tale principio – benché non espresso nel dato positivo – può (astrattamente nostro) giustificarsi solo quando il denaro venga utilizzato come mezzo di pagamento, certamente non quale effetto di una fattispecie causativa negoziale. Sempre MAIORCA, op. ult. cit., p. , e così anche R. LENZI, Responsabilità patrimoniale e rilevanza della funzione nel deposito di beni fungibili, Milano, , p.  s. 99 Sui contratti reali ed in particolare sulla realità e le sue connessioni storiche con la gratuità, si veda SACCO, Causa e consegna nella conclusione del mutuo, del deposito e del comodato cit., spec.  ss. Relativamente al mutuo, si può vedere, per una sintesi, P. POLLICE, Soggetto privato e ausilio finanziario pubblico, Napoli, , p.  ss. (anche per ulteriore bibliografia sulle tesi contrarie), il quale sostiene il carattere consensuale del mutuo, e al tempo stesso l’impossibilità della sua esecuzione in forma specifica. 100 L’affermazione di questo trattamento uniforme per denaro e fungibili è ormai più volte affermato in giurisprudenza, anche quando si aderisce ad una lettura delle fattispecie in termini di separazione patrimoniale (su cui infra cap. III). Con specifico riguardo a depositi di denaro, si veda, da ultimo, Cass.,  febbraio , n.  in Pluris, ove l’obiezione di una disciplina diversificata per denaro rispetto ad altri fungibili (strumenti finanziari) era pur stata sollevata dalla ricorrente, ma non accolta dalla Suprema Corte. Sembra, invece, che aderisca all’idea di un trattamento differenziato, esclusivamente in caso di deposito, però, SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p. , nt. , ove afferma che il passaggio della proprietà previsto nel caso di deposito bancario sarebbe espressione della «regola universale secondo cui «il denaro appartiene sempre a chi lo possiede»»; e p. , nt. . Non ci sembra, tuttavia, che il libero dispiegarsi dell’autonomia privata incontri particolari ostacoli con riguardo al denaro, a differenza degli altri beni fungibili.     l’efficacia reale è ritenuta essere derogabile101. Lo schema causale che include il passaggio della proprietà si spiega in virtù della natura dell’oggetto, non nelle sue caratteristiche materiali, ma per sua naturale destinazione allo scambio (essenziale nel caso di denaro), in tal modo interpretando l’interesse dell’accipiens all’utilizzazione della somma o quantità ricevuta, e l’indifferenza per il tradens a riottenere il tantundem, anziché la species102. Ma per la medesima ragione, nei casi dei contratti c.d. irregolari, l’effetto reale o effetto c.d. irregolare, poiché non riconducibile alle vicende della res, è derogabile dalla volontà delle parti: dalla natura fungibile non discende l’automatica qualificazione del contratto come irregolare (ad effetti traslativi)103. Di contro, un diverso assetto di interessi, ovvero una manifestazione di volontà in senso non traslativo, può essere desunto da una serie di elementi di prova, di cui l’avvenuta individuazione è soltanto un esempio104. 101 Per una sintesi, pur non affatto esaustiva, della letteratura sul punto, ci sia consentito rinviare a CAGGIANO, Il denaro tra proprietà e credito cit., p.  ss. Sul pegno irregolare, si veda D. VITTORIA, voce Pegno irregolare, in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma, , p.  ss. 102 La tesi del trasferimento della proprietà nei negozi irregolari come effetto riflesso della confusione, ovvero della non distinguibilità di altri appartenenti allo stesso genere nel patrimonio dell’accipiens, e non anche effetto diretto del negozio, è stata pur sostenuta in dottrina (con riguardo al pegno irregolare ad es. R. NICOLÒ, Deposito cauzionale di titoli di credito: effetto traslativo, in Riv. dir. civ., , p.  ss.), ma non appare sostenibile, in virtù del fatto che «non c’è cosa generica che non possa essere trasformata in species determinata, mercè opportuni e spesso assai facili procedimenti di individuazione» (A. DALMARTELLO, voce Pegno irregolare, in Noviss. dig., XII, Torino, , p.  ss., in part. ). Similmente, in tema di deposito irregolare, si vedano A. DALMARTELLO e G. PORTALE, voce Deposito (diritto vigente), in Enc. dir., XII, Milano, , p.  ss.. 103 REALMONTE, Il pegno, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, XIX, Torino, , p.  s. «se quella volontà traslativa mancasse, il mero fatto dell’accipiens diretto a confondere le cose generiche ricevute in pegno col resto del suo patrimonio o comunque di disperderle in modo che più non possa rintracciarle nella loro individualità integrerebbe un atto doppiamente illecito: innanzitutto perché se non potesse riallacciarsi alla volontà del costituente, in modo da esserne giustificato, implicherebbe la violazione del diritto di proprietà che, in ipotesi, sarebbe rimasto al tradens […]» 104 Con riguardo ai titoli di credito la giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass.,  giugno , n. , in Fallimento, , p.  ss.) ritiene che ai fini della individuazione (per finalità di opponibilità ai terzi), sia sufficiente la menzione della natura del titolo oppignorato e dell’ammontare del credito in esso incorporato. Ciò risulta motivato dalla considerazione che requisito della scrittura ex art.  c.c. «ha lo scopo, a tutela degli altri creditori, di evitare che la cosa possa essere sostituita con altre di maggior valore e, pertanto, nel caso di pegno di titoli di credito al Modelli di circolazione e forme strutturali L’interpretazione giurisprudenziale, unitamente all’utilizzo fatto dal legislatore, del contratto di deposito regolare e di pegno possono fornire degli esempi. Nel caso di pegno, tra gli indici interpretativi per la qualificazione in termini di contratto regolare, è prevista, alternativamente all’avvenuta individuazione dei beni oggetto di pegno, la mancata attribuzione della facoltà di disporne (arg. e contrario dall’art.  c.c.)105. portatore, deve ritenersi soddisfatto dalla menzione della natura del titolo e dell’ammontare del credito in esso incorporato, senza necessità di ulteriori indicazioni, superflue rispetto all’interesse tutelato» (corsivo nostro). La giurisprudenza di merito (si segnala, Appello Milano,  luglio , in Banca, borsa, tit. cred., , II, p. ) si attesta su criteri più stringenti (indicazione importo, emittente, scadenza). Sul punto, L. MAGGIORE, Natura del pegno e volontà delle parti, in Banca, borsa, tit. cred., , II, p.  ss., in part. nt.  s. In dottrina, che è pressoché unanime nel conferire rilevanza alla volontà delle parti, si segnala, sul punto, S. GATTI, Pegno irregolare e fallimento del debitore, in Riv. dir. comm., , I, p.  ss., che propone di dar rilievo, ai fini dell’indagine della volontà a fattori quali l’origine del credito garantito, la qualifica soggettiva del creditore, il tipo di beni dati in pegno e, infine, la loro individuazione. Invero – va segnalato – che, sempre con riguardo ai titoli di credito, ma dematerializzati e in presenza di un patto di rotatività, il Supremo Collegio (Cass.,  ottobre , n. , cit., p.  s.) ha chiarito come l’individuazione in tali casi vada accertata in duplice senso: innanzitutto, e in questo caso secondo i criteri dell’art.  c.c., come forma alternativa allo spossessamento, non essendo in tal caso materialmente possibile la consegna materiale. A questi fini la mera specificazione degli importi e delle date di scadenza è stata ritenuta causa di nullità del pegno (analogamente, Cass.,  febbraio , n. , in DeJure, in questo caso, per il mancato assolvimento dell’onere probatorio circa la tipologia dei titoli e l’intervenuta o meno dematerializzazione). In secondo luogo, ai fini dell’opponibilità ai terzi, secondo il più “blando” requisito ex , co. , c.c., che prescrive la «sufficiente indicazione della cosa» (oltre che del credito). 105 Cfr. Cass.,  settembre , n. , in Corr. giur., , p.  con nota di Chinè, ove si afferma la massima secondo cui il «pegno di un libretto di deposito bancario» ha «per oggetto […] la somma che da esso risulta, si configura come pegno regolare (di credito) quando sia costituito a favore di un soggetto diverso dalla banca depositaria, mentre quando sia costituito in favore di quest’ultima si risolve in un pegno irregolare del denaro depositato, denaro che passa automaticamente in proprietà della banca che, perciò è obbligata a restituire il tantundem». La motivazione della sentenza di legittimità non entra nella interpretazione della volontà delle parti (pur facendovi cenno, sostenendo la ricorrente banca che tale volontà fosse contraria alla costituzione di pegno irregolare), poiché tale aspetto non costituiva oggetto di vizio denunciato. Più di recente, su pegno irregolare su conto corrente bancario, Cass.,  maggio , n. , in Foro it., , II, c.  che nega il sequestro penale del conto corrente bancario intestato all’imputato ma costituito in pegno irregolare a favore della banca. Ci appare importante in questa sede chiarire questo aspetto, in virtù, non della sua rilevanza pratica in questo ambito (ovvero dell’astratto interesse di un creditore – specialmente bancario – a detenere del denaro senza utilizzarlo, e, allo stesso tempo, avviare una procedura espropriativa an-     Essa può astrattamente rilevare anche in relazione al pegno su denaro106. Con riguardo all’altro ambito, nel deposito irregolare, secondo l’interpretazione prevalente l’effetto traslativo (e il sorgere di un credito alla restituzione del tantundem) è un effetto legale della fattispecie costituita dalla consegna di denaro (o di altri beni fungibili) e dal conferimento della facoltà di servirsene; cioè l’effetto traslativo costituisce conseguenza non solo della fungibilità delle cose, ma anche della facoltà di uso attribuita al depositario107. In tal modo si giustifica l’applicabilità della disciplina del mutuo (art. , co. , c.c.). Mancando il conferimento di tale facoltà di servirsene «nel proprio interesse» (la quale potrebbe desumersi anche in via interpretativa dall’avvenuta individuazione)108, i beni oggetto dell’attività di custodia, semziché incamerare la somma in caso di inadempimento), quanto della possibilità astratta di individuare del denaro, anche a fini di opponibilità a terzi. 106 L’opinione è assolutamente dominante in dottrina: si vedano, a titolo esemplificativo, DALMARTELLO e PORTALE, voce Deposito (diritto vigente) cit., p. ; A. FIORENTINO, Deposito, in Commentario cod. civile Scialoja Branca, Bologna-Roma, , p. ; F. GIORGIANNI, I crediti disponibili cit., p. ; nonché, più di recente, R. LENZI, Responsabilità patrimoniale e rilevanza della funzione nel deposito di beni fungibili cit., il quale, pur ripercorrendo ed aderendo a tale impostazione in ordine alla titolarità dei diritti sui beni fungibili, attraverso la valorizzazione della funzione del deposito – regolare ed irregolare – come conservazione dell’integrità «fisica o economica», conclude come il discorso sull’imputazione sia ininfluente sul piano della garanzia patrimoniale. In entrambi i casi «il depositario potrà sottrarre all’esecuzione la quantità affidatagli, in forza dell’opponibilità del titolo di affidamento ai sensi dell’art. , n.  c.c.». Contra la derogabilità dell’effetto traslativo, autorevoli opinioni, soprattutto, nel pensiero più risalente, BIONDI, I beni, cit., p. ; DE MARTINI, voce Deposito, (diritto civile), in Noviss. Dig. it., V, Torino,  (rist.), p. ; e più di recente l’articolata proposta ricostruttiva in SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p.  ss. 107 Si veda Cass.,  agosto , n. , in CED, ove, mancando una individuazione specifica, la consegne di una determinata quantità di merce (pistacchio) da ammassarsi con altra, è stata ravvisata come implicante la volontà di attribuire al depositario la volontà di servirsi delle cose consegnate, e quindi il sorgere di un deposito irregolare. 108 In giurisprudenza, il dibattito in proposito si è posto principalmente con riguardo alla disciplina delle società fiduciarie, affermandosi, infine, l’orientamento espresso nel testo e dominante in dottrina, con il noto Cass.,  ottobre , n. , in Foro it., , I, c.  (da cui è tratto l’espressione virgolettata nel testo), che interpretando nei termini di deposito regolare il rapporto tra fiducianti e società fiduciaria, accoglieva la domanda di rivendica proposta dai fiducianti in sede di liquidazione coatta amministrativa della società fiduciaria e avente ad oggetto titoli azionari acquistati dalla fiduciaria, sebbene questi non fossero stati individuati al momento della consegna, e pur essendovi stata commistione tra i valori dei singoli fiducianti, ma non con il patrimonio della fiduciaria. Con tale pronunciamento, la Suprema Corte smen- Modelli di circolazione e forme strutturali preché in qualche modo individuabili cioè non confusi, restano computabili nel patrimonio del depositante o dei depositanti109. Diverse vicende si ritiene si verifichino quando vi sia una pluralità di depositanti. In questo caso, compatibilmente con una fattispecie di deposito regolare, e fermi i requisiti previsti per impedire il passaggio o meno della proprietà dal depositante (dai depositanti) al depositario (mancata confusione, divieto di utilizzazione), è possibile che una confusione tuttavia si verifichi: tra i beni (il denaro) conferiti dai singoli depositanti, senza che ciò modifichi la qualificazione del contratto come “regolare”110. Il formarsi di una massa patrimoniale comunque distinta da quella del depositario, darebbe luogo ad una modificazione della situazione soggettiva dei titolari, in termini di comunione pro quantitate su una massa di beni fungibili dello stesso genere111. Essa non si rivelerebbe, in ogni caso, gravosa per i depositanti, contiva l’orientamento fino ad allora costante in tema di rivendica, separazione, restituzione fallimentare (art.  l. fall.), che riteneva ammissibile la domanda solo relativamente a cose identificate nella precisa individualità (ex multis, Cass.  maggio , n. , in Rep. Foro it., , voce Fallimento, n. ; Cass.  febbraio , n. , in Rep. Foro it., , voce Fallimento, n. ). Cfr. in proposito, infra, cap. III. 109 Si rammenta che la proprietà della res da parte del depositante è irrilevante nel contratto di deposito (arg. ex art.  c.c.) e ciò comporta che, anche nel caso di una pluralità di depositanti, legittimato a concludere validamente il contratto sia semplicemente colui che ha la disponibilità dei beni. Ciò, tuttavia, non altera la validità della proposta ricostruttiva che afferma il sorgere di una situazione di comproprietà, dovendo tale situazione essere solo limitata all’ipotesi in cui il diritto dei depositanti sia di proprietà. Nelle altre ipotesi, si determinerà parimenti un concorso di situazioni giuridiche soggettive, il cui paradigma è comunque l’istituto della comproprietà. Cfr. in proposito F. GIORGIANNI, I crediti disponibili cit., p. , e infra testo corrispondente a nt.  in questo capitolo. 110 L’accertamento dell’avvenuta o meno confusione non può essere basato esclusivamente su dati contabili (es. mantenimento di un conto e di una contabilità separata), ma altresì sul mancato utilizzo per fini propri, ovvero un utilizzo per fini dedicati, idoneo cioè a mantenere le sorti del capitale affidato. Così, Cass.,  febbraio  cit., relativamente alle somme depositate dalla Cassa di Previdenza degli agenti del gruppo, in conti individuali correnti fruttiferi presso la società di assicurazione in l.c.a.. Nonostante la contabilizzazione separata ma collettiva, per un ammontare pari alla somma di tutti i conti individuali, e la sua iscrizione a bilancio, la Corte, ribaltando il pronunciamento di primo grado e di appello, ha ritenute confuse le somme, sulla base di prove testimoniali che ammettevano un utilizzo delle somme da parte dell’assicurazione (es.: alla richiesta di restituzione da parte della Cassa, il rifiuto da parte dell’assicurazione sarebbe stato dovuto all’esigenza di evitare un depauperamento troppo ingente). 111 PORTALE e DOLMETTA, Deposito regolare di cose fungibili e fallimento del depositario, in     sentendo loro di ottenere la separazione senza dover ricorrere al procedimento di divisione112. Si tratterebbe di un’applicazione della la comunione pro diviso prevista dall’art. , co. , c.c., alla stregua di quanto avviene in un deposito alla rinfusa113. Banca, borsa, tit. cred. cit., p.  ss. e F. D’ALESSANDRO, Dissesto dell’intermediario mobiliare e tutela dei clienti, in Giur. comm, , I, p. . La problematica si è posta, inoltre, a livello legislativo, in relazione ai fenomeni di dematerializzazione dei beni oggetto dei mercati finanziari. Si pensi alla fattispecie del deposito accentrato di titoli (c.d. dematerializzazione in senso debole, oggi art.  T.U.F., che prevede un deposito regolare di titoli in capo alla società di gestione). Cfr. OPPO, Una svolta nei titoli di massa cit., p. . In particolare, ai sensi dell’art. , co. , T.U.F, il proprietario degli strumenti finanziari immessi nel sistema assume tutti i diritti e gli obblighi conseguenti al deposito quando provi che il depositante non aveva titolo per effettuarlo. La norma presuppone, infatti, necessariamente la persistenza di un diritto reale sui titoli illegittimamente depositati. In verità, già sotto la vigenza dei codici abrogati, si argomentava per il mancato passaggio della proprietà, in caso di pluralità di depositanti (nei rapporti bancari) e di denaro ricevuto senza facoltà di uso sorgesse una comunione al pari di un deposito alla rinfusa, ovvero di comproprietà per quantità, ove l’oggetto del diritto è la parte di un’entità concreta, con facoltà di ciascun depositante di separare dalla massa la quantità a lui spettante senza dover far ricorso alla divisione (cfr. COPPA e ZUCCARI, Il deposito irregolare, Modena, , p.  ss.). Ma i criteri per l’individuazione erano estremamente rigorosi (VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, vol. IV, Torino, , § , p.  riteneva che, che in caso di deposito di denaro, dovesse essere suggellato). Il problema si è riproposto sotto il vigente codice, giungendosi ad attribuire, al depositante bancario, una situazione di tipo possessorio SALV. ROMANO, Dell’apertura di credito (Premessa ad uno studio sulle concessioni private), in Banca, borsa, tit. cred., , I, p.  ss. , spec..  ss. e  per l’apertura di credito. L’a. configura la banca come semplice detentrice (sia pure legittimata a disporre) delle somme ricevute in deposito, e facendo leva sul carattere di massa dei depositi bancari, perviene alla conclusione che il passaggio di proprietà alla banca del linguaggio legislativo realizza solo «la figura della detenzione, un quadro – civilistico – di responsabilità, che è conseguente alla legittimazione dispositiva». Tale particolarità, non configurabile negli ordinari rapporti interprivati, sarebbe configurabile per quelli bancari in virtù dell’organizzazione dell’ente in grado di mantenere una liquidità in grado di soddisfare le richieste di movimentazione di somme da parte dei clienti. 112 Arg. ex art.  e  c.c.,  e  c.p.c. 113 L’art.  c.c., con norma suppletiva, statuisce che quando due o più beni mobili appartenenti a diversi proprietari sono uniti o commisti, occorre verificare se essi siano separabili senza notevole deterioramento (criterio che è unanimemente dalla dottrina considerato attinente ad una valutazione economica e non fisica). In assenza di tale circostanza «ciascuno conserva la proprietà della cosa sua e ha diritto di ottenerne la separazione». Quando la separazione non possa essere disposta per i negativi riflessi economici che deriverebbero dal deterioramento, la situazione di appartenenza del bene risultante dalla unione o commistione sarà di comunione tra i proprietari delle cose originarie, e la quota di ciascuno proporzionale al valore del suo apporto. In base alla valutazione che la situazione di comunione possa essere d’im- Modelli di circolazione e forme strutturali La logica della disposizione codicistica, che fa dipendere il mantenimento in capo al depositante della proprietà esclusiva, la modificazione in termini di comproprietà, o la perdita della proprietà medesima, dal mantenimento o meno del valore economico delle res commiste, non sembra, invero, riferibile al denaro, in cui l’eventuale confusione (si pensi all’ipotesi più elementare di somme transitate su un conto corrente altrui)114 non determina alcuna perdita di valore, e dove la separazione deve ritenersi attuabile anche mediante un’operazione matematica di divisione quantitativa115. Per tali motivi, con riguardo al denaro, la norma può trovare applicazione solo nel suo primo comma – secondo cui l’indicazione numerica e dell’unità di misura possono rappresentare il criterio di individuazione della situazione di appartenenza116. Vi è un limite, tuttavia, all’applicazione della norma, rappresentato dall’ “estensione” della massa: perché possa ritenersi in qualche modo applicabile la disposizione è necessario che si tratti di una massa definita, limitata pur se mutevole. In altri termini, non vi dev’essere stata confusione con il patrimonio del depositario, ovvero il depositario non può partecipare alla comunione117. paccio alla gestione e circolazione dei beni (GAMBARO, La proprietà, cit., p. ), nel caso in cui la quota di uno o piú proprietari originari fosse minima, si dispone che la proprietà del tutto sia attribuita al proprietario della cosa che può essere guardata come principale o il cui valore superi di molto quello dell’altra o delle altre. In tale ipotesi, chi acquista la proprietà del tutto è obbligato a pagare il valore delle altre cose ai rispettivi proprietari se l’unione o commistione è avvenuta col suo consenso; la minor somma tra l’aumento di valore arrecato ed il valore della cosa accessoria se l’unione o commistione è avvenuta senza il suo consenso ad iniziativa dell’apportante la minor cosa. 114 Per l’ammissibilità del deposito su beni incorporali si veda R. LENZI, Responsabilità patrimoniale e rilevanza della funzione nel deposito dei beni fungibili cit., il quale argomentando, ex art.  c.c., dalla possibilità di sub-deposito (esclusa solo come effetto naturale del contratto), e dall’idea che la conservazione (delle caratteristiche giuridiche e/o economiche) del bene costituisca la funzione essenziale del deposito, sostiene che potrebbe risultare strumentale a tale finalità anche una custodia che si estrinsechi in attività giuridica. 115 In termini analoghi MAIORCA, voce Commistione, cit., p. . 116 Si tratta, infatti, dell’unico criterio assimilabile al deterioramento (in senso economico) previsto dall’art.  c.c. Inoltre, come visto supra al cap. I, l’unità numerica rappresenta l’unico criterio dal quale assume rilevanza il concetto di denaro. 117 Il principio verrà più in dettaglio esaminato nel paragrafo successivo. Qui basti dire che si tratta di un limite che può essere rintracciato variamente anche nella letteratura sui contratti irregolari, ed in particolare sul deposito. Cfr. a mero titolo esemplificativo, PORTALE e     In ogni caso, il disposto di cui all’art.  c.c. sembra evidenziare la possibilità nel nostro ordinamento che la mescolanza (come fatto “naturalistico”) sia compatibile con il mantenimento del diritto di proprietà (o il mutamento in termini di comproprietà) sull’equivalente e che, nel caso di beni fungibili per i quali non sia predicabile un deterioramento (in senso economico, derivante dall’avvenuta confusione), come nel caso del denaro, la logica della comproprietà (per quantità) sulla massa debba essere riferita, invece, ai casi in cui vi sia stata una diminuzione della massa stessa. Infine, anche con riguardo al deposito regolare, si è altresì argomentato come l’identificazione della cosa, e quindi la caratterizzazione del contratto come regolare, possa essere interpretata secondo criteri applicabili all’obbligazione di genere. Ciò comporta la possibilità per il depositario (in generale per il debitore) di procedere, una volta individuato/i il/i bene/i, alla sostituzione con altri beni qualitativamente omogenei (fungibili), se tale atto non arrechi pregiudizio all’altra parte, o ai creditori del depositario stesso118. Se ben vediamo, si tratta di un meccanismo simile a quanto già visto, secondo cui risulta compatibile con lo schema contrattuale del deposito e con la tutela dei terzi un meccanismo di sostituibilità dell’oggetto, assistito da un principio di equivalenza, similmente a quanto accade nel pegno rotativo. Quanto si è fin qui analizzato, da un punto di vista strutturale, con riguardo alle principali fattispecie contrattuali, ancora non disvela appieno l’ambito nel quale tale discorso si è sviluppato e gli interessi sottesi alle fattispecie concrete che, presentatesi nella prassi, hanno sollecitato tale elaborazione. DOLMETTA, Deposito regolare di cose fungibili e fallimento del depositario cit., p.  e SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p. . Il principio, che tra l’altro ritroviamo, anche se funzionalmente all’utilizzo di categorie diverse, in altri ordinamenti (si veda, cap. IV testo corrispondente a ntt.  e ), si giustifica evidentemente con la necessità di fissare criteri certi per l’affidamento dei terzi, che impedisce l’opponibilità a questi di una differente situazione fattuale e giuridica. 118 PORTALE e DOLMETTA, Deposito regolare di cose fungibili e fallimento del depositario cit., p. , che, riportando il pensiero principalmente di C. M. BIANCA, Diritto civile, , Il contratto, Milano, , p.  ss., interpretano come non giustificato in alcun principio generale l’insostituibilità dell’oggetto, essendo l’unico requisito della individuazione (ex art.  c.c., che, come abbiamo visto, è anteriore alla consegna) quello richiesto dalla sua funzione: l’identificabilità dell’oggetto traslativo. Modelli di circolazione e forme strutturali Si tratta di ipotesi in cui vi è un conflitto tra una parte del contratto che intende far valere la propria posizione rispetto a quella dei creditori dell’altro contraente (possessore/detentore del bene)119. In base a quanto abbiamo riportato sinora, la lettura dominante ha visto nell’affermazione di un diritto reale lo strumento in grado di assicurare tale prevalenza120, come criterio sui cui basare l’applicabilità dell’art.  l.f., non potendo, a causa del permanere di una disponibilità (o proprietà) in capo al depositante, il diritto alla restituzione tramutarsi in un mero credito di concorso121. Con riguardo alle fattispecie di affidamento conservativo, si è, in un più ampio quadro, altresì proposta una visione alternativa, secondo cui l’analisi del profilo dell’imputazione giuridica (la sfera della titolarità), e, conseguentemente il regime della circolazione, non è rilevante (come non lo è, ad esempio, nel mandato) ai fini della risoluzione dei conflitti con i creditori, i quali sono regolati da principi differenti122. Ciò viene a comportare l’irrilevanza della distinzione tra deposito regolare/irregolare e, invece, la mera rilevanza dell’opponibilità del titolo123. Le situazioni cui si fa riferimento sono quelle in cui il possesso, ovvero la detenzione materiale, non sono criteri regolativi dei conflitti rispetto ai terzi creditori, com’è nell’ipotesi ex art. , n. , c.c., secondo cui l’alienatario prevale sui creditori dell’alienante solo se l’acquisto, pur non essendo stato eseguito tramite la consegna, sia documentabile tramite data certa (cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile, , Il contratto cit., , p. ). 120 Ad esempio, è il conflitto tra il depositante, che affermando il permanere di una situazione reale, può prevalere sui i creditori del depositario, in caso di fallimento di quest’ultimo; ovvero, del creditore pignoratizio, che non vede revocato il pegno sul bene - sostituto, facendo risalire il sorgere della garanzia ad un momento anteriore al c.d. periodo sospetto. Si tratta, cioè, di fattispecie in cui, tradizionalmente, si parla di efficacia riflessa, od opponibilità, del contratto, cioè della tutela dei diritti (non soltanto reali, ma anche di credito) derivanti dal contratto nei confronti della generalità dei consociati. Cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile  op. ult. cit., p.  ss. 121 P. G. JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, , p.  ss., p.  ss., ove ampi riferimenti. 122 SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, passim. Se ne tratterà più ampiamente nel capitolo che segue. Basti per ora riflettere sul rilievo che questa visione che, anziché operare sull’interpretazione estensiva delle regole proprietarie, mira ad individuare criteri – più flessibili e tendenzialmente autonomi dalle prime – della responsabilità patrimoniale. 123 SALAMONE, op. ult. cit., p.  ss., seguito da LENZI, Responsabilità patrimoniale e rilevanza della funzione nel deposito di beni fungibili cit., p.  ss. La tesi proposta dal primo a. vuole la distinzione tra deposito irregolare/regolare basarsi sul conferimento o meno al depositario di confondere i beni depositati con eventuali propri. Si tratterebbe, dunque, di differenze in punto di effetti obbligatori, non discendenti dal conferimento della facoltà di usare le cose nel 119     A nostro modo di vedere, la principale implicazione di tale interpretazione è quella di consentire, nei conflitti tra depositante e creditori del depositario, al primo di ottenere la separazione dei beni nella massa indivisa, sia che vi sia stato o meno trasferimento della proprietà, sia che vi sia stata legittima o illegittima commistione con il patrimonio del depositario124. Si vedrà come anche le regole di individuazione della res, in questo diverso schema di argomentazione, risultano governate da criteri differenti e più elastici (ad esempio, l’emarginazione contabile). Al di là dell’adesione ad una, piuttosto che all’altra, teoria, pure foriera di implicazioni applicative, l’analisi fin qui condotta ha rivelato come, in connessione all’esplicarsi autonomia privata, emergano dei conflitti sulle quantità di fungibili/somme di denaro oggetto del contratto, i quali richiamano la esigenza di una specificazione/identificazione delle stesse. .. Segue. La commixtio nummorum: verso una rilettura possibile Nei conflitti con i creditori della parte (del contratto) che detiene/possiede/è proprietario di denaro (e beni fungibili), che sono tuttavia “di spettanza” dell’altra, le principali questioni sono rappresentate: dalla definizione dei criteri giuridici che garantiscono la prevalenza (si è già visto come tradizionalmente si sia fatto rinvio prevalentemente alla titolarità di un diritto reale, ovvero – più di recente – all’opponibilità del titolo); e, in stretta proprio interesse, che sarebbe invece, una modalità di custodia compatibile anche con il deposito regolare (arg. e contrario ex art.  c.c. che prevede come derogabile il divieto per il depositario di servirsi della cosa depositata). L’effetto traslativo, per altro verso, avrebbe la funzione di individuare il soggetto tenuto a sopportare i rischi del perimento incolpevole del tantundem, non incidendo sull’obbligo di conservazione di un quantitativo equivalente di beni fungibili. 124 SALAMONE, op. ult. cit., pp.  ss., in part. p.  s., nt. . L’applicazione delle norme sull’espropriazione di beni indivisi (art. , co. , c.p.c.), sarebbe infatti indipendente dalla sussistenza di una comunione di diritti (reali), ma la massa indivisa farebbe riferimento ad un coacervo materiale in cui possono confluire diverse situazioni soggettive. Ad esempio, nel caso di deposito irregolare: proprietarie (quella del depositario) e di credito restitutorio avente origine in un contratto di affidamento (quelle del/dei depositante/i). Ciò significa, appunto, che: . anche nel deposito irregolare, il depositante ha diritto di separare dalla massa nella quale i beni fungibili sono confusi, la quantità di sua spettanza, e non concorrere con i creditori pignoranti del depositario (da potersi individuare in base a criteri contabili); . che, in quest’inquadramento, il credito di restituzione (riconducibile all’art. , n. , c.c.) del depositante è opponibile ai creditori del depositario, anche ove sia relativo alla quantità, e non a cosa determinata. Modelli di circolazione e forme strutturali connessione con i primi, dai principi valevoli a determinare, ovvero individuare, tali beni all’interno del patrimonio del detentore/possessore/proprietario degli stessi, considerato che, di regola, questi avrà altri beni dello stesso genere non originariamente appartenenti all’attore, titolare della situazione opponibile. L’interesse del titolare di una situazione giuridica avente per oggetto denaro non è affatto condizionato da caratteristiche specifiche dello stesso. È questo il significato ultimo della fungibilità, che comporta, ad esempio, nei rapporti di credito, condizioni di particolare favore; si pensi all’assenza del rischio di perimento del bene, prima della sua individuazione. Tuttavia, in ipotesi di conflitto di una pluralità di soggetti su un medesimo ammontare / quantità – se questo sia scarso –, l’assenza di peculiarità dei componenti l’ammontare determina l’impossibilità di stabilire la provenienza di ciascuno e quindi la necessità di individuare altri criteri di risoluzione di conflitti. La prevalenza di una situazione giuridica con riguardo ad una massa limitata significa inevitabilmente un pregiudizio nella soddisfazione di altri. Come vedremo, quegli ordinamenti che più consapevolmente hanno optato per una soluzione di prevalenza di alcuni diritti (alcune pretese restitutorie) in pregiudizio ad altri (quelli ad es. della generalità del ceto creditorio) hanno individuato una serie di presunzioni che mimano la storica confluenza del denaro in mucchi di monete125. Nel diritto italiano, con specifico riguardo al denaro, si afferma che il pagamento di una somma (tipicamente monete o banconote, ma, per analogia, anche di disponibilità bancarie) comporti sempre che il denaro versato si confonda nel patrimonio dell’accipiens, con acquisto della proprietà (o comunque della legittimazione) da parte di quest’ultimo. La ragione è che, mancando – al di fuori di casi di scuola – l’identificabilità materiale delle “cose” trasferite, non sarebbe possibile per l’originario titolare affermare alcun diritto (reale o, comunque, opponibile) sulle stesse, ma solo un’azione personale sul tantudem eiusdem generis et qualitatis. Appare evidente che si è assunta la individuazione materiale – largamente irrealizzabile – a criterio discretivo anche con riguardo a situazioni in 125 Cfr. infra cap. IV. .     cui le caratteristiche della materialità si sono perse, o comunque sono sempre state largamente ininfluenti126. Ne deriva un principio, che va sotto il nome di confusione patrimoniale, sebbene non rinvenibile in alcun dato legislativo, assume rilevanza trasversalmente nei diversi settori del diritto, anche in campo penalistico127. Nel settore del diritto privato, esso significa innanzitutto la neutralizzazione delle azioni petitorie e possessorie128. Se ben vediamo, esso si ricollega al diritto romano. Ci riferiamo agli effetti della commixtio nummorum, per cui chi riceveva denaro altrui da un terzo, ad insaputa o contro la volontà del dominus, ne diveniva proprietario solitario, sol che i denari si fossero confusi, sì da non essere più identificabili, nel patrimonio del ricevente129. Al (vecchio) proprietario non restava che agire con l’ordinaria actio furti. In verità, la ratio della regola è controversa nella letteratura specialistica130 e non viene concordemente ricondotta al fatto che venisse in questione il denaro in quanto medio circolante: a letture che la riconducono ad una regola generale valevole per tutti i fungibili131, nei 126 Ciò, tuttavia, a nostro modo di vedere risponde ad esigenze ben precise degli ordinamenti giuridici: quelle che, a presidio della certezza del diritto, si muovono attraverso l’operatività di regole e principi noti. In termini analoghi, INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p. , ove: «non si può non tenere conto, della preferenza, espressa da ogni sistema giuridico, per una disciplina della circolazione di ogni forma di ricchezza mobiliare attraverso i principi che governano la circolazione dei beni mobili». 127 Cfr. supra nt. , ove si è già visto che, nell’ipotesi in cui una somma sia versata in conto corrente bancario, la conseguente disponibilità è ritenuta cosa pertinente al reato. In ogni caso il versamento in conto corrente realizza una sostituzione (così, Cass.,  ottobre , n.  in DeJure, in tema di riciclaggio di denaro - art.  bis c.p.- reato che però viene escluso proprio perché la mera sostituzione non integra il dolo specifico richiesto dalla norma). Più di recente e ancora riguardo alla confusione, Cass.,  giugno , n. , in Pluris in tema di bancarotta fraudolenta, ove, con riguardo al mutuo di una somma di denaro, si rinvia ai «beni fungibili confluiti nel patrimonio dell’impresa fallita […] essendo impossibile, dopo la confusione, identificare gli importi di ricchezza in ragione della loro connotazione d’origine o di specifici tratti qualitativi». 128 Ex multis, INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p. . 129 D., , , : «si alieni nummi inscio vel invito domino soluti sunt, manent eius cuius fuerunt: si mixti essent ita ut discerni non possent, eius fieri qui accepit in libris Gaii (Cassi Longini) scriptum est, ita ut actio domino cum eo, qui dedisset, furti competeret». 130 Per una rapida ma efficace sintesi delle contrapposte opinioni, v. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., pp. -. Sul punto anche VOLTERRA, Istituzioni di diritto privato romano, Roma, , p. , nt. . 131 La regola generale dettata per le res fungibili (vino, frumento, etc.) appartenenti a Modelli di circolazione e forme strutturali casi in cui, però, non vi fosse certezza sulla pertinenza delle componenti l’intero132, si affiancano quelle secondo cui si tratterebbe di un’inavvertita riproduzione all’interno del Digesto di un’autorità (sabiniana) per altri aspetti non accolta all’interno dell’opera giustinianea133. Vale la pena segnalare, rifacendoci ad un rilievo già espresso, che tali motivazioni avrebbero ragionevolmente condotto ad escludere la rei vindicatio (per l’impossibilità pratica del suo esperimento) piuttosto che a configurare l’acquisto della proprietà134. Il principio dell’acquisto della proprietà esclusiva, secondo il diritto romano, da parte dell’accipiens sembra confermato anche da quelle ricostruzioni, che riconoscono, accanto alla commixtio, una fattispecie autonoma (c.d. consumptio nummorum), verificantesi nel caso di spendita, purché in buona fede, di denaro ricevuto credendi causa135. Si ritiene, sulla scorta delle fonti, proprietari diversi era che, in caso di loro mescolanza, o per effetto della natura delle res o per volontà delle parti, si costituisse un rapporto di condominio sull’insieme che ne risultava. Nell’ipotesi in cui non vi fosse stata compenetrazione delle res né l’espressa volontà di costituire la comunione sul coacervo, stante l’impossibilità di distinguervi i componenti, nessun cambiamento di proprietà si sarebbe verificato, ma la rei vindicatio avrebbe avuto comunque ad oggetto il quantum (paret – al giudice – in illo acervo suum cuiusque esse). Ovvero, era compito del giudice determinare la quantità spettante ai due proprietari. Sulla scorta di talune fonti, si suole distinguere tra confusione, nel caso di mescolanza di liquidi (o metalli) e commistione, per i solidi che constano di più parti (es. i chicchi di grano), con la conseguenza, secondo alcuni autori, che le due figure giuridiche venissero regolate da norme diverse. Così, solo nel primo caso, per effetto della impossibilità di distinguere le parti componenti, sorgeva automaticamente la comunione (communio incidens), in ragione dell’apporto singolare. Nell’altro acquistava rilievo l’esistenza di una concorde volontà dei proprietari. In caso di comunione, comunque, erano esperibili la rei vindicatio pro parte contro il possessore dell’intero, o l’actio communi dividundo, per lo scioglimento della comunione. Per tale prospettazione v. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, II ed., I, Roma, , p. , e PAMPALONI, Appunti sulla confusione e sulla commistione, in Bullett. dell’Ist. Di dir. rom., , p.  ss., il quale, però, sulla scorta delle fonti, pone in dubbio che la rei vindicatio parziaria o incertae partis esistesse nel Digesto classico. Contra BONFANTE, op.cit., p.  ss. 132 ASCOLI, Contributo alla teoria della confusione, in Riv. it. sc. giur., , p.  ss. 133 I giuristi sabiniani sostenevano che, in caso di mescolanza di cose appartenenti a proprietari diversi, si verificasse l’acquisto per accessione della massa minore alla massa maggiore e non un rapporto di condominio. La massima in tema di nummi rappresenterebbe così una involontaria riproduzione della regola sabiniana. In questo senso conclude BONFANTE, op. cit., p. . 134 Si sarebbe quindi trattato di conclusione raggiunta dai compilatori. Cfr. PAMPALONI, cit., p.  ss., spec. p. . 135 L’ipotesi si differenzierebbe dalla consumazione in mala fede di denaro altrui, configurante invece un’ipotesi di furto. Con le conseguenze, in punto di acquisto di diritti, deri-     che anche in tali casi il terzo accipiente ne avrebbe acquistato la proprietà136. Quindi, in presenza di una traditio di una quantità di denaro effettuata dal non proprietario (e non legittimato a tradere), e della buona fede del tradente medesimo (credendo egli di essere proprietario), si prevedeva una deroga ai normali principi in tema di acquisto a non domino, vicenda che il diritto romano riconosceva soltanto nei termini di possibilità per il possessore di usucapire la res tradita dal non legittimato137. Com’è chiaro, quello indicato dalla tradizione romanistica è il terreno della proprietà e della circolazione giuridica. Nel momento in cui si richiama la necessità di individuazione (materiale) dell’oggetto del diritto, presidio al principio di certezza dei diritti, deve escludersi l’esistenza del diritto stesso allorquando manchi del requisito della immediatezza138. Se si assume la proprietà come tradizionale criterio per regolazione dei conflitti su beni, può, seguendosi l’interpretazione prevalente, affermarsi vanti dall’ applicazione della lex Atinia de rebus subreptis del II sec. a.C. La lex, infatti, trovava applicazione anche nel caso in cui il detentore, necessariamente in mala fede, avesse alienato le cose affidategli dal proprietario (cioè alienate da un locatario, comodatario, depositario, vettore, etc.). Cfr. MENGONI, Gli acquisti «a non domino» cit., p.  ss. 136 BURDESE, In tema di «consumptio nummorum», in Riv. dir. comm., , I, p.  ss. 137 È ben noto come il diritto romano, a partire dal periodo preclassico, riconoscesse la possibilità che il negozio di alienazione compiuto dal non titolare, se eseguito mediante trasferimento del possesso, integrasse una situazione di fatto idonea ad attribuire all’acquirente il diritto. Ciò avveniva mediante l’applicazione di un’actio ficticia (actio Publiciana, introdotta nel  a.C.), la quale prescriveva al giudice di pronunciare la sentenza come se il tempo necessario per l’usucapio fosse già trascorso. In tal modo si riconosceva anche ai meri possessori in attesa di usucapione (possessores ad usucapionem) una tutela processuale analoga a quella riconosciuta al titolare del dominium ex iure Quiritium. L’actio, infatti, era esperibile non solo nel caso in cui l’alienazione delle res fosse avvenuta senza la formalità della mancipatio – per res mancipi – o della in iure cessio – per res mancipi e nec mancipi –, bensì con la semplice traditio; ma anche al caso in cui la cosa fosse trasferita da chi non ne era proprietario. Tuttavia, in quest’ultima ipotesi, il possessore ad usucapionem era destinato a soccombere nel conflitto con il vero dominus. Una limpida esposizione del tema è in GUARINO, op. cit., p.  ss., nonché in PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, II ed., Torino, , p.  ss. 138 Cass.,  febbraio , n. , cit.,  ss. (cfr. supra nt. p. ). Il ragionamento della Corte sembra non provare, però, contro l’idea di un’azione per la liquidazione della quota dalla massa risultante dalla mixtio, secondo la regola per cui se le cose mescolate sono inseparabili, la proprietà diventa comune in proporzione al valore di quelle spettanti a ciascuno (art.  c.c.), come sottolineato da SACCO, Il contratto op. loc. cit., con riferimento però alle masse non aventi propensione alla continua modificazione. Modelli di circolazione e forme strutturali che il diritto romano non prevedesse alcuna possibilità di esercitare azioni a rilevanza reale sul somme di denaro. Probabilmente è a questa tradizione che va ascritta il comune orientamento che finisce per propendere per una distinzione sul piano disciplinare tra il denaro e gli altri fungibili, anche quando oggetto del contratto139. Invero, alcune osservazioni possono avanzarsi. Il principio della confusione patrimoniale opera quando il denaro entra nella disponibilità di un soggetto e si confonde con il di lui patrimonio, poiché non destinato ad essere conservato, ma, per la sua natura di bene di utilità mediata, ad essere trasferito a terzi140. Tale principio opererebbe in tutte le ipotesi in cui il denaro circoli come “mezzo di pagamento”141, ovvero quando lo stesso venga considerato bene fungibile (anche nel caso di perdita involontaria142). Quindi, il denaro si confonderebbe sempre nel patrimonio dell’accipiens determinando un passaggio di proprietà anziché il sorgere di una comunione, Cfr. supra II. .., nonché, SEMERARO, Pagamento e forme di circolazione della moneta cit., p.  nt. , sebbene l’a. non argomenti in proposito le ragioni. In prospettiva critica questo comune convincimento, esteso indistintamente a tutte le are del diritto privato, potrebbe definirsi un crittotipo, secondo la ben nota formulazione del Sacco, sintetizzata in SACCO, voce Crittotipo, in Dig. IV, Disc. priv., sez. civ., IV, Torino, , pp. - 140 V. SCIALOJA, Della proprietà, vol. II Roma, , p. : “… confusione patrimoniale, quando cioè la cosa sia andata commista a tutto il patrimonio di una persona e sia avvenuta relativamente alla stessa una consumazione”. 141 Cfr. supra nt. . 142 «Nella confusione patrimoniale, il denaro intervenendo come mezzo di pagamento, non essendo cioè destinato ad essere conservato ma a essere consumato quale conseguenza della sua essenziale funzione circolatoria, la proprietà viene perduta, nel caso di furto, per la stessa ragione per cui viene perduta nel mutuo; infatti chi riceve una somma, la riceve per immetterla nuovamente nel flusso circolatorio; e ciò sia nel caso che la somma venga ricevuta a titolo di pagamento, sia nel caso che la somma venga ricevuta in prestito» MAIORCA, voce Commistione cit., p. . A ben, vedere, in questa visione, rimarrebbero escluse da vicende di confusione patrimoniale le somme date in custodia a terzi. Ma, ciò non esclude che il principio tornerebbe ad operare in caso di inadempimento del depositario, ove questo le trasferisca. 143 Come nel caso della commistione o della confusione, ciò induce a desumere che si tratti di un fatto giuridico in senso stretto, in cui non vengono in questione né la capacità di agire né l’elemento psichico (la volontà e coscienza dell’azione). Sulla qualificazione della confusione tra cose come fatto giuridico in senso stretto, SANTORO – PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, a ed., Napoli,  (rist. ), cit., p. . Ma sul fatto che si tratti di concetto non riconducibile alla commistione materiale, ma di prospettiva avente un «carattere astratto e ideologico», MAIORCA, op. ult. cit., p. , per il quale, coerentemente «il presupposto della non 139     anche in circostanze in cui il trasferimento avvenga privo di titolo143. E uguale vicenda si ritiene operi in caso di pagamento di indebito monetario144. Fin qui la definizione della commixtio come regola di circolazione giuridica che innesca una vicenda di perdita della proprietà della res confusa, per effetto della impossibile discernibilità dei beni. Ma la confusione patrimoniale sembra porsi anche come criterio ambiguo tra proprietà e patrimonio. La stessa nomenclatura rivela questa “anfibologia”, che, in qualche modo, sembra evocare un’idea del patrimonio generale della persona come universitas145. Al di là di questa possibile ricostruzione, tuttavia, anche la prospettiva della lettura del principio in esame sotto il profilo degli interessi sottesi ai conflitti inerenti la garanzia patrimoniale indica prospettive convergenti146. Se, pertanto, la perdita della proprietà denaro, dovuta alla difficoltà d’indentificarlo, sarebbe compensata dalla possibilità di soddisfare il credito per l’equivalente o comunque indistintamente su acquisti effettuati con quella o con altra somma (esecuzione forzata), e quindi non vi sarebbe alcuna utilità di una diversa regola di circolazione, in verità ciò racconta metà della storia. Nell’ottica del conflitto con terzi, infatti, sorgono le medesime questioni di individuazione/identificazione dell’oggetto, ma stavolta in presenza di un conflitto di interessi reale, in cui vi è, da un lato, un soggetto che afferma di avere diritto alla restituzione di una somma (pur nella sua materiale identità); dall’altro, quello della generalità dei creditori. Dare rilievo al primo significa, una volta stabilita la rilevanza giuridica di quell’interesse, rintracciare dei criteri o meccanismi nella individuazione della somma. In caso contrario, la mancata individuabilità di un oggetto individuabilità dei nummi andati commisti non è sufficiente per spiegare nella sua essenza la soluzione: non tanto un problema di discernibilità quanto di confusione patrimoniale; la quale, in definitiva, potrebbe operare anche se le specie sottratte e date al terzo in pagamento fossero individuabili per contrassegni certi». 144 Cfr. supra II. , in part. testo successivo a nt. . 145 È da tempo superata l’idea che il patrimonio di un soggetto possa costituire un’universalità di diritto. Cfr. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile cit., p. . Sebbene con riguardo al codice abrogato, fondamentale resta, D. BARBERO, Le universalità patrimoniali, Milano, , in part. p.  ss. con riguardo al patrimonio. Al di là dei richiami legislativi all’epoca correnti, appare chiaro come proprio quanto ricostruito dall’illustre a. circa la prospettiva della universalità come oggetto di diritto porti ad escludere ogni possibile rilevanza del patrimonio generale, o dei patrimoni separati nell’ambito delle universalità. 146 Cfr. supra, in questo cap., nt. . Modelli di circolazione e forme strutturali esclude ogni tipo di trattamento recuperatorio, con vantaggio per il ceto creditorio. Resta di comprendere quali possano essere tali criteri e se, in qualche modo, richiamino quelli proprietari. .. Segue. La regola italiana del possesso vale titolo: origini e applicazione La prevalente ricorrenza del principio della confusione patrimoniale con riguardo al denaro, non esclude, tuttavia, l’operatività di altri principi concorrenti sul piano della circolazione giuridica, pur astrattamente operanti e finalizzati, anch’essi, alla promozione degli scambi. Tra questi, nel campo degli acquisti da soggetto non legittimato, vi è la ben nota regola del possesso vale titolo147. Secondo autorevoli ricostruzioni, essa nasce, infatti, proprio con riguardo al denaro (e titoli di credito), anche in sistemi, come quello italiano, che poi ne hanno previsto un’applicazione estesa a categorie di beni più ampie148. La funzione della norma è quella di favorire l’interesse collettivo alla sicurezza e speditezza della circolazione dei beni, non caricando sull’acquirente il costo di indagare la provenienza del bene, anche a discapito dell’applicazione di una giustizia commutativa nell’ambito dei rimedi reali149, e rappresenta una direttiva, anche se con ambiti di applicazione differenti, universalmente accolta in tutti gli ordinamenti giuridici150. Non può ovviamente in questa sede affrontarsi una tematica così cruciale nella circolazione della ricchezza, essendo l’obbiettivo solo quello di verificarne la rilevanza con riguardo al denaro. Si rinvia a MENGONI, Gli acquisti a non domino cit., pp.  – , p.  ss., p.  ss.; R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., spec. p.  ss. Per un’analisi comparatistica, AA.VV., Atlante di diritto privato comparato a cura di F. Galgano, Bologna,  (rist.), p.  ss. 148 Per l’ordinamento italiano, MENGONI, Gli acquisti a non domino cit., p. ; per l’ordinamento inglese, ove però la regola è limitata al denaro, D. FOX, Bona fide purchase and the currency of money cit., p.  ss. 149 Come ben noto, la teorizzazione della giustizia commutativa (distinta da quella distributiva) è in Aristotele (ARISTOTELE, Etica a Nicomaco, V (E), ,). Nel pensiero dello Stagirita essa prende il nome di sunallktinh e si identifica appunto nelle ipotesi in cui «il detentore di una cosa mia me la restituisca». La restituzione, in questo caso, non dipende da un contratto (en sunallagmato~), e tuttavia appartiene allo stesso genere di giustizia, rettificatrice (eanwrqotikhn). 150 NUSSBAUM, Money in the law cit., , p.  n. . In particolare, per l’ordinamento inglese, si veda FOX, Property rights in money cit., p. . 147     Ad esempio, nel diritto inglese, che non conosce un principio generale di tutela del terzo acquirente in buona fede di beni mobili, la branca giurisprudenziale del common law prevede una regola, ben distinta dall’analoga eccezione equitativa, che consente l’acquisto a titolo originario sul denaro ricevuto in good faith e for value, anche se di provenienza furtiva151. In letteratura si tende a ricondurre tale principio al corso legale della valuta (currency)152 e, alternativamente o congiuntamente, al fatto che si tratti di cosa fungibile non contrassegnabile (no ear-mark), secondo una ratio che, a ben vedere, sarebbe quella della commixtio nummorum153. Un’attenta ricostruzione storica, sulla scorta di un fondamentale case in materia154, precisa, tuttavia, che si tratta di un principio formatosi con riguardo alle banconote (non ai coins) e risalente all’epoca (fine XVII sec.) dello sviluppo dei titoli di credito (in particolare i promissory notes – pagherò cambiari – da cui le moderne banconote discendono). La regola dell’acquisto in buona fede ebbe a soppiantare così la ratio dell’antico common law, riferibile ai coins e fondata sul loro carattere fungibile, e quindi sulle vicende della commistione. L’origine del principio si rinviene quindi nella fiducia 151 La regola costituisce, insieme al piú vasto principio di equity del bona fide purchase for value without notice, una delle eccezioni al principio nemo dat quod non habet. Nel primo caso, l’apprensione in buona fede di denaro contante è costitutiva di un titolo originario (new title), e valevole in quanto tale erga omnes. La seconda eccezione, prevista dall’equity, dà luogo invece ad un acquisto libero da pesi di fonte equitativa, di modo che the surrender is «free to deal with the property unencumbered by any equity arising therefrom». Cfr. PROCTOR, op. cit., pp. -; SWANDLING, The law of property – Property: general principles, in AA.VV., English private law, a cura di Birks, I, Oxford, , p.  s. La perdita del diritto per il proprietario originario di denaro trova tuttavia parziale rimedio nell’operatività del tracing se l’acquisto è fatto in bad faith o for not consideration. Cfr. TYLER e PALMER, Crossley Vaines on Personal Property, V ed., London, , pp. - e PROCTOR, op. cit., p.  ss. L’ordinamento statunitense prevede regola analoga (cfr. Restatement Third of Restitution prevede §  che è espressamente sul denaro, distinguendolo dal  che bona fide purchase (di cose). Essa si viene a sovrapporre all’eccezione in tema di moneta prevista dal common law, la quale è, invece, in grado di prevalere anche sui legal interests (diritti della branca del common law, non equitativi). Quanto ai requisiti, la nozione di ciò che costituisce value per l’eccezione di common law è più ampia, potendo consistere anche in una promessa di controprestazione monetaria. Il Restatement sembra in proposito aver ampliato la protezione del terzo, a scapito della difesa delle posizioni di equity, utilizzando la medesima nozione di valore prevista dal common law. Sul punto, L. SMITH, Common law and Equity in RRUE cit., nt. . 152 Cfr. CLARKE e KOHLER, Property law, Cambridge, , p.  ss.; TYLER e PALMER, op. cit., p.  ss.; SWANDLING, The law of property – Property: general principles, cit., p. . 153 GOODE, Commercial law, cit., p.  s. 154 Miller v. Race []  Burr. . Modelli di circolazione e forme strutturali della comunità, nella quale circolava il titolo di credito, che il medesimo venisse in ogni caso convertito in moneta metallica dalla banca emittente, circostanza che esimeva il venditore dall’indagine sul titolo del compratore sulla somma di denaro offerta155. Regola analoga è contenuta nel BGB, § , per il quale non opera con riguardo al denaro l’esclusione dell’acquisto in buona fede se i beni sono perduti, sottratti o di provenienza furtiva156; e nell’ordinamento francese, che esclude, in presenza di buona fede del creditore, la possibilità di ripetere somme di denaro pagate da chi non ne era proprietario o legittimato a trasferirle157. Come noto, nell’ordinamento italiano, l’acquisto della proprietà a titolo originario previsto dall’art.  c.c., supera la distinzione tra perdita volontaria e involontaria del bene, che opera, indistintamente con riguardo a tutti i beni mobili e, – riteniamo – sia riferibile anche al denaro158. Lo dimostra la sua ratio storica, costituita, come detto, dal favor commerci159, 155 D. FOX, Bona fide purchase and the currency of money cit., p.  ss.; e ora, più ampiamente, in ID., Property rights in money, Oxford, , pp. -. 156 Per il §  BGB cfr. HORN, KÖTZ e LESER, German Private and Commercial law. An introduction, tradotto in inglese da T. Weir, Oxford, , pp. -. In via generale, però, il Codice civile tedesco (§ ) esclude l’acquisto nel caso di perdita involontaria: se la cosa sia stata oggetto di furto, smarrimento o analogamente. 157 Cfr. art. , co. : «Néanmoins le payement d’une somme en argent ou autre chose qui se consomme par l’usage, ne peut ètre répété contre le créancier qui l’a consommée de bonne foi, quoique le payement en ait été par celui qui n’en était pas proprietaire ou qui n’était pas capable de Falierer». 158 La distinzione tra perdita volontaria ed involontaria, riproducendo la norma contenuta nel code civil, era stata inserita nel codice del  (art. ). Sulla perdita involontaria, infatti, il code civil (art. , comma ) prevede: «[…] celui qui a perdu ou auquel il a été volé une chose peut la revendiquer pendant trois ans, à compter du jour de là perte ou du vol, contre celui dans les mains duquel il la trouve; sauf à celui-ci sono recours contre celui duquel il la tient», per cui l’esperibilità dell’azione di rivendicazione dei beni mobili perduti o rubati è sottoposta al termine dei tre anni dalla perdita o sottrazione. 159 La scelta del legislatore italiano del ’ in materia di acquisto a non domino di tutte le cose mobili mediante possesso in buona fede (e doppia alienazione ex art.  c.c.), ispirata ad esigenze produttivistiche poiché «quanto più rapida e sicura è la circolazione dei beni, tanto maggiore è la quantità di beni che si possono immettere sul mercato», è tuttavia singolare nel panorama degli ordinamenti giuridici europei. Cfr. GALGANO, Conclusioni, in AA.VV., Per i cinquant’anni del codice civile a cura di Sesta, Milano, , p.  ss. Sulle regole operanti nei diversi sistemi giuridici nella prospettiva dell’analisi economica, si veda S. LEVMORE, Variety and Uniformity in the Treatment of the Good-Faith Purchaser, in  J. Legal Studies, , p. .     e strettamente inerente a quelle cose per loro natura destinate alla circolazione: appunto, denaro (e titoli di credito)160. Può quindi affermarsi che con riguardo al denaro, e in maniera sostanzialmente uniforme nei diversi sistemi giuridici, si prevede un meccanismo di circolazione basato sulla traditio, da soggetto non legittimato, e posto a vantaggio esclusivamente della posizione del terzo acquirente di buona fede161. Alla luce di questi criteri va quindi interpretata la regola secondo cui il denaro appartiene a chi lo possiede (anche al ladro)162, che non significa ac- MENGONI, Gli acquisti a non domino, cit., p. . Questa conclusione rinvia, peraltro, alle regole analoghe rinvenute nelle esperienze ordinamentali esaminate in precedenza. Anche nel diritto romano e nel diritto inglese si prevede per il denaro l’acquisto a non domino in presenza della buona fede soggettiva (rispettivamente del tradens o dell’accipiens) e, per il secondo ordinamento, purché via sia consideration. Parallelamente il diritto romano, con riguardo al fenomeno della consumptio di denaro prevedeva la modificazione della situazione soggettiva in capo al proprietario dei nummi commixti, destinato a divenire creditore per l’equivalente. Per il diritto tedesco, §  BGB, cfr. testo corrispondente alla nt. . Ci sembra però opportuno sottolineare che mentre negli ordinamenti ora richiamati si opera una deroga alle norme sulla circolazione dei diritti, il diritto italiano non necessita del richiamo a regole speciali, essendo riservato un trattamento unitario a tutti i beni mobili. Cfr. Miller v. Race []  Burr. ,  ove si parla di cash, as opposed to goods or securities. 162 NUSSBAUM, Money in the law, cit., p. . La regola secondo cui il denaro appartiene a chi lo possiede è in realtà il frutto della elaborazione dottrinale tedesca che, analizzando appunto le regole presenti nella legislazione francese, italiana (codice civile ), tedesca e svizzera, giunse ad affermare come per il denaro vi fosse una drastica riduzione dei principî che regolano la titolarità dei beni alla regola secondo cui il denaro appartiene a colui che lo possiede, esaltando di questo, così, la capacità di circolazione e la qualità di strumento di circolazione. L’affermazione, tuttavia, si basava, su una serie di norme che escludevano la possibilità di ripetere somme di denaro pagate dal non proprietario o non legittimato al creditore in buona fede. Sul punto, INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p. , a proposito del contributo di KÄSER, Das Geld im Sachenrecht, in Archiv für die civilistische Praxis, , p.  ss. In senso parzialmente diverso, A. DI MAJO, Le obbligazioni pecuniarie cit., p. , secondo cui nell’attuale codice «figura abbandonata la regola che condizionava la validità del pagamento effettuato da chi non era legittimo possessore della somma alla buona fede del creditore che l’abbia invece consumata (art. , comma °, c.c. ). Il che significa che il pagamento con somme, pur illegittimamente possedute, è sempre liberatorio per chi paga». Riteniamo che prospettarsi una diversa interpretazione. La mancata reiterazione della disposizione in tema di ripetibilità del pagamento troverebbe ragione non già nell’intento di escludere la rilevanza della buona fede dell’accipiens – creditore ai fini del trasferimento della titolarità della somma, ma nella surperfluità della previsione, siccome già coperta dalla regola generale di cui all’art.  c.c. Invece la sistematica del codice previgente, che escludeva il principio del possesso vale titolo laddove la 160 161 Modelli di circolazione e forme strutturali quisto della proprietà per effetto del mero possesso, ma norma che prescrive, per il perfezionamento dell’acquisto dal non legittimato, la buona fede dell’accipiens, oltre agli altri requisiti previsti dalla legge nei diversi ordinamenti. V’è che risalente e scarsa è la giurisprudenza sul punto, il che può giustificarsi sia per il ricorrere della vicenda confusoria, che determinerebbe in ogni caso l’acquisto, sia per la diffusione di forme di disponibilità monetaria non costituite da res163. In verità, la norma trova spazi di operatività negli ordinamenti di com- cosa fossa stata smarrita o rubata (art. ), induceva ad un’autonoma disposizione che, in tema di pagamento di somme di denaro, prevedesse sì la rilevanza della buona fede dell’accipiens – creditore, ma senza ulteriori limitazioni in punto di provenienza della somma. In questo senso è anche INZITARI, Obbligazioni pecuniarie cit., p.  nt. , riprendendo la Relazione al codice civile, n. . Su un diverso orizzonte, si consideri, infine, che il codice vigente sembra non considerare il denaro come cosa nelle disposizioni sulle obbligazioni pecuniarie e quando considera come mezzo di pagamento. A tale opposto inquadramento andrebbe quindi ricondotta l’assenza di riferimenti alle vicende del denaro-cosa, quale condizione per la validità del pagamento. GAMBARO, Il diritto di proprietà, cit., p. , ritiene, invece, che per il denaro, e riguardo alle cose di genere, non operi la fattispecie dell’acquisto a non domino, ma comunque ritiene necessario il requisito del possesso di buona fede. Esso solo produrrebbe gli effetti del titolo perfetto, senza che il possessore possa essere costretto a esibire un titolo qualsiasi, anche se il titolo è viziato. 163 Sul secondo aspetto (la diffusione della moneta scritturale), quale causa della non effettiva operatività della norma, si veda NUSSBAUM, Money in the law, a ed. cit., p. , secondo cui, pur riconoscendone l’applicabilità al denaro questa regola non serve, se non per stabilire cosa sia moneta e cosa no. Quanto al primo, invece, esso esprime un risultato ormai ben chiaro agli studi di analisi economica: il fatto che, nei casi che noi definiamo di perdita involontaria (secondo i modelli economici, di market overt, o semplicemente di stolen goods), se la probabilità di recupero è marginale, l’effetto della regola sulla propensione dell’acquirente ad acquistare è irrilevante. Sul punto O. BEN SHAHAR, Property rights in stolen goods. An economic analysis (testo consultato per gentile concessione dell’a.) capovolgendo la prospettiva, analizza come la regola del “possesso vale titolo”, nelle ipotesi di c.d. “perdita involontaria”, debbano essere analizzate non nella prospettiva dell’acquirente (cioè della sua maggiore predisposizione all’acquisto a fronte di una prospettiva di sicurezza dello stesso) ma del proprietario originario. Per quanto qui d’interesse, si rileva che, in caso di beni scarsamente identificabili: «if assets are not unique or identifiable, there is little buyers can do to investigate the history. Thus, on the assumption that the priority rules affect owners’ actions more than buyers’, the focus of the analysis is on how the rules influence owners’ incentives» (p.  del dattiloscritto). In questo senso possiamo spiegarci la diffusione di un contenzioso in materia avente ad oggetto principalmente opere d’arte (beni identificabili e tracciabili). Cfr. il fondamentale LANDES W. A. e POSNER R. A., The Economics of Legal Disputes Over The Ownership of Works of Art and Other Collectibles, in AA.VV., Economics of the Arts, a cura di V. Ginsburgh e P. M. Menger, Amsterdam (Elsevier),     mon law, ove non risulta modellata sulle categorie proprietarie ma collocata nel settore che comunque funge da presidio alla circolazione giuridica: quello delle restituzioni e dell’arricchimento ingiustificato164. E così nella recente opera di risistematizzazione del case law in materia (Restatement (Third) of Restitution and Unjust Enrichment, ) è stata confermata la norma a tenore della quale il pagamento, relativo ad un debito esistente, ma effettuato dal non legittimato, non può essere ripetuto solo se l’accipiens (payee) era in buona fede (oltre ad aver prestato consideration a sua volta)165. L’irripetibilità, che assume la forma dell’eccezione sollevabile dal creditore soddisfatto, si applica anche ai pagamenti effettuati in c.d. moneta bancaria e acquista un raggio di applicazione amplissimo, consentendo l’autore (o legittimato nel caso di delegato) del pagamento di recuperare quanto prestato, solo se vi sia stata conoscenza da parte del payee (accipiens) di quella che noi definiamo mancanza di legittimazione. L’eccezione è opponibile in una pluralità di fattispecie di pagamenti: effettuati con denaro rubato (ill. ); al pagamento, sebbene revocato, effettuato dalla banca delegata e seguìto dal fallimento del debitore (ill. ); ed è il principio sottostante il sistema delle revocatorie fallimentari (comm. i)). , nonché il recentissimo A. SHWARTZ e R. E. SCOTT, Rethinking the Law of Good Faith Purchase, in  Columbia Law Rev., , p.  ss., i quali propongono l’uniformazione del trattamento tra i sistemi giuridici al fine di ridurre i costi di transazione, in un mercato (appunto, quello delle opere d’arte) miliardiario e fonte di rilevante contenzioso. Cfr., infine, B. MEDINA, Augmenting the Value of Ownership by Protecting it Only Partially: The “Market Overt” Rule Revised, in  The Journal of Law, Economics & Organization, , p.  ss., anche per la fondamentale letteratura in merito. Sui rapporti tra le regole della commixtio e bona fide purchase riferita al denaro, si veda FOX, Property rights in money cit., pp.  – . 164 Cfr. A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti,  cit., p.  nonché E. MOSCATI, voce Indebito (pagamento e ripetizione dell’), in Enc. dir., XXI, Milano, , p.  ss., spec. p. . Sul rapporto tra rimedi restitutori e tutela proprietaria nei sistemi anglo-americano di common law, si veda infra cap. IV. ., in part. nt.  e IV., spec. nt.  165 Sec. , rubricata Bona Fide Payee (la quale si differenzia formalmente dall’eccezione opponibile in caso di consegna da parte del non legittimato di altri beni, §  Bona Fide Purchaser, e ripropone i contenuti di § Restatement ) «() A payee without notice takes payment free of a restitution claim to which it would otherrwise be subject, but only to the extent that (a) the payee accepts the funds in satisfaction or reduction of the payee’s valid claim as creditor of the payor or of another person; (b) the payee’s receipt of the funds reduces the amount of the payee’s claim pursuant to an obligation or instrument that the payee has previously acquired for value and without otice of any infirmity; or (c) the payee’s receipt of the funds reduces the amount of the payee’s inchoate claim in restitution against the payor or another person» […]. Modelli di circolazione e forme strutturali L’applicazione di tale regola, tuttavia, non è indenne da valutazioni relative all’avvenuta o meno confusione delle somme con quelle del payee166. Quanto fin qui evidenziato ci rimanda, quindi, non solo a ribadire la confusione come la principale vicenda riguardante le questioni giuridiche della circolazione monetaria, ma, altresì, ci conduce verso l’altro nucleo di analisi oggetto di questo capitolo: quello relativo alle forme di disponibilità monetaria diverse dai pezzi monetari (disponibilità bancarie, crediti verso istituti non bancari), che costituiscono attualmente il patrimonio monetario di effettiva rilevanza economica167. Una volta, pur sommariamente, qualificate tali forme di disponibilità monetaria, un tempo qualificabili come “alternative”, vedremo in che modo è possibile interpretarne la circolazione. . Le forme smaterializzate di denaro Le principali manifestazioni fenomeniche che il denaro assume nella realtà attuale si sostanziano in diritti di credito (verso, tipicamente, istituti bancari) che circolano attraverso quelli che autorevole dottrina ha indicato come mezzi alternativi di pagamento168. Queste ultime sono tecniche (scritturali o elettroniche) in grado di evitare integralmente la circolazione dei pezzi monetari tra debitore e creditore, esaurendo in modo immateriale il trasferimento di disponibilità mediante la movimentazione di, normalmente, conti correnti bancari di entrambi i soggetti coinvolti o, nel caso della moneta elettronica o di rimessa di denaro, anche in assenza di una movimentazione contabile, o di un conto intrattenuto presso uno dei soggetti abilitati. È possibile distinguere quindi tra valore monetario, rappresentato dal Cfr. infra cap. IV. Seguendo un percorso che è consueto nella letteratura sul denaro, come già detto, abbiamo ritenuto logicamente antecedente analizzare le regole di circolazione sviluppatesi storicamente con riguardo al denaro-cosa e quindi verificarne le possibili modificazioni e/o adattamento con riguardo alle forme di denaro-credito. Si veda, ad esempio, analogamente e più di recente FOX, Property rights in money, passim. 168 Innanzitutto, A. DI MAJO, voce Pagamento cit., p. , ora in Le obbligazioni pecuniarie cit., p.  ss., distinguendoli dai mezzi sostitutivi, i quali sono caratterizzati dall’esistenza di documenti rappresentativi di una certa quantità di denaro; nella categoria il ruolo principale è svolto dagli assegni, bancari e circolari. 166 167     credito (che legittima al medesimo potere economico d’acquisto fornito dai pezzi monetari) e i diversi strumenti di pagamento, che ne consentono la “circolazione” (carte di debito, credito, addebiti diretti, bonifici, etc.)169. Secondo l’economia del presente lavoro, si vedranno in sintesi i caratteri strutturali delle diverse forme di disponibilità monetarie circolanti, senza poter ulteriormente dar conto della pur copiosa disciplina, di provenienza comunitaria, volta a promuovere un mercato dei pagamenti armonizzato, e quindi non potendoci soffermare né sulla regolamentazione del rapporto contrattuale tra utilizzatore e prestatore di servizi di pagamento né sulle nuove categorie di prestatori di tali servizi, che rappresentano le principali introduzioni apportate (d. lgs.  gennaio, n. )170. Va detto preliminarmente che la categoria giuridica generale di diritto positivo che comprende tutte le forme di valori monetari destinati alla circolazione è, attualmente, quella di fondi, comprensiva di «banconote e monete, moneta scritturale e moneta elettronica»171. Queste “forme di moneta” rappresentano l’oggetto dei trasferimenti di denaro (operazioni di pagamento), che nel nuovo quadro normativo, vengono attuati attraverso i c.d. servizi di pagamento, e che normalmente sono connessi ad uno strumento di pagamento172. Nello stesso senso, ma con esclusivo riguardo a al binomio depositi bancari e assegni/giroconti, G. F. CAMPOBASSO, Bancogiro e moneta scritturale cit., p.  nt. . Si rammenta come, sino a Cass., SS. UU.,  dicembre , n.  cit., la giurisprudenza, identificando la moneta con la moneta coniata, considerasse l’utilizzo dei c.d. mezzi di pagamento alternativi (ad es. assegni) come prestazione in luogo dell’adempimento. Cfr. supra cap. I, nt. . Peraltro, anche con riguardo alle operazioni di bonifico bancario, la dottrina prevalente ne ha proposto una equiparazione quoad effectum rispetto alla traditio di banconote e monete. Cfr. G.F. CAMPOBASSO, Bancogiro e moneta scritturale cit., p.  ss. e passim; A. SCIARRONE ALIBRANDI, L’interposizione della banca nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria cit., pp.  ss. e  ss. 170 Il d. lgs.  gennaio , n. , integrato dal d.lgs.  dicembre , n. , ha recepito direttiva //CE del Parlamento europeo e del Consiglio del  novembre  relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive), apportando modifiche al T.U.B., con l’introduzione del Titolo V-ter (Istituti di pagamento) e del Capo II-bis (Servizi di pagamento) del Titolo VI, sulla trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti. In proposito, si veda, AA.VV., La nuova disciplina dei servizi di pagamento, a cura di Mancini, Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi e O. Troiano, Torino, . 171 Art. , co. , lett. m) d.lgs. /. Il termine compare  volte nel decreto, quasi sempre collegato a operazioni, ordini di pagamento, trasferimento. 172 Ai sensi dell’art. , lett. s) d. lgs. / è strumento di pagamento: qualsiasi dispositivo personalizzato e/o insieme di procedure concordate tra l’utilizzatore e il prestatore di ser169 Modelli di circolazione e forme strutturali Circa la nozione di “moneta scritturale”, essa è da tempo utilizzata in dottrina ad indicare i debiti bancari a vista rappresentativi di somme di denaro che vengono trasferite da un conto ad un altro mediante scritture contabili e che, dal lato del cliente, sono stati indicati come “crediti disponibili”. Pur a fronte dell’evoluzione delle forme dei crediti circolanti come moneta, è centrale chiarire il concetto suindicato di “credito disponibile”, o “disponibilità monetaria”173. In quanto situazione soggettiva, il credito disponibile vale ad individuare il diritto del titolare ad un determinato ammontare esigibile presso terzi (scilicet istituti di credito, tradizionalmente174), che ha origine dal versamento da parte del primo ovvero dalla messa a disposizione, da parte delle seconde, di somme di denaro (rectius di disponibilità monetarie), di disporre in ogni momento e di chiedere ad nutum la restituzione dell’altrettanto175. Che la posizione del cliente verso la banca sia qualificabile come (diritto soggettivo di) credito è nella lettera della legge (art.  c.c. a proposito delle operazioni bancarie in conto corrente). vizi di pagamento e di cui l’utilizzatore di servizi di pagamento si avvale per impartire un ordine di pagamento. I servizi di pagamento, di cui è fornita la completa elencazione all’art. , lett. b) rappresentano, invece, le attività che i soggetti che possono svolgere attività di intermediazione nella circolazione di moneta (i prestatori di servizi di pagamento): deposito, gestione di conti di pagamento, prelievi di contante, esecuzione di ordini di pagamento, trasferimento di fondi, addebiti diretti, bonifici, rimesse di denaro. Sono, infine, operazioni di pagamento le attività, poste in essere dal pagatore o dal beneficiario, di versare, trasferire o prelevare fondi, indipendentemente da eventuali obblighi sottostanti tra pagatore e beneficiario (art. , lett. c)). Va, infine, precisato che la nozione di pagamento qui utilizzata, come già rilevato da dottrina risalente con riguardo ai pagamenti bancari, è indifferente rispetto alla causa (cioè ai rapporti tra cliente e terzo), e vanno considerati come puri esborsi di denaro. Si veda GIORGIANNI e TARDIVO, Diritto bancario cit., p. . 173 Cfr. infra nel testo. 174 Cfr. infra nt. . 175 La terminologia “somme” connesse al concetto di disponibilità è artt.  e  c.c. e l’art.  r. d.  dicembre , n. . Partendo dal disposto di cui all’art.  c.c., (la banca acquista la proprietà dei «depositi di una somma di denaro presso» di sé), alcuni aa., hanno inteso interpretare l’espressione «somma di denaro» come «quantità di unità ideali», considerano quest’ultima disposizione emblematica perché riferirebbe, appunto, il trasferimento della proprietà ad entità non materiali. Cfr. INZITARI, La natura giuridica della moneta elettronica, in AA.VV., La moneta elettronica. Profili giuridici e problematiche applicative cit., pp. -. Seguendo questa linea interpretativa, anche nei contratti bancari, la terminologia dovrebbe avere la stessa portata semantica. Ma come si vedrà infra II., riteniamo che, allo stato, il sistema dei diritti reali nell’ordinamento italiano non sia (ancora) in grado di concepire diritti assoluti patrimoniali su entità astratte.     La dottrina, quindi, ha proceduto a verificare le peculiarità di tale diritto di credito176. Il connotato della disponibilità è quello che tradizionalmente caratterizza la situazione spettante al possessore, detentore e sub-detentore non nell’interesse proprio, e che con riferimento al contratto di deposito determina la legittimazione del depositante, che non è necessariamente il proprietario ma chi ha la disponibilità della res. Tale situazione soggettiva si conserva anche in costanza di rapporto, in virtù, principalmente della possibilità di chiedere la restituzione del bene in qualsiasi momento, agire per lo spoglio, e in virtù del disposto dell’art.  c.c.177. Ebbene, si è dimostrato che questa nozione di disponibilità risulti riferibile non solo alla posizione del tradens in tutti i contratti che postulano l’affidamento di una cosa nel suo interesse178, ma altresì nei contratti bancari, e in particolare al credito di restituzione nel deposito bancario (e negli altri contratti bancari simili). Ora, nei depositi in cui il depositario non ha facoltà di servirsi delle cose depositate, la pronta e libera restituzione è garantita da una configurazione del negozio che impedisce la disposizione da parte del depositario, ovvero un obbligo di mantenimento della quantità179. Nei contratti bancari, in cui, pur verificatosi il passaggio della proprietà per cui la banca può liberamente disporre delle somme, la disponibilità del credito di restituzione risulta negozialmente connessa dallo “statuto” del depositario il quale, per effetto degli obblighi e controlli cui è sottoposto, tra cui quelli del mantenimento di una riserva, non può gestire il denaro raccolto in modo da pregiudicare la necessaria liquidità, né è esposto ad un rischio di insolvenza180. F. GIORGIANNI, I crediti disponibili cit. L’art.  c.c. (comma ) individua appunto la “legittimazione” del depositante, rappresentata dalla mera detenzione. Infatti il depositante, che chiede la restituzione non fa valer il suo (eventuale) diritto di proprietà, ma il diritto di credito che deriva dal contratto di deposito. Al secondo comma , si disciplina, invece, l’ipotesi in cui il depositario sia convenuto per la rivendicazione da un terzo – non depositante: di per sé l’azione petitoria non legittima il depositario a rifiutare la restituzione richiesta. Cfr., S. D’ANDREA, sub art. , in Codice civile ipertestuale G. Bonilini, M. Confortini e C. Granelli , artt.  – , Torino, , p.  s. 178 F. GIORGIANNI, I crediti disponibili cit., p. . 179 F. GIORGIANNI, op. ult. cit., pp. -. 180 La banca non può (né è tenuta ad) avere nelle proprie casse l’intera massa dei depositi, essendo sufficiente che possieda la quantità necessaria per far fronte alle prevedibili richieste di restituzione, quantità calcolata in base alle regole della cd. liquidità. F. GIORGIANNI, 176 177 Modelli di circolazione e forme strutturali Vale la pena, a questo punto, chiarire, che l’elemento caratterizzante il credito del cliente è, in questo quadro, il potere di disporre delle somme oggetto del rapporto con la banca. In questo senso si chiarisce come oggetto diretto della disponibilità siano le somme di denaro181. Inoltre, nell’odierna op. ult. cit., p. . Sulla base di questo rilievo potrebbe dubitarsi che la qualificazione come “disponibile”, con le stesse garanzie previste in caso di credito bancari, sia da estendere anche ai crediti vantati anche nei confronti di istituzioni non bancarie, ove, ovviamente non si tratti di moneta elettronica (vedi, infra nel testo). Vi sarebbero, almeno due ostacoli all’inclusione: da un lato, l’espressa esclusione della qualifica di depositi bancari ai versamenti effettuati a prestatori di pagamento diversi dagli istituti bancari (cfr. art.  dir. //CE, con riguardo agli istituti di pagamento, secondo cui i fondi che essi ricevono dai clienti non possono essere considerati depositi bancari; e cons.  dir. //CE, secondo cui l’emissione di moneta elettronica non costituisce un’attività di raccolta di depositi); dall’altro, lo diverso statuto soggettivo dei prestatori diversi dagli istituti bancari, che possono svolgere anche altre attività commerciali (Istituti di pagamento). Invero, il rischio dell’insolvenza è stato arginato anche per i prestatori non bancari (che necessitano comunque di essere autorizzati dalle autorità competenti - in Italia dalla Banca d’Italia- ex art. -novies e - septies T.U.B., come modificati dal d. lgs.  dicembre , n. ) attraverso la previsione tecniche di sterilizzazione dei fondi dei clienti rispetto a quelli degli istituti di pagamento, in virtù della necessità di una destinazione esclusiva della raccolta ai pagamenti. L’attuazione della direttiva nell’ordinamento italiano ha previsto, in particolare, che i fondi detenuti dai clienti presso gli Istituti di pagamento vengano disciplinati come patrimoni destinati (ex art.  d.lgs. / che introduce l’art. -terdecies al Testo Unico bancario, ora modificato), con la conseguenza che: «Gli istituti di pagamento registrano per ciascun cliente in poste del passivo, nel rispetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, le somme di denaro della clientela in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento […]. () Le somme di denaro sono investite, nel rispetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, in attività che costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’istituto di pagamento. Su tale patrimonio distinto non sono ammesse azioni dei creditori dell’istituto di pagamento […]». Le modifiche apportate al testo della norma che fanno chiaramente rinvio (possibilità, invero, già prima consentita, cfr. Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza per gli Istituti di pagamento e gli Istituti di moneta elettronica, disponibile sul sito web Banca d’Italia www.bancaditalia.it) all’utilizzo delle somme da parte degli IP, sebbene secondo i criteri stabiliti dalla Banca d’Italia, il che rende l’operatività di tali istituti del tutto analoga a quelli bancari, sebbene essa venga presidiata in maniera diversa. I rilievi sopra riportati appaiono, quindi formalistici. Peraltro, sulla base delle definizioni di conto di pagamento e operazione di pagamento, può desumersi che il saldo di qualsiasi conto di pagamento, anche presso un IP abbia una spendibilità generalizzata e sia disponibile nello stesso senso presupposto all’art.  c.c., sebbene si tratti di una disponibilità limitata ai servizi di pagamento coperti dalla direttiva. Cfr. V. SANTORO, I conti di pagamento degli Istituti di pagamento, in AA.VV., Il nuovo quadro normativo comunitario dei nuovi servizi di pagamento. Prime riflessioni, in Quaderni ric. giur. Banca d’Italia, di M. Mancini e M. Perassi, n. , , p. ; V. BELLO, sub art. , in AA.VV., La nuova disciplina dei servizi di pagamento cit., p.  ss. 181 Sicchè è come se fossero nella detenzione materiale del cliente (in virtù della esi-     dinamica dei rapporti bancari, tale disponibilità si caratterizza in maniera peculiare, in quanto si riferisce non ad un ammontare fisso (ad esempio, l’oggetto di un deposito) ma al valore espresso da un saldo continuamente mutevole; e si può esplicare secondo un ventaglio di opzioni, cioè di servizi offerti dalla banca, più ampio182. La nozione di disponibilità riferita al denaro va quindi integrata alla luce della collocazione del rapporto di credito, tra cliente e banca, nel contratto di conto corrente bancario183. Proprio con riguardo alle operazioni bancarie in conto corrente, che possono ritenersi avere una portata generale, il dato codicistico è chiaro, facendo riferimento a «le somme risultanti a […] credito» del correntista, le quali possono essere oggetto di disposizione in qualsiasi momento (art.  c.c.). Tali caratteristiche spiegano l’analogia che si è prospettata prima su un piano economico, poi giuridico, di tale situazione di fatto rispetto a quella del detentore materiale di pezzi monetari, giustificata dalla libertà di utilizzazione spettante al cliente – creditore. In entrambi i casi prospettati, infatti, il cliente può disporre in qualsiasi momento dell’importo depositato/affidato essendo, nel caso di crediti disponibili, la banca obbligata a tenere sempre disponibile nelle proprie casse la quantità di denaro necessaria per rispondere alle richieste dei clienti. gibilità a vista e della sicura solvibilità dell’istituto di credito). Cfr. F. GIORGIANNI, op. ult. cit., spec. p.  e  ss. 182 Cfr. infra nel testo. 183 Sul conto corrente bancario, P. FERRO-LUZZI, Lezioni di diritto bancario, I, Torino, , p.  ss. È opportuno chiarire come il conto corrente bancario, secondo la giurisprudenza, è un contratto socialmente tipico (cfr. Cass.,  dicembre, n. , in Foro it., , I, c. , e Trib. Roma,  maggio , in Giur. romana, , p.  ss.), sviluppatosi nella prassi bancaria, nel cui oggetto vi è, tra l’altro, l’obbligo della banca di tenere a disposizione del correntista una certa disponibilità di cassa. L’opinione è largamente diffusa in dottrina (cfr. GIORGIANNI e TARDIVO, Diritto bancario cit., p.  ss.), che ne individua la funzione principale nel servizio di cassa per conto del correntista, e in cui quindi prevarrebbe la componente gestoria. Tale contratto si differenzia dalla mera regolazione in conto delle operazioni bancarie (artt.  -  c.c.), come clausola tipica delle operazioni bancarie, la quale hanno l’effetto di determinare una mobilità del credito disponibile, sebbene poi in dottrina le ipotesi riscostruttive si differenzino circa la natura di contratto caratterizzato dal collegamento funzionale di più negozi (di mandato e volto alla creazione della provvista), ovvero di contratto unitario a causa mista, che è l’orientamento prevalente. Cfr. L. PICARDI, sub art.  c.c., in Codice civile ipertestuale cit., p.  ss, spec. p. . Modelli di circolazione e forme strutturali Credito è altresì l’altro valore monetario previsto legislazione di fonte comunitaria in tema di pagamenti: la moneta elettronica, definita come «un valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato dal un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso» (dietro ricevimento di fondi) «per effettuare operazioni di pagamento […]e che sia accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dall’emittente […]»184. Sotto il profilo giuridico, la moneta elettronica viene distinta dalla moneta scritturale in quanto può prescindere dall’esistenza di un conto corrente ove annotare i movimenti monetari ed inoltre in essa non vi è interposizione della banca quale intermediario nella trasmissione di moneta: l’istituto emittente opera solo a monte e a valle dell’operazione, garantendo la conversione di moneta scritturale o fisica in moneta elettronica. Essa si connota principalmente, sul piano oggettivo, per il fatto che la memorizzazione elettronica – o magnetica – incorpora il valore monetario rappresentato da un credito verso l’emittente emesso dietro ricezione di fondi, e per avere una spendibilità generalizzata185; e sul piano soggettivo, Art. , co. , T.U.B. come modificato da d.lgs.  aprile , n.  e che attua la dir. //CE (art. , n. )). La direttiva, abroga la dir. //CE del  settembre  riguardante l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, in cui la moneta elettronica era definita come «un surrogato elettronico di monete metalliche e banconote, memorizzato su un dispositivo elettronico come carta a microprocessore o una memoria di elaboratore, e generalmente destinato a effettuare pagamenti elettronici di importo limitato». Quest’ultima venne recepita nell’ordinamento italiano dalla l. ° marzo , n.  (legge comunitaria ), di cui l’art.  ha modificato il D. lgs. ° settembre , n. , recante il t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia, introducendo il Titolo V - bis (Istituti di moneta elettronica), e ancora altra definizione di moneta elettronica (art. , lett. h-ter previgente) T.U.B.: valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non inferiore al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente). La nuova definizione mira ad una nozione tecnicamente neutra, e generale, tale da poter resistere all’evoluzione tecnologica (cons.  e  dir. //CE). Si ricorda, altresì, che la memoria elettronica rappresentativa dei fondi versati dall’emittente costituisce inoltre la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti, considerandosi, come tale documento informatico. Vedi D.P.R.  dicembre  n.  e successive modifiche nonché D.lgs.  marzo  n.  (Codice dell’amministrazione digitale). 185 All’indomani della introduzione della moneta elettronica vi fu un discreto dibattito in dottrina circa la sua natura giuridica. Si parlò, in proposito, anche di titolo di credito digitale. Così G. FINOCCHIARO, Prime riflessioni sulla moneta elettronica, in Contratto e impr., , p.  184     presuppone, da una parte l’attività di emissione di un istituto di moneta elettronica. .. Segue. I trasferimenti monetari in ambiente virtuale La disponibilità, in quanto idoneità alla disposizione, si specifica concettualmente se si tiene conto della gamma di possibili utilizzazioni connesse al regolamento in conto corrente delle operazioni bancarie ovvero al conto corrente bancario186: vari servizi (di pagamento, incasso, ad esempio) offerti dalla banca che rendono la banca vero e proprio cassiere del cliente187, e in cui accreditamenti e addebiti vengono registrati sul conto. In virtù delle caratteristiche del regolamento in conto corrente, il credito disponibile acquista una particolare condizione di mobilità188, che lo rende del tutto analogo ai ss.; diversamente G. LEMME, Moneta scritturale e moneta elettronica, cit., p. s. il quale evidenziava peraltro l’irrilevanza pratica della questione. Anche la dottrina inglese si è in proposito interrogata se, al di fuori della classificazione in termini di negotiable instrument o promissory note (esclusa), si potesse parlare di una cessione di credito (assignment). Si è lucidamente osservato che, oltre a ragioni di tipo sistematico (si tratta di un’analisi rigettata anche per gli EFTS, trasferimenti elettronici di fondi), lo scambio di somme per electronic cash costituisce piuttosto l’atto di acquisto di “gettoni elettronici” non il deposito di fondi soggetti alla promessa di restituzione. In tal modo i gettoni possono essere ben considerati moneta legale (currency) quando circolano, ma soggetti alla conversione quando consegnati all’emittente, in virtù dell’offerta irrevocabile di rimborso. Cfr. AA.VV., Encyclopedia of Banking Law, D , , p.  ss. ; R. HOOLEY, Payment in a Cashless Society¸in AA.VV., The realm of Company law (a collection of papers in honour of Professor Leonard Sealy), London, . 186 Ma il deposito in conto corrente è figura sconosciuta alla prassi bancaria. Non così per l’apertura di credito, la quale tuttavia tende a confondersi con il cd. conto corrente di corrispondenza con concessione di fido. Cfr. F. GIORGIANNI e C. M. TARDIVO, Diritto bancario, cit., p. , e F. GIORGIANNI, I crediti disponibili, cit., p.  ss. e p.  ss. 187 Sulla funzione di cassa (che si sostanzia in un rapporto di mandato) S. MARTUCCELLI, Obbligazioni pecuniarie e pagamento virtuale cit., p. . Nell’espressione servizio di cassa possono essere ricompresi, a titolo indicativo: il servizio di pagamento di assegni tratti dal cliente, l’accredito delle rimesse e bonifici di terzi a favore del cliente, l’effettuazione di giroconti disposti dal cliente di pagamento in contanti allo stesso. Va chiarito che tale funzione si esplica massimamente nel conto corrente bancario, che è figura autonoma rispetto al mero deposito (art.  c.c.)/apertura (art.  c.c.) regolati in conto corrente, ma nel quale la disciplina dell’uno o dell’altro confluiscono in un rapporto unitario regolato altresì come mandato. In esso soltanto infatti, la funzione di cassiere si spiega completamente, poiché tanto i versamenti quanto i prelevamenti possono avvenire in qualsiasi forma. Sul punto F. GIORGIANNI, I crediti disponibili, cit., pp. - e cfr. supra nt. . 188 SANTINI, Il bancogiro, a ed., Bologna, , p. . Modelli di circolazione e forme strutturali pezzi monetari, e ha determinato una sostanziale evoluzione dei limiti concettuali della moneta anche in senso giuridico189. Appare opportuno precisare, ora, che i versamenti e gli addebitamenti che vengono annotati sul conto non rappresentano crediti/debiti autonomi ma, alla stregua di somme di denaro che affluiscono o vengono prelevate, confluiscono nel valore unitario rappresentato dal saldo190. Di conseguenza, la circolazione di somme/crediti disponibili da un conto all’altro non dà origine a vicende di circolazione del credito, ma all’estinguersi (ridursi) di un saldo e l’incrementarsi di un altro, sulla base delle annotazioni in conto191. Il valore unitario, per quanto divisibile e variabile, è rappresentato dal saldo. Esso, come valore numerico, determina l’ammontare del credito/debito, per quanto anomalo, del cliente rispetto alla banca o all’istituto che presta un servizio di pagamento192. Sembra confermarsi allora il rilievo espresso innanzi secondo cui, mentre il rapporto interno tra banca e cliente è una relazione di credito (disponibile) avente ad oggetto somme di denaro, l’ammontare della somma do189 Cfr. supra cap. I, p. , nt. . Secondo F. GIORGIANNI e C.M. TARDIVO, Diritto bancario, cit., p. , «il credito disponibile, infatti, diversamente dalla moneta legale, non solo elimina il rischio derivante da perdita o sottrazione, ma è idoneo a tramutarsi, solo al momento del bisogno, in mezzo di pagamento generalmente accettato, permettendo al correntista di lasciare inalterato tale credito e quindi di continuare a fruire degli interessi sulle somme depositate, ovvero di non dover pagare interessi ove il credito dipenda da un affidamento». 190 Cfr. FERRO-LUZZI, Lezioni di diritto bancario cit., pp.  e . 191 Regina vs Preddy [] AC , ove la House of Lords ritenne che un trasferimento elettronico di fondi non procuri ai mutuatari “property belonging to another” come richiesto dalla s. () del Theft Act . Contra LEMME, Moneta scritturale e moneta elettronica cit., p.  ss., il quale, pur aderendo all’idea che la moneta consista in un potere di disposizione (cui può riconnettersi il concetto di disponibilità), conclude, che nel caso di moneta scritturale, esso sia rappresentato da un «apparente – diritto di credito». Quest’ultimo si presterebbe ad essere «ceduto in funzione solutoria di ogni obbligazione pecuniaria» (p. ). 192 Le annotazioni in addebito/accredito determinano solo una variazione del saldo, e non costituiscono adempimento di un obbligazione pecuniaria da parte del cliente (quando versa una somma), nel rapporto tra banca e cliente. Esse modificano solo l’ammontare del credito di disponibilità nei confronti della banca, mentre possono avere funzione solutoria in una diversa obbligazione causale a fronte della quale il versamento è stato eseguito; ovvero, nei rapporti banca-cliente, nel caso in cui il versamento sia stato effettuato a fronte di uno sconfinamento del fido. Alla luce di tale considerazione può spiegarsi, altresì, l’annosa questione relativa alla revocabilità delle rimesse bancarie (vedi oggi art. , co. , lett. b) l.f.), sulla quale non è possibile, tuttavia, in questa sede dare conto, ma che conferma la revocabilità delle sole rimesse c.d. solutorie (secondo l’espressione diffusasi in giurisprudenza).     vuta è un’entità patrimoniale per il cliente, la quale muta per l’effetto di movimentazioni sul conto (corrispondenti a trasferimenti di disponibilità) che tuttavia non transitano fisicamente. Si verifica infatti un corrispondente aumento della disponibilità di un conto, la cui provvista risulta nella disponibilità della banca per effetto di un complesso procedimento comprensivo dei risultati delle compensazioni e dei calcoli statistici effettuati dall’istituto di credito193. In un’operazione che comporti un “trasferimento” di disponibilità monetarie, in verità, nessun trasferimento materiale, né di diritti, si verifica, ma soltanto una modifica delle disponibilità nei conti dei soggetti coinvolti. Il risultato finale è che nel patrimonio dell’accreditato si verifica comunque un’attribuzione patrimoniale194. Quanto si è visto sinora vale a descrivere il funzionamento delle movimentazioni dei conti correnti bancari (e per analogia, probabilmente, dei conti di pagamento). Altro è, invece, guardare al rapporto che “dà causa” al “trasferimento” di fondi. È ben noto come l’espressione “pagamento a mezzo banca” sia in- 193 Il complesso delle procedure, mezzi ed infrastrutture che assicurano i “trasferimenti” di disponibilità, attraverso la compensazione dei saldi dei partecipanti, dando definitività a valle alle singole registrazioni sui conti, sono indicati con l’espressione sistemi di pagamento (cfr. d. lgs.  aprile  e  marzo , n. , attuazione della direttiva //CE). Con riguardo ai trasferimenti interbancari, operano i sistemi di pagamento, BI-COMP, che è il sistema di compensazione per i pagamenti al dettaglio di importo ridotto (gestito dalla Banca d’Italia) e TARGET , che è un sistema di regolamento lordo per operazioni importi rilevanti (che opera a livello europeo, da questa unitamente a Deutsche Bundesbank e Banque de France). Sul punto si vedano, AA.VV., Il diritto dei sistemi di pagamento, a cura di V. Santoro, Milano, ; M. MANCINI, Il sistema dei pagamenti e la banca centrale, in A. VV., Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Galanti, Padova, , p.  ss. mentre per la disciplina previgente OLIVIERI, Compensazione e circolazione della moneta nei sistemi di pagamento cit., pp.  – , e p.  ss. (in generale sui sistemi di compensazione multilaterale). Su quest’ultimo aspetto, si veda anche L. NIVARRA, voce Stanza di compensazione, in Enc. dir., XLIII, Milano, , p.  ss. 194 La riferibilità del credito disponibile al patrimonio del cliente, come pure la sua formale veste di credito, a parte l’immediata evidenza, sono confermati dalla fattispecie del pignoramento di conto corrente bancario, che segue la disciplina del pignoramento presso terzi, come pignoramento di credito (art.  c.p.c.). Cfr., U. MORERA e M. LONGO, La Banca terzo pignorato, in Banca borsa, tit. cred., , I, p. . Ugualmente, si ritiene che il legato di somma di denaro accreditata in dato conto corrente specificato è legato di credito (art.  c.c.), non di cosa genericamente determinata (art.  c.c.). Cfr. G. BONILINI, Legato di somma accreditata in un dato conto corrente, in Fam. Pers. Succ., , p.  ss. Modelli di circolazione e forme strutturali differente rispetto ai rapporti tra cliente e terzo, che possono essere dei più diversi (adempimento obbligazione pecuniaria, mutuo, donazione, ecc.), e sia stato considerato un atto neutro o astratto195. Ora, è proprio sotto il profilo dell’obbligazione causale sottostante il pagamento che si è posto il problema, una volta assunta la distinzione concettuale tra moneta scritturale e pezzi monetari, di valutarne le ricadute sulla dinamica giuridica. Dottrina e giurisprudenza hanno provato ad adeguare gli effetti giuridici connessi al trasferimento di contante alla realtà della c.d. moneta virtuale. La questione, per effetto di certa interpretazione della disciplina codicistica e per la rilevanza del fenomeno, si è posta principalmente con riguardo all’obbligazione pecuniaria, sebbene essa interessi tutti le operazioni che comportano una circolazione di denaro196-197. 195 GRECO P., Note critiche sul rapporto di pagamento mediante rimborso di banca, in Dir. e prat. comm., , p.  e G. F. CAMPOBASSO, Bancogiro e moneta scritturale cit., p. . La soluzione non si discosta dalla natura della consegna di denaro contante. Cfr. supra testo successivo a nt. . 196 L’interpretazione tradizionale secondo cui il disposto di cui all’art.  c.c. riguardasse esclusivamente la moneta “contante”, ha portato la dottrina, con diversità di accenti, a tentare di ricondurre all’ambito applicativo della disposizione anche le altre forme di moneta. In questo senso, il lavoro fondamentale con riguardo alla moneta scritturale resta quello del G. F. CAMPOBASSO, Bancogiro e moneta scritturale cit., in part. p.  ss.,  ss. e  ss. il quale individua nell’ordine di giro uno iussum delegatorio che specifica il mandato conferito alla banca all’apertura del conto corrente – dal lato dell’ordinante – che determina l’addebito sul suo conto; e, parimenti, un atto gestorio dovuto in esecuzione del contratto di mandato nel rapporto tra banca e beneficiario, quello che determina l’accredito. In questa ricostruzione, la banca nel rapporto con l’ordinante è delegata al pagamento, in quello con il beneficiario, indicata a ricevere ex art.  c.c. Aderisce a tale lettura anche A. SCIARRONE ALIBRANDI, L’interposizione della banca nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria cit., pp.  ss.,  e  ss., la quale tuttavia se ne discosta in punto di individuazione del momento solutorio dell’obbligazione pecuniaria sottostante, che ella ritiene coincidere con l’addebitamento sul conto del debitore, momento a partire dal quale non sarebbero più sollevabili le eccezioni della valuta e della provvista, in caso di delegazione pura ed esclusa la c.d. nullità della doppia causa (art.  c.c.). Al di là della rinnovata concezione di moneta accolta ormai dalla giurisprudenza, tali questioni sembrano aver infine trovato una qualche soluzione nel dettato legislativo, nel senso dell’anticipazione dell’estinzione dell’obbligazione, in particolare, nelle disposizioni relative alla mancata o inesatta esecuzione delle operazioni di pagamento (art.  d. lgs,  gennaio , n. ) e alla revoca dell’ordine di giro (art. ). 197 Con riguardo agli atti di liberalità (donativi e non donativi) il problema della equiparazione della moneta scritturale a quella contante sembra, invece, essere stato facilmente assorbito, nel senso di un’interpretazione estensiva dell’espressione “cose mobili” di cui all’art.     . La prospettiva dell’«equivalenza funzionale»198 L’evoluzione degli strumenti che costituiscono moneta, cioè che consentono il trasferimento di denaro, da forme materiali a forme scritturali (o virtuali) ha indotto la riflessione giuridica a prospettare soluzioni omogenee, tanto da ipotizzare di configurare la stessa unità monetaria (in quanto entità astratta) quale referente oggettivo dei diritti sul denaro199. Nei diversi formanti del diritto, l’aspirazione all’”armonizzazione” di disciplina è stata proposta su diversi piani200.  c.c., purché siano stati rispettati i requisiti di forma previsti per il contratto di donazione. Piuttosto, le principali problematiche riguardano le conseguenze del mancato ossequio di tali requisiti, tale da far configurare ipotesi di donazione indiretta. Critica su questo orientamento, L. GATT, La liberalità, I cit., pp. -; nonché M. KROGH, Tracciabilità delle movimentazioni finanziarie nel sistema delle donazioni e degli atti ricognitivi di liberalità, in Notiziario dell’informazione del CNN, aprile , p.  ss., in part. p.  ss. Non stati al pari sollevati dubbi circa l’equiparabilità dell’accreditamento in conto con la consegna richiesta nel caso di donazione manuale (di modico valore) di denaro. Cfr. CAMPOBASSO, Bancogiro e moneta scritturale cit., p. . 198 In tema di denaro, l’idea di un risultato equivalenza o equiparazione funzionale si è storicamente proposta in dottrina rispetto agli strumenti, moltiplicatisi nell’evoluzione storica, che potessero costituire moneta. Questo tipo di procedimento interpretativo presuppone che “moneta” in senso giuridico sia solo la moneta coniata, e che gli strumenti in grado di esplicare le medesime funzioni possano essere alla prima assimilati. Sul punto, ma – a mero titolo esemplificativo – si veda CAMPOBASSO, Bancogiro e moneta scritturale cit., pp.  e , ove l’a. descrive la prospettiva adottata come quella di «equiparare moneta legale e moneta scritturale in una prospettiva dinamica» (p.  ), e (p. ) di «recepire sul piano dinamico e, quindi, degli effetti della vicenda circolatoria la delineata concezione economica del credito bancario» sicchè si possano determinare «effetti giuridici coincidenti con quelli conseguibili tramite il trasferimento materiale di denaro». Ugualmente, PROCTOR, Mann on the Legal Aspect cit., p. , che rinvia alla necessità per gli strumenti di pagamento diversi dalla moneta in senso legale «to fulfil functions which are similar to those performed by notes and coins». Anche se in contesti diversi dall’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, ove tale prospettiva si è sviluppata e ha infine trovato sicuri arresti giurisprudenziali e riconoscimento legislativo, riteniamo che, anche in una visione più generale della circolazione monetaria, essa possa essere in qualche modo recuperata, per prospettare l’applicazione di una disciplina comune. 199 INZITARI, Moneta, cit., p. ; ID., La natura giuridica della moneta elettronica, cit., pp. . 200 Come si è già visto nel cap. I, anche se s’individua l’essenza del denaro nella ideal unit o in concetti astratti (che certamente sono in grado di disvelare quali sono gli interessi che le parti possono avere rispetto all’oggetto del diritto), nella soluzione delle questioni giuridiche resta fondamentale il ricorso alla qualificazione della forma rappresentativa (cosa, o credito) per l’applicazione delle relative regole. Modelli di circolazione e forme strutturali Per un verso, il formante giurisprudenziale, in svariati ambiti garantisce l’equiparazione della moneta bancaria al denaro contante, in punto di effetti giuridici, garantendo l’uniformità di trattamento: in tema di obbligazioni pecuniarie, per gli aspetti relativi all’individuazione dell’oggetto della prestazione201; relativamente al regime degli acquisti nella comunione legale202; e con riguardo al contratto di mutuo203. 201 Il rinvio è, ancora, al revirement operato dalla Corte di Cassazione (SS. UU.) con la sent.  dicembre  n. , in Banca borsa tit. cred., , II, p  con nota di G. LEMME, La rivoluzione copernicana della Cassazione: la moneta legale, dunque, non coincide con la moneta fisica, p.  e in Dir. Giur., , p.  con nota di R. CATALANO, Il pagamento a mezzo assegno circolare ed i limiti imposti dalla correttezza all’esercizio del diritto del creditore pecuniario, p. . Come noto, il S.C. è giunto ad interpretare in senso evolutivo l’espressione moneta legale contenuta nell’ art.  c.c. in senso di “sistema valutario nazionale”. Cfr. supra cap. I, nt. , nonché A. VENTURELLI, Esibizione di assegno ed «esatto» adempimento dell’obbligazione pecuniaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., , p.  ss. 202 Cass., Sez. I,  gennaio , n. , in Riv. not., , p. , con nota di Pascali; in Giust. civ., , I, p. , e in Riv. dir. priv., , n. , con nota di T. Romoli e secondo cui il denaro ottenuto a titolo di prezzo di un bene personale e depositato sul proprio conto corrente bancario non costituisce acquisto ai sensi dell’art. , co. , lett. a), giacchè «il diritto di credito relativo al capitale non può considerarsi modificazione del capitale stesso, né [...] acquisto ai sensi dell’art. , co. , lett. a), cioè come operazione finalizzata a determinare un mutamento effettivo nell’assetto patrimoniale del depositante». Esso pertanto conserva il carattere “personale”, rilevando come tale ai fini della surrogazione ex art. , co. , lett. f). Circa un possibile argomento contrario, rappresentato dalla inidoneità dei diritti di credito a costituire oggetto di comunione (legale tra i coniugi), che è questione differente rispetto alla questione della mera co-intestazione del conto corrente (art.  c.c.), esso è stato, su un piano più generale, superato dalle SS.UU. nel  (Cass. civ., SS. UU.,  novembre , n. , in Giur. it., , , con nota di Bertotto) relativamente alla comunione ereditaria, e da Cass.  ottobre , n. , in Notariato, , , con nota di Scotti (con riguardo alla comunione legale dei crediti che costituiscano un investimento di ricchezza, a proposito di obbligazioni emesse da una società). Ma in ogni caso, a parte le considerazioni circa la natura di credito disponibile, la giurisprudenza ammette la comunione de residuo su conto corrente. Cfr. Cass.,  novembre , n. , in Pluris. Questioni di non poco momento, ma che nell’economia del presente lavoro non possono essere affrontate riguardano, invece, il meccanismo della surrogazione relativamente al denaro personale del coniuge, quando non si tratti non costituisca prezzo del trasferimento di altri beni personali. Cfr. per gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in proposito, T. ROMOLI, Il denaro del coniuge in comunione legale, in Riv. dir. priv., , n. , nt. . 203 L’accreditamento di una somma di denaro in un conto bancario è ragguagliato alla consegna, sufficiente ad integrare la realità del rapporto GALGANO, I contratti di prestito e finanziamento, cit.,  ss. In giurisprudenza cfr. Cass.,  ottobre , n. , in Rep. Foro it., , voce Mutuo, n.  e Cass.,  dicembre , n. , in Rep. Foro it., , voce Mutuo, n. .     Per altro verso, il legislatore (nazionale, riflettendo le scelte comunitarie) tende sempre più spesso nelle norme definitorie ad assimilare i diversi mezzi di pagamento, considerandoli unitariamente: ad esempio, in materia antiriciclaggio (d. lgs. / art.  lett. i), sotto la dizione mezzi di pagamento; o nell’attuazione della direttiva sui servizi di pagamento //CE (art. , co. , lett. m) d.lgs. /). Piuttosto, è sempre più frequente, alla luce della maggior diffusione che siano i fondi, le disponibilità finanziarie, ovvero il denaro accreditato sul conto, a rappresentare oggetto di disciplina: in materia di garanzie finanziarie (d.lgs. /, art.  lett. h) sotto la dizione contante; nel Testo unico sull’intermediazione finanziaria (arg. ex art. ). Anche a livello non strettamente normativo, i più recenti tentativi di armonizzazione/uniformazione del diritto contrattuale europeo, per il settore interessato (l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria) hanno eliminato ogni tipo di distinzione tra denaro contante e moneta bancaria204. Anche la riflessione giuridica, ad esempio, non esita a qualificare esplicitamente gli ordini di investimento di strumenti finanziari dematerializzati (e quindi dello stesso denaro) oggetto dei servizi d’investimento come atti di esecuzione di un mandato avente per oggetto cose mobili205. Infine, va ricordato, con riguardo ad un terreno limitrofo, che il problema dell’adeguamento a nuove forme fenomeniche si è posto in maniera analoga per i titoli di credito e gli strumenti finanziari, rispetto ai quali tuttavia il legislatore è intervenuto espressamente206, venendo sop204 Cfr. PECL (Principles of European Contract Law, c.d. Principi Lando), art. :; art. , co. , Code Européen des contrats elaborato dall’Accademia dei Giusprivatisti Europei, che, con norma generalissima, equipara tutti gli strumenti in grado di mettere il creditore nella disponibilità dell’importo dovuto; ancora il DCFR (Draft Common Frame of Reference), il quale considera come idoneo all’estinzione dell’obbligazione pecuniaria ogni metodo che sia utilizzato nel corso ordinario degli affari. 205 GALGANO, I contratti di investimento e gli ordini dell’investitore all’intermediario, in Contratto e impr., , p. . 206 Nell’evoluzione strutturale dei titoli di credito, l’avvenuta dematerializzazione non ha impedito l’applicazione della disciplina cartolare (per i principali riferimenti normativi, si vedano la l.  giugno , n. , istitutiva della Monte Titoli S.p.A.; il d. lgs  giugno , n.  – c.d. decreto Euro –, istitutivo della c.d. “dematerializzazione in senso forte” e, più di recente, il d.Lgs. n.  del //, che attua la direttiva //CE, sull’esercizio di alcuni diritti degli azionisti delle società quotate, il quale ha fatto confluire nel Testo Unico dell’intermediazione finanziaria le discipline sulla dematerializzazione attualmente vigenti, spec. art.  – Modifiche alla parte III, titolo II del decreto legislativo  febbraio , n. ). Tale evolu- Modelli di circolazione e forme strutturali perito dalla giurisprudenza, nei casi in cui non si sia proceduto all’adeguamento207. Ora, nei casi in cui tale processo di adeguamento spetti all’interprete, il metodo utilizzato è quello della interpretazione in senso estensivo, ovvero all’applicazione analogica, degli istituti e delle norme di volta in volta invocate, con il risultato di interpretare la parola «denaro» o «moneta» come comprensivo di tutti gli strumenti, normalmente relativi ad una determinata valuta, ed in grado di produrre le medesime conseguenze giuridiche in capo ai soggetti dell’operazione. Ciò è avvenuto con riguardo, ad es., al contratto di mutuo, o all’obbligazione pecuniaria, con riguardo rispettivamente alle disponibilità bancarie e agli assegni circolari. La questione, invero, risponde al processo di inevitabile adattamento evolutivo di norme ed istituti, ed in particolare di risposta giuridica ai cambiamenti tecnologici, e, in ogni caso, può trovare un riferimento nel disposto dell’art.  c.c. (le disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli altri diritti). Vediamo ora in che termini se sia possibile procedere ad una assimilazione dei crediti disponibili alla moneta intesa come res fungibile. Invero, su un piano generale, non è sembrato che l’inerenza del connotato della fungibilità alla teoria delle cose possa precluderne l’estendibizione ha progressivamente determinato sia la fine di una circolazione immediata (cioè basata sulla consegna del titolo cartolare) del diritto di credito, sia, infine, la stessa soppressione dei veicoli materiali delle situazioni giuridiche, ma né la diversa forma del valore negoziale né il diverso sistema di negoziazione hanno determinato il venir meno della “disciplina cartolare”. In questo senso, già CHIOMENTI, op. cit., p. , nt. . Cfr., quanto alle ragioni, su un piano più generale, della cautela nell’assimilazione tra moneta e titoli di credito, cfr. supra cap. I, p. , nt. . 207 Si pensi, ad esempio, al requisito dello spossessamento previsto nel caso del pegno si è sostituita la registrazione su conto (art.  T.U.F., che riproduce d. lgs.  giugno , n. , art. , per gli strumenti finanziari e relativi reg. Consob, innanzitutto n. / ), ovvero, secondo un’interpretazione evolutiva, meccanismi alternativi di scritturazione che siano idonei a sottrare al patrimonio del debitore la disponibilità del bene. Così, Cass.  ottobre , n. , in Banca, borsa, tit. cred., cit., p.  ss., con nota di A. M. Azzaro, p.  e di DE LUCA, Res quae tangi non possunt (a proposito di dematerializzazione, pegno e individuazione del “bene”), p. . Tuttavia, come si è già visto, e come in parte si vedrà successivamente, le principali problematiche connesse a tali interpretazioni adeguatrici risiedono nella corretta identificazione, mutatis mutandis, delle forme alternative o schemi formali realizzanti la medesima funzione, nonché ad una più corretta interpretazione delle norme stesse alla luce delle mutate esigenze (sul requisito della identificazione, si veda infra cap. III).     lità a tali crediti. Come si è visto, gli istituti bancari sono imprese tipicamente solvibili, e uguali presidî volti alla soddisfazione dei crediti dei clienti – creditori sono posti dalla legge nei requisiti di costituzione e gestione degli altri Istituti emittenti crediti a spendibilità generalizzata. Ciò comporta che se il debitore appartiene a taluna di queste categorie, diviene indifferente per il cliente (titolare di moneta fiduciaria) la persona del debitore stesso, essendo rilevante, nell’ambito dei servizi prescelti, unicamente l’ammontare del saldo. Tale omogeneità tra i crediti costituenti moneta fiduciaria svolge quindi la medesima funzione della fungibilità della moneta res208. In senso contrario, una prospettiva simile, adottata dalla giurisprudenza inglese209, è stata tacciata come indebito (o inconsapevole) ricorso ad un espediente, quello delle finzioni giuridiche210, che invece andrebbe con cautela effettuato211. La “finzione” qui ineriva all’idea che il denaro bancario si trasferisca e gli si possano applicare le vicende (confusione etc.) valevoli per il denaro-cosa mobile. Il fatto che non vi sia alcun processo circolatorio materiale di somme allorquando si operano movimentazioni (accrediti o addebiti su conti) ha fatto stigmatizzare il riferimento al trasferimento e riferibili alle res ai crediti disponibili in termini di finzione giuridica. Ci sembra, tuttavia, che, a parte una certa opinabilità del ricorso alla figura della finzione, quando si discute di un procedimento interpretativo In tal senso. con riguardo esclusivo alla moneta bancaria, già F. CARBONETTI, voce Moneta, in Dizionari del diritto privato, , Diritto monetario, cit., p. . 209 Westdeutche Landesbank Girozentrae v. Islington London Borough Council [] AC . 210 NIVARRA, Le parole del diritto: finzioni, in Europa e dir. priv., , p.  ss. che con riguardo alla fictio iuris, come comunemente intesa, parla di finzione nel diritto (per cui il diritto assume come esistente un fatto, pur essendo viceversa inesistente o viceversa inesistente pur essendo viceversa esistente), e che si contrappone all’elaborazione razionale del diritto (cui invece il procedimento analogico fa da contraltare). Secondo l’a. l’utilizzo delle finzioni nel diritto si giustifica per tre ordini di fattori: che l’ideologia dominante sia una concezione del diritto come sistema di regole intangibile; che i modi di produzione del diritto siano caratterizzati da enunciazioni generali ed astratte; e che l’applicazione del diritto sia il mero travaso di un fatto concreto nello schema della formula, mentre l’elaborazione razionale del diritto non sia nelle corti, ma spetti alla dottrina, che poi il legislatore, non le corti stesse recepiscono. Per tali ragioni, esse hanno poca diffusione nei sistemi moderni, ma non sono completamente inesistenti. Probabilmente potrebbe parlarsene come un espediente, appunto quando i giudici non procedono ad un’ elaborazione razionale del diritto (qui l’analogia come contraltare della finzione) ma ricorrono ad espedienti. Cfr. inoltre G. GOLISANO, L’uso dello strumento della finzione giuridica da parte del legislatore, in Contratti, , p.  ss. 208 Modelli di circolazione e forme strutturali analogico (o estensivo) attinente alla dinamica giuridica, il nodo importante sia la sostanza economica delle operazioni, di cui il diritto è chiamato ad essere interprete212. Diventa, cioè, importante porsi la domanda appropriata allo scopo: ad esempio, con riguardo all’esempio inglese, non se vi sia o meno un trasferimento o qualcosa di simile ad un trasferimento, ma se la procedura che sostituisce il passaggio materiale delle res determini nelle parti i medesimi effetti giuridici e assicuri i analoghi rischi/facoltà213. Come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, le principali questioni che si pongono in tema di beni fungibili sono relative alla possibilità di identificarli/individuarli all’interno di una massa più ampia, e le conseguenze derivanti da un’eventuale confusione. Ciò che in una prospettiva di equivalenza funzionale può chiedersi è, allora, se è possibile realizzare i medesimi effetti con riguardo ai crediti disponibili, pur utilizzando procedure differenti. Ovviamente, in questo ambito, la fungibilità, e le relative vicende, vanno riferite non solo al credito in sé, ma alle poste contabili (presenti o meno), che possono fungere da elemento distintivo e di quantificazione della disponibilità monetaria del cliente, come abbiamo visto nei rapporti interni tra banca e cliente214. Il problema è quello della determinazione dell’entità di 211 A. HUDSON, The unbearable lightness of property, in Hudson (ed.), New perspectives on property law, obligations and restitution, Cavendish publ. , p.  ss. spec. p.  s. e passim; ID., Money as property in financial transactions, in  J.I.B.L, , p. ; GOODE, Commercial law cit., p. . 212 Il rigore nell’interpretazione letterale del testo ha portato, proprio in relazione al caso Regina v. Preddy sopra citato, al paradosso che si sia resa necessaria la modifica del theft Act, in luogo di un atteggiamento più flessibile da parte delle corti. 213 J. S. ROGERS, An Essay on Horseless Carriages and Paperless Negotiable Instruments: Some Lessons from the Article  Revision, in  Idaho Law Rev., , p.  ss., spec. p. , il quale stigmatizza, anche nell’uso fattone dal legislatore, non il necessario adattamento del diritto all’evoluzione tecnologica, quanto il modo in cui si procede, adattando cioè le categorie valevoli per la vecchia fenomenologia a quella nuova. In questo senso il titolo del saggio (horseless carriage, carrozza senza cavalli, che era il vecchio nome con cui vennero inizialmente chiamate le automobili) rinvia proprio all’attitudine a pensare ai nuovi fenomeni procedendo per analogia/differenza (anche in negativo: horseless) rispetto ai vecchi. Con riguardo al fenomeno della dematerializzazione, e continuando la metafora della carrozza senza cavalli, «the question is not whther the horseless carriage needs to be reshod or has to be shot, the question is whether we can keep the vehicle running». 214 La funzione “determinante” che viene assegnata all’annotazione è fondamentale, sia che la si concepisca ai fini della identificazione dell’oggetto del credito (ma aventi un’efficacia     un credito, il quale tuttavia va intercettato in tutte le sue continue modificazioni attraverso movimentazioni certe risultanti in un saldo finale, che possono essere dimostrate elettivamente per mezzo delle risultanze contabili215. Ma anche quando ci troviamo in un rapporto di durata non bancario caratterizzato da un’attività gestoria avente ad oggetto movimentazioni di somme, l’identificazione/individuazione del denaro scritturale oggetto del diritto, in ogni momento, può avvenire attraverso il ricorso all’elemento contabile, o in ogni caso di rendicontazione, pur adoperando alcune necessarie cautele216. Come è possibile inferire, rispetto alla individuazione materiale della moneta quando assume la forma di bene corporale, la determinazione/identificazione negli altri casi richiede, altresì, un corredo probatorio diffe- dichiarativa), come ritiene la dottrina e la giurisprudenza dominante (Cass.,  febbraio , in Giust. civ., , p.  ss.), sia nel conteso di ipotesi ricostruttive differenti. In questo quadro, si pone la tesi del FERRO-LUZZI, Lezioni di diritto bancario cit., spec. p.  s. e  s., la cui ricaduta principale è nell’inapplicabilità delle norme sull’anatocismo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi e che assegna all’annotazione in conto funzione determinazione diacronica della disponibilità, secondo una lettura attenta dell’art.  c.c., che riferisce la disponibilità alle «somme risultanti a […] credito». Secondo tale a., fintanto che dura il rapporto, un interesse creditorio appare incompatibile con la posizione di entrambe le parti, ma sorge solo alla chiusura del conto. 215 In proposito, Cass.,  novembre , n. , in CED Cassazione,  e in Pluris, in cui l’estratto notarile ex art.  c.c., attestante il mero saldo non è stato ritenuto essere prova sufficiente del credito. 216 Con riguardo al mandato, vedremo, come le risultanze contabili, in quanto elementi in grado di determinare l’ammontare e la provenienza della liquidità monetaria spettante al mandante, possano “integrare” il contenuto dell’atto avente data certa e opponibile ai terzi. Peraltro, anche nel mandato, sebbene con funzione diversa (in quando presupponente già l’esecuzione dell’incarico), è previsto come effetto naturale l’obbligo di redigere un rendiconto di gestione, e ugualmente nella disciplina speciale (ad esempio nelle gestioni patrimoniali mobiliari). Pur non applicandosi le norme e gli effetti previsti in tema di conto corrente (art.  c.c., cfr. nt. successiva), la documentazione contabile e gli estratti possono assumere una importante valenza probatoria. Cfr. Cass.,  febbraio , n. , in Giur. it., , p.  e in Pluris e Cass,  aprile , n. , in Pluris, circa i rendiconti di gestione periodici nel mandato e nella gestione individuale. In tema di conto corrente bancario, ai fini della determinazione del saldo per l’ammissione al passivo, la prova di tutte le movimentazioni che hanno generato detto saldo è libera (estratti conto, documentazione delle singole operazioni). Cfr. Trib. Napoli,  novembre , in Fallimento, , p.  e in Pluris. A ben vedere, tale elemento di continuità ai fini della determinazione del saldo finale può essere altresì preso in considerazione allorquando si rende necessario individuare il denaro come cosa determinata. Modelli di circolazione e forme strutturali rente217. Tuttavia, ciò non esclude che la medesima vicenda sia applicabile, e così per gli effetti giuridici derivanti; piuttosto le possibilità in concreto di identificare l’oggetto della pretesa possono aumentare. Questi – ci sembra – siano i passaggi logici fondamentali in base ai quali giurisprudenza e dottrina fanno usualmente riferimento alle vicende di confusione patrimoniale a proposito del denaro e degli strumenti dematerializzati non separati218. Se, dunque, attraverso mezzi funzionalmente equivalenti è possibile identificare le movimentazioni delle disponibilità monetarie, non si vede come non possano essere ad esse riferite le situazioni o vicende giuridiche valevoli per il denaro-cosa, ovvero situazioni che garantiscano le medesime facoltà. Le categorie operanti nei casi in cui il denaro o suoi sostituti siano oggetto di conflitti tra più soggetti non saranno necessariamente quelle dei diritti reali, ma di situazioni che al pari di quelle determinino conseguenze 217 Ad esempio, facendosi riferimento a produzione documentale, risultanze contabili, eventuali estratti conto. Infatti, a fronte del fatto che il conto viene annotato da un soggetto in potenziale conflitto di interessi (agent, cfr. cap. V), nei rapporti bancari, il legislatore ha previsto un’attività di controllo da parte dell’altro correntista, attraverso l’obbligo di invio e la possibilità di contestare entro, comunque, un congruo limite di tempo, un estratto conto, inviato periodicamente (ex art.  c.c., applicabile, per il rinvio di cui all’art.  c.c. anche alle operazioni bancarie in conto corrente). Tale estratto costituisce prova solo in caso di non contestazione (Cass.,  maggio , n.  in Pluris), e in ogni caso può in astratto non risultare conforme alle scritture contabili. Infine, è consolidato orientamento di legittimità che tuttavia, la mancata contestazione dell’estratto conto non impedisce la contestazione della validità ed efficacia del rapporto obbligatorio sottostante. Cfr. Cass.,  maggio , n.  in Obbl. Contr., , p. , ove tuttavia l’approvazione è stata considerata valere come ratifica del giroconto; Cass.,  novembre , n. , in Pluris; nonché Trib. Salerno,  marzo  e Trib. Benevento,  settembre , entrambe in Pluris. Va ricordato, infine, che in sede processuale le parti in questo caso possono avvalersi di ordini di esibizione (art.  c.p.c.) dell’estratto conto storico; ovvero di scritture contabili dell’imprenditore (art.  c.c.) 218 Per la giurisprudenza, cfr. spec. cap. III. ... In dottrina, SALAMONE, Gestione e separazione cit., p. , ove «Gli strumenti finanziari dematerializzati possono però essere utilmente assimilati […] ai beni fungibili in senso proprio […] perchè sotto il profilo della disciplina della responsabilità patrimoniale – non passa differenza tra il regime della opponibilità ai creditori delle vicende dei beni commisti in una massa comune pro diviso ed il regime della opponibilità ai creditori di unità di investimento consistenti esclusivamente in scritturazioni … il momento della documentazione contabile svolge un ruolo essenziale […] Lo stesso è probabile che debba osservarsi per il denaro».     certe circa la consistenza patrimoniale dei soggetti coinvolti nell’operazione219-220. 219 Come abbiamo visto nell’excursus condotto in questo capitolo, il problema fondamentale che ricorre con riguardo al denaro, quando non viene utilizzato come strumento di pagamento, e agli altri fungibili, è rappresentato dalla necessità di individuarlo/identificarlo, al fine di determinare il passaggio del rischio (di sottrazione, per il denaro) o risolvere situazioni di conflitto tra più soggetti. In questo secondo caso, la veste giuridica che può esser data alla soluzione del problema è stata rintracciata, alternativamente, nell’attribuzione di un diritto di proprietà (o altro diritto reale), ove quindi si tratterà di procedere all’individuazione, in senso tecnico-giuridico, del denaro; ovvero, nell’apparato distinto di regole governanti la responsabilità patrimoniale, anche in punto di determinazione dell’oggetto del diritto opponibile. Facendo riferimento alla prima opzione, sono sorte le questioni relative all’esistenza di un possibile diritto di proprietà sul denaro. La questione non è meramente teorica poiché consente di definire, nella prima e più tradizionale prospettiva, come non vi siano ostacoli normativi ad una separazione o individuazione del denaro (già come denaro-cosa) ai fini di una prevalenza rispetto a terzi creditori. Questo passaggio consente altresì di prescindere dalla questione, in certo senso formalistica, se il diritto di proprietà (o altro diritto reale) possa affermarsi con riguardo alla moneta scritturale, ma di verificare se possano essere realizzati i medesimi effetti giuridici, in astratto possibili per il denaro-cosa. 220 Ad esempio, con riguardo al pegno irregolare su conto corrente bancario (in particolare libretto di risparmio al portatore), si è discusso se si potesse parlare propriamente di pegno irregolare su una somma di denaro che, essendo già stata depositata presso la banca nei modi e per gli effetti stabiliti dall’art.  c.c., non è più in proprietà del depositante, il quale vanta soltanto un diritto di credito di cui può in seguito disporre (CHINÈ, Sul pegno omnibus di libretto di risparmio al portatore, in Corr. giur., , p.  ss. conclude che il pegno di libretto di risparmio al portatore sarebbe una fattispecie ibrida assimilabile, nella costituzione, al pegno di cosa mobile, e nel contenuto al pegno di crediti). In verità, può pensarsi ad una valutazione non formalistica ove si consideri che un credito disponibile, per definizione, non è soggetto a scadenza (sarebbe cioè inapplicabile l’art.  c.c., ad esempio). In questo caso, la situazione di appartenenza (se si vuole non strettamente proprietaria perché non avente ad oggetto una cosa corporale) può dirsi confermata, secondo una valutazione di equiparazione funzionale, oltre che da indici giurisprudenziali, ove si consideri appunto il denaro come bene di un soggetto in quanto, unico legittimato a disporne. Capitolo terzo Gestioni di denaro e strumenti di tutela . Il denaro come oggetto di gestione: interesse recuperatorio e valore finanziario. – . Le gestioni di denaro secondo il diritto comune e secondo il diritto speciale dei mercati finanziari. – .. Segue. Gestione e destinazione nella prospettiva dell’autonomia privata: rapporto tra regolamento negoziale e separazione patrimoniale. – ... Segue. Condotta (infedele) del gestore e tutela del gerito. – .. Segue. La disciplina di diritto speciale dei mercati finanziari e la tutela dell’investitore. – . Insufficienza della teoria della mera separazione a fornire adeguata tutela in caso di denaro come oggetto della gestione. Il nodo di fondo: la commixtio nummorum e i limiti derivanti dall’adesione all’opinione dominante. – . Opponibilità della destinazione e criterio quantitativo - contabile come soluzione possibile. – . La rilevanza del dato contabile e il problema della tracciabilità. . Il denaro come oggetto di gestione: interesse recuperatorio e valore finanziario Quale premessa ad una valutazione della rilevanza del denaro come oggetto di gestione, si è verificato, di questo, il comportamento nella circolazione giuridica, evidenziandone i fatti e le vicende principalmente correlati; rispettivamente, la confusione (ed e contrario la individuazione) e il trasferimento1. Pur adottando una prospettiva di inevitabile reificazione del denaro (cioè del denaro come cosa), si è tentato, tuttavia, di evidenziare una precisa esigenza già emergente all’interno di quella visuale: riconoscere un diritto sul denaro prevalente rispetto alle pretese di terzi, in specifiche circostanze, primariamente nelle ipotesi di affidamento conservativo. Di tale istanza si è, 1 Si ricordi, tuttavia, come F. CARNELUTTI, Teoria giuridica della circolazione, Padova, , costruendo le categoria dell’analisi giuridica della circolazione sulla concezione economica, assumesse che la circolazione abbia ad oggetto esclusivamente beni (recte diritti assoluti), essendo la moneta solo un ens medium.    altresì, verificata la configurabilità, in base al dettato legislativo, e le opzioni interpretative. Se volessimo, a questo punto, mantenere la stessa prospettiva dell’effetto giuridico, passando al momento della sua attuazione, potremmo dire che quell’ottica di realità, cioè di rilevanza rispetto a terzi della situazione giuridica sul denaro, può essere più compiutamente rivalutata come conseguenza della opponibilità del titolo da cui quella situazione origina2. Ma si tratterebbe di un’inversione logica. L’analisi che qui si propone mira a fornire una lettura di precise attività (quelle gestorie) relative al denaro, soprattutto alla luce dell’evoluzione dei mercati finanziari3. In tali ipotesi il problema del conflitto di situazioni giuridiche trova soluzione, come vedremo, in regole di opponibilità4. Tuttavia, adottare esclusivamente la prospettiva che appartiene all’effetto giuridico sarebbe improprio, poiché tralascerebbe la valutazione degli interessi sottesi5. Merita, a questo punto, migliore specificazione l’espressione con la quale abbiamo qualificato l’ambito operazionale del quale ci occupiamo: le gestioni di denaro6. 2 Configura l’inefficacia relativa come la fase di attuazione dell’effetto giuridico rispetto ai terzi, che tuttavia non incide sulla produzione dello stesso V. SCALISI, voce Inefficacia (dir. priv.) cit., p.  ss. Sulla categoria dell’attribuzione, più in generale della circolazione come categoria dell’effetto (giuridico) piuttosto che dell’atto, o della causa, cfr. R. NICOLÒ, voce Attribuzione patrimoniale cit., p.  e cfr. supra cap. II, nt. . 3 In una prospettiva ben diversa, quella dell’esercizio dell’attività bancaria, il denaro può essere oggetto di attività di intermediazione, a costo però di non divenire mai mezzo strumentale di scambio. Sul denaro come oggetto primario dello scambio e sulla sua assoluta qualifica, in questo contesto, come “bene”, P. VITALE, Attività intermediaria nella circolazione del bene «denaro», in Riv. dir. comm., , II, p.  ss. 4 Ancora, sulla distinzione tra conflitto (di situazioni aventi identico oggetto e contenuto) e concorso (di situazioni soggettive appartenenti a figure diverse) di diritti su uno stesso bene, secondo una certa corrente di pensiero, V. SCALISI, voce Inefficacia (dir. priv.) cit., spec. p. . L’a., tuttavia, chiarisce come, ove si preferisca parlare in queste ipotesi (tra cui vengono incluse quelle che sorgono relativamente a beni gravati da vincoli di indisponibilità), di concorso, esso andrà limitato a diritti incompatibili, risolvendosi, quindi in un conflitto (p. ), che il legislatore tendenzialmente risolve con una forma intermedia di tutela: l’inefficacia relativa rispetto ai terzi, ovvero, in taluni casi, con l’inefficacia assoluta (art.  c.c.). 5 Come detto, quella prospettiva (presente nel cap. II) risulta appunto meramente funzionale all’analisi del fenomeno monetario nelle gestioni. 6 Se la guardassimo da un punto di vista sistematico, la “gestione” si pone al crocevia di Gestioni di denaro e strumenti di tutela La fenomenologia oggetto d’indagine rimanda alla categoria giuridica della gestione, che attiene all’area concettuale del comportamento umano, ovvero del rapporto giuridico. Gestione è, infatti, primariamente attività gestoria, che assume significato giuridico solo in quanto connessa alla cura dell’interesse altrui (gestione nell’interesse altrui), e che, nel nostro caso, ha il suo titolo in un accordo tra le parti, fonte degli obblighi per il gestore7. In questo ancora generalissimo quadro dell’agire per conto di fonte negoziale, il denaro funge da strumento, da mezzo per la realizzazione dell’interesse alieno e per l’espletamento dell’attività gestoria (arg. ex art.  c.c.), la quale tuttavia può avere la più diversa caratterizzazione8. una serie di altre categorie giuridiche, potendo variamente sovrapporsi ad una destinazione, o un contratto di fiducia, o coincidere con un’ipotesi di interposizione (reale). Sul dubbio valore di categoria giuridica all’ “interposizione di persona” per l’eterogeneità delle figure comprese, CAMPAGNA, Il problema dell’interposizione di persona, Milano, , p.  ss. La “riesuma”, tuttavia, come modello formale per l’ipotesi di studio, A. LUPOI, L’interposizione finanziaria, Milano, , spec. pp.  ss. e  ss., ove tuttavia tale adozione è strumentale allo studio dei controlli societari. 7 È superfluo ricordare come il dettato codicistico riservi, invero, la denominazione di gestione (d’affari, ex art.  ss.) all’ipotesi nella quale il gestore non sia obbligato, ma intraprenda liberamente la cura dell’affare altrui. È tuttavia parimenti noto come la gestione, che s’identifica appunto con l’attività per conto altrui, sia ormai una categoria della scienza giuridica, così come pure, nel caso in cui essa discenda da un accordo delle parti, che si riconduce tipicamente al mandato, ma anche al negozio fiduciario o al contratto di lavoro, per indicarne solo alcuni. Sul punto, SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile cit., p.  ss. e, più di recente, G. DI ROSA, Il mandato, in Il codice civile. Commentario fondato da P. Schlesinger – diretto da F. D. Busnelli, artt. -, I, Milano, , p.  ss. Sull’origine della distinzione, tutta continentale e merito degli scritti di Jhering e Laband, della gestione rispetto alla rappresentanza, e quindi, dei due, solo in astratto separabili, profili interno ed esterno della rappresentanza o dell’agire per conto, si vedano K. ZWEIGERT e H. KÖTZ, An Introduction to Comparative Law, tradotto in lingua inglese da T. Weir, a ed., , p.  ss., spec. p.  s. Nella nostra letteratura, sul distacco della rappresentanza dalla gestione e quindi, sul principio per cui l’atto del gestore resta un atto di disposizione di patrimonio altrui, basti ricordare le pagine E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, rist. corretta della a ed., Napoli, , p.  ss., p.  ss. e p.  ss. Nell’ottica dialogica, come si dirà più innanzi, tra diritto generale e diritti speciali (dei mercati finanziari, in particolare), va segnalato, tuttavia, come il termine gestione sia stato utilizzato dal legislatore di settore nel senso attività finalizzata all’investimento (operante sia in monte, come gestioni collettive, sia su base individuale), che si specifica poi in numerose fattispecie: la «gestione di portafogli» (art.  T.U.F.), tipico servizio d’investimento su base individuale e discrezionale, nell’ambito di un mandato conferito dai clienti (art. , co. -quinquies T.U.F.); il servizio di gestione collettiva del risparmio (art. , co ., lett. n); le società di gestione del risparmio (art. , co ., lett. o). 8 Una recente analisi sull’attività gestoria e sui suoi tratti distintivi è in P. SIRENA, La categoria dei contratti di collaborazione, in I contratti di collaborazione, a cura di Sirena, in Trattato dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, Torino, .     Il denaro compare quasi immancabilmente come provvista finanziaria, strumento di gestione, ed in base alle caratteristiche e finalità della stessa, può essere scambiato per l’acquisto di altri beni. Sussistono, tuttavia, anche ipotesi in cui il denaro rappresenta il risultato stesso della gestione9. Esse si realizzano, principalmente, nello spazio di mercati finanziari e possono essere individuate nelle fattispecie previste dalla legislazione dell’intermediazione finanziaria (ad esempio dei servizi d’investimento10). In questi casi, il denaro non è solo strumento, ma anche esito del programma di gestione (anche nella veste di rendimento dell’investimento), e, quindi, criterio di valutazione dell’operato del gestore11. Afferma FERRO-LUZZI (L’assetto e la disciplina del risparmio gestito: profili giuridici, in ABI, Il testo unico della finanza, Roma, , p. ): l’operazione finanziaria «è l’affare che le parti montano, programmaticamente costituiscono in modo da iniziare e terminare con il denaro, essendo questo l’oggetto principale dell’operazione (altri beni potendo intervenire, ma in funzione strumentale)». Nello stesso senso ed efficacemente R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., p. : «Allorché la circolazione manifesta come dato istituzionale, una struttura monetaria, il denaro non rappresenta soltanto il punto di riferimento oggettivo del fenomeno, ma si pone quale “intenzionalità” finale della circolazione stessa. Ciò significa che ogni circolazione è determinata da opzioni gestionali che sono precostituite in funzione della realizzazione finale di un risultato reddituale, conseguibile soltanto mediante la ricapitalizzazione in forma monetaria». 10 La disciplina di riferimento è contenuta nel Testo unico dell’intermediazione finanziaria, d. lgs.  febbraio , n. , Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli artt.  e  della l.  febbraio , n. , e successive modifiche (d’ora in poi T.U.F.), nonché, per la disciplina secondaria, nel Reg. Intermediari (delib. Consob  del  ottobre ). È opportuno precisare che nel settore dell’intermediazione finanziaria personalizzata confluiscono anche le ipotesi di c.d. amministrazione dinamica effettuata dalle società fiduciarie (disciplinate dalla l. n.  del ), per effetto della equiparazione operata dall’art. , co. , d.lgs. n.  del , cui, in entrambi i casi rinvia l’art.  T.U.F. In realtà, tuttavia, le società fiduciarie, iscritte nella sezione speciale dell’albo SIM, non possono ritenersi pienamente equiparate alle imprese d’investimento, perché le prime, a parte l’esclusione dall’attività di gestione di patrimoni, possono conservare l’intestazione fiduciaria dei valori acquistati in nome proprio, ma per conto del fiduciante, per l’intera durata del rapporto d’investimento; mentre le seconde possono compiere in nome proprio l’operazione di acquisto o vendita (ex art. , co. , T.U.F), ma, devono, subito dopo l’acquisto, intestare gli strumenti finanziari al cliente. In tal senso, si veda G. FAUCEGLIA, voce Gestione fiduciaria, in Enc. dir., Agg. VI, , p.  ss., spec. p. . Sul punto anche M. ZACCHEO, Intestazione fiduciaria, in Studi in onore di Rescigno, V, Milano, , p.  ss. 11 Anche nella definizione più generale d’investimento (impiego di risorse per ricavarne un utile, ovvero impegno di risorse per acquisire beni o servizi suscettibili di fornire in 9 Gestioni di denaro e strumenti di tutela Avendo in mente questo quadro più specifico, già in precedenza, abbiamo parlato di “valore finanziario”. L’espressione va riferita a questo ciclo di continua trasformazione del denaro in altri beni, per poi ritornare denaro, in cui l’interesse del cliente/gerito non si specifica nel conseguimento di un bene, ma nel valore atteso del medesimo12. In questi casi la caratterizzazione in senso monetario dell’operato del tempi successivi un’utilità economica), vi è l’idea del perseguimento di un utile economico, che permane quale sia il profilo di rischio del cliente e quale il regolamento dell’attività gestoria. In questo senso, il perseguimento di un risultato (economico, che in questo caso è la produzione di un reddito per effetto dei flussi di circolazione nel mercato finanziario) rappresenta un obiettivo costante nelle attività d’investimento, da valutarsi secondo la durata del rapporto gestorio complessivamente inteso e nelle singole decisioni d’investimento. Da un punto di vista anche giuridico e più precisamente a caratterizzare il regolamento contrattuale, quindi, questo risultato converge nel profilo obiettivo dell’oggetto dell’obbligazione. Si tratta quindi del risultato dovuto che fonda, tra gli altri, l’affidamento delle parti. Sull’ormai superata contrapposizione tra obbligazioni di mezzo e di risultato, nel quadro dell’unitarietà della responsabilità del debitore, disciplinata dall’art.  c.c., cfr. Cass., SS. UU.,  luglio , n. , in Europa dir. priv., , p.  ss., con nota di NICOLUSSI, Il commiato della giurisprudenza dalla distinzione tra obbligazioni di risultato a obbligazioni di mezzi, nonché Cass., SS. UU.,  gennaio , n. , in Resp. civ. prev., . In proposito A. NICOLUSSI, Sezioni sempre più unite contro la distinzione tra obbligazioni di risultato e di mezzi. La responsabilità del medico, in Danno e responsabilità, , p.  ss.; e F. PIRAINO, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi ovvero dell’inadempimento incontrovertibile e dell’inadempimento controvertibile, in Europa dir. priv., , p.  ss. Sulla nozione d’investimento e mercato finanziario, si veda R. G. LIPSEY, Introduzione all’economia, Milano, , p.  ss. 12 Cfr. cap. I, nt.  e testo corrispondente. Efficacemente, R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., p.  s.: «Allorché la circolazione manifesta, come dato istituzionale, una struttura monetaria, il denaro non rappresenta soltanto il punto di riferimento oggettivo del fenomeno, ma si pone quale “intenzionalità” finale della circolazione stessa. Ciò significa che ogni circolazione è determinata da opzioni gestionali che sono precostituite in funzione della realizzazione finale di un risultato reddituale, conseguibile soltanto mediante la ricapitalizzazione in forma monetaria […] Le continue trasformazioni degli oggetti nella fase esecutiva della gestione – mediante l’attuazione delle singole operazioni di scambio – non costituiscono, infatti, che momenti attuativi della destinazione (all’investimento), predeterminata nel suo carattere generale dall’incarico negoziato dall’investitore». L’a. con riguardo al medesimo fenomeno, parla in proposito, tuttavia, di «valore patrimoniale», come pretesa al conseguimento, nel patrimonio della disponibilità di un “valore” patrimoniale, ovvero ad un espansione delle potenzialità economiche del patrimonio. Riteniamo che la differenza terminologica (valore patrimoniale – valore finanziario) abbia una portata prospettica, non sostanziale, basandosi, nel primo caso sull’ambito oggettivo dell’attività gestoria (un patrimonio separato, come unità di sintesi del complesso di beni oggetto dell’operare del gestore), nel secondo caso, sull’elemento “intenzionale” (vedi supra cit.).     gestore è ovviamente più forte, il che comporta non solo che l’attività gestoria preveda l’utilizzo di denaro, ma che ogni singola operazione in cui il denaro funge da valore di scambio, nel senso di prezzo di acquisto o vendita, sia valutabile – anche nell’ottica del rapporto obbligatorio – in virtù dell’ammontare monetario e che in ogni flusso (circolatorio) vi sia uno scambio di fungibile vs fungibile. Tale prevalenza del denaro (e degli altri beni fungibili) nella circolazione connessa a questi particolari tipi di attività gestoria e, quindi, nella consistenza del patrimonio ad essa relativo non è privo di rilevanza, poiché in base alla predominanza o meno dell’elemento fungibile (sia esso denaro, ovvero strumenti finanziari) si determinano gli strumenti e le probabilità di tutela per il titolare dell’interesse (gerito)13. Si guardi ad uno dei principali momenti attuativi dell’attività gestoria: come conseguenza dell’agire per conto v’è la formazione di un compendio patrimoniale separato in capo al gestore, avente ad oggetto tutti gli elementi patrimoniali ad essa connessi e perciò destinati14. In esso, tuttavia, secondo Con riguardo alla gestione di patrimoni per fini d’investimento, SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p.  nt. , ne sottolinea la funzione incentrata su di una dinamica di valori di scambio che accomuna le sorti del denaro a quelle degli altri beni fungibili. 14 Il collegamento tra rapporto gestorio e formazione di un patrimonio separato si spiega per effetto della centralità del momento funzionale. Cfr. P. SPADA, La tipicità delle società, Padova, , p.  ss., secondo cui il valore saliente di una fattispecie produttiva del rapporto gestorio è quello di funzionalizzare un’attività altrui. Intorno al concetto di funzione, infatti – ci chiarisce l’illustre a. – trova significato il fenomeno di attività nella sua dimensione non individuale (lì ovviamente l’attenzione è per i fenomeni, meta-individuali, cioè associativi), ma finalizzata (funzionalizzata appunto) ad una zona d’interessi precostituita con il contratto. La funzione, in questo senso, come «dimensione della produzione giuridica» (p. ) diventa «fattore ordinante di atti in attività» (p. ). L’a., in questo quadro, sebbene più volte giochi sull’alternanza tra presenza o mancanza di natura organizzativa (nel valore) della funzione (cura dell’interesse nel mandato) secondo che ad essa si associ o meno la spendita del nome, è portato, infine a riconoscere, un certo valore organizzativo (nt. , p. ) anche al mandato senza rappresentanza. In questo caso, il valore organizzativo della non ascrivibilità dell’atto alla funzione non incide sulla sorte giuridica delle fattispecie che realizzano essa funzione, cioè sulla validità dell’atto (come, invece, in caso di conflitto d’interessi, art.  c.c.). La mancata conformità, in virtù del rapporto di “asservimento”, rispetto all’interesse precostituito, incide in questi casi sulla sorte delle sue conseguenze, nel senso del mancato attivarsi del meccanismo di imputazione degli effetti nella sfera giuridica del mandante (art.  c.c.). Ora, è ancora nel valore organizzativo della funzione, come appunto assoggettamento dei singoli atti e dell’attività nel suo complesso al vincolo funzionale, che si giustifica la formazione di un patrimonio separato: nel momento in cui tale valora organizzativo si rivolge nei 13 Gestioni di denaro e strumenti di tutela l’interpretazione corrente di diritto comune, non sembra confluire il denaro (sia esso provvista finanziaria, oggetto intermedio o risultato della gestione), con la conseguenza che, a differenza che per gli altri beni, in caso esecuzione sui beni del gestore ovvero di suo fallimento, le somme non risultano separabili. A tale discrasia ha provato a sopperire la legislazione speciale in materia di servizi d’investimento e, più generalmente, di operazioni finanziarie15. È ben noto, infine, come tra i principali rischi della cooperazione giuridica (sostitutiva) in senso gestorio vi sia quello di comportamenti opportunistici del gestore, che solo parzialmente possono essere compensati da poteri di sorveglianza, o obblighi di render conto. L’ordinamento si cura, allora, di arginare tali rischi attraverso una serie di diritti spettanti al gerito (in materia di acquisti, ad esempio)16. Ma, ancora una volta, questi dispositivi di tutela sembrano non poter essere effettivamente operanti quando si dirigano verso beni fungibili e, innanzitutto, verso il denaro, con gravi insufficienze nell’ordine della giustizia sostanziale17. confronti dei terzi – creditori del mandatario, e diventa opponibilità a costoro, alle condizioni specificate dall’art.  c.c. (U. LA PORTA, Destinazione dei beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, , p.  s. e ampiamente, M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, ). In tal modo, il vincolo funzionale, la destinazione ad una determinata finalità, delimita la sfera della garanzia patrimoniale del debitore, sottraendovi i beni connessi all’espletamento della funzione. In questo senso anche G. FERRI jr., Patrimonio e gestione. Spunti per una ricostruzione sistematica dei fondi comuni di investimento, in Riv. dir. comm., , I, p.  ss. in part. p. . A tali risultati, se ben si vede, si è giunti partendo dall’altro polo concettuale interessato (la separazione patrimoniale), ad opera della dottrina giuridica più consapevole e recente (M. Bianca, La Porta, supra cit.), ma già R. RASCIO, Destinazione dei beni senza personalità giuridica, Napoli, . Infine, va segnalato come le tematiche che ruotano intorno a questi poli concettuali (la separazione patrimoniale, giustificata dalla funzione, che come abbiamo visto assume tipicamente come obiettivo la cura dell’interesse altrui) abbiano trovato particolare centralità e rinnovato interesse nel dibattito giuridico più recente in relazione all’interesse sorto intorno ad un’altra declinazione dell’elemento funzionale: la destinazione come limitazione della libertà dispositiva individuale anche quando essa si caratterizzi come autoreferenziale. Ci riferiamo alla tematica dell’atto di destinazione, su cui infra para. . 15 Cfr. infra in questo cap., para. .. e .. 16 L’analisi dei principali rischi (costi) che giustificano certi assetti disciplinari, nella prospettiva dell’analisi economica, saranno analizzati infra al cap. V. 17 Dice, efficacemente, SALAMONE, Gestione e separazione cit., p. : «e tanti saluti alla ricchezza finanziaria, che può prendere strade illegittime senza che il mandante possa inseguirla». Come si è anticipato nel testo, una regolamentazione che si è curata, pur con alcuni li-     Più in generale, l’attività gestoria determina delle variazioni del patrimonio, in cui acquista rilevanza, ai fini delle tutele esperibili, lo statuto giuridico dei beni acquistati con la provvista finanziaria. Con riguardo a questi ultimi, in una prospettiva appartenente ad altri sistemi giuridici, si è parlato di “sostituti” del denaro. Rispetto ad essi si verificherà la tutela concessa al gerito in termini di conseguenze sulla propria sfera patrimoniale. Sempre nella prospettiva del patrimonio, va valutata l’altra problematica a cui facevamo riferimento: quella dell’agire infedele del gestore. In questo caso, i criteri di analisi parzialmente cambiano: va prestata attenzione non più allo statuto dei beni, ma, dando per presupposta l’alienità del risultato alla sfera giuridica del gerito, al significato di vantaggio o svantaggio per quest’ultimo. Anche questa prospettiva, quando il risultato di vantaggio / svantaggio per il gerito sia valutato in termini economici, propria delle fattispecie di “eccesso di gestione” può essere vista come un’altra declinazione dell’idea di valore finanziario18. Alla luce di quanto sintetizzato, si determina quello che abbiamo più volte indicato come interesse al recupero in capo al titolare di somme che le affidi per la gestione ad un terzo gestore/intermediario. I flussi circolatori di denaro in un qualsiasi rapporto gestorio possono comportare, alternativamente, lo scambio con altri beni, e l’alienazione di questi al fine di realizzare un risultato monetario, spettante a colui nel cui interesse l’attività è compiuta. A costui si trasferiscono gli effetti della gestione, ove conforme alla programmazione, mentre ciò non avviene nel caso inverso, ove cioè l’operato del gestore si distacchi dal perseguimento dell’interesse del gerito, salva una diversa manifestazione di volontà di quest’ultimo espressa attraverso la ratifica dell’atto19. miti, di tenere in debito conto le problematiche relative ai beni fungibili è quella relativa alla intermediazione finanziaria, determinando così uno iato rispetto alla disciplina di diritto comune, cui si fa riferimento nel testo. 18 Si tratta di valutare il risultato economico della gestione e verificarne le possibili ricadute nella sfera giuridica del gerito. Questi casi ovviamente non coprono tutti i criteri di valutazione per verificare la vantaggiosità/svantaggiosità di un affare posto in essere dal gestore infedele, ma ne costituiscono comunque un aspetto rilevante. 19 Si veda, infra, in questo cap., para. .. e .. Gestioni di denaro e strumenti di tutela Aver interesse a recuperare i beni o i valori coinvolti nella gestione significa, quindi, dal lato del gerito, riottenere nella effettiva disponibilità tali beni, che giuridicamente fanno parte del proprio patrimonio, e che, tuttavia, per la natura del rapporto gestorio si trovano, nel patrimonio di un terzo che può omettere di rimetterli materialmente ovvero che si trovano esposti alla pretese dei creditori di questi20. Il patrimonio del gerito ha una sicura “forza di attrazione” rispetto ai beni che risultano coinvolti nella gestione, in astratto, in base alla sua configurazione normativa e disciplinare, ed, eventualmente, anche in conseguenza dell’illecito del gestore21. Rispetto a tale configurazione, va visto quali siano gli strumenti giuridici disponibili e come gli stessi si adattino quando l’oggetto del recupero è il denaro, ovvero, secondo la logica su chiarita un suo sostituto, valutato secondo la prospettiva del suo valore finanziario. 20 Nello stesso senso R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., p. , ove, rilevando il collegamento tra la disciplina delle gestioni di portafogli (ancora definiti d’investimento) e la disciplina del mandato, appunta come centrale, tra le tecniche del rapporto gestorio, la disponibilità giuridica dei risultati dell’attività di gestione. Può qui precisarsi che l’idea del recupero, al pari della prospettiva patrimoniale è indifferente rispetto alla qualificazione giuridica degli strumenti come reipersecutori ovvero restitutori su cosa determinata, tematica sulla quale pure si discute, ma la cui rilevanza teorica viene, con specifico riguardo ai beni fungibili, superata dalla questione pratica di fissare dei criteri volti a precisare la “determinatezza” della cosa, ovvero a stabilire quando il bene può dirsi determinato, in modo da considerare applicabile il rimedio. Peraltro, in alcuni casi, l’alternativa è superata dal dettato legislativo, come per l’azione ex art.  l. fall., su cui giurisprudenza e dottrina concordano nel porne a fondamento sia situazioni di carattere reale che personale. In senso contrario, ma isolata è la tesi del CASTAGNOLA, Le rivendiche mobiliari nel fallimento, Milano, , p.  ss., il quale ritiene che in ogni caso a fondamento dell’azione possano esservi solo diritti reali. 21 Il patrimonio come referente dell’attività di gestione appare quindi una scelta legislativa che coerentemente attraversa quella che, con un sapore vagamente antico, potrebbe dirsi la parte generale e speciale del diritto delle gestioni. Su quest’ultima, ancora R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., p.  s. in part. nt. , la quale, in particolare, giustifica l’inadeguatezza della logica proprietaria, nei rapporti tra cliente ed intermediario finanziario, poiché essi si esplicano con riguardo al denaro e agli strumenti finanziari. L’autrice individua nella separazione patrimoniale lo strumento tecnico idoneo ad evitare che, a causa del carattere fungibile, i beni affidati in gestione vengano a confondersi nel patrimonio dell’intermediario, pur non mancando di rilevare come ciò non faccia altro che ricalcare lo schema dell’art.  c.c.     . Le gestioni di denaro secondo il diritto comune e secondo il diritto speciale dei mercati finanziari Finora, abbiamo volutamente mantenuto generica la terminologia utilizzata per individuare la fenomenologia gestoria, utilizzando un lessico che ne condividesse la radice semantica (gestore – gerito, ad esempio). La scelta si giustifica per l’elevato numero di figure giuridiche che sono ascrivibili al fenomeno gestorio, da cui deriva la necessità di termini di riferimento generali, prima di operare qualsiasi delimitazione dell’ambito oggettivo. La fenomenologia gestoria, in cui il denaro funge da strumento, è amplissima: essa coinvolge non solo tutte le ipotesi in cui venga conferito del denaro ad un intermediario, perché questo lo utilizzi nell’interesse di colui che glielo ha trasferito, ma altresì tutti i casi in cui il denaro, pur non essendo stato inizialmente attribuito come provvista finanziaria per la gestione, emerga nell’esercizio della stessa (si pensi allo stesso come prezzo di un’alienazione, ovvero frutto o rendita di altro bene). In punto di qualificazione giuridica, in questa ipotesi generalissima possono venire in emersione, secondo le caratteristiche del regolamento negoziale, svariate figure: mandato, trust, negozio di destinazione, c.d. fiducia dinamica. Da un punto di vista descrittivo, inoltre, nel settore del diritto speciale dei mercati finanziari, e così anche a livello di industria dei pagamenti sono previste una pluralità di fattispecie: servizi e attività d’investimento, e, tra questi, innanzitutto, le gestioni di portafogli, i fondi comuni e i patrimoni di SICAV, attività gestorie consentite – sebbene con i limiti previsti dalla legge – per gli istituti di pagamento in relazione ai fondi della clientela. Tutte queste ipotesi sono oggetto di autonoma disciplina Ci si potrebbe chiedere, allora, quali sono le ragioni che inducono ad analizzare congiuntamente disciplina generale e speciale delle gestione. Da tempo la dottrina s’interroga circa i rapporti tra un diritto di parte generale, espressione di categorie e istituti aventi un valore ordinante, e quello che tempo poteva dirsi parte speciale, ma che attualmente comprende una pluralità di microsistemi di settore, espressione di interessi specifici e quindi informati a diverse rationes e regolati da una diversa disciplina22. 22 Il dibattito interessa, prevalentemente, il diritto dei contratti, ma, in ogni caso, ha una valenza più generale. Ex multis, G. B. Ferri, Le anamorfosi del diritto civile attuale cit.; PATTI, Parte generale e norme di settore nelle codificazioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., , p.  ss.; VETTORI, Gestioni di denaro e strumenti di tutela A fronte di queste plurime forze centrifughe e alla eterogeneità dei valori che quelle esprimono, le norme generali sembrano perdere il ruolo di cornice rispetto a quelle speciali. Tuttavia, è condivisibile l’opinione secondo cui, per un verso, le norme generali conservino quel ruolo razionalizzante e di relativa stabilizzazione che possono fornire solo la disciplina, i concetti e il sistema di valori che confluiscono in un codice, pur se ad esso non si può consapevolmente accompagnare un’affermazione di superiorità di rango23. Per altro verso, la disciplina speciale, in quanto fornisce la direzione dello sviluppo giuridico, è in grado di vivificare le prime24. Queste considerazioni assumono un significato specifico nell’ambito delle gestioni di denaro. L’analisi compiuta relativamente alle leggi di circolazione del denaro, come pure le problematiche generali che emergono nelle gestioni, hanno dimostrato come, indipendentemente dalla chiave di lettura che si scelga di adottare (se proprietaria o imperniata sulla garanzia patrimoniale), il denaro tenda a sottrarsi a logiche di identificazione, le quali rappresentano la premessa per affermare una pretesa appropriativa, o meglio recuperatoria25. Questo è chiaro nel diritto generale, mentre, proprio in virtù di queste difficoltà, il diritto dei mercati finanziari, e la regolamentazione relativa ad alcuni prestatori dei servizi di pagamento, ha assunto una diversa confor- La disciplina generale del contratto nel tempo presente, in Riv. dir. priv., , p.  ss.; C. CASTRONOVO, Il diritto civile della legislazione nuova, in Banca borsa tit. cred., , I, p.  ss.; DE NOVA, Sul rapporto tra disciplina generale dei contratti e disciplina dei singoli contratti, in Contratto e impresa, , p.  ss.; P. POLLICE, Aspetti attuali della teoria del contratto, in Dir. giur., , p.  ss., ove l’attenzione è rivolta ai rapporti tra la disciplina generale del contratto e i contratti dei consumatori. Si veda, altresì, GABRIELLI, L’operazione economica nella teoria del contratto, in Riv. dir. proc. civ., , p.  ss., spec. pp.  – , il quale, riprendendo il contenuto di precedenti scritti, analizza su un piano differente la “crisi del contratto”: quella che lo riduce allo schema dell’atto unico e propone di considerare l’operazione economica come categoria giuridica ordinante, utile ad interpretare fattispecie complesse sul piano strutturale (il richiamo è principalmente ai negozi collegati, ma anche alle discipline di fonte comunitaria che tendono ad assorbire dinamiche di mercato all’interno della regolamentazione del contratto). Nelle premesse del suo discorso, l’a. sembra aderire all’opinione espressa dalla dottrina più ponderata che individua parte generale e parte speciale del contratto come poli ineliminabili di una dialettica feconda. 23 G. B. FERRI, Le anamorfosi del diritto civile attuale cit., p.  ss. 24 G. BENEDETTI, La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., , I, p.  ss. 25 Cfr. cap. e para. che precedono.     mazione, più fortemente caratterizzata (recte meglio esplicitata) nel senso della separazione patrimoniale e, soprattutto, da precisi obblighi contabili dell’intermediario26. È allora nel fecondo dialogo tra questi settori che è possibile segnare il tracciato di una interpretazione, se si vuole evolutiva, della stessa disciplina generale (perciò applicabile anche in assenza di una norma di diritto speciale) la quale sia maggiormente adattabile alle esigenze della società attuale, in termini di diffusione della circolazione monetaria e finanziaria27. Cfr. infra paragrafi . e .. Giurisprudenza e dottrina non hanno mancato di leggere i segni di questa linea di sviluppo tra diritto generale e speciale. Si vedano, ad esempio, la ben nota Cass.  ottobre , n. , in Foro it. cit., sebbene la stessa, attraverso l’adesione a certa lettura dell’art.  c.c., facesse riferimento non ad ipotesi gestorie, ma di c.d. fiducia statica. La pronuncia, relativa a fattispecie anteriori all’entrata in vigore della legge speciale (l.  gennaio , n. , Disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari), si segnala, a questi fini, per il fatto di aver improntato la lettura del dato codicistico ad una soluzione “ragionevole” delle posizioni in conflitto. Relativamente a fattispecie sottoposte alla disciplina T.U.F. sull’intermediazione finanziaria, si veda Cass.,  luglio , n. , in DeJure ove espressamente: «La disciplina richiamata» (leggi T.U.F.) «rappresenta espressione e riconoscimento d’operatività sul piano specialistico della disciplina di diritto comune in materia di mandato, di cui agli art.  e  c.c. ed è, dunque, ricognitiva di un diritto soggettivo dei clienti sul patrimonio separato nella disponibilità dell’intermediario, da cui deriva un conflitto d’interessi con la massa dei creditori dell’intermediario che esclude che la tutela dei rivendicanti possa essere affidata al curatore»; nonché Trib. Firenze,  febbraio , in Foro it., , c. . La giurisprudenza richiamata, quindi, si attesta nel senso di inquadrare sistematicamente la disciplina di settore nelle categorie generali, ovvero utilizzare queste ultime in base alle esigenze del caso concreto per regolamentare fattispecie che non trovino collocazione nella prima, ovvero ancora seguire un’impostazione attenta a verificare la tenuta dei principi e regole generali. Si veda in questo senso, anche se con riguardo a diversi profili, Cass. SS. UU.,  dicembre , n.  e , in Giur. It., , p.  nota di Cottino; in Dir. Fall., , p.  ss., con nota di Sartori e in Contratti, , p.  ss. con nota di Sangiovanni. Quale notazione avente rilievo generale può rilevarsi, per altro verso, come, proprio in corrispondenza alla statuizione della disciplina sull’intermediazione finanziaria, le argomentazioni della giurisprudenza si siano spostate dall’adozione delle categorie proprietarie, ad un diverso piano di ragionamento, appunto suggerito dalla legislazione, che è quello della specializzazione o separazione patrimoniale. In dottrina, ci sembra che interpretino, sebbene in diverso modo, l’orientamento indicato nel testo, di un dialogo tra la disciplina generale e speciale, L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p.  ss.; M. BIANCA, La fiducia attributiva, Torino, , la quale propone, con riguardo alla fiducia attributiva, l’applicazione analogica delle norme sulla separazione patrimoniale dettate dal legislatore speciale in materia in intermediazione finanziaria; P. IAMICELI, Unità e separazione dei patrimoni, Padova, , p. . 26 27 Gestioni di denaro e strumenti di tutela Ma tale visione armonizzata si presta a fungere anche da criterio per colmare di alcune lacune che sono state intercettate nello stesso diritto dei mercati finanziari28. Va chiarito, a questo punto, quali siano le coordinate di riferimento e, anzitutto, la normativa di diritto generale anche in relazione alle molteplici configurazioni giuridiche che può assumere l’attività gestoria, quando avente fonte in negozio di mandato, fiducia, trust o atto di destinazione. È noto come non esista uno statuto generale delle gestioni29. Ma è altrettanto pacifico che s’individui nel mandato il modello generale di riferimento, in quanto tipo gestorio a bassa definizione, e, quindi ad elevata elasticità30; e che ad esso, quand’anche solo in una prospettiva meramente sistematizzante, possano essere ricondotti i contratti relativi alla prestazione di servizi d’investimento (art.  T.U.F.)31. Come chiarisce, sempre acutamente, L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., pp. -. L’a. individua nel rapporto tra diritto comune e diritto speciale non solo la legittimazione sistematica alle soluzioni di diritto speciale; ma, altresì, le soluzioni generali che possono trovare applicazione là dove il diritto speciale non disponga diversamente. Quindi, concentra la propria attenzione sulla soluzione di problemi applicativi in materia di servizi d’investimento: segnatamente, con riguardo a quelle ipotesi che sfuggono al principio della riserva di prestazione agli intermediari abilitati (artt. , co.  e  T.U.F.), ovvero, come egli desume dal combinato disposto delle norme, quando la prestazione del servizio avvenga in maniera non abituale, ovvero non realizzata nei confronti del pubblico, anche da parte di soggetti non abilitati. In questi casi, l’attività può considerarsi “libera” e pertanto sottoposta alla disciplina di diritto comune, di cui individua possibili interpretazioni alternative. 29 SALAMONE, Gestione e separazione cit., p.  s., il quale procede ad una distinzione orientata sulla funzione assolta dalla gestione, quando relativa ad un patrimonio, in: conservativa (è il caso di curatela dell’eredità giacente, art.  c.c.), distributiva (si pensi all’esecutore testamentario ex art.  ss. c.c., spec. art. ), liquidatoria (cessione di crediti ai creditori ex art.  c.c.). 30 V. ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, , p. ; ALCARO, Mandato e attività professionale, Milano, , p.  e G. DI ROSA, Il mandato cit., p.  ss.; ZACCHEO, Gestione fiduciaria e disposizione del diritto cit., p.  ss. 31 Si tratta di consolidata opinione, cfr. E. GABRIELLI e R. LENER, Mercati, strumenti finanziari e contratti di investimento, in I contratti del mercato finanziario, I, a cura di E. Gabrielli e R. Lener, in Trattato dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, , Torino, , p.  ss., nonché GALGANO, I contratti di investimento e gli ordini dell’investitore all’intermediario, in Contratto e impr. cit., p. . L’ascrivibilità dei contratti relativi alla prestazione di servizi d’investimento al modello generale del mandato è passaggio importante, poiché fornisce l’antecedente logico sul quale fondare un approccio comune. È bene chiarire, tuttavia, che il profilo problematico che abbiamo posto supra nel testo e che giustifica l’orizzonte del diritto speciale nel presente stu28     Allo stesso modo, si può concludere, sul piano delle categorie negoziali generali, per l’applicabilità della disciplina del mandato nelle fattispecie in cui l’attività gestoria è parte di un più vasto regolamento negoziale che può assumere una fisionomia diversificata. L’attività gestoria è certamente momento centrale in numerose fattispecie: il mandato, appunto, ma anche, quale ne sia la posizione riguardo alla sua collocazione nell’ordinamento italiano, il trust32. Può essere elemento accessorio in altre: una fattispecie di destinazione, intesa come derivante da un atto di autonomia privata avente un effetto di destinazione, ove lo si intenda come categoria generale non limitata neppure dall’art.  ter c.c.33, ovvero un dio guarda – potrebbe dirsi – alla direzione opposta, ovvero, a come proprio la normativa di diritto speciale abbia avuto il merito di gettar luce sulla lettura delle norme generali. 32 Come noto, le questioni giuridiche attinenti alla ammissibilità, liceità, disciplina del trust nell’ordinamento italiano si sono affermate con riguardo al c.d. trust interno, ovvero alla fattispecie che trova origine da una certa interpretazione dell’art.  della Convenzione de L’Aja (sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, del ° luglio , ratificata con l. /), e che consiste in un trust in cui tutti gli elementi significativi della fattispecie siano italiani, ad eccezione della legge regolatrice (straniera). Tale interpretazione, elusiva della natura internazional-privatistica della Convenzione, ad opera della dottrina prevalente (ex multis, e tra i moltissimi scritti dell’a. caposcuola di questo orientamento, M. LUPOI, Trusts, Milano, ; ID., Il trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione de L’Aja del  luglio , in Vita not., , p. ), è stata fatta propria anche dai ceti professionali e dalla giurisprudenza, come segnala L. GATT, Dal trust al trust. Storia di una chimera, Napoli, , pp.  ss. e  ss. cui si rinvia anche per ulteriore bibliografia, determinando una molteplicità di binari disciplinari e una grave instabilità dell’atto di trust, dovuta alle possibili incoerenze interne e, principalmente, dell’applicazione di una legge straniera da parte di operatori giuridici italiani. In un contesto di quasi unanime aderenza alla posizione suindicata, la posizione dell’autrice, sulla scorta di già illuminati contributi (cfr. G. PALERMO, Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in Riv. dir. comm., , I. p.  ss.), scardina alcuni “dogmi” presenti nel pensiero giuridico contemporaneo, inverosimilmente limitanti l’autonomia privata, e individua un complesso disciplinare e rimediale applicabile a fattispecie di “trust” di diritto interno (pron. con la “u”, a volerne sottolineare la collocazione nell’ordinamento italiano, in punto di struttura e di disciplina), che ha portata unificante anche rispetto ad altre fattispecie normalmente ad esso contrapposte e distinte: il negozio fiduciario, l’atto di destinazione. 33 La letteratura in tema di destinazione è amplissima e di essa non può darsi conto nell’economia del presente lavoro. Ci sia consentito, in questa sede e senza alcuna pretesa di esaustività, rinviare ad alcuni soltanto dei principali contributi in materia: M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, cit.; EAD. Atto negoziale di destinazione e separazione, in Riv. dir. civ., , I, p.  ss.; R. QUADRI, La destinazione patrimoniale. Profili normativi ed autonomia privata, Napoli, ; A. GEMMA, Destinazione e finanziamento, Torino, ; AA. VV., Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative. Studi raccolti dal Consiglio nazionale del notariato, Mi- Gestioni di denaro e strumenti di tutela negozio fiduciario34. Si pensi, partendo dall’ultima ipotesi, ai casi di fiducia dinamica35; alle lano, ; e, tra i più recenti, U. STEFINI, Destinazione patrimoniale ed autonomia negoziale: l’art. -ter c.c., Padova, . È ben noto come la tematica si sia arricchita di nuovi argomenti e prospettive a seguito dell’introduzione dell’art. -ter c.c., rispetto al quale si registrano orientamenti contrapposti principalmente in punto di struttura dell’atto, di ambito di applicazione (che ruota intorno all’interpretazione della “meritevolezza dell’interesse”, cui rinvia la disposizione), dell’impatto della stessa sul sistema, sulla natura costitutiva o dichiarativa della trascrizione. Cfr. P. MANES, La norma sulla trascrizione di atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti, in Contratto e impresa, , p.  ss.; A. ZOPPINI, Destinazione patrimoniale e trust: raffronti e linee per una ricostruzione sistematica, in Riv. dir. priv., , p.  ss.; A. LUMINOSO, Contratto fiduciario, trust e atto di destinazione ex art.  ter c.c., in Riv. not., , I, p.  ss.; G. LENER, Atti di destinazione del patrimonio e rapporti reali, in Contratto e impresa, , p.  ss.; G. DORIA, Il patrimonio ‘finalizzato’, in Riv. dir. civ., , II, p.  ss. Nel senso indicato nel testo, cioè di una norma ad ampia portata, in grado cioè di comprendere ipotesi di atti di destinazione a struttura unilaterale o bilaterale, con effetti attributivi o meno, a causa gestoria o meno, e con l’unico limite derivante dalla meritevolezza dell’interesse ex art.  c.c., inteso come rilevanza giuridica (idoneità a vincolare) è GATT, Dal trust al trust cit., p.  ss. Secondo tale interpretazione, la norma verrebbe soltanto a sancire una serie di effetti già contemplati nel sistema e ascrivibili all’opponibilità degli effetti di un atto che comporti un effetto destinatorio (artt.  e  c.c.). È evidente, infatti, come in una gestione puramente “mobiliare”, essa non troverebbe applicazione, ma ciò non ne esclude la rilevanza con riguardo al denaro, sia in ipotesi di gestioni “miste” sia in caso di redditività dei beni della destinazione, come dimostra l’estensione del vincolo della destinazione ai «frutti» come recita, appunto l’art. - ter c.c. 34 In ciascuna delle ipotesi indicate nel testo, ove le si voglia considerare categorie giuridiche distinte (contra GATT, Dal trust al trust cit., p.  ss. e passim), è tendenzialmente, anche dove non essenziale nella struttura e negli effetti della fattispecie, l’elemento gestorio. Sul punto M. BIANCA, Atto negoziale di destinazione e separazione cit., p. . Con specifico riguardo al trust, segnala la contiguità tra questo istituto e l’attività gestoria L. GATT, Dal trust al trust cit., p. , ove segnala come il ricorso al modello straniero del trust abbia avuto origine, sul finire degli anni ’, proprio in relazione allo sviluppo di certi tipi di operazioni economiche, e in particolare alla esigenza di una «gestione, quasi sempre lucrativa non meramente conservativa, di beni mobili ed immobili nell’interesse altrui». In tema di fiducia segnala la stretta connessione con il denaro e gli altri beni fungibili, M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., p.  «oggi lo schema fiduciario non viene più utilizzato prevalentemente, come avveniva in passato, al fine di trasferire temporaneamente un bene per poi riaverlo in un tempo successivo ma per realizzare attività dinamiche di investimento di beni o titoli che hanno come risultato finale quello della restituzione al fiduciante o a terzi beneficiari del profitto che il fiduciario ha realizzato con i beni oggetto di fiducia». Ugualmente dicasi relativamente alla destinazione. Ravvisa nella funzione gestoria l’ipotesi privilegiata di destinazione “accompagnata da una vicenda circolatoria (definita «destinazione dinamica») R. QUADRI, L’art.  ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contratto e impresa, , p.  ss., spec. ; nello stesso senso GATT, Dal trust al trust cit., p. . 35 Si tratta di una fattispecie enucleatasi con riguardo all’operatività delle società fi-     fattispecie di trust, ormai accolte nella prassi italiana36; a fattispecie di destinazione, ad esempio, anche relativamente alle ipotesi tipizzate dei patrimoni destinati del diritto societario37. Come noto, si registra attualmente un vivo dibattito in dottrina circa i confini e i limiti di ciascuna di queste fattispecie e sulle ricadute nei rapporti tra autonomia privata e garanzia del credito38. La centralità, con riduciarie, relativamente alle ipotesi in cui queste compiano attività di gestione sul patrimonio del fiduciante e che ha indotto parte della dottrina, poi seguita anche da recente giurisprudenza (cfr. infra e Cass. n.  /  cit.,), a parlare in questi casi di una fiducia “germanistica”, in cui la fiduciaria sarebbe intestataria soltanto della legittimazione, derivante dalla intestazione delle azioni e non anche della proprietà delle stesse (P. G. JAEGER, Sull’intestazione fiduciaria di quote di società a responsabilità limitata, in Giur. comm. , , I, p.  ss., p.  sul punto). Cfr. supra nt.  e infra nt. . 36 Si rinvia ancora a GATT, Dal trust al trust cit., passim, ove vi sono ampi e aggiornati riferimenti alla prassi negoziale e agli esiti giurisprudenziali. Sull’applicazione analogica delle norme sul mandato in caso di atti nominalmente di trust, ancora GATT, Dal trust al trust cit., p.  e nt. , ove si condivide la lettura di M. BIANCA, Destinazione patrimoniale e impresa: oggetto e contenuto dell’atto di destinazione, in AA.VV., Famiglia e Impresa strumenti negoziali per la separazione patrimonale, Atti del Convegno di Roma del  novembre , Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, , p. ; L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p.  ss.; PALERMO, Sulla riconducibilità del «trust interno» alle categorie civilistiche, in Riv. dir. comm., , I, p.  ss., in part. p. . Ne deriva, come vedremo più ampiamente infra al cap. IV anche dall’analisi della fattispecie negli ordinamenti di origine, come il mandato senza rappresentanza rappresenti l’unico prospettabile equivalente funzionale del trust nell’ordinamento italiano. 37 Art.  da bis a decies c.c., con particolare riguardo all’ipotesi del c.d. modello finanziario. Si rinvia, per un inquadramento della fattispecie e per alcuni commenti, si rinvia a A. GEMMA, Destinazione e finanziamento cit., pp.  – ; F. FERRO-LUZZI, Dei creditori dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Riv. dir. comm., , I, p.  ss.; G. GUIZZI, Mala gestio dello specifico affare e del patrimonio destinato e responsabilità degli amministratori. Profili sistematici, in Riv. dir. comm., , I, p.  ss.; A. CUCCURU, Patrimoni destinati ed insolvenza, in Contratto e impresa, , p.  ss. 38 La contiguità tra le fattispecie è reinterpretata nel senso di una prospettiva unitaria da GATT, op. ult. cit., pp.  ss., ,  ss.,  ss., spec. nt.  e passim, alla luce del comune effetto destinatorio che le fattispecie realizzano, e cui è possibile applicare le regole generali dell’opponibilità del titolo, desumibili dalla disciplina codicistica. Questa tesi riconduce ad unità di sintesi, superando alcuni limiti di quelle, le più lucide opinioni che pure si erano andate affermando in dottrina in tema di destinazione e separazione patrimoniale e che sono ben rappresentate da M. BIANCA, Atto negoziale di destinazione e separazione cit., p.  ss.: la “tesi negoziale” riconducibile principalmente all’opera del Palermo (cfr. PALERMO, Contributo allo studio del «trust» cit., p.  ss.), il quale ha valorizzato il profilo effettuale della destinazione, riconducendola al principio di autonomia negoziale e quindi posto le basi per la rilevanza e liceità dell’atto di destinazione; e quella “patrimonialista” che è invece ben presente nell’opera di Sala- Gestioni di denaro e strumenti di tutela guardo al denaro, del momento gestorio, e la compabilità, sul piano disciplinare, della normativa del mandato, con la cornice o struttura nella quale tale attività può essere inquadrata, superano, in ogni caso, tali problemi d’inquadramento e disciplinari39. Le tipologie negoziali suindicate possono sovrapmone (SALAMONE, op. cit.), che per primo ricostruisce lo statuto dell’opponibilità dell’atto di destinazione (artt. , ,  c.c.), pur lasciando intatto lo spazio operativo tradizionale del principio della responsabilità patrimoniale illimitata (art.  c.c.) (esplicitamente l’a. in questo senso, SALAMONE, op. cit.,  ss.). Va detto che nell’opera della Gatt trova accoglimento, in maniera centrale nella prospettiva rimediale, anche la proposta di distinguere tra limitazione del patrimonio e limitazione della responsabilità patrimoniale, secondo cui l’atto negoziale di destinazione va ascritto alla prima categoria, con la conseguente tutela in questa sede offerta dall’azione revocatoria (FALZEA, Introduzione e considerazioni conclusive, in AA. VV., Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative cit., p.  s.). 39 Anche con riguardo all’ipotesi della fiducia, pur volendo seguire l’orientamento tradizionale che la qualifica come figura autonoma, il richiamo alla disciplina del mandato, nel caso dell’intestazione fiduciaria in cui ad essa si associno obblighi gestori (c.d. gestione fiduciaria), è proprio della tesi, dominante in dottrina, del c.d. mandato fiduciario, e a cui aderisce anche l’opinione contraria (del contratto nominato di amministrazione di beni per conto terzi), richiamandosi al fatto che questo «si espliciti con le regole del mandato». Cfr. F. DI MAIO, Società fiduciaria e responsabilità per i beni amministrati nell’ambio dell’art.  legge fallim.: un caso di misconception?, in Dir. fall. , , II, p.  ss., spec.  s. (nota a commento di Trib. Milano , in ibidem, p.  ss.); nonché Trib. Cagliari,  dicembre , in Riv. giur. sarda, , p.  ss., sulla riconduzione del pactum fiduciae al mandato senza rappresentanza. Un principio di prevalenza della “sostanza sulla forma” si rintraccia anche in casi di fiducia attributiva (c.d. romanistica): nella disciplina in tema di bilancio d’esercizio, come rileva G. PORTALE, Fiducia «romanistica» e «prevalenza della sostanza sulla forma» nel bilancio bancario d’esercizio, in Banca, borsa, tit. cred., , I, p.  ss., spec. p.  ss., ove si assimila, ai fini della soluzione del quesito (trattasi di parere pro veritate), l’ipotesi della erogazione di finanziamenti in pool, sulla base di un mandato senza rappresentanza. In tema tuttavia di trasferimento fiduciario, la giurisprudenza resta contraria ad un’assimilazione tra fiducia e mandato, vedi infra la giurisprudenza a corredo dell’art.  c.c. Con riguardo in generale alla fiducia e al negozio fiduciario, per un suo inquadramento, si veda M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., pp.  – , nonché G. FURGIUELE, La fiducia e il problemi dei limiti del sistema, in AA.VV., Mandato fiducia e trust, a cura di F. Alcaro e R. Tommasini, Milano, , p.  ss. Più in generale, sui rapporti tra mandato e negozio fiduciario (entrambi qualificabili come c.d. contratti di fiducia, in cui rilevano cioè le qualità individuali dei contraenti) non è consentito spingerci, per la complessità e l’alternanza che la tematica ha assunto nel dibattito dottrinario, in cui si è passati da prospettive di totale coincidenza ad altre di totale estraneità. In proposito, A. LUMINOSO, Il mandato, Torino, , p.  ss. il quale rileva, cogliendo un’intuizione di certa dottrina, che «la fiducia sembra perciò svolgere una funzione tanto più penetrante nella vita di relazione quanto più distante dal diritto è la situazione da essa caratterizzata» (p. ). Nello stesso senso, ma con esclusivo riguardo alla fiducia c.d. segreta, GATT, op. ult. cit., p. . È noto come parte della dottrina, autorevole e consolidata, espres-     porsi, o meglio convergere, nel regolamento contrattuale a determinare l’assetto disciplinare rispondente all’interesse delle parti. Peraltro, va detto come l’attenzione che da tempo gli operatori giuridici e la dottrina rivolgono alle questioni della destinazione e della separazione, si concentrino, fuori dall’analisi di interventi legislativi, pur frequenti, che prevedono specifiche ipotesi di specializzazione di patrimoni, sui limiti del principio della responsabilità patrimoniale generica, sui margini della sua derogabilità, e, di riflesso, sulle assunte limitazioni all’autonomia privata nel prevedere quella che, secondo parte della dottrina, costituisce la causa della separazione: la destinazione40. Ove tuttavia, come di regola avviene, la destinazione ad uno scopo si accompagni al compimento di attività a questa strumentali e – diremmo – inevitabilmente implicanti trasferimenti di somme, si sarà in presenza di un’attività gestoria su denaro. Quest’ultima, regolata dalle norme sul mandato, non presenta alcun profilo di incompatibilità con la destinazione. Anzi, samente assimili la fiducia al mandato: cfr. GRAZIADEI, Agire senza spendita del nome, con effetti sul patrimonio altrui, in Resp. civ. prev., , p.  ss.; R. SACCO e G. DE NOVA, Il contratto, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco, I, Torino, , p. ; R. SACCO e R. CATERINA, Il possesso, in Tratt. dir. civ. comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da Mengoni, Milano, , p. . 40 L’economia del presente lavoro non consente di trattare in termini sia pur sintetici, la tematica dell’evoluzione legislativa e, più in generale, dell’ordinamento nel suo complesso verso la specializzazione della responsabilità patrimoniale, per cui si rinvia ex pluribus a P. SPADA, Persona giuridica e articolazione del patrimonio: spunti legislativi per un recente dibattito, in Riv. dir. civ., , I. p.  ss., A. DI SAPIO, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa dal fondo patrimoniale all’atto di destinaione ex art. -ter, in Dir. fam. pers., , p. ; G. CAPALDO, I patrimoni separati nella struttura delle operazioni finanziarie, in Riv. trim. dir. proc. civ., , p.  ss. Sulla destinazione come autonoma categoria giuridica indissolubilmente legata all’effetto separativo, per cui, nella sua accezione tecnica, essa comporta sempre un fenomeno di separazione patrimoniale, cfr. M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati cit., p.  ss. L’a. (EAD., Trustee e figure affini nel diritto italiano, in Riv. not., , p.  ss., in part. p. ) definisce, inoltre, una “destinazione patrimoniale implicita” la causa del regime di articolazione del patrimonio, nel caso di trust, negozio fiduciario, mandato. In merito, si veda supra nt. . Infine, il richiamo alla destinazione come causa della separazione va intesa in senso atecnico, non comportando l’adesione alla qualificazione giuridica della prima, in termini funzionali piuttosto che effettuali (destinazione come effetto giuridico derivante da un atto a causa neutra o variabile, cfr. GATT, Dal trust al trust cit., p.  e passim). V’è, in ogni caso, che la separazione, come effetto negoziale, si giustifica logicamente in quanto connessa al perseguimento di un determinato scopo (destinazione), ne costituisca, poi, questa – giuridicamente – causa ovvero sia, del pari, un effetto. Gestioni di denaro e strumenti di tutela rappresenta di quella non solo una variante strutturale, ma altresì lo statuto disciplinare al quale attingere, sul piano sistematico. Pertanto, sia da un profilo strutturale (di costruzione della fattispecie giuridica oggetto del presente studio), sia sotto un profilo disciplinare (per il richiamo alla disciplina del mandato, in astratto, anche in assenza di attività gestoria41), la separazione patrimoniale rappresenta un effetto legale centrale della destinazione (per conto altrui o per un fine specifico) 42. In questa prospettiva unificante, che è quella effettuale del rilievo reale della destinazione (la separazione), trova spazio l’ottica recuperatoria relativa al denaro. .. Segue. Gestione e destinazione nella prospettiva dell’autonomia privata: rapporto tra regolamento negoziale e separazione patrimoniale Il codice civile riconosce al mandato una rilevanza verso i terzi, cioè un suo valore organizzativo43, che è direttamente espressione del valore programmatico del contratto e del suo contenuto economico44. Ma l’idea di un’operazione giuridica implicante un effetto di destinazione su somme cui non si associ l’intervento di un terzo e il compimento di attività giuridica, per finalità di scambio, sarebbe – come si è già detto – puramente di scuola. 42 Parla di un «rapporto collaterale di gestione o di gestione o di amministrazione» rispetto ad una destinazione, M. BIANCA, Atto negoziale di destinazione e separazione cit., p. . Il problema è parzialmente differente da quello che è stato articolato dalla dottrina in tema di individuazione dello statuto della destinazione effettuale di fonte negoziale (Cfr. GATT, op. loc. cit. supra ntt. , , con altri rinvii a simili posizioni dottrinarie). Lì la lettura delle norme sul mandato è funzionale a fornire principi generali, cioè il ricorrere della separazione patrimoniale, nell’ipotesi in cui vi sia una destinazione ad uno scopo (destinazione che si astrae e generalizza rispetto all’interesse altrui). Qui l’applicazione delle norme del mandato avviene, anzitutto, per ragioni di ordine “strutturale”, in quanto insita nella configurazione dell’ipotesi di studio, in cui vi è per definizione un affidamento di somme ad un terzo ovvero una successiva gestione nell’interesse altrui di denaro emerso nell’attività gestoria. In tale contesto, il richiamo allo schema generale dell’agire gestorio, come confermato dalle norme della legislazione speciale considerata, non può che essere quello del mandato. 43 P. SPADA, La tipicità delle società cit., p. , nt. . 44 LUMINOSO, Il mandato cit., p.  ss. spec.  s., cogliendo alcuni spunti in opere precedenti (già CARRARO, Il mandato ad alienare, Padova, ), costruisce la relazione tra rapporto interno (tra mandante e mandatario) ed esterno (tra mandatario e terzo) in termini di un collegamento negoziale unilaterale, dato che il negozio che costituisce la, o parte della, prestazione gestoria non contiene alcun riferimento al mandato. La ricostruzione in termini di col41     Infatti, nonostante il principio della irrilevanza esterna dell’agire del mandatario in nome proprio, il quale acquista i diritti e gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi (art. , co. , c.c.), deve ritenersi omogeneo alla restante disciplina il corpus normativo (artt. , co.  parte seconda,  co. ,  c.c.)45, che, – si ribadisce – nel dare voce all’assetto d’interessi espresso nel contratto, consente in vario modo l’intervento del gerito, in relazione e contro l’eventuale infedeltà del gestore46. Si tratta, quindi, di un sistema che, implicitamente riconoscendo l’efficienza economica dell’agire intermediato (ovvero della cooperazione gestoria sostitutiva), consente il palesarsi del titolare dell’interesse economico dell’operazione, anche nei confronti di terzi ai quali, secondo il va- legamento ne determina la rilevanza esclusiva tra mandante e mandatario (e relativi creditori), non anche – di regola – rispetto al terzo contraente (e suoi creditori o aventi causa). L’a. rileva comunque che la portata da assegnare a questo collegamento continua a rappresentare il vero problema del mandato, soprattutto per quanto riguarda i numerosi profili non disciplinati, pur essendo chiaro un punto: l’emersione di tale collegamento (e quindi l’opponibilità ai terzi) è rimessa ad una decisione del mandante, nel cui interesse è la segretezza del rapporto di mandato. Alla luce di quanto detto, il riferimento fatto nel testo al contenuto economico va inteso con riguardo alla complessiva “operazione economica” (per riecheggiare la categoria elaborata dal Gabrielli), e al suo al contenuto, ovvero al programma negoziale (o insieme dei risultati programmati, cfr. C. M. BIANCA, La vendita e la permuta cit., p.  ss.), e non intende echeggiare invece l’idea, pur presente in larga parte della letteratura sul mandato sulla distinzione tra titolarità formale e suo momento dinamico (ex multis PAPANTI PELLETIER, Rappresentanza e cooperazione rappresentativa, Milano, , p.  ss., ma si vedano gli autori citati infra alla nt.  relativamente alla tesi dell’acquisto diretto). In questo senso elemento fondamentale dell’oggetto del programma negoziale è la destinazione al mandante dell’operazione negoziale nel suo complesso e di tuti i vantaggi e svantaggi economici dell’affare. 45 MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale cit., p. , sottolinea la stretta connessione tra queste norme, in part. art.  co., e , co. , c.c. 46 L’ipotesi-tipo qui presa in considerazione è quella del mandato senza rappresentanza, in considerazione del fatto che le vicende riguardanti i beni fungibili, ad esempio quelle determinate dalla confusione, rilevano indipendentemente dalla spendita del nome da parte del gestore/intermediario. In considerazione di questi aspetti, la legislazione speciale ha equiparato obblighi ed effetti della separazione, indipendentemente dall’agire dell’intermediario in nome del cliente. Cfr. infra para. .. Vi è poi un ulteriore motivo, rappresentato da quanto visto supra al para. precedente. Dal punto di vista dell’imputazione e degli assetti patrimoniali la disciplina del mandato senza rappresentanza offre quello statuto generale che ne consente l’applicabilità ad ipotesi nominalmente destinatorie ovvero fiduciarie (anche nel senso di riferibili ad operazioni formalmente denominate di trust). Ad essa quindi, per la prospettiva ampia adottata, conviene riferirsi. Gestioni di denaro e strumenti di tutela lore programmatico del rapporto gestorio, fino ad allora era rimasto occulto47. Questa prevalenza del valore programmatico del mandato su quello dei rapporti derivanti dall’agire gestorio consente che il bilanciamento di forze operante nel conflitto tra mandante e mandatario si riverberi sui creditori, che avranno una posizione analoga al proprio debitore48. È noto come il dettato codicistico attribuisca al mandante la possibilità di: rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio (fatti salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede, art. , co. , c.c.)49; esercitare i diritti di credito de- 47 Nel mandato, l’ingerenza del mandatario nella sfera giuridica del dominus non ha mancato di essere qualificata anche nei termini di disponibilità. Il concetto di disponibilità connesso all’attività gestoria, si caratterizza, innanzi tutto, come disponibilità (materiale) dei beni, idonea a determinare l’acquisto del terzo (nel mandato ad alienare) e si specifica, nel suo significato normativo, come iniziativa negoziale. Il rilievo è sottolineato dal PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in ID., Diritto civile. Saggi, Milano, , p.  ss., spec. p. , nonché in ID., Studi sulla rappresentanza, Milano, , p.  ss., che pone in rilievo come la disponibilità “possessoria” dei beni nel mandato ad alienare, giustifichi le relazioni giuridiche che ne conseguono. È noto come l’a. riconducesse gli effetti dell’alienazione gestoria, limitandola ai soli beni mobili, all’art.  c.c. e al valore che in tale ipotesi assumerebbe l’autorizzazione a vendere conferita al mandante, cioè di atto escludente la mala fede del terzo acquirente. In senso contrario L. MENGONI, Gli acquisti a non domino cit., p.  ss. che, nel mandato ad alienare, riconduce l’effetto traslativo del diritto, dal punto di vista causale, ad una fattispecie negoziale dispositiva formata da due negozi (quello autorizzativo, tra il titolare e l’alienante) e il negozio autorizzato (tra il non titolare e il terzo) funzionalmente collegati in vista della produzione dell’effetto traslativo, ed esclude a priori l’illegittimità dell’atto di alienazione in questi casi per effetto dell’autorizzazione del mandante. Cfr. inoltre R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., p. . Sull’operatività del concetto di disponibilità nei contratti di affidamento conservativo, cfr. supra cap. II, para.  testo successivo a nt. . 48 Cfr. supra nt. . 49 Nel caso di mandato ad acquistare cose mobili non registrate, l’espressa previsione dell’art. , co. °, c.c., viene di regola letta (in combinato con l’art. , co. , c.c. e per il richiamo operato agli acquisti dei terzi in buona fede dal mandatario) nel senso della contestualità del trasferimento al mandante del diritto acquistato dal mandatario in via strumentale ed è stato accolto dalla giurisprudenza (sull’impostazione generale, ex multis Cass.  gennaio , n. , in Pluris), ma cfr. infra nt. successiva). Nel senso dell’acquisto automatico e contestuale dal mandatario al mandante, che presuppone il previo acquisto (strumentale) del mandatario dal terzo (doppio trasferimento) A. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, in Tratt. CicuMessineo, Milano, , p.  ss.; MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, Torino, , p. ; CAMPAGNA, Il problema dell’interposizione di persona, cit.,     rivanti dall’esecuzione del mandato (art. , co. , parte a c.c.)50; in caso di azione esecutiva o fallimento del mandatario, sottrarre i beni acquistati dal mandatario in nome proprio (art.  c.c.; in combinato disposto con art.  c.p.c. e art.  l. fall.). La risoluzione del conflitto in quest’ultimo caso, con riguardo ai beni mobili e ai diritti di credito, è affidata al criterio della data certa dell’atto di mandato; il mandante (e i suoi creditori) prevarrano sui creditori del mandatario solo in caso di anteriorità dell’atto di mandato rispetto al pignoramento (o fallimento del mandatario)51. p.  ss. Altra dottrina, come ben noto, propendeva per l’idea del trasferimento diretto dal terzo al mandante (PUGLIATTI, Rilevanza dal rapporto interno nella rappresentanza indiretta, in Riv. trim. dir. proc. civ., , p.  ss.; SACCO, Principio consensualistico ed effetti del mandato, in Foro it., , I, c. ss.; MESSINEO, Il contratto in genere, I, in Tratt. dir. civ. comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, , p. ; così anche MENGONI, Gli acquisti, cit., p. , nt. , secondo cui solo questa seconda interpretazione consente, in caso di trasferimento a non domino, di escludere l’acquisto per il mandante in mala fede, applicandosi analogicamente l’art. , co. , c.c. Aderendo al primo orientamento, invece, costui non potrebbe che essere avente causa dal mandatario – in buona fede – cioè a domino. 50 La portata di questa norma è stata di recente oggetto di interpretazione restrittiva da Cass., SS.UU.,  ottobre , n. , in Guida al dir., , p. , con nota di Piselli; in Nuova giur. civ., , I, p. , con nota di Abatangelo; in Corriere giur., , p. , con nota di MAFFEIS e DE GIORGI, Le azioni contrattuali nel mandato senza rappresentanza: interesse del mandante e affidamento del terzo; in Riv. not., , p., con nota di Mazzotta; in Obbl. contr., , p.  con nota di LONGO, Affidamento del terzo nel mandato senza rappresentanza e unicità del fatto costitutivo quale presupposto dell’azione di arricchimento. Il Supremo Collegio, che si adopera in una lunga ricostruzione delle varie teorie del mandato, non accoglie la tesi del trasferimento automatico (che peraltro – se si vuole – mostra le sue debolezze proprio in tema di diritti di credito) relativamente al potere di sostituzione del mandante nell’esercizio dei diritti di credito, nel momento in cui esclude l’esperibilità da parte del mandante di azioni contrattuali e limitando la sua legittimazione all’esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario. La soluzione, che rispetto al pensiero dominante in dottrina, non per le incertezze giurisprudenziali, non è foriera di novità, interessa, invece, per l’inquadramento sistematico: viene ricondotta, infatti, al carattere eccezionale che avrebbero le norme che riconducono posizioni, sostanziali e processuali, in capo al mandate rispetto ai terzi contraenti. In senso critico rispetto alla pronuncia in esame si veda DI ROSA, Il mandato cit., p.  s., nt. , cui si rinvia (spec. pp.  ss.) per una sintetica analisi delle tesi via via emerse in dottrina a commento della norma e presentate in termini talora oscuri nella sentenza del S.C. Va, infine, notato come l’idea di un sistema disciplinare non unitario che vede l’alternanza di regole-eccezioni si pone in contrasto con la lettura accolta nel testo e, in proposito, si veda LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione cit., pp.  e . 51 Per quanto riguarda l’inquadramento sistematico della norma, cfr. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione cit., p.  ss., per la tesi di un carattere autonomo della norma rispetto sia all’art.  c.c. (relativo alle alienazioni anteriori al pignoramento), sia all’art.  c.c. Gestioni di denaro e strumenti di tutela Questo meccanismo di attribuzione degli effetti dell’agire gestorio riconosce, quindi al mandante, la possibilità di esercitare azioni di natura reale sui beni acquistati dal mandatario (pur residuando in capo a questi le azioni possessorie)52 e una, sia pur limitata, tutela rispetto ai crediti. Inoltre il mandante è il “destinatario” delle situazioni giuridiche comprese nel patrimonio separato che, per effetto dell’agire gestorio, si è creato in capo al mandatario53, sebbene le norme che regolano il conflitto tra mandante e creditori del mandatario (art.  c.c.) prescindano tecnicamente dall’avvenuto acquisto in capo al mandante54. Tuttavia, nella prospettiva di una lettura unitaria delle norme a tutela degli interessi sottesi all’agire per conto, le regole sulla imputazione degli acquisti possono essere lette correttamente solo se inquadrate alla luce di questo ulteriore profilo della separazione patrimoniale: il mandante può non solo rivendicare dal mandatario o da terzi (purché non abbiano acquistato in buona fede) i beni mobili acquistati, o chiedere il pagamento dei crediti, ma (relativo ai vincoli di indisponibili sui beni pignorati), con la conseguenza che tali norme si integrano, potendo soccorrere l’una quando manchino i requisiti dell’altra (ad es. mentre la norma di cui all’art.  c.c. è indifferente al possesso del bene, in capo a mandante o mandatario, in caso di mancanza di data certa del mandato e di bene già in possesso del mandante (art.  n. , c.c.), i creditori del mandatario non potranno soddisfarsi sullo stesso). Propende per la riconduzione all’art.  c.c. MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione cit., p. . La genesi di questa norma è stata mostrata da P. G. JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit., pp. -, in part. a p.  sul valore della norma come espressione dell’equiparazione della posizione dei creditori (del mandatario) a quella del loro debitore (parti e non terzi). 52 Ormai superata la tesi (da ultimo, SATURNO, La proprietà nell’interesse altrui, Napoli, ) che distingue una proprietà formale (del mandatario) da una sostanziale (del mandante), come conseguenza invece dell’adesione alla ricostruzione in termini di acquisto automatico da parte del mandante, può affermarsi che quest’ultimo è il definitivo pieno proprietario. Cfr. A. LUMINOSO, Il mandato e la commissione, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, IV Obbligazioni e contratti, Torino, , p. , nonché L. SALAMONE, La c.d. proprietà del mandatario, in Riv. dir. civ., , p.  ss. 53 La destinazione in questo caso è insita nella cura dell’interesse altrui e si specifica come obbligo di restituzione o trasferimento al mandante di tutto quanto ottenuto per effetto della gestione (art.  c.c.) 54 LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione cit., p. . Contra SATURNO, La proprietà nell’interesse altrui cit., p.  «la tendenza» corrente «è quella di trovare nell’art.  c.c. la conferma di ciascuna tesi» [in ordine al postulato della titolarità del diritto reale o di credito da parte del mandante, ovvero del mandatario] «e il suo contrario».     tale posizione si riflette anche sui creditori del mandatario. In capo a quest’ultimo si forma un patrimonio separato, nell’interesse del mandante, il quale si viene a comporre, nel corso della durata del rapporto, di tutti gli acquisti fatti dal mandatario, e sul quale non possono soddisfarsi i creditori di quest’ultimo55. 55 Per interpretazione analogica, il patrimonio comprende anche i beni trasferiti dal mandante al mandatario, nel mandato senza rappresentanza ad alienare, sul presupposto della anteriorità dell’atto di acquisto rispetto alle azioni promosse dai creditori del mandatario. Cfr. L. SANTORO, Il trust in Italia, Milano, , p. . E, fondamentalmente, sulla necessità logica di un’analoga soluzione nei casi di mandato ad alienare, P. G. JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit., p.  ss. La tematica della separazione patrimoniale, come si accennava, ha trovato rinnovato interesse da parte della dottrina a seguito del proliferare di ipotesi di specializzazione patrimoniale, del dibattito sul trust, ovvero sugli atti di destinazione, e del rapporto, specialmente in questi ultimi due casi con il principio della responsabilità patrimoniale generica (art. , co.  e , c.c.). Cfr. V. ROPPO, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, , Tutela dei diritti, I, Torino, , p.  ss. L’idea dell’esistenza di patrimoni non esattamente identificabili con il complesso dei beni di un soggetto, secondo un rapporto biunivoco, ha trovato nel corso del tempo diverse classificazioni: ad es. la distinzione tra patrimoni autonomi e separati (SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, cit., p.  ss.; ma anche V. DURANTE, voce Patrimonio (dir. civ.), in Enc. dir., XXII, Roma, , p.  ss., spec. pp. -; BIGLIAZZI-GERI, voce Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., Milano, XXXII, , p.  ss.), in ogni caso il nodo cruciale essendo rappresentato dal conflitto assiologico tra l’interesse dei creditori generali e un diverso interesse in grado di giustificarne il sacrificio. Di qui il dibattito sul contenuto di quest’ultimo interesse, portato da uno scopo o funzione, da ascrivere a criteri di stretta tipicità (sulla scia della dottrina tradizionale, A. PINO, Il patrimonio separato, Padova, ), ovvero rimettere all’autonomia privata, anche tramite la previsione di atti di destinazione ex art. -ter c.c. Sull’impatto della norma e sul significato, restrittivo o estensivo, da dare alla «meritevolezza dell’interesse», oltre la bibliografia citata in supra nt. , si veda GATT, Dal trust al trust, cit. p.  ss. anche per ampi riferimenti alle opinioni contrarie (tra queste si segnala anche l’analisi economica condotta da ROJAS ELGUETA G., Il rapporto tra l’art. -ter c.c. e l’art.  c.c.: un’analisi economica della nuova disciplina, cit.). Come già detto, la previsione per legge di un patrimonio separato, in virtù della destinazione all’interesse alieno, riduce la rilevanza del dibattito per il caso specie, semmai aprendo invece alla questione sul suo significato sistematico. Acquista, invece, maggiore centralità il meccanismo della separazione (sul grado di intensità, da c.d. “unilaterale” o “bilaterale”, cfr. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, I cit., p.  s.). In questo settore pure si è tentato di introdurre l’assunta novità di modelli esteri quali, ad es., la “segregazione” patrimoniale, che sarebbe presente nell’esperienza estera del trust (in questo senso, già LUPOI, Trusts cit., pp. -). Tuttavia, sulla incapacità della segregazione a costituire una categoria né normativa (cfr. artt.  e  Conv. Aja ° luglio , sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, ratificata il  ottobre ) né dogmatica utile, si veda P. GABRIELE, Dall’unita alla segmentazione del patrimonio: forme e prospettive del fenomeno, in Giur. comm. , p.  ss. Sul punto, va altresì chiarito, a voler sfatare Gestioni di denaro e strumenti di tutela Il meccanismo surrogatorio che anima la separazione patrimoniale si caratterizza secondo un criterio di promozione della circolazione giuridica56. La continuità della tutela del mandante rispetto ai creditori del mandatario è informata, infatti, ad un criterio di “elasticità”57. Il patrimonio si diun comune equivoco, che secondo il common law inglese, in caso di trust, non di segregazione patrimoniale (ovvero di separazione bilaterale) si tratterebbe. Il fondo di trust comprende, infatti, esclusivamente gli assets, non le liabilities. Dei debiti risponde, infatti, il trustee con l’intero suo patrimonio, a meno che l’atto istitutivo di trust non stabilisca diversamente. Un’ipotesi di separazione bilaterale può, invece, rintracciarsi nella legislazione uniforme statunitense. Cfr. infra cap. IV, testo corrispondente a ntt.  e , nonché L. SMITH, The Re-imagined Trust, disponibile in versione elettronica al sito http://ssrn.com/abstract=, testo corrispondente alle ntt. -, e nt. . Per il diritto italiano, propende per un meccanismo di separazione patrimoniale bilaterale in caso di destinazione negoziale (trust, mandato, fiducia palese), GATT, Dal trust al trust cit., p.  s. 56 Si tratta – se si vuole – di un effetto indiretto sulla circolazione derivante dal fatto che un sistema di opponibilità basato sull’atto iniziale di mandato sposta ex post il controllo sulla efficacia, ai fini della responsabilità patrimoniale, del trasferimento. 57 Sotto profilo oggettivo, o se si vuole contenutistico, la separazione consiste in un complesso di rapporti giuridici contemplati in chiave unitaria in vista di un fine specifico. L’idea del complesso di rapporti rimanda alla nozione di universitas iuris, cui – come noto – veniva originariamente ricondotto l’intero patrimonio generale. In progresso di tempo la categoria dell’universitas è stata limitata alle sole ipotesi di patrimoni separati (e autonomi), unitamente all’ipotesi dell’eredità (così SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile cit., p.  s.). Sulla nozione di universalità cfr., oltre a BARBERO, Le universalità patrimoniali cit.; R. RASCIO, voce Universalità patrimoniali, in Noviss. Dig., XX, Torino, , p.  ss., spec. p.  ss. In verità, il valore dell’inquadramento dei patrimoni separati nell’ambito delle universalità di diritto è stato rilevato essere soltanto quello di aver determinato un distacco dalla tendenza alla “soggettivizzazione” dei patrimoni (così M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati cit., p.  ss.; spunti, anche se non specifici, in RASCIO, op. ult. cit., p. ), non essendovi alcuna contiguità disciplinare tra le ipotesi. V’è, tuttavia, che al pari di quanto avviene nelle universitates iuris, un patrimonio separato può registrare al suo interno una modifica dei diritti e rapporti che lo compongono, una interna sostituibilità che non altera tuttavia la considerazione dell’insieme in quanto tale. Si è parlato in proposito di surrogazione reale. Cfr. M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati cit., p. ; EAD., Trustee e figure affini cit., p. ; nonché GATT, Dal trust al trust cit., p.  s. Invero, come si è già prospettato (cfr. supra cap. II, nt.  e testo corrispondente), e come pure è implicito negli scritti ora citati, ove la sostituibilità è funzione della destinazione, la “surrogazione” che ci interessa non è assistita né da criteri di equivalenza di valore (come nelle ipotesi di surrogazione adottata nel pegno rotativo) né da un’equivalenza qualitativa, innanzitutto, e quindi quantitativa, come avviene relativamente ai beni fungibili, ma è determinata esclusivamente dalla destinazione stessa e sopravvive all’alienazione o distruzione dei beni oggetto della destinazione iniziale. Che, tuttavia, nei casi di patrimoni separati si parli di una surrogazione reale generale o generica è direttamente il portato di una lunga tradizione risa-     lata o restringe seguendo l’operato del gestore (purché questo risulti funzionale agli interessi del mandante o ritenuto ex post tale dallo stesso), essendo sufficiente e a partire da, ai fini dell’opponibilità ai terzi creditori (del mandatario), un contratto iniziale di mandato avente data certa. La data certa iniziale del contratto mandato, non il singolo atto di attribuzione al patrimonio, costituiscono il discrimine per la risoluzione dei conflitti58. lente al codice previgente e di origine francese, che appunto riservava tale attributo alle universalità, distinguendolo in ogni caso dalle altre ipotesi di surrogazione reale sparsamente rintracciabili nel dettato codicistico (secondo tesi estensive, cfr. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile cit., p.  s, ovvero restrittive). Dottrina già risalente e autorevole ha, tuttavia, escluso che di surrogazione reale in senso stretto possa parlarsi in caso di universalità (e intendiamo in caso di patrimoni separati), poiché non vi sarebbe alcun mutamento dell’oggetto del rapporto che viene tuttavia ex lege considerato irrilevante per l’estinzione o la novazione dello stesso. Trattasi bensì di mera sostituzione. Cfr. A. MAGAZZÙ, voce Surrogazione reale, in Enc. dir., XLIII, Milano, , p.  ss., spec. p. , citando Santoro-Passarelli e altri autori nello stesso senso. Per ulteriori riferimenti bibliografici sulla tematica, si veda anche C. TOMASSETTI, La surrogazione reale, in Obbligazioni e contratti, , p.  ss. Conviene, a questo punto, chiarire come a fronte di una categoria – quella della surrogazione reale – dagli incerti contorni e limiti (nel senso o meno della tassatività delle ipotesi) risulta complesso prender posizione. In ogni caso, nelle ipotesi contemplate (anche nell’accezione più ampia, comprensiva non solo delle ipotesi in cui vi è la sostituzione dell’indennità rispetto al bene perito artt. , , , , ma anche di ipotesi più eterogenee quali la sostituzione dei beni personali nel regime della comunione legale tra coniugi – art. , co. , lett. f) e co. , ovvero gli artt.  o , co. , c.c. cfr. A. MAGAZZÙ, op. ult. cit., p.  s.), vi è comunque la sostituzione dell’oggetto di un diritto. Di contro, nel caso di beni della separazione la sostituzione non attinge ad un rapporto giuridico, ma rileva ai fini della opponibilità di un vincolo, cioè di un titolo cui si riconnette una determinata attività. Cambiano, pertanto, gli interessi i gioco da tenere in considerazione: non le parti del rapporto, e terzi aventi causa, ma parti del rapporto e loro creditori. Per questa ragione riteniamo che nei casi di separazione di surrogazione può parlarsi ma, ciò chiarito, in senso specifico. Si tratta, in ogni caso, di indicazioni di massima, che, ad esempio, vedono una sovrapposizione di livelli nel caso del pegno, ove c’è la sostituzione dell’oggetto di un diritto, ma la rilevanza del rapporto si riflette sui creditori delle parti o dell’ c.c. Infine, per tali motivi, ugualmente in senso “specifico” deve intendersi il riferimento alla surrogazione reale quando, da effetto naturale del trust, lo si faccia transitare in fattispecie di diritto interno. Cfr. LUPOI, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, , p.  ss. e  ss. sulla surrogazione reale. Spunti per una visione unitaria dei meccanismi sostitutivi, come risposta a esigenze di sviluppo economico, sono anche in E. GABRIELLI, Garanzie rotative, garanzie fluttuanti e trust. Problemi generali, in TAF, , p.  ss. Alla luce di quanto detto, può inoltre cogliersi la notazione di GATT, ult. op. loc. cit., che esclude l’ambulatorietà del vincolo nel senso di obligatio propter rem, la quale caratterizza la circolazione del diritto e non riguarda invece i rapporti con i creditori. Cfr., infine, cap. IV nt. , per la nozione di fund nei trust degli ordinamenti di common law. 58 Si pensi, di contro, ad un criterio che (come avverrebbe in assenza dell’art.  c.c.), Gestioni di denaro e strumenti di tutela È evidente che i creditori del mandatario possano non aver conosciuto l’effettiva consistenza del patrimonio, soprattutto mobiliare, del proprio debitore al momento del sorgere del proprio credito, facendo affidamento (in punto di fatto, non di diritto) sull’esistenza di beni apparentemente compresi nel patrimonio generale di questi. L’ordinamento, pur conoscendo tale eventualità, ha tuttavia regolato il conflitto in favore del titolare dell’interesse alla gestione, in base, in ogni caso, ad un criterio di certezza59. È bene, inoltre, chiarire che di questo patrimonio, per definizione, fanno parte sia crediti che diritti reali, pertanto per fini di separazione, poco importa se il diritto fatto valere dal mandante in favore del quale opera la separazione, sia appunto reale (mandante come proprietario di determinati beni) o di credito (creditore a specifici beni), rilevando esclusivamente la loro opponibilità a terzi, come espressione della opponibilità del titolo da cui derivano. Ora, se analizziamo il compendio di beni – patrimonio separato – che avendo come riferimento la certezza dell’anteriorità del singolo atto, importi la necessità della data certa per ognuno, secondo quanto previsto dall’art.  c.c., ma anche  c.c. Cfr. supra nt. . Se, dunque, come si è visto, aderendo all’orientamento dominante, l’art.  c.c. ha una rilevanza autonoma rispetto sia all’art.  e  c.c., pur collocandosi lungo la linea concettuale di quest’ultimo, nulla esclude che, all’occorrenza in sede di giudizio, ogni singolo acquisto del mandante possa essere regolato, quanto alla sua opponibilità ai creditori del mandatario dall’art.  c.c. (in questo senso LUMINOSO, Il mandato cit., p. ). Altro è, invece, stabilire, stante il requisito della data certa del mandato, se in concreto le variazioni del patrimonio apportate dai singoli atti debbano essere documentate in maniera specifica. In generale, la necessità di un’emersione documentale di tali variazioni, deriva non dalla lettera della legge, bensì dall’esigenza in sè di dare rilevanza giuridica al dato numerico (cfr. DENTI, voce Prova documentale (Diritto processuale civile), in Enc. del dir., XXXVII, Milano, , p.  ss.), poiché la numerazione (ovvero la quantità come misurazione dei fungibili) postula un documento dal quale essa emerga. Mentre, per altro verso, la riferibilità al mandato, può suggerire l’opportunità che tale dato numerico contabile sia corredato da una formula che attesti tale riferibilità. Ma, aderendo a tale impostazione, altri requisiti (data certa dell’atto attestante la variazione, e riferibilità dello stesso ad entrambe le parti) non appaiono coerenti con la normativa prevista in sede di mandato. Contra SALAMONE, Gestione e separazione p.  e infra nt. . Si noti, infine, come il testo di legge non prescrive espressamente nessun altro requisito formale (oltre alla data certa del mandato), né limita l’oggetto della separazione o condiziona l’opponibilità allo stato di mala fede soggettiva del terzo (logiche che invece sottostanno ad altre ipotesi di separazione, come il fondo patrimoniale). Cfr. artt.  e  c.c. 59 Cfr. infra anche cap. V, per alcuni spunti, in termini di analisi economica, di una tale normativa.     si specializza rispetto al patrimonio del mandatario, ad una prima lettura, sembra non comparire del denaro60. Il passaggio è chiaro nell’orientamento dominante di giurisprudenza e dottrina, sebbene, in posizione critica si ponga parte della letteratura scientifica, soprattutto comparatistica, nel segnalarne le (assunte) differenze con il trust di diritto anglo-americano61. Tale diversificato trattamento si avrebbe per due ordini di ragioni. In base ad un’interpretazione letterale delle norme sul mandato62, si ritiene che l’effetto segregativo prodotto quest’ultimo inerisca ai beni che sono conseguenza dell’attività gestoria del mandatario, e non anche quelli di cui il mandatario diviene proprietario per effetto di atti strumentali al compimento dell’attività demandatagli, come avviene, appunto, secondo la fenomenologia ordinaria dello svolgersi del mandato senza rappresentanza, nel caso in cui il mandante fornisca una provvista finanziaria al mandatario per l’espletamento del suo incarico63. Lo stesso principio varrebbe per la somma incassata dal mandatario quale corrispettivo dell’alienazione dei beni oggetto del mandato ad alienare, costituendo ciò una palese incoerenza del sistema, dovuta al fatto che fintantoché detta somma non sia stata pagata, il relativo credito vantato dal mandatario sia disciplinato dall’art.  c.c. (oltre che dall’art.  c.c.), pertanto separato dal patrimonio personale del mandatario64. L’indicazione di denaro, nell’ambito della separazione gestoria, è – come si può facilmente inferire – indifferente alla sua morfologia (di cosa ovvero di credito), cfr. supra nel testo. In questo ambito diventa, invece, rilevante, per l’una quanto per l’altra ipotesi, determinare, sulla base di un qualche criterio di certezza, la somma appartenente al patrimonio, a tutela di un certo grado di conoscibilità da parte dei creditori generali (del possessore o debitore). 61 Cfr. ex multis, M. GRAZIADEI, U. MATTEI e L. SMITH, Commercial Trusts in European Private Law, Cambridge (CUP), , pp.  ss. e  ss. 62 Art. - c.c. 63 Cfr. L. SANTORO, Il trust in Italia cit., pp.  e  la quale se per un verso ritiene che proprio l’effetto della separazione patrimoniale sia uno dei tratti dell’istituto del mandato che dà forza all’assimilazione tra questo e il trust, conclude per l’irriducibilità del trust al mandato a causa del diverso oggetto del vincolo di destinazione operante nell’uno e nell’altro: basato sulla nozione economica di proprietà nell’un caso (ricchezza e sue successive trasformazioni); su una visione di stampo dominicale, ovvero ove il patrimonio si identifichi in una specifica ed individuata res. Cfr., inoltre, S. BARTOLI, Il trust, Milano, , pp. -. 64 S. BARTOLI, Il trust cit., p. . 60 Gestioni di denaro e strumenti di tutela L’altra ragione che farebbe escludere il denaro dal patrimonio separato, e di conseguenza lo includerebbe nel patrimonio generale del mandatario65, è ben presente in giurisprudenza, e fa leva, ancora una volta, sul verificarsi della confusione patrimoniale, come ostativa non solo ad una specializzazione di responsabilità patrimoniale (ovvero sua antitesi) ma alla regola attributiva/d’imputazione: alle somme di denaro non si applica la disciplina dell’art.  c.c., ma il combinato disposto di cui agli artt.  –  c.c., i quali dimostrano come la “proprietà” sulle somme spetti al mandatario, e come sulle stesse vengano – infatti – a maturare gli interessi66. Il denaro non potrebbe entrare a far parte del patrimonio separato per quella sua naturale tendenza a confondersi, che lo renderebbe inidoneo ad essere rintracciato. Questa considerazione rappresenterebbe la ratio che giustifica l’inapplicabilità delle norme suindicate al denaro. Ma tale soluzione è stata considerata “iniqua” e, soprattutto, non fondata sulla soddisfazione dell’interesse di alcuna categoria di soggetti che sono da preferire al mandante67. Tra le soluzioni a tale assetto regolamentare, è stato proposto l’escamotage che il mandatario costituisca in trust le somme di denaro con dichiarazione resa al terzo che effettua il pagamento nelle sue mani68. Il trust sarebbe, infatti, un istituto in grado di anticipare, anteriormente all’avvenuto acquisto, il momento separativo (o segregativo) nel rapporto gestorio, come Non si tratta di bene che è «di nessuno», come, invece, M. LUPOI, Trusts, Milano, , p. . 66 Da ultimo, Cass.,  marzo , n. , in Pluris e De Jure, secondo cui: «Il principio della diretta imputazione al rappresentato degli effetti dell’atto posto in essere in suo nome dal rappresentante non comporta, nel caso di riscossione di somme da parte del mandatario (nella specie, con rappresentanza), l’acquisto automatico delle stesse da parte del mandante in ragione della fungibilità del danaro, che fa di regola identificare nel detentore materiale di esso il “dominus” delle somme consegnate. Peraltro, la legittimazione del rappresentante a ricevere dal terzo debitore il pagamento, con efficacia liberatoria nei confronti del rappresentato, non esclude che i rapporti interni con quest’ultimo siano disciplinati dalle regole del mandato, quale contratto ad effetti obbligatori, da cui deriva l’obbligo del mandatario di rimettere al mandante, previo rendiconto, le somme riscosse». 67 M. LUPOI, Trusts cit., p. . 68 E allo stesso tempo segregando di fatto la somma in un conto bancario opportunamente identificato («somme appartenenti al mio mandante») o in altro modo idoneo e notificando tutto ciò al mandante. Cfr. LUPOI, Trusts cit., p. . 65     dimostrato da una tendenza rintracciabile anche a livello legislativo, ad esempio attraverso le operazioni di project financing69. Com’è frequente, la dottrina comparatistica ha il merito di segnalare, attraverso la lente di un sistema “alieno”, distonie, ovvero soluzioni che sembrano trovare un versione più appetibile in altri sistemi. Il richiamo ad uno strumentario giuridico esotico deve poi però essere esattamente inquadrato all’interno delle logiche proprie dell’ordinamento di appartenenza70. Alla luce dei richiami fatti e nella prospettiva di un confronto, proveremo a meglio vedere nel capitolo seguente come le gestioni di denaro vengono disciplinate in alcuni ordinamenti di common law, ove appunto trova origine e collocazione l’istituto del trust. È, tuttavia, per ora lecito provare ad interrogare l’ordinamento domestico, alla ricerca di una soluzione che colmi la segnalata discrasia e realizzi un assetto di interessi – se si vuole – più coerente, posto che, una volta affermata la surrogazione interna al patrimonio separato è condivisibile che non esista alcuna logica funzionale la quale limiti il meccanismo di separazione soltanto a ciò che il mandatario ha acquistato, includendo quindi i sostituti della provvista iniziale (gli acquisti) ma escludendo la provvista stessa ovvero somme derivanti dalla gestione in itinere. Come si è detto, la lettera degli artt.  e  del codice civile individua nelle «cose mobili acquistate […] dal mandatario» l’oggetto della rivendicazione, da un canto71; e, dall’altro, quello dell’azione di separazione / opposizione all’esecuzione, nei «beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha acquistati». Più ampia, di contro, sembrerebbe essere la disposizione in tema di rendiconto, a tenore della quale «il mandatario deve […] rimettergli» (al mandante) «tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato» (art.  c.c.)72. 69 M. LUPOI, I diritti reali, , I trust nel diritto civile, in Tratt. dir. civ. diretto da R. Sacco, Torino, , p.  ss. 70 L. J. COSTANTINESCO, Il metodo comparativo, a ed., Torino, . 71 La giurisprudenza ritiene applicabile in astratto la norma anche ai titoli di massa. Cfr., Cass.,  maggio , n. , in Riv. Giur. Sarda, , p. , e in Società, , p. , in cui però viene ritenuto in concreto inapplicabile l’art.  c.c., venendo la fattispecie inquadrata come intestazione fiduciaria di azioni o quote di società. 72 La formulazione è in questo caso inequivocabilmente comprensiva sia dei mezzi, documenti, somme di denaro forniti dal mandante per l’espletamento del mandato; sia quanto pervenuto dai terzi (beni, somme di denaro) attraverso il negozio gestorio. Cfr. C. SANTAGATA, Gestioni di denaro e strumenti di tutela Di fronte alla lettera della legge, ci sembra, tuttavia che ci siano spazi per una diversa interpretazione. La posizione che si è riferita, in sintesi, assume che ciò che viene acquistato in esecuzione del mandato sia solo l’oggetto di negozi gestori traslativi a favore del mandatario, automaticamente transitato nella proprietà del mandante, con riguardo alle cose mobili, e, funzionalmente ai rapporti con il mandatario e con i suoi creditori, nel patrimonio separato. In verità, in base ad una mera interpretazione non restrittiva del dato letterale può ritenersi che ciò che viene acquisto in esecuzione del contratto di mandato sia ogni tipo di trasferimento73 di cui il mandatario è destinatario nella fase attuativa del rapporto per conto del mandante (art.  c.c.) / in nome proprio ( c.c.), quindi dopo la stipulazione, cioè la prestazione del consenso74. Esecuzione è, quindi, anche il prezzo di un’alienazione, i frutti civili75, ovvero ogni tipo di attività di riscossione di somme76. Del mandato, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, art. -, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, , p.  ss. 73 La parola acquisti, in quanto effetto giuridico attinente alla sfera della nascita o della modificazione del diritto (in quanto collegamento ad un determinato soggetto) non crea problemi: quale che sia la situazione giuridica riferibile al denaro, essa è acquisibile da un soggetto (a titolo originario o derivativo). Cfr. S. PUGLIATTI, voce Acquisto del diritto a) Teoria generale cit., p.  s.; RUFFOLO e DI GIOVANNI, voce Acquisto del diritto, in Enc. giur., I, Roma, , p.  ss. Invero, la distinzione tra la tipologia di diritto soggettivi, ove ne consideri la riferibilità al denaro, potrà determinare solo l’applicabilità dell’una piuttosto che dell’altra norma. 74 Se ve ne fosse necessità, a questa nozione di esecuzione, non concentrata esclusivamente sul compimento della c.d. prestazione gestoria soccorre anche il disposto dell’art.  c.c. ove l’esecuzione è riferita a tutte le obbligazioni sorte dal contratto di mandato. 75 Arg., altresì, ex art. -ter c.c. e  c.c. (in tema di fondo patrimoniale). 76 Ci sembra che una conferma possa rintracciarsi anche nel disposto dell’art.  c.c., a tenore del quale, quale sanzione per l’inesatto adempimento dell’incarico, l’interesse sulle somme riscosse per conto del mandante decorre solo dalla mancata consegna o mancato impiego secondo le istruzioni impartite. La norma viene ritenuta costituire una deroga alla normale fecondità del denaro, dal momento che è esclusa la produzione di interesse pur trovandosi il denaro nella materiale detenzione di terzi (art. , co. , c.c.), e ciò indipendentemente da presupposti sui quali si fonda la esigibilità del credito. Sul punto, si veda C. SANTAGATA, Del mandato, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca cit., p. . La ragione della mancata produzione deriva dal fatto che, pur essendone nella materiale disponibilità, il mandatario, non ne gode (art. ) e non può, in base agli obblighi assunti, disporne nel proprio interesse. Secondo una lettura pur prospettabile, potrebbe dirsi che il mandatario non ne sia proprietario, ovvero che pur essendo creditore, il credito non sia computabile al patrimonio di questi. Tale condizione giustifica la mancata produzione di interessi tra le parti, e verso i terzi, la computabilità nel     Discorso ulteriore, ma in ogni caso convergente, può farsi per la provvista iniziale. Anche il conferimento della provvista iniziale al mandatario, può qualificarsi come acquisto (si voglia solo strumentale), relativo alla fase esecutiva del contratto di mandato77, di cui costituisce altresì un effetto obbligatorio: quello di somministrare al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato (art.  c.c.). Ma proprio in quanto tale, la sua corresponsione e il suo trattamento non può non essere incluso nelle disposizioni regolatrici gli effetti rispetto ai terzi78. Tuttavia, il sistema non sarebbe coerente se non prevedesse all’interno del patrimonio separato anche la provvista79-80. Si tratta, inoltre, di una interpretazione (in quanto più favorevole al patrimonio del mandante. Ma sulla differente, corrente interpretazione della norma, si veda infra ntt.  e . 77 Non sfugge che l’inquadramento della provvista come acquisto (ai sensi dell’art.  c.c.) comporterebbe un astratto trasferimento della proprietà al mandatario e un contestuale ritrasferimento al mandante. Con riguardo a questo aspetto, pur squisitamente teorico (cfr. infra nt. ), ci sembra più conferente la riconduzione degli effetti traslativi sulla provvista al funzionamento del mandato ad alienare, su cui infra nt. . Ovviamente questo discorso prescinde dal conferimento della legittimazione a disporre dell’altrui sfera giuridica, spettante al mandatario, quale sia la fonte che si riconosce (c.d. autorizzazione privata). Su legittimazione e autorizzazione privata come fonte di legittimazione (in senso favorevole), cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile, , Il contratto cit.,  ss.; contra sull’autorizzazione, LUMINOSO, Il mandato cit., p.  ss. Su potere di agire e di disporre, cfr. altresì SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, p.  s. 78 Gli artt.  e  c.c. fanno rinvio agli acquisti fatti «per suo conto» (del mandante) e «in nome proprio» (del mandatario), riferendosi così alla sfera di relazioni esterne del rapporto di mandato. 79 «[…] sarebbe veramente assurdo permettere al mandante di rivendicare il ben acquistato per conto di lui dal mandatario, e non consentirgli di riprendere la cosa consegnata al mandatario stesso, alienando la quale quel bene sarebbe ottenuto […] Si può capire che un sistema non conosca la regola della surrogazione reale (rispetto a questo problema); non avrebbe invece senso ammettere la separazione del surrogato e non quella del bene originario. È appena il caso di notare che non è soltanto un’esigenza di logica giuridica […])». P. G. JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit., p. . Nello stesso senso SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., ove «merita di essere sviluppata la tesi che tende ad estendere l’area di applicazione dell’effetto di separazione patrimoniale […] non soltanto agli acquisti del mandatario, ma altresì al denaro e agli altri beni messi a disposizione di questi dal mandante per negoziare con i tersi (c.d. provvista). Discorso non dissimile si pone anche per le somme di denaro che i terzi abbiano trasferito nelle mani del mandatario a fronte dell’alienazione effettuata da quest’ultimo: la lettura funzionale dell’art.  c.c. permette di immaginare la opponibilità ai creditori del (titolo costitutivo del) vincolo di destinazione anche di somme di denaro e di beni fungibili non individuati, sia affidati al gestore a titolo di provvista, sia restituendi al gerito». 80 Il discorso, con riguardo al denaro, come abbiamo più volte rilevato, tende a con- Gestioni di denaro e strumenti di tutela mandante) che trova fondamento nell’assetto programmatico e nel trattamento di favore del mandante nei conflitti81. Va, infine rilevato, com’è noto, che l’articolato codicistico non regolamenti tutte le ipotesi rientranti nell’ampia fenomenologia del mandato e sia, invece, incentrato esclusivamente sulla variabile del mandato ad acquistare, di cui prende in considerazione i principali effetti, sui beni acquistati82. Il contesto sistematico può quindi ulteriormente dar ragione ad una linea interpretativa che non vede la disciplina del codice come esaustiva di tutte le variabili del mandato, ma è in grado di fornire, tuttavia, i principi fondamentali cui adeguare l’interpretazione per le ipotesi non contemplate, interpretazione che può avere un suo esito plausibile solo alla luce della gerarchia degli interessi in gioco83. centrarsi principalmente sulla separazione patrimoniale. Con riguardo alla proprietà, come abbiamo già visto nei negozi di affidamento fiduciario, è ben possibile giuridicamente che vi sia un affidamento a terzi di beni fungibili cui non si associ il trasferimento di proprietà (le ipotesi di deposito regolare). È quindi astrattamente possibile ipotizzare che, relativamente alla provvista, la proprietà sul denaro resti in capo al mandante. Tuttavia, il discorso si farebbe qui inutilmente capzioso considerato che, quale effetto generale della gestione, ve ne sarà il trasferimento a terzi, e che – come già visto – l’esperimento di un’azione di rivendicazione sul denaro non assume significative utilità pratiche. È possibile, quindi, del denaro ipotizzare o meno il trasferimento di proprietà in capo al mandatario, ma sia su un piano generale, sia con specifico riguardo al mandato, ciò risulterà in ogni caso autonomo e non condizionante le “regole della responsabilità” patrimoniale. 81 Sull’argomento teleologico, ovvero l’interpretazione secondo «l’intenzione del legislatore» (art. , co.  preleggi), è anche il monito di autorevole dottrina, proprio relativamente alla lettura delle norme sul mandato. Cfr. LUMINOSO, Il mandato cit., p. . Secondo quest’a. il primo criterio per determinare gli effetti di un negozio giuridico, e quindi anche del mandato, è quello della fedeltà al contenuto del regolamento d’interessi cui il contratto stesso dà vita. Essi perciò vanno individuati su basi oggettive, in correlazione ai risultati programmati, e il «mandato dovrà essere in grado di produrre, volta a volta, tutti gli effetti giuridici necessari all’attuazione degli scopi perseguiti» (facendo riferimento alle inevitabili lacune di disciplina). 82 LUMINOSO, Il mandato cit., pp.  e  ss. e  ss., in particolare sul mandato ad alienare. Come noto, con riguardo a questa ipotesi, i problemi maggiori di disciplina si pongono per il mandato ad alienare beni immobili, mentre con riguardo ai mobili, si è ricorso anche all’utilizzo indiretto dell’art.  c.c., su cui supra nt. . 83 L’idea del confluire anche della provvista finanziaria nel patrimonio separato del mandatario può essere interpretata in senso unitario rispetto alla formazione del patrimonio separato. In questo senso R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., p. , pur se con riguardo all’inquadramento sistematico del diritto speciale, che rileva come l’appartenenza delle forme di ricchezza che compongono il patrimonio mobiliare trovi una sua soluzione nella «lo-     Se, quindi, è possibile superare l’obiezione all’inclusione del denaro tra gli oggetti dei diritti in capo al mandante (verso i terzi) quando ci si basa sull’interpretazione delle norme di legge, diverso scenario si presenta rispetto all’altra riserva: quella basata sulla confusione delle somme (o di altri beni fungibili) nel patrimonio del mandatario84. gica funzionale, propria del mandato in sé (più che quello ad alienare specificamente) nella quale sono poste le condizioni normative della “individualità” […] del rapporto gestorio». Tale considerazione risulta a maiori riferibile alla disciplina generale del mandato. Tuttavia, anche facendo rinvio all’inquadramento – dottrinario – del mandato ad alienare, ci sembra che utili spunti possano trarsi. Relativamente agli effetti della separazione, non sembrano esservi significativi ostacoli all’applicazione analogica dell’art.  c.c. anche ai beni oggetto della futura alienazione gestoria, si tratti sia di beni mobili sia di beni immobili (nel mandato ad alienare), con la conseguenza che alle condizioni previste dalla norma il bene non sarebbe aggredibile dai creditori del mandatario. P. G. JAEGER, La separazione del patrimonio del fiduciario nel fallimento cit., p.  ss. Pertanto, l’esclusione, nel mandato ad acquistare, del bene strumentale alla realizzazione del risultato programmato (che è il correlativo del bene da alienare nell’altra ipotesi) figurerebbe come difficilmente giustificabile. Da quanto detto, si conferma ancora una volta come può risultare sovrabbondante un inquadramento in termini proprietari, a meno di non ammettere che il mantenimento del diritto di proprietà rappresenti l’unico strumento che il beneficiario di un patrimonio destinato (il mandante ovvero il soggetto che rappresenta l’interesse di destinazione) ha per opporre la separazione (il che è incompatibile con le norme di cui agli artt.  ss. c.p.c. e e  l. fall.). In ogni caso, possiamo rilevare come anche le meditate argomentazioni prospettate con riguardo agli effetti traslativi nel mandato ad alienare, tendano ad escludere, abbastanza concordemente con riguardo ai mobili, il passaggio di proprietà del bene da alienare in capo al mandatario (cfr. supra nt. precedente e , nonché LUMINOSO, Il mandato cit., pp.  e  – , anche per ulteriori riferimenti bibliografici). Peraltro, anche le tesi che hanno configurato l’idoneità traslativa della causa gestoria a favore del mandatario (CARRARO, Il mandato ad alienare cit., p.  ss. e LUMINOSO, Il mandato cit., p.  ss.), la giustificano come esclusivamente strumentale al risultato programmato e dovuta alle esigenze pubblicitarie che determinano il venir meno anche delle esigenze di segretezza del mandante. 84 Cfr. supra cap. II. .. Come detto, si tratta di una nozione che sembra collocarsi in una “zona grigia”, per mutuare una ben nota metafora, in questo caso, tra proprietà e responsabilità patrimoniale. Il che ha posto un problema di inquadramento della stessa da un punto di vista giuridico, il che significa, in concreto, comprendere se sia disciplinata da regole della proprietà o regole della responsabilità patrimoniale (che possono dalla prima differire). Va precisato, inoltre, che, nel senso in cui tale nozione è emersa con riguardo al denaro (c.d. confusione patrimoniale) e cui fa cenno la letteratura in materia, non ve n’è cenno nelle trattazioni più generali, come conferma l’assenza nelle voci enciclopediche, che, sotto la voce “confusione” al limite fanno rinvio alle regole dell’accessione o della commistione. Cfr. G. CRIFÒ, voce Confusione (dir. rom.), in Enc. dir., VIII, Milano, , p.  ss.; U. GUALAZZINI, voce Confusione (dir. rom.), in Enc. dir., VIII, Milano, , p.  ss.; G. FAVERO, voce Confusione (dir. vig.), in Enc. dir., VIII, Milano, , p.  ss. Gestioni di denaro e strumenti di tutela Ora, la confusione patrimoniale, che riecheggia la tradizione romanistica della commixtio nummorum, può essere considerata in duplice modo: come principio giuridico, se la si interpreta come ratio sottostante l’inapplicabilità di una serie di norme al denaro (si è visto in tema di restituzioni, ma anche le stesse norme sul mandato) e che risiederebbe – se interpretiamo correttamente – in una policy definita di economia del mezzo giuridico85; ovvero, come un fatto, ad altra probabilità statistica, giuridicamente rilevante86. Nella prima accezione, cioè quella di regola/principio giuridico non scritto ma per antica tradizione presente, va in ogni caso verificato l’ambito di rilevanza, cioè l’applicabilità al caso specifico87. Nella seconda, si dà luogo ad un fatto giuridico, innanzitutto, rispetto al quale va dimostrato l’avvenuto verificarsi del comportamento o accadimento materiale che ne è alla base88, e a cui si ricollegano una serie di effetti L’idea è quella, come abbiamo già detto, che gli ordinamenti tendano, o possano scegliere regole semplici, o meglio tali da ridurre utilizzo dei mezzi giuridici (in senso ampio, non soltanto come ricorso all’apparato giurisdizionale, ma come relativa facilità della soluzione giuridica). Inteso in questo senso, esso si differenzia tanto dal principio di certezza, di cui pure può costituire un utile corollario, sia dal generico quanto polivalente principio di ragionevolezza. Quest’ultimo ha, come noto, una sua precisa collocazione nell’ambito dei principi costituzionali e nella teoria generale (sul punto, da ultimo, M. TORRE, Sullo spirito mite delle leggi. Ragione, razionalità, ragionevolezza, Napoli, ), ma sta assumendo anche una più compiuta sistematizzazione e sintesi all’interno del diritto privato, sebbene – ci sembra – soprattutto con finalità di armonizzazione rispetto ad altri ordinamenti giuridici (della famiglia del common law). Cfr. S. PATTI, La ragionevolezza nel diritto civile, Napoli,  e S. TROIANO, La ragionevolezza nel diritto dei contratti, Padova, . 86 Dal punto di vista del diritto positivo, si segnala che con il termine “confusione patrimoniale” la legislazione speciale (T.U.F.) abbia qualificato una precisa fattispecie di reato (art. ), che consiste, quanto al profilo del fatto incriminato, nell’inadempimento degli obblighi di separazione contabile definiti dalla legislazione extra-penale (T.U.F. appunto ma anche legislazione secondaria). Ai sensi della norma penale, quindi, “confusione” viene intesa come fatto, ma non più naturale, bensì umano, consistente nella violazione di precisi obblighi di legge. Cfr. V. PATALANO, sub art. , in Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria a cura di G. Alpa e F. Capriglione, III, Padova, , p.  ss. 87 Si pensi, ad esempio, alle ipotesi in cui si parla della confusione patrimoniale a giustificare il passaggio della proprietà nel pagamento dell’indebito. Si è più volte ribadito come in questo caso, l’adesione ad una regola che è il portato della tradizione e che, in astratto, ha il merito di superare argomentazioni complesse e comunque non funzionali a possibili interessi dei soggetti coinvolti, può ammettersi. Ma, anche in quanto principio esso non necessariamente si applica indiscriminatamente, ma ne vanno verificati i presupposti di applicabilità. 88 In correlazione alla confusione come fatto, può, per certi aspetti, meglio compren85     giuridici (venir meno ovvero mancato passaggio di un diritto reale; oppure mancata formazione o venir meno di patrimoni separati), i quali tuttavia possono essere disponibili dalle parti89. Dall’analisi fin qui condotta, nell’argomentazione di dottrina e giurisprudenza, con specifico riguardo al denaro, sembrerebbe prevalente la prima tesi, o, in alternativa, l’adozione di stringenti criteri di identificazione, che determinerebbero l’impossibilità di una non-confusione90. L’idea, tuttavia, che la confusione possa essere evitata (confusione come fatto, ovvero dei suoi effetti) è ben chiara con riguardo agli altri beni fungibili, sebbene i criteri utilizzabili in concreto dipendano, innanzitutto, dal contesto operativo nel quale l’interesse alla individuazione/identificazione si presenta91. dersi l’insegnamento del Pugliatti (cfr. supra cap. II..) secondo cui la fungibilità opera come qualità obiettiva delle cose e produce i suoi effetti indipendentemente dalla volontà dei privati (PUGLIATTI, voce Cosa (teoria generale) cit., p. ). 89 F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile cit., p. , facendo riferimento alla confusione di cose, come mero fatto giuridico, «nei limiti in cui non rileva per l’effetto giuridico la volontà dell’agente». Ma, anche, per ulteriori riferimenti bibliografici (a proposito della fattispecie analoga dell’unione e della commistione), sia consentito rinviare a CAGGIANO, sub art. , in Comm. cod. civ. a cura di C.M. Bianca e F. Caringella, Roma, in corso di pubblicazione. È bene chiarire come ciò di cui le parti sono legittimate a disporre sono, appunto, gli effetti giuridici della confusione, non la confusione stessa che, in quanto fatto giuridico, non può dirsi efficace o inefficace ma esclusivamente esistente o meno. Sulla inapplicabilità del concetto di inefficacia (in quanto relativa alla fase funzionale dell’atto, non alla sua struttura) ai fatti giuridici (in cui un solo momento è giuridicamente rilevante: la realizzazione, essendo gli effetti predeterminati dall’ordinamento), si veda SCALISI, voce Inefficacia cit., p.  s. Avendo in mente il possibile ambito degli effetti disponibili dalle parti (diritti reali, responsabilità patrimoniale), emerge probabilmente un’altra ragione (oltre alla tradizione storica) per cui il discorso sugli effetti confusori si sia sempre concentrato sulle categorie della proprietà: l’assunta indisponibilità delle limitazioni della responsabilità patrimoniale. 90 Cfr. infra in questo cap. para. . 91 Sarà utile in questo ambito il ricorso allo strumento comparatistico a dimostrare come i criteri che determinano la confusione, ovvero quelli che servono ad individuare/identificare un bene, possono variare secondo che si operi negli ambiti delle restituzioni funzionali a determinati interessi piuttosto che ad altri. Il richiamo che si ha in mente è quello alla distinzione tra ad esempio, tra alcune regole procedurali di individuazione (tracing e following) operanti nell’equity, da un lato come espressione delle regole operanti nelle restituzioni e responsabilità patrimoniale in caso di gestioni (trust, ed eventualmente, secondo un certo orientamento nei sistemi anglo-americani, in senso più ampio delle restituzioni), e nelle altre fattispecie restitutorie previste dal common law. Si veda cap. successivo, nt.  e passim IV... Gestioni di denaro e strumenti di tutela In tema di circolazione dei diritti, e specificamente di passaggio di proprietà su cosa di genere, la confusione è evitata attraverso l’«individuazione» del bene «fatta d’accordo tra le parti e nei modi da esse stabiliti» (art.  c.c.)92. Relativamente ai trasferimenti di diritti, anche nelle fattispecie gestorie di acquisto di cose generiche, l’argomento della confusione ricorre, come causa di responsabilità mandatario qualora questi non abbia proceduto all’individuazione, perché in tal modo non si può innescare il meccanismo acquisitivo che consente l’acquisto automatico nel patrimonio del mandante93. In questo caso, evitare ovvero, uscir fuori dalla confusione, serve per dare un contenuto all’oggetto del diritto (reale)94. Il tema della confusione (o meglio della non-confusione) del bene fungibile, tendenzialmente non denaro, in una massa più ampia ricorre, inoltre, in tema di deposito regolare o pegno rotativo sebbene l’identificazione (come contraltare della confusione) si appunti qui sull’equivalente (non sulla cosa specifica) e in ogni caso risulti solo un indice per la ricostruzione della volontà delle parti (nel caso del deposito), ovvero si caratterizzi per criteri non stringenti (nel caso di patto di rotatività)95. In questi casi abbiamo rilevato come la non-confusione, anche lungo successive sostituzioni, sia funzionale a regole di opponibilità del contratto verso i creditori di una parte dello stesso. 92 Si sottolinea, tuttavia, «la liceità di un atto di sostituzione dei beni individuati e trasferiti se tale atto non arrechi pregiudizio all’altra parte» C.M. BIANCA, Diritto civile, III, ,  ss. Cfr. supra cap. II passim, in part. nt.  e nt.  e testo corrispondente. 93 In giurisprudenza, Cass.,  gennaio , n. , in Banca borsa, tit. cred., , II, p. , in tema di ordini di borsa in cui la banca (mandataria) si era impegnata ad acquistare e trasferire al cliente un certo numero di azioni di società cooperativa a responsabilità limitata; Cass.  giugno , n.  in Pluris; nonchè Trib. Milano,  ottobre  in Società, , p. , sul mancato effetto separativo nel patrimonio del mandatario. Cfr. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, p.  nt. . 94 Come si vedrà nel para. che segue, tuttavia, affermare un diritto di proprietà sul denaro può non essere indispensabile ai fini della prevalenza del diritto del mandante nei casi in cui sorga un suo interesse, che sia opponibile, sulla somma. 95 Cfr. supra cap. II a proposito di deposito regolare su fungibili e pegno rotativo: II.. e II... È bene precisare, ancora una volta, come i percorsi seguiti per affermare la prevalenza ai fini della responsabilità patrimoniale, possano essere, alternativamente basati sull’affermazione di un diritto di tipo reale sui beni depositati o oggetto di pegno, ovvero fondarsi su criteri diversi, valevoli solo ai fini della responsabilità patrimoniale (tesi Salamone).     La prevalenza rispetto ai creditori del mandatario è uno specifico interesse che può emergere, anche riguardo a somme di denaro, in un’attività gestoria e essa può trovare riscontro proprio nell’argomentazione già sviluppatasi con riguardo ai due diversi istituti suindicati. Non ci sembrano, seguendo questa scia, sussistere allora ostacoli giuridici alla separazione del denaro nell’ambito di un contratto di mandato, ove sorge un analogo interesse, giuridicamente rilevante, al recupero, purché soccorrano criteri per una identificazione dello stesso nel patrimonio del mandatario. Tale identificazione, al pari che nelle ipotesi negoziali suindicate, deve intendersi riferita all’equivalente. Peraltro, gli autorevoli contributi di dottrina che pure propongono il ricorso al trust (ovvero nella versione più recente un contratto di affidamento fiduciario) a presidio della separazione delle somme di denaro, poi suggeriscono l’accensione di un conto bancario separato ed identificato96. Ciò ci sembra confermi, una volta superati gli assunti ostacoli giuridici nel diritto interno, che sia necessario fornire di presidi di certezza all’avvenuta separazione del bene. Il che può avvenire in sede di regolamento negoziale: ad esempio, l’obbligo di rendiconto costituisce uno strumento che ha le potenzialità per fornire al mandante un controllo costante delle attività del mandatario, attraverso, ad esempio, la pattuizione di un conto periodico97. Queste considerazioni non intendono tralasciare, accantonati possibili tentativi di pensare ad un’operazione negoziale complessa basata su un contratto di mandato e deposito98, come il passaggio dall’affidamento conLUPOI, Trusts cit., p. . Il conto, secondo l’a., avrebbe la funzione di “segregare la somma e andrebbe identificato in modo chiaro, ad esempio con la dicitura «somme appartenenti al mio mandante». Si tratta, peraltro, come si vedrà di un obbligo preciso del trustee nei sistemi anglo-americani. Più di recente, ID., Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari cit., p.  s. 97 Si tratta di una modalità perfettamente compatibile con l’obbligo di rendiconto di cui all’art.  c.c., che soltanto secondo l’usuale utilizzo insorge per effetto e alla data di cessazione del rapporto. In questo senso anche Cass.,  agosto , n. , in Riv. dir. comm., , II, p.  ss. Cfr. C. SANTAGATA, Del mandato (art. -) cit., p.  ss., in part. -, che richiama per la derogabilità del principio generale anche gli eventuali usi in funzione integrativa (art.  c.c.). 98 Un’operazione ermeneutica del genere non sembra avere risvolti applicativi significativi, una volta affermata la centralità della separazione patrimoniale nel mandato. L’obbligo di custodia delle cose ricevute dal mandatario, che si ricollega alla disciplina generale sull’adempimento delle obbligazioni (art.  c.c.), è obbligazione accessoria e funzionale all’e96 Gestioni di denaro e strumenti di tutela servativo di beni fungibili diversi dal denaro, che è ipotesi accolta in giurisprudenza e dottrina99, all’affidamento gestorio di somme si caratterizzi per il rischio di una confusione più ampia100. Tuttavia, ove siano disponibili strumenti per la separazione, non si vede perché, quando si parla di mandato, debba prefigurarsi uno scenario di un mandatario solutus da ogni tipo di scritto contabile, e quindi da ogni obspletamento del mandato e partecipa della funzione del mandato stesso, in via strumentale. Può apparire, pertanto, superfluo configurare un’ipotesi di contratto misto o complesso. Cfr. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione cit., pp.  e , e M. LUPOI, Istituzioni del diritto degli affidamenti fiduciari cit., p.  ss. In questo senso Cass.,  febbraio , n. , in Foro it., , I, c.  e in Giust. civ., , I, p.  (in tema di commissione) relativamente al grado di diligenza nella prestazione di custodia, da non valutarsi in base all’applicazione tout court delle norme sul deposito ma in base alla norma generale sulla diligenza nell’adempimento (art.  c.c.). Ma contra Cass.,  marzo , n. , in Giur. it., , I, p. e in Giust. civ., , I, p.  con nota di COSTANZA, Accessorietà della prestazione di custodia nel mandato ad alienare, in cui si sostiene che la causa del deposito concorra con quella del mandato a determinare il contenuto del rapporto, dando luogo ad un contratto misto in cui la prevalenza degli elementi del mandato non esclude l’applicazione diretta delle norme sul deposito, qualora compatibili con quelle del contratto prevalente. Ma, comunque, non escludono la possibilità di un’applicazione analogica delle norme sul deposito G. MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Tratt. Vassalli cit.,  ss.; BILE, Il mandato, la commissione, la spedizione, Roma, , . 99 Cfr. supra cap. II.., e, in senso analogo, si veda anche F. GIORGIANNI, I crediti disponibili cit., p.  100 Si considerino le seguenti ipotesi. Quella più semplice, che interpreta l’ipotesi accolta positivamente, ex multis, dalla dottrina indicata alla nt. precedente, è quello della “somma mutevole a saldo invariato” imputabile ad una pluralità di soggetti: in cui vi sia confusione di somme riferibili ad una pluralità di depositanti/mandanti (tenute su un unico conto, ma anche, su conti separati) da parte del comune affidatario senza tuttavia pregiudizio per la conservazione della sostanza economica dei loro diritti. In questo caso non vi sono dubbi in ordine alla separazione (espressa da taluni in termini di comunione pro quantitate) sul saldo stesso. Ugualmente, in caso di “somma mutevole a saldo variabile” quando vi sia stata una perdita (quale ne sia la causa) in capo alla pluralità di depositanti/mandanti. Se il conto è separato, ovvero i conti sono individuabili, o, aderendo all’alternativa interpretazione, è tale l’oggetto della comunione pro quantitate in senso lato, la perdita si imputa in proporzione sul residuo. Come vedremo, tuttavia (cfr. infra para ..), quando si esce dalla interpretazione in termini di communio pro quantitate, o di una lettura analoga, tale conclusione non è unanimemente condivisa. Il principale rischio cui si allude nel testo è, invece, quello della confusione con il patrimonio del depositario/mandatario, cioè quando le res fungibili vengano a confondersi nel patrimonio di un soggetto che le ha consumate. Il problema sotteso a questa ipotesi è che la confusione materiale si traduce in un danno per i creditori generali del mandatario. Questo induce, una volta rintracciata la gerarchia degli interessi coinvolti nella fattispecie, a fare i conti con i criteri della separazione. Cfr., per un parallelo con il diritto americano, infra cap. IV. e IV...     bligo giuridico di separazione dei beni del gerito, che impedisca di poter riferire in concreto la separazione patrimoniale anche al denaro, ovvero di identificarlo. Invero, l’idea dell’“appartenenza” del denaro come concetto comprendente l’efficacia verso terzi di una situazione giuridica101, via l’opponibilità del titolo da cui essa ha origine, ci sembra ben chiaro anche in ambito penalistico. Viene integrato, infatti, il reato di appropriazione indebita allorché l’accipiens non abbia la concreta disponibilità dell’equivalente102, a conferma peraltro del distacco inevitabile, in caso di fungibili, da una specificità del bene intesa come fisica possibilità di individuarlo fisicamente e secondo criteri di stretta fisicità103. 101 Sul concetto di appartenenza, non limitato alla mera titolarità di diritti reali, né esteso ad una generica titolarità di diritti, si veda supra cap. I. .. nonché cap. II.. 102 C. PEDRAZZI, voce Appropriazione indebita, in Enc. dir., II, p.  ss. 103 L’art.  c.p. punisce infatti «chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o di una cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso». Il reato di appropriazione presuppone, dunque, in capo all’agente la disponibilità (il possesso) della res sebbene “funzionalizzata” ad un interesse terzo, che viene appunto leso dalla condotta criminosa attraverso una destinazione incompatibile con le ragioni che giustificano il possesso. La giurisprudenza penalistica in proposito si affanna unanimemente a chiarire come il concetto di “altruità” della cosa, in questo caso, sia differente da quello civilistico. Cfr., ex multis, Cass., SS. UU.,  gennaio , n.  e Cass.,  novembre , n. , entrambe in Pluris. Invero, laddove, anche in ambito civilistico non si circoscrivesse il concetto di appartenenza alla mera disponibilità delle tutele strettamente reali, ovvero alla titolarità di diritti reali, facendo riferimento, invece, al nucleo di tutele derivanti dalla confluenza nel patrimonio di un soggetto, potrebbero superarsi alcune pur tradizionali distinzioni nelle diverse aree del diritto, con evidente facilitazione, dello studio dei fenomeni giuridici, perché fondato su categorie comuni. Sul reato di appropriazione indebita, cui la giurisprudenza non manca di offrire svariati esempi (atti di disposizione da parte del cointestatario di conto corrente incompatibili con i diritti del contitolare, appropriazione dei premi da parte dell’agente assicurativo, o del denaro in conto da parte del funzionario di banca, etc.). Cfr., nell’ordine relativamente alle ipotesi suindicate: Trib. Napoli,  marzo , in Il merito, , p. - e Cass.,  aprile , in Rep. Foro it., , voce Appropriazione indebita, n. ; Cass., febbraio , in Rep. Foro it., , voce Appropriazione indebita, n. ; Cass.,  maggio , in Rep. Foro it., , voce Furto, n. . Da ultimo, in tema di appropriazione da parte dell’imprenditore della quota di retribuzione di un suo dipendente, che era stata destinata a terzi (il cessionario di una cessione pro solvendo), Cass. SS. UU.,  maggio , n. , in Pluris, ha, tuttavia escluso che venisse integrato il reato di appropriazione indebita trattandosi, con riguardo alla busta paga, di somme sì vincolate ad uno scopo, ma non conferite ab externo. Da segnalarsi che la suddetta sentenza interviene su un contrasto giurisprudenziale, in cui, probabilmente in un’ottica meno formalistica, un chiaro indi- Gestioni di denaro e strumenti di tutela Avendo, quindi, chiarito alcuni degli schemi giuridici fondamentali operanti con riguardo alle gestioni di denaro, passiamo a verificare cosa accade nell’ipotesi patologica, quando il gestore tradisca l’assetto programmatico fissato nel contratto. ... Segue. Condotta (infedele) del gestore e tutela del gerito L’infedeltà del gestore rispetto all’esecuzione dell’affare può colorarsi in diverso modo: come inottemperanza di specifiche istruzioni impartite dal mandante, ovvero, più genericamente, come “discostamento” dal perseguimento dell’interesse del mandante divisato per la gestione, o, ancora, come realizzazione di un interesse del mandatario confliggente con il primo (che della fattispecie precedente è una variante)104. In ognuno di questi casi, vi è rizzo – a nostro parere maggiormente condivisibile – rintracciava nel vincolo di destinazione l’elemento sufficiente per il reato in parola. 104 Le ipotesi indicate nel testo rappresentano soltanto alcune macro-categorie di fattispecie in cui può configurarsi un eccesso di mandato. La rilevanza di ciascuna è principalmente connessa alle caratteristiche del contratto di mandato: se si tratti, ad esempio, di un mandato specifico oppure generico, in cui tendenzialmente la discrezionalità del mandatario è più ampia, salva comunque, anche in questi casi, la possibilità per il mandante di impartire specifiche istruzioni. Sul punto, la dottrina si è spesso interrogata, con specifico riguardo alle ipotesi in cui è più ampio il margine di discrezionalità che compete al gestore, in merito ai criteri per individuare un atto difforme rispetto al mandato. Cfr. MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione cit., p.  ss.; SANTAGATA, Del mandato cit., p.  ss.; A. VENDITTI, Appunti sul mandato, Napoli, , p.  ss. L’interesse del mandante, che appare essere criterio condiviso, cui fa riferimento anche al giurisprudenza, si presenta tuttavia largamente indeterminato, tanto da far suggerire di circoscriverlo non ad un generico interesse, bensì al concreto scopo perseguito nel mandato. Cfr. LUMINOSO, Il mandato cit., p. . Una efficace sintesi delle varie posizioni affermatesi in giurisprudenza e dottrina circa la ricostruzione della nozione di eccesso di mandato, sotto i profili “teleologico” e/o “volitivo” è in A. BALDASSARRI, M. MAGRI e F. SANTI, Mandato – Commissione - Spedizione – Agenzia – Mediazione, in Comm. cod. civile diretto da Cendon, artt.  – , Milano, , p.  ss., in part. pp. -. Va, infine, rilevato come, a differenza di quanto previsto nell’ipotesi di rappresentanza (ex artt. ,  e  c.c.), la disciplina del mandato senza rappresentanza non preveda alcuna differenza disciplinare per l’atto compiuto in eccesso rispetto a quello c.d. abusivo (ovvero, secondo le diverse interpretazioni, concluso in conflitto d’interessi, nell’interesse del mandatario o di un terzo, e comunque a svantaggio del mandante, come per C. DONISI, Il contratto con sé sesso, Napoli, , p.  ) e pertanto a tale distinzione può non farsi rinvio. Cfr. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione cit., p. . Contra SANTAGATA, Del mandato cit., p.  s., secondo cui l’abuso ha rilevanza solo risarcitoria o si presta a rimedi risolutori.     sì il compimento di un’attività (giuridica) per conto altrui, ma essa si presenta non corrispondente all’interesse (del mandante) dedotto in contratto105. Da un punto di vista effettuale l’infedeltà, nelle sue manifestazioni più rilevanti, può assumere, poi, una duplice valenza: di perdita, cioè di pregiudizio (in termini di realizzazione di un risultato diverso da quello programmato, oppure di perdita – economica – netta) nel patrimonio del mandante; ovvero, vantaggio, cioè di risultato, anche economico, profittevole per quest’ultimo. Si pensi, con riguardo a questo secondo caso, all’ipotesi di scuola della vincita alla lotteria, utilizzando il denaro di una gestione programmata per finalità differenti. Come noto il risultato economico non è un dato discriminante l’universo giuridico, potendo anche una perdita in termini economici corrispondere ad un interesse giuridicamente rilevante del creditore (nel nostro caso, del mandante), come nel caso dell’interesse al conseguimento di un bene specifico per un interesse affettivo. In termini generali, quindi, l’esito finanziario negativo di un’operazione non costituisce necessariamente un evento dannoso, come invece può più frequentemente avvenire nel caso degli investimenti, per valutare la responsabilità del gestore, purché si sia in presenza di un suo comportamento quantomeno negligente106. In ogni caso, quale sia la finalità dell’attività programmata, il denaro, 105 Ci troviamo nell’ambito delle ipotesi di eccesso di mandato. L’ipotesi della cura negligente o infedele dell’affare da parte del mandatario costituisce un’ipotesi di inadempimento inesatto, ovvero di cattiva cura dell’affare da parte del mandatario, ovviamente solo in quanto imputabile a sua colpa (art. , co. °, c.c.), ma non di inadempimento totale, che invece sussisterebbe, ad esempio, in caso del compimento di un atto pienamente conforme al mandato ma compiuto per la cura di un interesse proprio (del mandatario). Cfr. LUMINOSO, Il mandato cit., p.  ss., in part. p. . In quest’ultimo caso si ha un inadempimento che non integra un eccesso (ovvero un comportamento abusivo, cfr. nt. precedente), e che dà luogo esclusivamente ad una responsabilità per danni a carico del mandatario, il quale tuttavia non assume su di sé gli effetti dell’atto gestorio, che restano a carico del mandante. La norma relativa all’eccesso di mandato, secondo autorevole dottrina, sarebbe norma di protezione del mandatario che non sarebbe così scoraggiato nell’assumere gli incarichi dalla possibilità che il mandante rifiuti l’atto gestorio anche per difficoltà marginali tra l’atto compiuto e quello previsto nel mandato. Cfr. ancora LUMINOSO, op. ult. cit., p. . 106 Appare evidente che, in ogni caso, l’esito infelice di un affare (anche se per fini d’investimento) non può rilevare di per sé, in difetto di negligenza ascrivibile al mandatario, atteso che gli effetti negativi e positivi ricadono, per definizione, nella sfera patrimoniale del mandante. Gestioni di denaro e strumenti di tutela come strumento della gestione, viene utilizzato, secondo la sua funzione giuridica più propria, nello scambio con altro bene, o servizio che, nella prospettiva che abbiamo sottolineato, rappresenta una “variante surrogatoria” del “valore finanziario” della somma utilizzata107. Questa prospettiva diventa particolarmente rilevante ai fini della valutazione del patrimonio separato di spettanza del gerito anche nell’ipotesi di una gestione irregolare, ove la sostituzione, in questo caso non autorizzata, può innescare un problema restitutorio che si rivolge nei confronti di diversi soggetti108. Se quindi il criterio per valutare la mala gestio può essere rappresentato esclusivamente dalla corretta valutazione dell’interesse che il mandante intende perseguire, più articolato è valutare le conseguenze che ne derivano in capo alle parti coinvolte. Un atto irregolare (o improprio) rispetto alla gestione, fonda uno specifico addebito di responsabilità – contrattuale – in capo al mandatario nei confronti del titolare di quell’interesse (mandante). Il dettato del codice, inoltre, vi fa espresso riferimento quando parla dell’atto eccedente i limiti del mandato, che resta «a carico del mandatario» (art.  c.c.). La norma che – ci sembra – per ragioni di coerenza della disciplina è stata riferita sia agli effetti sfavorevoli, quanto a quelli favorevoli (valutabili, come abbiamo visto, in base all’interesse del gerito)109, importa a 107 Il collegamento espresso nell’idea di “valore finanziario” rappresenta una variante del concetto di surrogazione reale (generica) propria dei patrimoni separati (e, storicamente, delle universalità patrimoniali), ma intesa come attributo specifico qui del denaro. Pur non rappresentando una categoria giuridica, esso consente, tuttavia, di verificare gli esiti della gestione infedele, e di conseguenza le regole di circolazione e i risvolti sul patrimonio separato, in una prospettiva unitaria. Questo aspetto della circolazione del denaro porta a valutare i risultati del suo utilizzo, quando essi non consistano necessariamente in altro denaro o beni fungibili, ma in altri beni, che, nell’economia del presente lavoro, però, saranno principalmente beni mobili. Gli aspetti di disciplina, principalmente pubblicitari, relativi agli acquisti immobiliari, non verranno affrontati, deviando altrimenti il discorso e non risultando conferenti rispetto agli aspetti della disciplina di diritto speciale. Ciò che interessa, per ora, è fissare le regole di circolazione e di responsabilità patrimoniale per l’ipotesi dell’inadempimento del gestore. Si può rammentare, infine, come l’idea di un collegamento economico tra denaro e i beni in cui viene scambiato fosse alla base del concetto giuridico di denaro come astratto potere patrimoniale, in cui il Savigny raffigurava la proiezione valoriale della somma, rispetto alla sua portata nominalistica. Cfr. supra cap. I. nt.  e corrispondente testo. 108 Parla di “atto irregolare” MENGONI, Gli acquisti «a non domino» cit., passim. Utilizza la locuzione “atto improprio” GATT, Dal trust al trust cit., passim, con riguardo a tutti gli atti che eccedono o risultano contrari alla destinazione.     carico del mandatario l’obbligo di riportare la situazione patrimoniale del mandatario secondo conformità con l’assetto d’interessi stabilito nel contratto di mandato. Ma l’agire infedele comporta anche conseguenze in punto di esiti dell’operazione sulla composizione di patrimoni (e della responsabilità patrimoniale) dei soggetti del rapporto. Infatti, in conseguenza dell’atto compiuto in eccesso non si ha alcuna deviazione dei suoi effetti nella sfera giuridica del mandante, mancando la conformità al regolamento negoziale110. In questo senso, e seguendo una nota corrente di pensiero, la funzione rappresenta lo strumento concettuale del sindacato di conformità dell’azione del mandatario rispetto all’interesse del mandante per motivare la non conteggiabilità al mandante a causa della non-ascrivibilità dell’atto alla funzione111. Ciò significa che nel patrimonio separato ascrivibile al mandante non potrà essere incluso l’eventuale acquisto o effetto giuridico derivante dall’operazione conclusa che non sia conforme alla funzione, né sul piano obbligatorio e della circolazione giuridica, il mandante potrà attivare quegli strumenti che gli conferiscono la disponibilità giuridica dei risultati della gestione (art. , , ,  c.c.). Secondo l’opinione dominante, questi poteri e facoltà del gerito inci109 SANTAGATA, Del mandato cit., p. , nt.  anche per ulteriore bibliografia. Il mero dato letterale dell’art.  c.c., invero, farebbe protende per i soli risultati negativi (l’atto esorbitante resta «a carico»). Invero, nel caso di risultato utile per il gerito, non sembra sorgano particolari problemi. Il gerito, infatti, riconosciuta la convenienza dell’affare, ha la possibilità di ratificare l’atto; ovvero, come da tempo riconosciuto in dottrina, nel solo caso di eccesso di mandato, e ricorrendone gli estremi, si potrebbe configurare, a favore del mandatario, una gestione di affari altrui (art.  ss. c.c.). Sul punto, cfr. A. VENDITTI, Appunti sul mandato cit., p.  s. Nonché, in senso critico rispetto ad una nota sentenza del S. C. che negava l’actio mandati contraria al (Cass.  luglio , n. , in Riv. dir. comm.,  II, p.  ss., poi seguita da Cass.,  giugno , n. , in Arch. Civ., , p.  ss.), SCHLESINGER, Eccesso di mandato e gestione d’affari, in Riv. dir. comm., , II, p.  ss., e in senso più conciliante su posizioni di dottrina e giurisprudenza A. AURICCHIO, Considerazioni sull’eccesso di mandato, in Dir. giur., , p.  ss., spec.  s. ove, aderendo ad una nozione ampia di interesse del mandante, conclude che la nozione stessa di eccesso di mandato vien meno in caso di risultato utile, poiché vien meno ogni pretesa al risarcimento danni. 110 Sulla disfuzione e i suoi effetti (ovvero mancata deviazione di effetti), in senso sostanzialmente conforme è la dottrina dominante. Cfr. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione cit., p.  e SANTAGATA, Del mandato cit., p.  ss., sottolineandosi la differenza, rispetto al mandato con rappresentanza ove il negozio rappresentativo è radicalmente inefficace, del mandato senza rappresentanza, ove il negozio è efficace per il mandatario e il terzo. 111 SPADA, La tipicità delle società, cit., p.  ss. Gestioni di denaro e strumenti di tutela dono esclusivamente sul piano degli effetti del negozio gestorio, i quali vengono resi conformi al programma del mandato, talché, quando essi non risultino deviati, non viene in ogni caso intaccata la validità ed efficacia del negozio gestorio tra le parti che lo hanno concluso (mandatario – terzo contraente)112. In sintesi, in presenza di un atto posto in essere dal gestore infedele, questo è inefficace verso il mandante (ma non il terzo)113, a meno che non intervenga una ratifica, che ha la funzione di far riappropriare al mandante, e al suo patrimonio, i risultati dell’atto originariamente eccedente114. Ciò, ov- 112 I riflessi sull’atto gestorio rappresentano una delle maggiori differenze rispetto all’agire gestorio estrinsecato verso i terzi (mandato con rappresentanza). Come noto, in quest’ultima ipotesi, per effetto ed in collegamento alla spendita del nome, l’atto eccedente la procura risulta esso stesso inefficace dal un punto di vista giuridico-formale rispetto a tutte le parti coinvolte, rappresentato, rappresentante, terzo contraente, sia che si aderisca alla tesi della mera inefficacia, sia a quella dell’atto a formazione progressiva, sottoposto a condizione legale, in cui comunque vi è un’inefficacia, quantomeno, temporanea; la ratifica opera in questo caso sugli effetti giuridici del negozio gestorio. Nel mandato senza rappresentanza, la spendita del nome proprio del gestore determina, secondo la visione corrente, in ogni caso l’efficacia del rapporto tra mandatario e terzo contraente, operando invece la ratifica sul rapporto di gestione: con essa il ratificante si appropria dei risultati «economici e rispettivamente giuridico-formali» dell’atto irregolare, recuperandolo al rapporto di gestione. Cfr. LUMINOSO, Il mandato cit., p.  s., nonché BAVETTA, voce Mandato (dir. priv.), in Enc. dir., XXV, , p.  ss., spec. p.  che parla appunto di piena validità del negozio gestorio, e di inefficacia nei rapporti tra mandante e mandatario. Sul difetto di rappresentanza e sull’atto eccedente la procura, si veda invece C. M. BIANCA, Diritto civile, , Il contratto cit., , p.  ss. Sul punto, si veda, altresì MENGONI, Gli acquisti «a non domino» cit., p.  ss., che nel caso dell’atto compiuto dal falsus procurator esclude la possibilità che ricorra un acquisto a non domino, per mancanza della diversità tra rivendicante e dante causa. Non vi è quindi acquisto a non domino se vi è identità tra dominus e parte manifesta nell’atto di alienazione. Si tratterebbe, invece, di un acquisto sì inefficace ma a domino. Infine, quanto all’ipotesi, di eccesso rispetto al mandato ma non rispetto alla procura (com’è la prassi di stabilire un prezzo massimo al mandatario, ma di non renderlo noto al terzo), si veda SANTAGATA, Del mandato cit., p. , nt. . 113 Cfr. in giurisprudenza, da ultimo, Cass.,  gennaio , n. , in Contratti, , p.  ss.; Cass.,  giugno , n. , in Fallimento, , p.  ss.; nonché, più risalenti, Cass.  marzo , n. , in Fallimento, , p.  ss. e Cass.  febbraio , n. , in Mass. Giur. it., , p.  che precisa che «il mandatario può pretendere di riversar» gli effetti dell’atto […] «mai sul patrimonio del mandante». Si veda, infine, Cass.  gennaio , n. , in Giust. Civ., , I, p. , che implicitamente riconosce la legittimazione all’esercizio dei diritti derivanti dall’atto gestorio esclusivamente al mandatario. 114 Sulla natura giuridica della ratifica come accettazione di datio in solutum, atto con-     viamente, può riguardare, a scelta del mandante, atti che comportano sia effetti (economici e/o giuridici) positivi o negativi. In questo senso, la ratifica costituisce uno strumento, con finalità di tutela, il quale consente al gerito, a fronte di un illecito del gestore, di recuperare, con efficacia ex tunc, al proprio patrimonio il “sostituto” di un bene ovvero il risultato di un’attività che è riconducibile all’attività d’intermediazione svolta, il quale si è inizialmente collocato nel patrimonio del gestore, per essere difforme dall’attività gestoria115-116. Dalla sintesi appena fornita emerge chiaramente come, a fronte delferente efficacia all’atto eccedente, ovvero negozio unilaterale modificativo (recettizio in direzione del mandatario, non del terzo), si vedano rispettivamente VENDITTI, Appunti sul mandato cit., p.  e MINERVINI, Il mandato, la commissione cit., p.  s.; BILE, Il mandato, la commissione, la spedizione, Roma, ; LUMINOSO, Il mandato cit., p.  e SANTAGATA, Del mandato cit., p.  ss. Sulla ratifica come mezzo di tutela a favore del mandante che si aggiunge ai mezzi di tutela normalmente spettanti contro le lesioni contrattuali, si veda LUMINOSO, Il mandato cit., p.  s. Ma si ricordi, altresì, la norma di cui all’art. , co. , c.c. che, bilanciando gli effetti dell’art. , co. °, c.c., pone a carico del mandante gli effetti dell’atto che esorbita i limiti del mandato, in caso di ritardo del mandante nel rispondere alla comunicazione del mandatario di avvenuta esecuzione. 115 Comincia ad affiorare, quanto ad effetti, l’analogia, quanto ad effetti, con il c.d. processo di tracing che caratterizza le pretese restitutorie nei sistemi di common law, sebbene questo meccanismo, basato su criteri della sostituzione da cosa certa, dimostri poi di avere una portata, in parte, più estesa. In questo senso, tuttavia, conformemente a quanto avviene “fisiologicamente” all’interno di un patrimonio separato, la sostituzione viene ad interessare tendenzialmente il patrimonio del gestore, non del terzo. Ciò presuppone che si assuma il tracing in senso stretto, come distinto dal following. Cfr. infra cap. IV... e IV... Va precisato sin d’ora, come, tuttavia, la procedura del tracing non sia assimilabile all’istituto della surrogazione reale, né nel nostro ordinamento né all’interno dei sistemi di common law. Per la distinzione tra tracing e surrogazione nel diritto di common law (cap. IV, nt.  e corrispondente testo, ma anche – in senso maggiormente atecnico – l’accezione in nt. . Si veda anche A. NERI, Il trust e la tutela del beneficiario, Padova, , p. , riportando le parole di Millet LJ, in Boscawen v. Bajwa, nel senso di sostituzione dell’oggetto del rapporto – subrogation – e processo (complesso di regole, nostro) di tracciamento, individuazione di un bene – tracing –). 116 Come vedremo questa appropriazione degli effetti dell’atto compiuto in eccesso di mandato (per quanto ad esso possa assimilarsi l’istituto dell’agency) appare concessa, compiutamente, nel diritto anglo-americano solo nel caso in cui l’agent abbia agito in nome del principal. Per il diritto inglese, si veda Keighley, Maxsted & Co. v Durant [] AC  (HL). Le strettoie dell’agency spiegano bene come il trust, collocandosi su un piano di maggiore flessibilità, sia venuto ad assolvere a delle funzioni che in altri ordinamenti – come quello italiano – sono coperte da altri istituti (leggi mandato senza rappresentanza), come si è visto supra nt. , e testo corrispondente, nonché infra cap. IV.. Gestioni di denaro e strumenti di tutela l’infedeltà del mandatario, il mandante possa agire nei confronti del primo per essere tenuto indenne da ogni tipo di conseguenza giuridica ed economica derivante dall’atto non conforme (il che normalmente significherà un azione di danni), ovvero, farne propri tali effetti ratificandolo. Invero, l’inopponibilità dell’atto gestorio (recte degli effetti dello stesso117) alla sfera giuridica del mandante, che trova la sua origine dall’assenza di legittimazione a disporre118, può essere altresì idonea a fondare una specifica pretesa restitutoria nei confronti del terzo contraente dall’atto gestorio non conforme, pretesa che potrebbe avere un’utilità pratica in caso di insolvenza del mandatario, ovvero di recupero di un bene specifico119. Tale 117 Propriamente l’inefficacia relativa non è attributo dell’atto, ma rappresenta una limitazione degli effetti di un atto rispetto ai terzi: gli effetti dell’atto si verificano anche rispetto al terzo («non essendo concepibile che i medesimi effetti si producano e non si producano a seconda dei soggetti rispetto ai quali vengono in considerazione», SCALISI, voce Inefficacia (dir. priv.) cit., p. ), ma tali effetti non possono essergli opposti. La presenza, talora, nel testo dell’espressione “inefficacia/inopponibiltà” dell’atto, per quanto impropria, si giustifica per la sua diffusione nel gergo giuridico. 118 Esclude che vi sia un rapporto di corrispondenza biunivoca tra difetto del potere di disposizione dell’autore dell’atto ed inefficacia relativa, SCALISI, voce Inefficacia (dir. priv.) cit., p. . Tuttavia, si noti bene come il rilievo che viene mosso, per le ipotesi di difetto di legittimazione non sanzionate con l’inefficacia relativa, è la presenza di una sanzione più forte (inefficacia assoluta o nullità), che non ricorre, per difetto di specifica disposizione, nel caso che stiamo analizzando. 119 La proposta, formulata in modo più articolato, è in GATT, Dal trust al trust cit., p.  ss., spec p.  (e con alcune varianti, già in La Porta, citato dall’a. a p. , nt. ), con riferimento agli atti di destinazione/trust aventi ad oggetto beni mobili non registrati, e in parte derivata proprio dalla disciplina sul mandato. La tesi analizza “a tutto tondo” l’inefficacia, nei confronti del beneficiario/disponente di un atto di trust (per noi mandante), dell’atto di destinazione improprio, guardando ai risvolti di tale inopponibilità sia in punto di responsabilità patrimoniale, sia di circolazione dei diritti. Quanto al primo aspetto, l’inefficacia relativa degli atti compiuti in violazione del vincolo d’indisponibilità (rappresentato dalla destinazione funzionale) al beneficiario della destinazione (mandante) significa sottrazione del bene impropriamente alienato all’esecuzione di creditori de terzo o del mandatario, purchè la destinazione derivi da atto munito di data certa (arg. ex art. ,  e  c.c.). La tesi in proposito legge il dato normativo in tema di vincoli d’indisponibilità, come centrale al fine di sottrarre ai creditori pignoranti beni già sottoposti al vincolo di destinazione funzionale, purché quest’ultimo abbia data certa (spec. ex art. ). L’altro aspetto interessato, quello della circolazione del diritto disposto tramite l’atto improprio, può desumersi dai principi generali in materia di legittimazione a disporre, nonché dalle stesse norme sull’esecuzione (art.  c.c.), ove le si interpreti come astratte dal rapporto tra creditori pignoranti e debitore esecutato ed invece espressione del rapporto tra pignora-     pretesa, in caso di beni mobili, trova un suo naturale limite negli effetti del possesso di buona fede da parte del terzo. L’inefficacia relativa dell’atto, cioè l’inopponibilità al mandante del trasferimento, che è stata abitualmente letta nella prospettiva esclusiva dei rapporti mandante – mandatario, può assumere, quindi, una sua specifica valenza anche nella prospettiva della circolazione giuridica120. In un’ottica unimento (in quanto esso stesso vincolo d’indisponibilità) e successivo atto di alienazione. L’inopponibilità dell’atto improprio al beneficiario/ mandante si traduce, nel contesto della circolazione, nella possibilità di recuperare il bene nel patrimonio del terzo acquirente. Il regime dell’inefficacia relativa dell’atto, che comporta la “reipersecuzione” del bene presso terzi acquirenti, viene ricavato da una serie di norme presenti nell’ordinamento (tra cui art.  c.c., ma si vedano anche i vincoli ex artt. , , ,  c.c.). Il nodo cruciale che viene intercettato da questa proposta interpretativa è appunto di inquadrare la destinazione come vincolo d’indisponibilità ai fini dei rapporti con i creditori, ma altresì come criterio per valutare l’esistenza di un’autorizzazione a disporre, e quindi la sua mancanza per gli atti extra-funzione. Questo difetto di legittimazione si traduce in limite alla stessa circolazione del diritto, a meno che non ricorrano le condizioni e gli effetti del possesso in buona fede, nel cui caso l’acquisto del terzo è fatto salvo (arg. a partire da tutte le ipotesi di inefficacia relativa presenti nel sistema, sebbene ciascuna prevista per finalità diverse, artt. , co. , ,  c.c.). Da queste considerazioni, l’a. fa derivare, entro i limiti dell’operatività del possesso di buona fede, la legittimazione in capo al beneficiario/disponente/mandante ad un’azione volta a far dichiarare l’inefficacia dell’atto di disposizione, anche se in via surrogatoria, e la conseguente azione restitutoria nei confronti del terzo acquirente (cfr. infra nt. successiva circa gli effetti, solo, simili che si verificano con riguardo all’operato del falsus procurator). A proposito della legittimazione a far valere l’inefficacia non solo dal soggetto in favore del quale è disposta, cfr. SCALISI, voce Inefficacia, cit., p.  s. 120 È bene chiarire come l’idea dell’acquisto del diritto inopponibile al mandante non possa valere in ogni caso ad assimilare la posizione di questi al rappresentato nel caso di alienazione da parte del falsus procurator. In quest’ultimo caso, l’inefficacia è totale, non relativa, nei confronti di tutti i soggetti dei rapporti giuridici interessati. Si veda, MENGONI, Gli acquisti «a non domino» cit., p.  e p.  ss., circa gli effetti dell’inefficacia assoluta o relativa sulla circolazione dei beni. Sebbene in luoghi diversi, l’a. sottolinea come l’atto di disposizione di bene sottoposto ad un vincolo d’indisponibilità (tra gli esempi addotti, vi è il pignoramento ex art.  c.c.) è soltanto relativamente inefficace, nei confronti di colui in favore del quale è costituito il vincolo. Diversa è l’inefficacia assoluta derivante dall’assenza totale di legittimazione a disporre del diritto (che dà luogo a possibili acquisti a non domino), eppure l’esistenza del vincolo, quando non risultante dal titolo non esclude la prevalenza del terzo (ex , co. , c.c.). Invero l’illustre a., con riguardo alle fattispecie relative alle ipotesi di sostituzione giuridica, individua tre classi: l’acquisto dal falsus procurator, che è acquisto a domino (tanto che il falso rappresentato è legittimato a «farne valere l’inefficacia come ragione di una pretesa obbligatoria di restituzione del bene alienato, indipendentemente dalla prova della proprietà») ma inefficace; l’acquisto che manchi dell’autorizzazione del mandante, da cui deriva l’illegittimità del- Gestioni di denaro e strumenti di tutela taria, e con riguardo ai profili della responsabilità patrimoniale, essa si traduce, del pari, nella sottrazione del bene coinvolto all’aggressione dei creditori delle parti dell’atto gestorio (arg. ex artt. ,  c.c.). In questa prospettiva, e coerentemente alla necessaria presenza di certi “oneri di legalità”, anche la prevalenza del diritto del terzo (mandante) rispetto a quello confliggente delle parti all’atto gestorio (in special modo l’acquirente) è determinata dall’assolvimento dell’onere della data certa da parte degli autori dell’atto che dà origine al diritto prevalente (mandato)121. Se ben vediamo, allora, il sistema predispone, per l’ipotesi di inadempimento del gestore che tradisca la funzione propria del rapporto, un sistema di tutele che mira a contemperare l’interesse del mandatario allo svolgimento dell’incarico (nella direzione della promozione della cooperazione gestoria122), e il rischio in capo al gerito di una sottrazione o di un utilizzo di beni della gestione, non conforme agli scopi della stessa. Se, dunque, nell’ipotesi fisiologica, i poteri del mandante sui risultati dell’attività si dirigono nei confronti sia del mandatario, sia di eventuali terzi possessori, sia dei creditori del primo; in quella patologica dell’eccesso di mandato, è possibile prospettare una serie di corrispondenti situazioni alternative. l’atto di alienazione; l’acquisto su bene sottoposto a vincolo di indisponibilità, astrattamente distinto dal precedente. Ancora tra i rapporti tra inefficacia (assoluta) nella rappresentanza e (relativa) nel mandato senza rappresentanza, si veda SCALISI, voce Inefficacia cit., pp.  e , ove riconduce la prima alla tutela delle parti (o di una di esse) dell’atto, la seconda, invece, alla tutela di un soggetto rimasto estraneo all’atto, che riceve da questo pregiudizio ovvero è titolare di una situazione incompatibile. 121 Arg. ex art.  c.c. (che individua nella data certa del mandato il criterio risolutore di conflitti rispetto ai creditori del mandatario), in combinato disposto in particolare con l’art.  (che sancisce l’inefficacia di successivi atti di alienazione rispetto al soggetto nel cui favore è il vincolo di indisponibilità), nonché  c.c. La data certa, nel caso del mandato, rappresenterebbe il criterio fornito dal legislatore per stabilire la prevalenza su altri diritti confliggenti; e ad esso si fa riferimento anche relativamente ai conflitti tra successivi acquirenti. Essa, al pari di altri possibili requisiti formali o strutturali dell’atto previsti dalla legge (ma non si tratta di presupposti indefettibili per far valere l’inefficacia relativa, come nel caso dell’azione revocatoria ordinaria, in cui vi è accertamento dello stato soggettivo ex post), costituisce un onere in grado di fa venir meno ogni rilievo di buona fede del terzo, ma, al contempo, è fonte di specifica autoresponsabilità a carico degli autori dell’atto. In quanto in grado di creare un legittimo affidamento sulla realtà giuridica, rappresenta un principio di sicurezza delle relazioni giuridiche. Sul punto, sempre, SCALISI, voce Inefficacia cit., p.  s. 122 Cfr. supra nt. .     V’è, anzitutto, l’ipotesi in cui il mandante decida di riprodurre una situazione analoga a quella che gli competerebbe in una gestione regolare (in termini di poteri rispetto al mandatario e ai terzi), decidendo di far propri, ratificando gli effetti della gestione irregolare, i diritti da quella derivanti. Può, in alternativa, agire verso il mandatario per essere ristorato del danno subito in conseguenza dell’inadempimento di questi. Infine, seguendo una certa proposta interpretativa, potrebbe optare per un recupero diretto dei beni, come proprietario, quando ne ricorrano gli estremi, ovvero attivare una pretesa obbligatoria alla restituzione fondata sull’inopponibilità nei suoi confronti dell’atto di gestione123. Va in ogni caso tenuto presente, che, secondo quanto disposto in sede di circolazione degli acquisti e comunque in difetto di diversa previsione, sono fatti salvi gli effetti del possesso in buona fede124. Queste brevi considerazioni prestano il fianco per guardare al quadro appena fornito, e più in generale, alla disciplina di tutela a favore del mandante, sotto la specola dei beni utilizzati nella gestione, al fine di verificare come il mandante possa recuperare il denaro utilizzato, ovvero i beni strumentali o finali della gestione. Va detto, in punto di premessa, come, nell’ottica di una necessaria 123 Come si è più volte detto, le azioni proprietarie in tema di mandato riguardante beni mobili (come generalmente avviene per questi ultimi, e certamente per il denaro) non appaiono utilmente esperibili. Nel caso del mandato, inoltre, il quadro si complica per effetto dello stesso regolamento contrattuale che, normalmente, prevede la possibilità di anticipazioni, le quali, se ci volessimo muovere in un’ottica proprietaria, appartengono al mandatario (art.  c.c.). Più utile appare allora il ricorso alle azioni restitutorie a carattere personale. Peraltro, titolarità di un diritto di credito alla restituzione non esclude la prevalenza del mandante nei confronti dei terzi creditori, come pure di terzi acquirenti. Cfr. infra nel testo successivo a nt. . Infine, ferma l’astratta configurabilità di azioni petitorie esperibili dal mandante in dipendenza da predicati dell’atto gestorio (ad es. sua nullità), va altresì detto che, con riguardo all’eccesso di mandato, l’inopponibilità relativa al mandante del negozio gestorio, a stretto rigore, implica l’efficacia del trasferimento avvenuto (arg., altresì, ex art.  ss. c.c.), ma non è ostativo all’esercizio di azioni restitutorie. Cfr. infra nel testo. 124 La norma – ha più volte ribadito la dottrina – non trova applicazione in caso di eccesso di mandato. Questa affermazione, se valutata nella parte relativa all’esperibilità dell’azione di rivendicazione nei confronti dei terzi, significa una forte limitazione dell’applicabilità della disposizione alle sole ipotesi in cui il bene non si venga a trovare nella disponibilità di soggetti estranei al rapporto gestorio per effetto di un eccesso di mandato. E ciò, a meno di non voler rilevare un’incoerenza nella logica della norma, presuppone che l’eccesso di mandato abbia realizzato un trasferimento di proprietà. Gestioni di denaro e strumenti di tutela equivalenza funzionale tra le diverse forme monetarie, e come peraltro dimostra l’evoluzione normativa in altri campi (quello della dematerializzazione dei titoli di credito), il passaggio dai pezzi monetari al denaro registrato su conti correnti, non rappresenti un ostacolo all’applicazione della normativa, essendo sul secondo verificabili situazioni analoghe in termini di disponibilità esclusiva, ovvero di fatti determinativi o confusori125. Passiamo quindi ad analizzare le possibili ipotesi di conflitti tra i soggetti coinvolti nell’attività gestoria, con riguardo al denaro, ovvero ai possibili beni ottenuti tramite lo scambio dello stesso. a) Conflitto tra gerito e gestore. Il recupero dal gestore Nel caso in cui il gestore ometta di rimettere al gerito i risultati, anche temporanei, della gestione, il secondo, come noto, può chiedere l’adempimento (per i diritti di credito, art. , co. , c.c.), ovvero rivendicare i beni (o esercitare azioni possessorie) secondo quanto previsto dall’art.  c.c., norma che tuttavia non sembra trovare spazio né nelle ipotesi di cose generiche, né – tanto meno – di denaro126. In quest’ultimo caso – come si è già detto – si ritiene che non vi sia un acquisto strictu sensu, né il denaro sarebbe, in ogni caso, individuabile e quindi non sarebbe possibile affermare alcun diritto reale o possessorio sul bene. Tuttavia, si potrebbe assumere – come abbiamo già provato a fare – una visuale alternativa secondo la quale non vi sono ostacoli in punto di diritto acchè siano applicabili alla ricchezza finanziaria i rimedi previsti per 125 Nel caso dei titoli di credito – si dirà – si è reso necessario un intervento legislativo (cfr. art. -bis ss. T.U.F e d. lgs.  giugno , n. ). Tuttavia, non sembra che nel caso del denaro siano presenti quell’esigenze di funzionamento e riorganizzazione del mercato (lì finanziario) presentatesi nel caso della dematerializzazione dei titoli di credito di massa, considerato il risalente sviluppo della moneta bancaria; né sia necessaria la statuizione espressa dell’estensione di una normativa speciale (quella propria dei titoli di credito, e gli attributi propri che sono tali appunto solo per previsione legislativa). In ogni caso, valgano le argomentazioni supra espresse, cfr. cap. II. . 126 L’inapplicabilità della norma si giustifica in coerenza con i requisiti della vendita di cosa generica, pertanto, seguendo l’opinione prevalente, l’acquisto automatico in capo al mandante non può verificarsi prima che si sia verificato l’effetto traslativo, per effetto della individuazione ( c.c.), in capo al mandatario. Ma, vale anche l’opposto, cioè che nonostante l’individuazione o il pagamento nel caso del denaro, a questo succeda la confusione, con identiche conseguenze. Cfr. supra ntt.  e  e testo corrispondente. Ovviamente, quanto detto preclude altresì, in sede di esecuzione, un procedimento di esecuzione in forma specifica.     altri beni quando essa è, insieme eventualmente a quelli, oggetto dell’attività gestoria127. In secondo luogo, si può prospettare che il denaro sia determinabile, tramite la tenuta di conti separati. Probabilmente, alla luce di ciò, le conclusioni ostative di cui sopra acquistano tratti più sfocati128. E tuttavia, reale ostacolo all’esercizio di azioni proprietarie/possessorie è quello – non marginale – riscontrabile per tutti i beni mobili in cui non appare agile la tracciabilità: la prova della proprietà, nonché i criteri adottati la individuazione dei beni, ad esempio ai fini dell’esercizio di azioni possessorie129. Come si è più volte detto, la storica impossibilità di rivendicare il denaro (con tratti accentuati rispetto agli altri beni, anche fungibili) non acquista rilievo discriminante nella nostra analisi, poiché essa è ininfluente rispetto al soddisfacimento degli specifici interessi delle parti coinvolte in un rapporto di gestione (in particolare del gerito)130. In condizioni di solvibilità del gestore e laddove l’interesse recuperatorio si rivolga alla somma, secondo il suo valore nominale, esso trova sua naturale soddisfazione in una pretesa (obbligatoria) restitutoria per equivalente, che nel caso del mandato trova anche un suo specifico fondamento nell’obbligo rimessione, che ha come presupposto il rendiconto. Il che significa un’azione di accertamento e di condanna al pagamento (ex art.  c.c.) coercibile anche per mezzo dell’esecuzione forzata. L’idea del denaro come oggetto di attività realizza, da un punto di vista tipologico, un passaggio logico rispetto alla tradizionale fenomenologia del denaro come oggetto del contratto, pur avendo, in comune con quelle ipotesi, il connotato (in negativo) del denaro-noncome-mezzo-di-scambio. Cfr. supra cap. I, nt.  e testo corrispondente. 128 Si consideri, secondo questa linea, la proposta di SALAMONE, Gestione e separazione cit., p,  il quale propone un’interpretazione dell’art.  c.c. più vicina all’art. , co. , c.c. (come fattispecie regolante l’azione di ripetizione per alienazione abusiva della cosa). Cfr. infra anche testo corrispondente e successivo a nt.  e passim. Invero, l’interpretazione della norma non può escludere il rinvio espresso all’azione petitoria, ma, in senso estensivo, si potrebbe ragionevolmente estendere anche all’esercizio di altre azioni, di tipo recuperatorio – restitutorio, aventi analoga funzione (e all’interno delle quali può certamente includersi l’art.  c.c.). 129 Si pensi all’ipotesi dell’opera d’arte ma anche degli strumenti finanziari, una volta individuati, per i quali non si pone il problema della probatio diabolica. Quanto, ancora di recente, all’inammissibilità delle azioni di spoglio sul denaro, cfr. Trib. Bergamo,  maggio  (ord.) cit. supra cap. II, nt.  (in fine). 130 La medesima conclusione può riferirsi agli altri rapporti analizzati supra al cap. II. 127 Gestioni di denaro e strumenti di tutela Invece, ciò che sembra acquistare maggior rilievo è piuttosto la possibilità di identificare il denaro-oggetto della pretesa, non importa se creditoria, da parte del mandante nel caso di conflitti sulla stessa, per renderne opponibile la prevalenza rispetto a terzi creditori, nel caso di insolvenza del gestore; ovvero poter vantare una corrispondente pretesa su un sostituto della somma utilizzata dal gestore, in caso di spendita che abbia prodotto un qualche profitto131. Pur consapevoli dei possibili ostacoli del caso, vi sono tuttavia margini per una visione più liberale, rispetto a quella solitamente accolta dalla interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale domestica, dei fenomeni confusori, la quale sia in grado di dar voce a questi interessi132. Premesso che entrambe le ipotesi suindicate (insolvenza, acquisto vantaggioso) tendono a verificarsi in ipotesi di agire infedele di quest’ultimo133, analizziamo per ora la seconda134, ovvero la pretesa del gerito nei confronti del gestore in caso di infedele alienazione di beni (compreso il denaro) a terzi135. 131 Come vedremo, relativamente alle ipotesi in cui la prevalenza rispetto ai terzi creditori, tramite un’azione di (separazione) restituzione o opposizione, ovvero la pretesa restitutoria verso il gestore si fondino sulla possibilità di dimostrare la determinatezza del bene trasferito, ma non la proprietà dei beni trasferiti (indebitamente ex art.  c.c., a diverso titolo comunque prevalente ex  c.p.c. o  l. fall.). Con riguardo alla seconda ipotesi, inoltre, non può ritenersi che una prospettiva risarcitoria pur estesa, come nell’ordinamento italiano, alle voci del danno emergente e del lucro cessante, possa neutralizzare la pretesa sul profitto conseguito dal gestore. 132 Come dimostra l’esperienza anglo-americana, nella quale, anche in virtù della più ristretta portata della responsabilità civile, le pretese restitutorie assumono rilievo centrale, e come può argomentarsi anche sulla base di una lettura costi-benefici del fenomeno. Cfr. infra capp. IV e V. 133 Facciamo rinvio all’agire infedele in senso stretto, nei termini supra enunciati, che rappresenta, altresì, il frequente antecedente logico delle situazioni d’insolvenza, come si vedrà anche a proposito delle fattispecie che emergono nei mercati finanziari. 134 Per il caso della insolvenza, ovvero del concorso tra creditori, si veda infra in questo para. sub c) e para. da  alla fine. 135 Probabilmente più complicato si fa il problema, ove mantenuto nella prospettiva della logica di cosa determinata, in caso di utilizzo del bene (cioè della somma) per il conseguimento di un servizio, ipotesi che negli ordinamenti di common law (cfr. infra cap. IV) fa cadere la pretesa restitutoria. Anche per il diritto italiano, in questi casi, rimarrebbe esperibile esclusivamente l’azione generale di arricchimento senza causa. Cfr. P. GALLO, sub. art. , in Codice civile ipertestuale a cura di Bonilini, Confortini e Granelli, artt. -, Torino, , p. .     Come abbiamo già visto, in questi casi, la tutela del gerito si snoda attorno al dettato dell’art.  c.c. nel senso della responsabilità del gestore per qualsiasi perdita sostenuta dal primo (eccesso di mandato con decremento). Va da sé che trattandosi di una fattispecie di inadempimento del gestore, l’onere della prova incomba sullo stesso convenuto che deve provare il proprio adempimento136. Nel caso, invece, di agire infedele ma con esiti vantaggiosi (eccesso di mandato con profitto, si pensi al già citato caso della vincita alla lotteria), la ratifica, come mezzo avente finalità di tutela, potrebbe costituire lo strumento attraverso il quale il gerito si appropria giuridicamente di eventuali proventi, sia nei confronti del gestore, sia rispetto ai suoi creditori, in dipendenza della quale egli potrà poi attivare i poteri verso il mandatario e i terzi previsti dalla disciplina sul mandato137. Si rammenta che la ratifica consente al gerito di far proprio l’effetto del trasferimento del denaro (il bene acquisito), ovvero il denaro stesso e che, con particolare riguardo alla prospettiva recuperatoria, in questo caso i poteri del mandante torneranno ad ruotare intorno il disposto degli artt. , co. , ,  c.c.138. Cfr., tra l’altro, Cass.,  gennaio , n.  cit. supra, che conferma, come l’attore possa limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte, sia esso totale, che parziale (come nel caso di eccesso di mandato), dovendo invece il debitore fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall’esatto adempimento. 137 Invero, il mandante è in grado di ratificare ogni tipo di atto gestorio infedele (nel senso chiarito supra alla nt.  come comprensivo anche di atti abusivi). In questo senso, ambito della ratifica e delimitazione dell’agire infedele, possono dirsi in astratto correlati da un rapporto di proporzionalità inversa. Ma non comporta, una volta che la ratifica intervenga, alcuna conseguenza pratica, nel senso di limitare la possibilità di ratificare solo per quegli atti in qualche modo riconducibili alla funzione impressa inizialmente al regolamento contrattuale. La ratifica non può che riguardare un atto infedele, a nulla rilevando la prospettiva più restrittiva (come LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione cit., p.  s., che limita l’interesse vincolante il gestore nello scopo obiettivatosi nel contenuto del mandato e non in quello, eventualmente diverso, sussistente al momento dell’esecuzione dell’incarico) ovvero estensiva (VENDITTI, Appunti sul mandato cit., p. ) della nozione di agire infedele, che invece è determinante solo ai fini della limitazione dello spazio dell’inesatto adempimento del gestore. 138 Si pensi, ad es., all’ipotesi dell’acquisto, con denaro del gerito, di un dipinto, che abbia un valore superiore del prezzo di vendita, acquisto compiuto fuori dei limiti del mandato. In questo caso, la ratifica apre alla possibilità di rivendicare il bene ex art.  c.c. Ad uguale conclusione si potrebbe arrivare nel caso in cui il quadro in questione fosse stato assicurato e prima dell’esercizio dell’azione ex , lo stesso sia andato distrutto secondo modalità conformi alla polizza assicurativa. Il gerito, può in questo caso richiedere il risarcimento, nei 136 Gestioni di denaro e strumenti di tutela Tuttavia, a ben vedere, recuperare gli effetti della gestione tramite ratifica, nell’ipotesi di profitto conseguito dal gestore per effetto dell’illecito, verrebbe ad escludere la possibilità di agire per danni, nonché qualsiasi pretesa rispetto a terzi139. In questo caso, ci sembra che ad un differente apparato disciplinare sia necessario far riferimento, il quale consenta non solo il ristoro del danno, ma il conseguimento degli utili lucrati dal gestore ed, in ogni caso tale da dare fondamento ad una serie di effetti ex lege. Esso si basa, oltre che sull’inadempimento contrattuale, anche sulla disciplina delle restituzioni140, fondando la possibilità di ottenere ex art. , co. , c.c., i profitti illecitamente ottenuti dal gestore141. La norma invocata prevede, in caso di alienazione di bene determi- limiti stabiliti dal contratto di assicurazione, ex art. , co. , c.c. Cfr. GRAZIADEI M., MATTEI U. e SMITH L., Commercial Trusts in European Private Law cit., p.  s. e  ss. 139 Ad uguali risultati si giunge, peraltro, ove si configuri l’atto non conforme determinante profitto come una gestione di affari. Tuttavia, l’utilità del ricorso a tale figura si spiega non per l’-uguale- possibilità di ratificare l’operato del gestore, ma, eventualmente, per le azioni esperibili da quest’ultimo in conseguenza dell’utile gestione. 140 Sulla ripetizione dell’indebito, si veda E. MOSCATI, Indebito (pagamento dell’) cit., p.  ss.; ID., Del pagamento dell’indebito, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Libro IV Delle obbligazioni, artt. -, Bologna-Roma, , p.  ss.; P. RESCIGNO, voce Ripetizione dell’indebito, in Noviss. dig., XV, Torino, , p.  ss.; nonché AA.VV., Arricchimento ingiustificato e ripetizione dell’indebito, a cura di L. Vacca, Torino, . Va da sé che la disciplina dello art.  c.c. viene qui applicata in via analogica rispetto alla fattispecie dell’indebito, trattandosi dell’effetto un atto di disposizione inefficace. Alla luce di ciò e in virtù quindi dell’applicazione diretta della norma alla fattispecie sotto scrutinio, possiamo prescindere dal prendere posizione sul dibattito corrente circa il regime delle restituzioni da contratto, diviso sull’esistenza di un modello unitario ex art.  ss. c.c. ovvero di un sistema di doppio binario, ricavabile dal libro IV c.c. (soluzione cui aderisce la dottrina e la giurisprudenza dominante). Cfr. sul tema, per mero inquadramento del problema e senza alcuna pretesa di esaustività, MOSCATI, Ripetizione dell’indebito e azioni restitutorie, in AA.VV., Arricchimento ingiustificato e ripetizione dell’indebito, a cura di L. Vacca cit., p.  ss. e, in senso conforme alla orientamento dominante, da ultimo, L. GUERRINI, Le restituzioni contrattuali, Torino, . 141 Cenni sul ricorso a tale norma sono già, con riguardo a fattispecie di mandato, in SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p. , e, per i casi di fiducia attributiva, in M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., pp. -; GRAZIADEI M., MATTEI U. e SMITH L., Commercial Trusts in European Private Law cit., p.  consapevoli del contenuto innovativo della interpretazione della norma, allo stato non accolta dal diritto vivente. Contra NERI A., Il trust e la tutela del beneficiario, Padova, , p.  s., sulla base, tuttavia, di argomentazioni – ci sembra – non convincenti.     nato ricevuto indebitamente, l’obbligo di restituire questo o il suo valore, a carico di colui che ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l’obbligo di restituzione. Inoltre, il corrispettivo può tener luogo della cosa (pretium succedit in locum rei) chi ha pagato l’indebito può esigere il corrispettivo dell’alienazione e può anche agire direttamente contro il terzo per conseguirlo. L’accipiens dell’indebito deve quindi la maggior somma tra il valore e l’arricchimento142. La norma è stata considerata dalla dottrina fondamento del principio generale per cui il soggetto non titolare che compie atti di disposizione efficaci sulla sfera altrui abbia l’obbligo di restituire i profitti netti illecitamente ricavati dall’alienatario143. SACCO, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto, Torino, , p. . La norma, al pari del disposto di cui all’art. , co. , c.c. è chiara applicazione della concezione reale dell’arricchimento, con la variante di un principio di surrogazione reale nel caso di sostituzione del corrispettivo alla cosa. Cfr. E. MOSCATI, Del pagamento dell’indebito cit., p. , nonché NICOLUSSI, Lesione del potere di disposizione e arricchimento, Milano, , p. , il quale sottolinea come la stessa (al pari che nelle altre ipotesi di lesione del potere di disposizione) presupponga l’acquisto a non domino del terzo. Entrambe le opere riconducono la lesione del diritto di disposizione alla disciplina dell’arricchimento e non dell’illecito ex art.  c.c. 143 SACCO, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto cit., p.  ss. spec. p.  ss. La norma esprimerebbe un principio generale rintracciabile anche negli artt.  e  c.c. relativamente alle alienazioni di beni ereditari da parte del possessore, ovvero dell’erede del depositario, le quali sono accomunate da una ratio che non giace nel rapporto tra l’alienante con la cosa (possessore ex art.  c.c., detentore ex art. , né possessore né detentore ex art.  c.c.), ma nel fatto che l’alienante abbia tratto vantaggio dalla lesione del diritto altrui. L’a., opera in tal modo, un’ «estensione analogica del principio» [della surrogazione] «a quei settori, in cui la legge tace». Il tema dei rapporti tra disciplina dell’illecito e dell’arricchimento con specifico riguardo alle ipotesi di “lesione” del potere di disposizione ( come violazione del potere di godimento esclusivo ex art.  c.c.) è stato oggetto di dettagliato e attento studio da parte della dottrina successiva Cfr. A. NICOLUSSI, Lesione del potere di disposizione e arricchimento cit. Lo scritto guarda agli effetti derivanti dalla perdita di titolarità, per effetto di un trasferimento compiuto dal soggetto non legittimato, verificandone le ricadute obbligatorie a tutela del titolare spodestato. L’a. classifica le ipotesi normative di lesione di un diritto sotto il profilo della titolarità (ovvero la previsione del mutamento della titolarità), innanzitutto secondo una tassonomia che distingue tra: fattispecie di acquisto a non domino (riconducibili non solo alla categoria elaborata in dottrina sotto questo nome, ma anche agli artt. ,  e , ) e accessioni in senso ampio (art. , , , , ,  e ), rintracciando in entrambi i settori come conseguenza, della perdita della titolarità, sul piano obbligatorio rappresentata (secondo tradizione) dalla restituzione dell’arricchimento ottenuto dal proprietario espropriato. Ciò porta alla conclusione che la disciplina propria della lesione del potere di disposizione sia riconducibile al modello della restituzione e non del risarcimento. 142 Gestioni di denaro e strumenti di tutela Si tratta di una regola generale che, in quanto tale, è idonea a coprire anche l’alienazione, sebbene riguardante non l’oggetto di un pagamento non dovuto, ma ugualmente un bene sottoposto ad un obbligo di restituzione e trasferito da un soggetto (al pari che nell’ipotesi dell’indebito) privo della legittimazione a disporre144. In questo senso, l’art.  c.c. può essere visto come norma servente a regolare il regime delle restituzioni in caso di lesione del potere di disposizione, può cioè valere per i beni alienati in carenza di potere di disposizione145. La norma fa dipendere i criteri per la restituzione dalla buona o mala fede dell’accipiens indebiti. Ora, nel caso dell’eccesso di mandato, lo stato soggettivo di mala fede di quest’ultimo può presumersi, visto che il mandatario non poteva non conoscere l’obbligo di restituzione nei confronti del mandante, con la conseguenza dell’alternativa tra restituzione in natura, del valore, del corrispettivo conseguito o da conseguire146. Sull’ampia portata applicativa della norma di cui all’art.  c.c., solo per tradizione lasciata dal legislatore del ’, “nella collocazione sicura dell’indebito”, si veda E. MOSCATI, Del pagamento dell’indebito cit., p.  s. Il rilievo, tuttavia, non va riferito solo alla operatività delle azioni restitutorie in ambito contrattuale (secondo la nota tesi dell’a., come, ad esempio, in caso di risoluzione, cfr. supra nt. ), ma, più incisivamente, alle ipotesi di applicazione analogica della norma a tutte le ipotesi di lesione del diritto sotto il profilo del potere di disposizione (cfr. NICOLUSSI, Lesione del potere di disposizione e arricchimento cit., p.  s., in part. dottrina citata alla nt. ). Sul punto va chiarito che, secondo la dottrina dominante, l’art.  c.c. presuppone l’acquisto a non domino dall’accipiens indebiti e quindi si applica solo a questi casi. Ciò significa che l’avente causa dall’accipiens diventa proprietario a non domino della cosa ricevuta indebitamente (tesi pur contestata in dottrina; sul punto NICOLUSSI, Lesione del potere di disposizione e arricchimento cit., p. ). Come noto, l’opera dell’a. riprende le tesi del Castronovo, espresse anche in CASTRONOVO, Le frontiere mobili della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., , p. , che distingue i casi di distruzione e godimento della cosa ad opera di un terzo (in cui si ravvisano gli estremi della responsabilità civile), da quella dell’acquisto a non domino della cosa da parte di un terzo di buona fede, che è ipotesi di arricchimento senza causa. Per quanto a noi d’interesse, questi rilievi valgono a meglio evidenziare come la mancanza di legittimazione del dante causa, che è uno dei riconosciuti presupposti della norma, possa essere oggetto di applicazione estensiva (o analogica) ad altre ipotesi di mancanza di legittimazione a disporre, anche se non fondate su un pagamento indebito. 145 Si tratta di fattispecie, quelle cioè caratterizzate dall’assenza del potere di disposizione da parte dell’alienante, che realizzano un’ipotesi di concorrenza tra rimedi (tra cui anche la rivendica). Cfr. A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti cit., p.  ss. 146 Con riguardo alla fiducia attributiva, in questi termini, M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., p. . Sulla consapevolezza (o meno) della (mancanza di) legittimazione all’atto di 144     L’azionabilità di un tale strumento ha il suo perno non nella dimostrazione da parte del mandante della proprietà del bene, ma della determinatezza della stessa al momento del pagamento, e dell’utilizzo nell’alienazione, quale ne sia stata poi la sorte nel patrimonio dell’accipiens147. Questa logica può trovare applicazione anche per il denaro, ove, quindi, sarà rilevante non l’eventuale successiva confusione nel patrimonio del terzo, ma la possibilità di provare l’utilizzo, da parte del mandatario, di denaro della gestione148. disposizione come criterio più idoneo a valutare la condotta del soggetto onerato del debito restitutorio, cfr. NICOLUSSI, Lesione del potere di disposizione e arricchimento cit., p. , cui si rinvia (spec. p.  ss.) anche per l’inquadramento dell’obbligazione restitutoria (come alternativa o meno). 147 Se si ha riguardo, infatti, al rapporto gerito – gestore ciò che interessa è verificare che sia avvenuto un trasferimento di cosa determinata (leggi denaro della gestione), essendo l’oggetto della pretesa restitutoria costituito dal valore, ovvero, secondo un meccanismo surrogatorio, dal bene acquistato con il denaro della gestione. Le successive sorti di quest’ultimo, nonché la rilevanza di una persistente tracciabilità si farebbero necessarie solo laddove s’intendesse optare per il recupero da un eventuale terzo acquirente fuori dall’ambito di operatività dell’art.  c.c. (che è l’ipotesi contemplata infra sub b) nel testo), facendo invece valere una pretesa di tipo proprietario sullo stesso. I meccanismi confusori delle somme rendono altamente improbabile questa ipotesi, se non, in astratto, nel caso di un acquisto da parte di un terzo in mala fede, rispetto al quale si riesca a dimostrare che non siano state effettuate movimentazioni sul conto ricevente successive al flusso monetario della somma contestata. 148 Ancora una volta, si fa riferimento ad ipotesi nelle quali il denaro possa dirsi esser stato defungibilizzato, attraverso l’utilizzo, ad esempio di un conto destinato, e quindi possa, entro questi limiti e finalità, dirsi “cosa determinata”. Come già evidenziato, una certa garanzia del permanere dell’attributo della non-fungibilità può essere pattiziamente garantito attraverso, ad esempio, un obbligo di rendicontazione periodica nel contratto di mandato, che funge da strumento di controllo per il mandante. Quanto, più da vicino, alla riferibilità della disposizione in esame al denaro e agli altri beni fungibili, ci sembra, invero, che la formulazione nel codice vigente del combinato disposto di cui agli artt. - c.c. (che fanno rinvio alla cosa determinata), rispetto a quella degli artt. - del codice del  (il quale parlava di cosa, in generale), abbia invero ristretto i limiti operativi della normativa anche oltre i confini segnati dalla formulazione della disposizione. Ciò sembra dovuto a due motivi: il tradizionale pregiudizio che esclude il denaro da considerazioni relative ad altri beni (anche fungibili) indipendentemente dagli interessi in gioco (e quindi induce l’operatore o l’interprete ad escludere il denaro); nonché da una riduttiva formulazione letterale delle disposizioni stesse (cfr. infra nt. seguente). Invero, proprio sotto la vigenza del vecchio codice, un’interpretazione – di contro – inclusiva del denaro e dei beni fungibili era stata indotta proprio dalla genericità della formulazione, ma tuttavia, le logiche sottostanti apparivano le stesse. Cfr. ANDREOLI, La ripetizione dell’indebito, Padova, , p.  ss. L’a. riteneva che laddove i beni fungibili o le monete materialmente ricevuti non potessero essere restituiti in natura, per effetto dell’avvenuta con- Gestioni di denaro e strumenti di tutela In questo caso, ancora una volta, bisogna interpretare analogicamente un dato normativo che si fonda sul binomio cosa/corrispettivo, e che in questo caso va tradotto nel senso inverso, di res succedit in locum pretii, come regola di surrogazione della cosa nel prezzo149. Ma, come si è detto, nel mandato ciò che rileva è il fatto gestorio, il quale interessa indistintamente tutti i beni coinvolti nella gestione150. Peraltro, la surrogazione della cosa nel prezzo è tecnica non sconosciuta al nostro ordinamento151. fusione, di essi ne andasse restituito non il tantundem ma l’equivalente, calcolato secondo il valore dei beni o il potere di acquisto della moneta al tempo della commixtio. La tesi è stata criticata con argomentazioni che fanno riguardano l’inapplicabilità al denaro e ai fungibili dei fenomeni del deterioramento e perimento (cfr. E. MOSCATI, Del pagamento dell’indebito cit., p.  s.) Non si vede, tuttavia, come, fermo il rispetto anche per il denaro di modalità di identificazione della somma, le norme in questione non possano essergli applicate, ove compatibili (quindi, per quanto detto, l’art.  c.c.). Una volta ammessa, infatti, l’applicazione della norma anche al denaro, può discutersi la valenza che in questo caso assume binomio cosa in natura – valore. Esso non può che tradursi in un obbligo di restituzione che sia in grado di garantire il valore del bene trasferito al momento del pagamento, e potrà pertanto essere calcolato richiamando i criteri di cui all’art. , parte a, c.c. Sul punto, anche se in diversa prospettiva, E. MOSCATI, Del pagamento dell’indebito cit., p.  s. Il rilievo principale – ci sembra, tuttavia – si sostanzi nella possibilità di estendere l’obbligo restituzione sul bene conseguito dal soggetto non legittimato a disporre. 149 Art. , co. , c.c. parla di: cosa (in natura o suo valore) e al corrispettivo conseguito in relazione alla cosa ricevuta indebitamente. Nell’ottica in cui la cosa alienata sia del denaro determinato (o defungibilizzato), ciò comporterà un obbligo a carico dell’alienante di restituirne (ragionevolmente) il valore (la somma rivalutata, nel caso di mala fede dell’accipiens dal momento del pagamento, arg. ex art.  c.c.), mentre il corrispettivo è da intendersi come il bene conseguito per effetto del trasferimento del denaro. Sul significato amplissimo da conferire al termine “alienazione”, sintesi sia dell’atto traslativo sia dell’effetto, si veda A. NICOLUSSI, Lesione del potere di disposizione e arricchimento cit., p. , nt. . Sull’espressa applicabilità della norma al denaro e ai beni fungibili, P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti (I rimedi restitutori), in Tratt. dir. civile a cura di R. Sacco, Torino, , p. . 150 Cfr. supra para. .. e, similmente, SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., spec. pp. ,  e passim, il quale, in ogni caso, adotta una medesima prospettiva nella sua opera. 151 Cfr. art.  c.c., in tema di dichiarazione di morte presunta, ove si afferma che se il presunto morto ritorna, ha diritto non solo di conseguire il prezzo dei beni alienati, ma ha altresì diritto sui beni nei quali il denaro sia stato investito. L’applicazione analogica della norma troverebbe conferma, peraltro, in quella lettura che ha rintracciato in un identico principio di surrogazione reale (indipendentemente se poi si aderisca al rilievo che tale principio sostituirebbe quello dell’arricchimento) il fondamento delle disposizioni di cui agli artt. , , ,  (ma con specifico riguardo al co. , ov’è presente la buona fede dell’alienante) c.c., nelle quali vi è appunto un atto di disposizione di cosa altrui, che da luogo ad un’obbligazione restitutoria. Sul punto, SCHLESINGER, voce Arricchimento (azione di) (Diritto civile), in Noviss. Dig., I, t. ,     L’applicazione della norma al denaro, consentirebbe quindi al gerito di richiedere il bene ottenuto dal gestore per effetto del pagamento di denaro in ipotesi disparate, e, rispetto al terzo che abbia acquistato a titolo gratuito. Tuttavia, ove non risulti possibile dimostrare la riferibilità alla gestione delle somme utilizzate, ovvero in caso di indeterminatezza dell’oggetto, il mandante dovrebbe poter recuperare il denaro utilizzato secondo i limiti previsti per l’azione generale di arricchimento senza causa, cioè procedendo ad una valutazione della differenza prodottasi nelle sfere patrimoniali dei soggetti tra i quali è intercorso lo spostamento economico privo di causa (art. - c.c.)152-153. In questi casi la misura dell’obbligazione re, p.  ss.; nonché MOSCARINI, voce Surrogazione reale, in Noviss. dig., XVIII, , p.  ss., spec. . 152 Cfr. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., spec. p. , nonchè NICOLUSSI, Lesione del potere di disposizione e arricchimento cit., p. . Il reale problema che si pone in questi casi, peraltro comune all’ipotesi dell’applicazione dell’art.  c.c., è rappresentato nell’ipotesi che qui interessa, dal possibile concorso del recupero dell’arricchimento con il ristoro dal danno, in considerazione - prevalentemente – della sussidiarietà del principio dell’arricchimento. Cfr. NICOLUSSI, Lesione del potere di disposizione cit., p.  ss.; in termini favorevoli, SACCO, L’arricchimento mediante fatto ingiusto, p.  ss.; accetta parzialmente la tesi del Sacco, P. TRIMARCHI, Atti di disposizione di cosa altrui e arricchimento senza causa, in Studi in onore di A. Asquini, V, Padova, , p.  ss., il quale ritiene che al risarcimento del danno possa aggiungersi la restituzione dell’arricchimento, ma non l’arricchimento senza causa. 153 Sull’arricchimento senza causa: SCHLESINGER, voce Arricchimento (Azione di) Diritto civile, in Noviss. dig., II, Torino, , pp.  – la quale rappresenta certamente l’opinione cui poi si è uniformata la giurisprudenza a partire dagli anni Sessanta -; P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti (I rimedi restitutori) cit.; R. SACCO, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto cit.; A. TRABUCCHI, Arricchimento (diritto civile), in Enc. dir., III, Milano, , p.  ss. ; P. D’ONOFRIO, Arricchimento senza causa, in Comm. cod. civ. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, artt. -, Bologna-Roma, , p.  ss.; V. PIETROBON, Ingiustificato arricchimento, in AA. VV., Arricchimento ingiustificato e ripetizione dell’indebito cit., p.  ss.; P. PARDOLESI, Arricchimento da fatto illecito: dalle sortite giurisprudenziali ai tormentati slanci del legislatore, in Riv. crit. dir. priv., , p.  (con particolare riguardo alle fattispecie della proprietà industriale); e A. ALBANESE, Arricchimento senza causa: azione e principio, in Studium iuris, , p.  ss. L’istituto si poggia su una disposizione dal tenore altamente vago, rispetto al quale, tuttavia, la dottrina ha colto delle coordinate essenziali sufficientemente condivise e che individuano una nozione di arricchimento e di correlato danno (depauperamento) in un’accezione del tutto generica, ovvero fondate su criteri economici. Sul punto TRABUCCHI, voce Arricchimento (diritto civile) cit., p.  s. La figura ricorrerebbe, quindi, in caso di spostamenti di ricchezze privi di causa giustificata, cioè, in cui l’utilità per il soggetto arricchito corrisponde a quelle oggetto di un diritto altrui, ovvero che costituivano lo scopo di un’attività altrui. Sul punto, P. TRIMAR- Gestioni di denaro e strumenti di tutela stitutoria si calcola, tuttavia, in funzione della diminuzione patrimoniale subita dall’impoverito e nei limiti dell’arricchimento (art. , co. , c.c.). Un utile esperimento dell’azione di arricchimento presupporrebbe, a sua volta, il superamento di una serie di ostacoli presenti nell’interpretazione della normativa e della modesta portata che esso attualmente riveste nel nostro ordinamento. Il principale impedimento, nella prospettiva qui analizzata dei rapporti gerito – gestore, è rappresentata dall’interpretazione corrente della portata del principio di sussidiarietà dell’azione in parola (art.  c.c.), pur non mancando interpretazioni in senso difforme in dottrina154. Seguendo l’interpretazione prevalente accolta nel nostro ordinamento, l’astratta esperibilità di un’azione di risarcimento danni escluderebbe CHI, L’arricchimento senza causa cit., Entro questo quadro generalissimo, ovviamente, le posizioni appaiono disparate. Secondo quanto si dirà nel testo, e con particolare attenzione alle fattispecie da noi analizzate, i nodi cruciali nell’interpretazione della normativa, riposano tuttavia sul significato da conferire al carattere sussidiario dell’azione (che trova il suo antecedente solo nel diritto francese) e alla relazione intercorrente tra arricchimento e depauperamento. Più in generale invece, sull’istituto e sui rapporti con il regime delle restituzioni, cfr. E. MOSCATI, Del pagamento dell’indebito cit., pp.  – , il quale esclude come, nonostante le affinità rintracciabili tra la figura dell’arricchimento senza causa e la restituzione di cosa determinata, possa, nell’ordinamento italiano, andarsi al di là di una mera comunanza di un principio equitativo, ispirato ad una generica giustizia commutativa, tra ripetizione dell’indebito e arricchimento. L’attenzione alla prospettiva comparatistica, ove la categoria delle restituzioni assume maggiore centralità, come nel modello tedesco o di common law, e sta, ad esempio nel secondo caso, ottenendo una sempre più convincente sistemazione teorica, ha indotto invece altri aa. a tentativi di sistematizzazione, non potendo tuttavia mancare di optare, però, per una pluralità di “modelli restitutori”. In questo senso, GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti (I rimedi restitutori) cit., pp. -. In proposito, nella prospettiva del diritto comparato, si veda ZWEIGERT K. e KÖTZ H., Introduzione al diritto comparato, II, Istituti, a cura di A. Di Majo e A. Gambaro, Milano, , p.  ss. 154 Cfr. innanzitutto il contributo di SACCO, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto cit., che tuttavia non è stato accolto dalla giurisprudenza e A. ALBANESE, Fatto illecito, fatto ingiusto e restituzione dell’arricchimento in assenza di danno, in Resp. civ. prev., , p.  ss., che, più di recente, propone il ricorso alla norma con funzione integrativa rispetto alla responsabilità civile, restringendo l’applicazione del principio di sussidiarietà solo all’interno dei modelli restitutori e quindi lasciando all’attore, in caso di arricchimento mediante fatto ingiusto, la scelta del rimedio riparatorio o indennitario (basato sull’arricchimento conseguito dal convenuto), e quindi slegato dal danno. In senso più generale, e forse fin troppo dilatato, l’esercizio dell’azione di arricchimento potrebbe ammettersi quando siano venute meno, in concreto le condizioni per l’esercizio di altre azioni. Concorda sulla possibilità di un concorso alternativo tra azione di arricchimento e risarcimento del danno, P. SIRENA, Note critiche sulla sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. trim. dir. proc. civ., , p. , spec. p. .     l’applicabilità del rimedio dell’arricchimento e pertanto questo non potrebbe svolgere alcuna funzione integrativa155. La latitudine delle problematiche qui proposte porterebbe la nostra indagine troppo lontano. Può certamente affermarsi, come si vedrà, anche successivamente156, che ove si riuscisse, in un dialogo proficuo tra dottrina a giurisprudenza, a fondare un’interpretazione della norma in senso estensivo, essa potrebbe assumere un ruolo rilevante anche nella fattispecie sotto scrutinio, in tal modo superando facili mode esterofile nella ricerca di modelli alternativi in altri ordinamenti157. b) Conflitto tra gerito e terzi contraenti con il gestore. Il recupero dal terzo contraente (parte del negozio gestorio)158 A questo punto, sembra poter ricevere miglior luce anche la portata del fascio di poteri che il gerito può esercitare nei confronti dei terzi contraenti dell’atto gestorio extra-mandato, ovvero le ipotesi in cui il terzo acquirente dal gestore può essere chiamato a rispondere nei confronti del mandante159. Appare opportuno, sin da ora, precisare che invocare in proposito la disciplina restitutoria dell’indebito, anche nei riguardi dei terzi aventi causa, conduce a configurare una prospettiva alternativa rispetto alla lettura che individua nella data certa il criterio che determina la prevalenza del mandante rispetto ai terzi aventi causa. Che si preferisca accogliere l’una delle due, entrambe le proposte interpretative mirano a rintracciare una disciplina possiSi tratta della tesi della “sussidiarietà in astratto” secondo cui il ricorso all’azione di arricchimento è possibile solamente quando sin dall’origine non vi sia nessun altro rimedio astrattamente esperibile, accolta in dottrina (SCHLESINGER, voce Arricchimento (Azione di) Diritto civile cit., p. ) e in giurisprudenza (Cass.,  novembre , n. , in Mass. Giust. civ., , ). 156 Cfr. nel presente para. sub b) 157 Il problema si è principalmente posto con riguardo al dibattito sul trust e alla sua configurabilità nell’ordinamento italiano, assumendosi una maggiore completezza rimediale di quello rispetto agli istituti di diritto nostrano, proprio con riguardo alle pretese restitutorie. 158 L’idea del recupero nei confronti del terzo acquirente, sebbene, come vedremo, e seguendo una certa interpretazione, limitata all’arricchimento del terzo, segue il bene abusivamente trasferito (non quello acquisito dal gestore), in tal modo – e volendo fornire solo una mera assonanza, lo schema del following negli ordinamenti di common law. Si veda, infra cap. IV. 159 L’interesse del gerito a rivolgersi nei confronti del terzo potrebbero essere varie, tra le quali quella più rilevante, anche nel caso del denaro, è rappresentata dall’insolvenza del mandatario stesso. 155 Gestioni di denaro e strumenti di tutela bile dei rapporti del mandante rispetto agli aventi causa del mandatario che operi in eccesso di mandato. Riprendendo le fila del discorso e ipotizzando ancora, per semplicità di argomentazione, che l’atto non conforme consista in un’alienazione (o pagamento di una somma per l’acquisto di un bene), un’eventuale ratifica da parte del gerito, comporterebbe l’esperibilità dell’azione reipersecutoria in quanto mandante (art.  c.c.), sebbene ciò esponga alle consuete obiezioni circa la sua applicabilità al denaro e agli altri fungibili. Se non vi è ratifica, regola applicabile è quella dettata dall’art. , co.  parte a, c.c., secondo cui se l’alienazione è stata fatta a titolo gratuito, l’acquirente, qualora l’alienante sia stato inutilmente escusso, è obbligato nei limiti dell’arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito160. L’applicazione di questa norma anche ai casi di alienazione effettuata dal gestore e relativamente inefficace rispetto al gerito comporta, quindi, che il recupero presso il terzo, e nei limiti del suo arricchimento, possa avvenire soltanto se l’alienazione sia avvenuta a titolo gratuito, anche nell’ipotesi di acquisto in buona fede da parte del terzo acquirente. Si tratta, infatti, di una pretesa restitutoria che permane anche nell’ipotesi in cui il terzo sia divenuto proprietario del bene oggetto dell’alienazione161. Inoltre, laddove non si volesse riconoscere al denaro, pur ascrivibile alla gestione, lo status di cosa determinata, anche nella direzione del terzo sarebbe possibile proporre un’azione di arricchimento senza causa, che conduce ad un risultato del tutto analogo obbligando all’indennizzo della correlativa diminuzione patrimoniale. Ciò significa l’esperimento dell’azione da parte del gerito nei confronti dei terzi che abbiano tratto profitto dall’arric- L’introduzione della regola della responsabilità del terzo acquirente nel nostro ordinamento si deve al codice vigente, mentre non compariva nel codice del . Sull’introduzione, però, della regola che si fa risalire a Pothier, cfr. P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti cit., p. . 161 L’applicabilità dell’art.  c.c. anche agli acquisti a titolo gratuito (da ultimo, nella terza ed. dell’opera, finalmente accolta da MENGONI, Gli acquisti «a non domino» cit., p.  ss.) e quindi l’eventuale acquisto da parte dell’avente causa non incide infatti sulla obbligazione restitutoria. Cfr. supra, inoltre, nt. . Chiarisce le tre possibili ipotesi che ruotano intorno all’acquisto del terzo da parte dell’accipiens indebiti (ovvero il soggetto non legittimato), P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti cit., p. : l’acquisto a titolo oneroso in cui nessuna azione è data contro il terzo; l’acquisto a titolo gratuito, che integra l’ipotesi ex , co. , c.c.; l’acquisto del terzo senza causa, in cui sarebbe esperibile i rimedi per l’arricchimento indiretto. 160     chimento. Anche in questi casi, tuttavia, e in aggiunta ad alcune delle obiezioni già esaminate in precedenza con riguardo all’attuale portata cui si confina la figura dell’azione generale di arricchimento, si pone la necessità di superare quella lettura della normativa che esclude l’ammissibilità dell’arricchimento mediato o indiretto, che cioè interpreta restrittivamente la relazione che deve intercorrere tra arricchimento e depauperamento162. In proposito va rilevato come, anche se ancora esprimendosi in termini di regola / eccezione, una certa apertura in tal senso proviene dalla più recente giurisprudenza, che componendo il contrasto in tema di arricchimento indiretto, ha ammesso quest’ultimo ove il terzo abbia acquistato a titolo gratuito163. c) Conflitto tra gerito e creditori del gestore. Il recupero in caso di esecuzione sul patrimonio del gestore Il mandante – lo si è visto poc’anzi – è “beneficiario” di un patrimo162 La figura dell’arricchimento indiretto o mediato è ben ricostruito in NERI, Il trust e la tutela del beneficiario cit.,  ss. ripercorrendo il pensiero della dottrina classica in materia. Al di là delle più recenti classificazioni fornite dalla dottrina (cfr. P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti cit., p.  ss.), il principale nodo della figura dell’arricchimento mediato è rappresentato dalla incisività che si attribuisce al nesso tra depauperamento e arricchimento. In proposito, secondo la tesi prevalente, la norma imporrebbe il perfezionamento della fattispecie per effetto dello stesso fatto costitutivo e dell’impoverimento e della locupletazione. Cfr. SCHLESINGER, voce Arricchimento (Azione di) cit., p.  ss. e in giurisprudenza, uniforme giurisprudenza a partire da Cass., SS.UU.,  febbraio , n. , in Giust. civ., , I, p. , come Cass.,  febbraio , n. , in Foro it., , I, c.  ss. con nota (in senso critico) di SPITALI, L’arricchimento mediante intermediario e l’art.  c.c, c. . Questa interpretazione è strettamente connessa a quella della sussidiarietà in astratto: l’esperimento dell’azione contro il terzo è infatti impedita dalla possibilità in astratto (anche se vana) di agire (solitamente ex contractu) contro l’intermediario – debitore. Contra, la tesi meno restrittiva di TRABUCCHI, voce Arricchimento (diritto civile) cit., p. , il quale ammette anche una causalità indiretta, purché tra i due fenomeni sussista un nesso di causalità storica; in giurisprudenza, in questo senso, Cass.  agosto  n. , in Corr. giur. , p.  che fa salvo l’arricchimento conseguito dal terzo in virtù di un atto a titolo oneroso, ammettendolo quindi solo in caso di arricchimento ottenuto a titolo gratuito. 163 Cass., SS.UU.,  ottobre , n.  cit., che, in tema di mandato senza rappresentanza (di azione del mandante verso il terzo), ha ribadito il doppio requisito dell’unicità del fatto costitutivo e della sussidiarietà dell’azione di ingiustificato arricchimento è regola generale, con la duplice eccezione costituita: dall’arricchimento mediato conseguito da una P.A. rispetto ad un ente (anch’esso di natura pubblicistica) direttamente beneficiario/utilizzatore della prestazione dell’impoverito; dall’arricchimento conseguito dal terzo a titolo meramente gratuito. Gestioni di denaro e strumenti di tutela nio separato che si enuclea in quello generale del mandatario (art.  c.c.) e che costituisce un limite alla sua responsabilità patrimoniale generica. Ciò comporta che nelle ipotesi in cui venga in questione l’esecuzione sui beni del mandatario, l’ascrizione degli stessi all’una sfera o all’altra genererà conflitti tra i soggetti interessati: gerito e creditori del gestore. Pertanto, ove i creditori del gestore abbiano iniziato una procedura esecutiva (individuale o collettiva), tra gli altri, su beni della gestione, il gerito ha diritto ad opporre la separazione ovvero la restituzione dei beni, sulla base del combinato disposto artt.  e  c.c., che prescrivono un requisito di data certa dell’atto di mandato (ovvero, seguendo una certa interpretazione, dell’acquisto riconducibile all’atto di mandato164). Tale diritto si “incanala” processualmente attraverso le azioni dell’opposizione di terzo all’esecuzione (nel caso di procedura individuale, art.  ss. c.p.c., o eventualmente,  ss. c.p.c., in caso di opposizione all’esecuzione per motivi di merito da parte dello stesso gestore) o dell’azione di rivendicazione, restituzione e separazione (in sede fallimentare, art.  l. fall.) e svolge una funzione di consentire la tutela verso terzi (creditori) del diritto su beni del patrimonio della gestione. Anche in questo caso, con riguardo alla pretesa alla restituzione / separazione del denaro gestito, diventa centrale il momento della identificazione delle somme utilizzate, al fine di garantire la tutela degli interessi della generalità del ceto creditorio del mandatario. Sulla delimitazione, in concreto, dei criteri utilizzati ed utilizzabili per tale identificazione, si darà conto nei paragrafi che seguono. Appare, tuttavia, opportuno ora segnalare come questa disciplina si moduli particolarmente nell’ipotesi del compimento di atti non conformi alla gestione. In questi casi, il conflitto tra gerito e creditori del gestore si caratterizza in maniera peculiare: la pretesa che il primo avanza sul patrimonio separato non si esplica secondo una relazione di giustizia distributiva, ovvero, non colpisce (solo) l’autore della lesione, ma incide anche sul soddisfacimento delle pretese di terzi (i creditori del gerito)165. Ciò comporta una Cfr. supra para. che precede nonché infra nt.  e rinvii ivi contenuti. Si tratta di due forze uguali e contrarie: da un lato, la vittima dell’illecito, dall’altro i creditori dell’autore dell’illecito. È uno dei casi di conflitto in cui va non semplicemente “punito” l’autore di un illecito ma la “punizione” va controbilanciata con gli interessi di terze parti (i suoi creditori) A stretto rigore, l’identificazione delle somme è posta a tutela di soggetti dif164 165     particolare attenzione nella ricerca delle soluzioni più appropriate nei casi controversi che l’esperienza pratica evidenzia in caso di gestioni di denaro. Questa notazione c’impone una valutazione conclusiva che coordini le soluzioni sopra indicate (sub a) e sub b)) al caso di insolvenza del mandatario (ovvero di azioni esecutive sul di lui patrimonio). Sinteticamente può affermarsi che se il mandante provvede alla ratifica (ex art.  o  c.c.), ascrivendo il bene alla sfera del suo patrimonio separato, in caso di insolvenza o esecuzione sul patrimonio del mandatario, egli potrà prevalere nei confronti dei creditori del possessore del bene (sia esso il mandatario o il terzo), purché il mandato abbia data certa. Ad uguale soluzione può pervenirsi, ove s’invochi l’art.  co. , parte , c.c. in quanto fondata sulla pretesa su cosa determinata (ius ad rem), assistita da un principio di surrogazione reale166. Diversamente, è, invece, il caso in cui la pretesa vantata sia il diritto all’arricchimento conseguito. Trattandosi di un diritto di credito per l’indennizzo derivante dall’impoverimento subìto, l’eventuale insolvenza del mandatario o del terzo, determinerà un concorso pari passu del diritto del mandante con i creditori del mandatario167. .. La disciplina di diritto speciale dei mercati finanziari e la tutela dell’investitore Nel diritto speciale dei mercati finanziari il rapporto di gestione (nel senso accolto), per fini d’investimento, nasce e si estingue con il denaro: il cliente all’inizio del rapporto affida del denaro alla banca o all’intermediario; al momento dello scioglimento del rapporto otterrà sempre denaro (una somma uguale, maggiore o minore di quella inizialmente affidata in gestione). ferenti: nei casi sub a) b) dei terzi aventi causa dal gestore, i quali potrebbero vedersi sottratti di somme o beni legittimamente acquistati; nel caso sub c) essa serve, ancora una volta a risolvere un conflitto tra soggetti “terzi” (il mandante e creditori del mandatario). 166 A stretto rigore, l’operatività del principio della separazione reale, comporta che, anche nell’ipotesi del conflitto/concorso (incompatibile) con i creditori, il titolare della pretesa restitutoria possa farla valere con prevalenza rispetto alle concorrenti pretese, anche sul corrispettivo e, probabilmente, sul valore. 167 M. GRAZIADEI, U. MATTEI e L. SMITH, Commercial Trusts in European Private Law cit., p.  ss. Gestioni di denaro e strumenti di tutela Il tempo che intercorre fra la dazione di denaro all’inizio del rapporto e la dazione al termine del rapporto verrà utilizzato per compiere operazioni dirette alle finalità di investimento: strumenti finanziari, di cui il cliente può anche ignorare l’esistenza ovvero esserne informato ex post come nel caso delle gestioni di portafogli168. Si è in precedenza visto come risulti concordemente individuato lo schema normativo generale cui le operazioni su strumenti finanziari sono ascrivibili (il mandato169), e l’oggetto (monetario) della stessa: nei fondi del cliente («patrimoni distinti») possono confluire, astrattamente, sia denaro contante quanto moneta scritturale170. Si è, infine, anticipato come, quanto ai risvolti effettuali della separazione patrimoniale, sia possibile svolgere un discorso analogo, ad esempio, anche per il regime degli istituti di pagamento rispetto ai fondi dell’utilizzatore dei servizi di pagamento171. Compete ora di analizzare più da vicino la disciplina speciale e verificare come i profili regolamentati, principalmente quelli riguardanti la responsabilità patrimoniale dell’intermediario, interagiscano con la disciplina generale172. Cfr. infra nt. . Si tratta dello schema cui la letteratura dei mercati finanziari, e, come visto, dell’attività bancaria (relativamente alla funzione monetaria) fa riferimento. In aggiunta a quanto supra alla nt.  si vedano, altresì: GRAZIADEI, Mandato (sintesi di informazione), in Riv. dir. civ., , II, p.  ss.; F. D’ALESSANDRO, Dissesto dell’intermediario mobiliare e tutela dei clienti, in Giur. comm., , I, p.  ss.; INZITARI, Segregazione del patrimonio della clientela presso l’intermediario finanziario, in TAF, , p.  ss. 170 Nel caso dell’intermediazione finanziaria, il dettato normativo si affida in questo caso a formule generali («somme di denaro», «disponibilità liquide»). Nel caso dei servizi di pagamento, i fondi del cliente che confluiscono nel suo conto di pagamento, gestito dall’intermediario (il prestatore del servizio), possono consistere in: banconote e monete, moneta scritturale e, altresì, moneta elettronica (art.  lett. m) del d.lgs.  gennaio , n. ). 171 Cfr. supra para.  e cap. II, ntt.  e . Il discorso, invero, potrebbe farsi amplissimo ed estendersi, più in generale, a tutte le ipotesi in cui, in diverso modo, la separazione patrimoniale viene utilizzata nelle operazioni finanziarie: ad esempio, nei patrimoni destinati di cui all’art. - bis ss. c.c., nei fondi pensione, nella cartolarizzazione dei crediti prevista dalla l.  aprile , n. , nelle società a progetto, c.d. project financing previste nella l. quadro per i lavori pubblici, l.  febbraio , n.  e successive modifiche e integrazioni. Ma, in relazione alle diverse esigenze economiche e gestionali connesse a ciascuna fattispecie, gli statuti, ad di là di alcuni tratti comuni, sono differenziati, e pertanto non funzionali e invece dispersivi per l’indagine. 172 La normativa sulla intermediazione finanziaria, oggetto anche di copertura costitu168 169     Lo svolgimento di attività gestorie aventi ad oggetto denaro a servizio di clienti nei mercati finanziari trova la propria regolamentazione, principalmente nel Testo unico dell’intermediazione finanziaria, secondo due schemi fondamentali: quello dei servizi d’investimento (attività prestate in maniera personalizzata nei confronti di ciascun cliente, professionalmente da imprese di investimento e banche, nonché – con limitazioni – da SGR e altri intermediari)173, ovvero le gestioni “in monte” (su base collettiva, effettuata da effettuata dalle SGR per i fondi comuni ed i fondi pensione, in cui risparmio degli investitori confluisce in un unico portafoglio gestito unitariamente)174. Da un punto di vista strutturale, le attività prestate si differenziano notevolmente, anche all’interno di ciascuna categoria (si pensi alle diverse fattispecie di servizi e attività d’investimento ex art. , co. , T.U.F., tra i quali compare, tra l’altro, il servizio specifico di «gestione di portafogli»175), ma sono zionale ai sensi dell’art.  Cost., ha carattere imperativo, a tutela della integrità dei mercati. Pertanto è stata ritenuta essere disciplina di ordine pubblico economico e sociale (c.d. ordine pubblico di protezione), sebbene il discorso in materia si sia sviluppato principalmente con riguardo alla disciplina della condotta degli intermediari. Sul punto, ex plurimis, V. SCALISI, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., , I, p.  ss., in part. p. . Anche relativamente al campo della responsabilità patrimoniale degli intermediari, la normativa si caratterizza per la tutela della fiducia degli investitori (e quindi per lo sviluppo del mercato), e quest’ultima giustifica il particolare rigore nella previsione degli obblighi di separazione, sanzionati anche penalmente (art.  T.U.F.). La confusione illecita di patrimoni è assurta a fattispecie criminosa proprio in quanto si tratta di una condotta che pregiudica la trasparenza del mercato, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e, soprattutto, la tutela degli investitori. Cfr. art.  T.U.F. Confusione di patrimoni e commento a cura di V. PATALANO, sub art.  cit. Ciò non significa che, tuttavia, in una prospettiva più ampia, la regolamentazione dettata in tema di separazione patrimoniale non sia pienamente omogenea rispetto alla disciplina di diritto comune. In questo senso, riteniamo la prima possa fungere da banco di prova e da chiarificazione per quest’ultima. 173 Cfr. T.U.F., art.  co. da  a , nonché Titolo II (Servizi e attività di investimento), in part. Capo II, artt.  ss. Sui soggetti ammessi all’esercizio dei servizi, cfr. art.  T.U.F. 174 Cfr. T.U.F., art.  co. , lett. n) (per la definizione del servizio di gestione collettiva del risparmio), nonché Titolo III, art.  ss., sulla disciplina della gestione collettiva del risparmio. Sui fondi pensione, cfr. d. lgs. n.  del , modificato dalla l.  agosto , n. , nonché d. lgs.  dicembre , n. . 175 Art. , co. -quinquies e art.  T.U.F. e artt.  e  Nuovo Reg. Intermediari n. /, in cui la gestione, «sulla base di un mandato conferito dai clienti», avviene su base discrezionale e individualizzata. E’, tuttavia, da precisarsi come per la presente indagine, sia tendenzialmente irrilevante il profilo tipologico dell’attività prestata: un’attività di gestione (o singoli atti di gestione) è presente infatti anche in relazione al compimento di servizi nei quali Gestioni di denaro e strumenti di tutela assistite da presidî simili relativamente ai meccanismi di sterilizzazione dei fondi e dei beni oggetto delle attività gestorie dalle vicende patrimoniali dell’intermediario che le compie176. Considerata una certa omogeneità disciplinare tra le due categorie in punto di limitazioni alla responsabilità patrimoniale, si si è optato, per il riferimento alla sola disciplina uniforme prevista per la categoria dei servizi d’investimento (ex art.  T.U.F. e normativa secondaria), in quanto consente una migliore analisi di tutte le possibili vicende connesse alla confusione dei patrimoni dei diversi clienti177. la discrezionalità dell’intermediario è bassa (come nelle negoziazioni o nelle ricezioni e trasmissioni di ordini). Certamente uniforme è, poi, la disciplina relativa alla responsabilità patrimoniale dell’intermediario che presta qualsiasi dei servizi d’investimento. Per le recenti modifiche apportate dall’attuazione della direttiva – di primo livello – MIFID n. //CE al Testo Unico (con il d.lgs. n. /) e al Regolamento Consob (n. /), relativamente ai contratti con gli investitori, possono, in ogni caso, vedersi V. ROPPO, Sui contratti del mercato finanziario prima e dopo la MIFID, in Riv. dir. priv., , n. , nonché DE MARI, La consulenza in materia di investimenti: prime valutazioni e problemi applicativi, in Dir. banca e mercato fin., , I, p.  ss. 176 Nonostante il lessico legislativo sia disomogeneo a riguardo (si parla, in caso di gestione collettiva, di patrimoni autonomi; nel caso di servizi d’investimento, di separazione patrimoniale), può ritenersi che il fenomeno sia il medesimo, al di là della suggestione che riecheggia classificazioni civilistiche, anche alla luce della stretta affinità disciplinare. Cfr. artt. , co. , e , co. , T.U.F. Sul punto, ALCARO, Mandato e attività professionale cit., p.  s. La normativa sul punto, lascia spazio a pochi dubbi. L’art. , co. , con tenore analogo all’art.  (su cui infra), recita: «Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per suo conto, il fondo comune di investimento risponde esclusivamente con il proprio patrimonio. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi. La società di gestione del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti». 177 La personalizzazione del servizio, come vedremo, porta con sé precisi obblighi di contabilizzazione e quindi l’esistenza di un patrimonio separato in capo a ciascun cliente. Quindi la fattispecie normativa si presenta, qui, più essenziale. La mancanza di una “confusione” istituzionale in monte esclude, peraltro, variazioni rispetto all’ipotesi di mandato analizzata nei paragrafi precedenti, quali ad esempio, l’esistenza di un mandato collettivo configurabile nelle gestioni collettive. Va, comunque, precisato come l’intermediazione svolta a livello istituzionale dall’intermediario finanziario porti con sé, a livello di separazione patrimoniale, il rischio della “confusione” tra beni (o patrimoni) dei diversi clienti unitamente o meno a quelli     Nei servizi d’investimento, l’attività gestoria si sostanzia normalmente nell’acquisto e vendita di strumenti finanziari da parte dell’intermediario. Non rileva, nell’economia del presente lavoro, l’eterogeneità delle figure previste (i singoli servizi), in cui la scelta dell’investimento (o del disinvestimento) può dipendere, alternativamente, da un’autorizzazione a monte del cliente (come nella gestione di portafogli) o da ordini impartiti da quest’ultimo (come nel contratto di negoziazione). Ciò che preme considerare, invece, è che l’intermediario possa agire anche in nome proprio, conformemente alle esigenze di funzionamento del mercato, purché previo consenso scritto del cliente (art. , co.  T.U.F.) e senza che ciò comporti modifiche nel regime della responsabilità patrimoniale dell’intermediario178. La normativa speciale prevede una regola di separazione tra i patrimoni della clientela, e con quello generale dell’intermediario. E tuttavia, non ci sembra che questo dato, pur ontologico e qualificante l’attività dell’intermediario179, comporti, in punto di principio, significative modificazioni rispetto alla disciplina generale del mandato. Si è, infatti, visto come la separazione patrimoniale operi nel mandato proprio in conseguenza dell’agire in nome proprio. Pertanto, qui come lì, la disciplina, ispirata alla tutela del cliente/mandante, consente a questi di prevalere in sede esecutiva, pur essendo i beni formalmente intestati all’intermediario180. dell’intermediario stesso. Ciò comporta l’analisi di fenomeni assimilabili alla formazione di masse comuni, oltre che alla c.d. confusione patrimoniale. 178 Ai fini del regime applicabile non è rilevante la spendita del nome. Ciò spiega, altresì, l’irrilevanza di ogni distinzione rispetto alle gestioni c.d. fiduciarie, ovvero alle gestione effettuate da società fiduciarie. Cfr. supra ntt.  e . Sul punto, si veda SALAMONE, Gestione e separazione cit., pp. -, spec. p.  ss.; M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., p.  ss. Si tratta, peraltro, di una posizione ormai definitivamente accolta anche in giurisprudenza. Cfr. Cass.,  maggio , in Giust. civ. , p.  ss., con nota di V. SALAFIA, Note in tema di mandato conferito dai fiducianti a società fiduciarie. 179 In questo senso, INZITARI, Effetti della liquidazione coatta amministrativa sui rapporti in corso, atti di amministrazione del patrimonio della clientela, in Fallimento, , p.  ss., spec. p. . 180 Contra, ci sembra, INZITARI, Effetti della liquidazione coatta amministrativa cit., p.  ss. il quale, nell’evidenziare come la spendita del nome sia irrilevante per la tutela dell’investitore in ragione del particolare statuto dell’intermediario, ne sottolinea la portata innovativa. L’a. incisivamente rileva, tuttavia, come «[…] comunque si svolga da parte dell’intermediario l’attività di acquisizione degli strumenti finanziari o la realizzazione delle liquidità, e cioè, sia che l’intermediario contratti in nome proprio o in nome dell’investitore, in ogni caso il regime Gestioni di denaro e strumenti di tutela L’assetto della responsabilità patrimoniale dell’intermediario finanziario viene regolata ai sensi dell’art.  T.U.F.181, rubricato «Separazione patrimoniale», secondo cui gli intermediari finanziari sono obbligati a mantenere distinti i beni fungibili (strumenti finanziari e, solo per gli intermediari non bancari, denaro) utilizzati nella prestazione dei servizi d’investimento a favore dei vari clienti. Tale obbligo si realizza nella tenuta di adeguata contabilità ed opera con riguardo sia ai clienti tra loro sia al rapporto tra questi e l’intermediario. Sul piano degli effetti, la separazione così attuata comporta: . l’intangibilità dei beni registrati nel conto del singolo cliente da parte dei creditori degli altri clienti o di quelli dell’intermediario, o dell’eventuale depositario o sub-depositario (art. , co. , ultt. periodi); . la non operatività delle compensazioni legale e giudiziale ed il divieto di compensazione convenzionale tra i crediti dell’intermediario – depositante e del depositario ovvero del depositario – sub-depositante e del sub-depositario tra loro182; della rigida e invalicabile separazione dei patrimoni esclude radicalmente che gli strumenti finanziari o le liquidità possano essere acquisiti dall’intermediario, in quanto il principio inderogabile della separazione patrimoniale costituisce sul piano civilistico una vera e propria carenza di legittimazione sostanziale dell’intermediario stesso all’acquisto». 181 «Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori gli strumenti finanziari e le somme di denaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dall’impresa di investimento, dalla SGR, dalla società di gestione armonizzata o dagli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’art.  T.U. bancario, nonché gli strumenti finanziari dei singoli clienti a qualsiasi titolo detenuti dalla banca, costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori dell’intermediario o nell’interesse degli stessi, né quelle dei creditori dell’eventuale depositario o sub-depositario o nell’interessi degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del patrimonio di proprietà di questi ultimi». «. Per i conti relativi a strumenti finanziari e a somme di denaro depositati presso terzi non operano le compensazioni legale e giudiziale e non può essere pattuita la compensazione convenzionale rispetto ai crediti vantati dal depositario o dal sub-depositario nei confronti dell’intermediario o del depositario. . Salvo consenso scritto dei clienti, l’impresa di investimento, la SGR, la società di gestione armonizzata, intermediario finanziario iscritto nell’elenco previsto dall’art.  del T.U. bancario e la banca non possono utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, gli strumenti finanziari di pertinenza dei clienti, da essi detenuti a qualsiasi titolo. L’impresa di investimento, l’intermediario finanziario iscritto nell’elenco previsto dall’art.  del T.U. bancario, la SGR e la società di gestione armonizzata non possono utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, le disponibilità liquide degli investitori, da esse detenute a qualsiasi titolo». 182 In verità sotto questo profilo ci sembra che la norma preveda una deroga rispetto al diritto comune, escludendo ogni tipo di compensazione tra i crediti, compensazione che nor-     . il divieto per l’intermediario di utilizzare strumenti finanziari (e denaro, nel caso di intermediario non bancario) nell’interesse proprio o di terzi. Nel caso degli strumenti finanziari tale divieto può essere superato da un’autorizzazione scritta del cliente183. Invero, il regime della doppia separazione (in senso orizzontale – tra i patrimoni dei clienti – e verticale – tra questi e il patrimonio dell’intermediario) è stato di recente adottato, dal legislatore nazionale anche con riguardo al funzionamento degli istituti di pagamento, in attuazione della disciplina comunitaria in materia di servizi di pagamento184. La disciplina di attuazione, invero, prevede due distinte regolamentazioni, secondo che l’istituto di pagamento svolga o meno anche attività imprenditoriali diverse dalla prestazione di servizi di pagamento185. malmente può avvenire in un rapporto di mandato all’esito del rendiconto, quando cioè i le reciproche posizioni diventino determinate ed esigibili. Tale compensazione opera, a maiori, nel caso in cui la contabilizzazione della gestione sia prevista secondo lo schema del contratto di conto corrente. Cfr. infra nt. . Tuttavia non è detto che, proprio secondo il diritto comune, la compensazione tra debiti di mandante e mandatario debba si verifichi in ogni caso. Cfr. Cass.,  agosto , in Mass. Giust. civ., , fasc. , riguardo alla non compensabilità dei crediti del mandatario e mandante, nel caso in cui il mandatario abbia utilizzato per soddisfare i suoi crediti nei confronti del mandante, una parte della somma di denaro messagli a disposizione da questi per il pagamento di debiti che questi aveva interesse ad estinguere per evitare la dichiarazione del proprio fallimento. Trattandosi di un atto illecito a danno del mandante, la S.C. ha applicato l’art. , n. , c.c. secondo cui la compensazione è vietata tutte le volte che il credito abbia per oggetto la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato, anche se avvenuta nella forma di distrazione a favore proprio. Il principio, a ben vedere, può applicarsi in tutti i casi in cui il mandatario si appropri di somme prima del rendiconto, o in ogni caso in difetto di autorizzazione del mandante, sussistendo la quale, verrebbe meno l’estremo dello spoglio. 183 L’utilizzo per fini propri da parte dell’intermediario, quando sia stato autorizzato non fa venir meno, in principio, la separazione patrimoniale. Invero, l’utilizzo da parte da parte dell’intermediario, ad esempio della liquidità monetaria, rappresenta un rischio aggiuntivo del cliente, al quale viene lasciata dall’ordinamento la libertà di scelta. 184 La già ricordata dir. //CE e il decreto di attuazione d.lgs. / quadro giuridico alle operazioni di pagamento effettuate tramite intermediario (con esclusione, quindi, dei pagamenti in contanti e tramite assegni), con particolare riguardo alla tutela del consumatore. 185 Gli istituti di pagamento sono organismi, che, insieme alle banche, gli istituti di moneta elettroniche, le Poste italiane, le banche centrali e altre autorità pubbliche, possono prestare servizi di pagamento (art.  del decreto di attuazione, che introduce l’art.  sexies nel Testo Unico Bancario). Essi possono svolgere altresì attività commerciali e sono soggetti a controlli e regolazione più modesti rispetto a quelli delle banche, perché «esercitano attività più Gestioni di denaro e strumenti di tutela In questo secondo caso, tuttavia, la disciplina prescelta (art.  – duodecies, co.  e , T.U.B., rubricato Conti di pagamento e forme di tutela) ricalca (anche testualmente) il già citato art.  T.U.F. prescrivendo che: «Gli istituti di pagamento detengono, nel rispetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, le somme di denaro della clientela in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento […]. Le somme di denaro detenute nei conti di pagamento costituiscono, per ciascun cliente, patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’istituto di pagamento e degli altri clienti dello stesso. Su tali patrimoni distinti non sono ammesse azioni dei creditori dell’intermediario o nell’interessi degli stessi, né quelle dei creditori dell’eventuale soggetto ove tali somme di denaro siano depositate. Le azioni dei creditori dei singoli clienti degli istituti di pagamento sono ammesse nel limite del patrimonio di proprietà dei singoli clienti […]. Ai fini dell’applicazione della disciplina della liquidazione coatta amministrativa i titolari dei conti di pagamento sono equiparati ai clienti aventi diritto alla restituzione di strumenti finanziari»186. specializzate e limitate, che generano rischi molto più ristretti e più facili da monitorare e controllare di quelli derivanti dalla più ampia attività degli enti creditizi» (considerando  della direttiva). Infatti, gli istituti di pagamento possono utilizzare i fondi che ricevono da parte degli utenti esclusivamente per le operazioni di pagamento, non svolgendo, quindi, attività di intermediazione creditizia: tra le attività accessorie consentite, oltre alla prestazione dei servizi di pagamento, vi è, sì, la concessione di crediti, ma solo quella strettamente necessaria alla prestazione dell’attività principale (ad es. si pensi alle carte di credito revolving) e, in ogni caso, non utilizzando i fondi ricevuti o detenuti ai fini dell’esecuzione di un’operazione di pagamento. Lo spettro di tutte le attività consentite agli istituti in parola è ora nelle Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica – Provvedimento della Banca d’Italia del  giugno , cap. IV, p. , disponibile all’indirizzo http://www.bancaditalia.it/vigilanza/ normativa/norm_bi/disposizioni-vig/DISP_IP_.pdf. 186 Laddove, invece, l’istituto di pagamento svolga anche attività imprenditoriali, il meccanismo della separazione viene ricostruito in termini di patrimonio destinato (art. -terdecies T.U.B.): «Gli istituti di pagamento che svolgano anche attività imprenditoriali diverse dalla prestazione dei servizi di pagamento […] devono costituire un patrimonio destinato per la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali. […] Si applica il secondo comma dell’art. -quater del codice civile. I beni e i rapporti giuridici individuati sono destinati esclusivamente al soddisfacimento dei diritti degli utenti dei servizi di pagamento e di quanti vantino diritti derivanti dall’esercizio delle attività accessorie e strumentali e costituiscono separato a tutti gli effetti da quello dell’istituto e dagli altri eventuali     Se si presta, tuttavia, attenzione all’utilizzo che la legislazione speciale dei mercati finanziari (più generico si è mantenuto il legislatore del mercato dei pagamenti) fa dell’espressione “separazione patrimoniale”, emerge come essa contenga un’anfibologia, che si rispecchia poi nell’uso corrente del termine: accanto all’utilizzo nel significato aduso alle categorie generali del diritto comune (e a cui si è fatto riferimento sinora e presente nell’art. ), cioè quello di effetto giuridico187, se ne può scorgere l’accezione in termini di attività/comportamento, rinviandosi cioè a quella serie di obblighi, che la normativa (secondaria) impone, volti a realizzare quell’effetto giuridico188. patrimoni destinati […] Si applica l’articolo -duodecies, comma secondo. In caso di in capienza del patrimonio destinato l’istituto di pagamento risponde anche con il proprio patrimonio nei confronti degli utenti dei servizi di pagamento e di quanti vantino diritti derivanti dall’esercizio delle attività accessorie e strumentali […]. Ai fini della liquidazione del patrimonio destinato si applica l’articolo , commi  e , intendendosi equiparati gli utenti dei servizi di pagamento ai clienti aventi diritto alla restituzione di strumenti finanziari». La regolamentazione adottata, prima facie, può destare alcune perplessità in merito alla sua coerenza interna: si pensi solo al fatto che mentre il meccanismo della “mera” separazione patrimoniale (art. -duodecies) sembra richiamare l’intero art.  T.U.B. così prevedendo anche la possibilità di una restituzione dei valori monetari ai sensi del co. , nel caso di patrimoni destinati, attuandosi il rinvio ai co.  e  del medesimo articolo, si prevede solo la loro inclusione nelle sezioni separate dello stato passivo riservate agli aventi diritto alla restituzione. Relativamente alla portata dell’art.  T.U.B. si veda infra nel testo. 187 L’effetto giuridico è quello riguardante il regime patrimoniale e delle azioni esecutive (art. , co. , T.U.F.), sebbene, a ben vedere, tra gli effetti indicati vi sia anche quello accessorio delle limitazioni alla compensazione (art. , co. ). Cfr. SALAMONE, Gestione e separazione cit., p.  s. 188 Il rilievo è in SALAMONE, Gestione e separazione cit., p.  ss., che distingue tra separazione come effetto giuridico e antecedenti necessari alla produzione dello stesso (fatto). Nella seconda accezione può intendersi il disposto di cui all’art.  T.U.F., che individua nella violazione delle «disposizioni concernenti la separazione patrimoniale» la condotta criminosa tipizzata come “confusione patrimoniale”. In verità, potrebbe, coerentemente con il tenore letterale e un’interpretazione teleologica, pensarsi che ad essere sanzionato sia l’effetto giuridico, recte ogni condotta idonea a determinare quell’effetto giuridico (sussistendo gli altri presupposti, quali il dolo specifico), ma ciò in realtà poco cambierebbe. Come si vedrà, il funzionamento dei mercati finanziari presuppone il verificarsi della confusione (materiale), che in realtà consiste nell’operare da parte dell’intermediario in maniera non individualizzata per il singolo cliente (che è cosa diversa dalla tenuta di una contabilità personalizzata). Pertanto, la confusione, sanzionata dalla norma penale, anche ove la si intendesse come effetto giuridico, non potrebbe che conseguire alla mancata osservanza degli obblighi, previsti dalla legge, di tenuta contabile. Cfr. supra nt.  e testo corrispondente, per un utilizzo simile del termine confusione (seconda accezione). Gestioni di denaro e strumenti di tutela Invero, con riguardo al primo significato, il legislatore speciale sembra aver preferito optare per la locuzione «patrimonio distinto189», alla quale si è anche tentato di fornire, ma con risultati non convincenti, un’accezione semantica differente rispetto a quella di patrimonio separato190. Ciò che, tuttavia, l’incertezza terminologica del legislatore speciale lascia travisare è l’utilizzo bivalente del termine separazione come fatto ed effetto giuridico. Ed è proprio nel primo dei due sensi che la disciplina si presenta – se si vuole – più innovativa191. La distinzione (o separazione) patrimoniale è affidata, infatti, ad un sistema contabile (e di deposito presso terzi), predisposto per consentire di individuare nel corso del rapporto la consistenza del patrimonio affidato. Essa consiste nella tenuta di una contabilità idonea ad esprimere per ogni cliente investitore l’annotazione scritturale dei valori di cui questi è tito- Cfr. art. , co. , T.U.F e -duodecies, co. , T.U.B. Nel caso di specie, non si tratterebbe di una ipotesi di separazione patrimoniale in senso stretto, poiché le entità patrimoniali non transitano nel patrimonio dell’intermediario, in capo al quale potrebbe prospettarsene la separazione, ma restano pertinenti al patrimonio dei singoli clienti, per cui la distinzione è esclusivamente scritturale e contabile. Cfr. parte della dottrina più risalente, BRIOLINI, sub art. , d. lgs.  luglio , n. , in AA.VV., L’Eurosim a cura di G.F. Campobasso, Milano, , p  ss. , il quale sottolinea quindi il preciso valore semantico dell’espressione «patrimoni distinti» contenuta nella norma. Ulteriori indici in questo senso si sono tratti dall’altra espressione presente nel testo legislativo: l’allusione alla «proprietà» dei patrimoni da parte dei singoli clienti (ancora art. , co. , T.U.F e  – duodecies, co. , T.U.B.). Si è, più di recente, evidenziato come il dato tipologico distintivo dei patrimoni distinti rispetto a quelli separati sia rappresentato dalla correlazione rispetto ad una pluralità di altri patrimoni (ugualmente separati, quelli degli altri clienti, generale, quello dell’intermediario). Cfr. sul punto, C. PETRONZIO, I patrimonio distinti nel diritto del mercato finanziario, in AA. VV., I contratti del mercato finanziario, I, a cura di E. Gabrielli e R. Lener, Torino, , p.  ss. In verità, può notarsi come accanto all’effetto più propriamente attinente alla sfera della responsabilità patrimoniale, il legislatore abbia altresì escluso effetti compensativi, che riguardano invece le vicende del credito e quindi, stricto iure, la titolarità. Pur con queste precisazioni, non ci sembra, tuttavia, che la terminologia utilizzata possa ritenersi sufficiente a fondare, per gli aspetti relativi all’esecuzione, un’autonoma categoria giuridica rispetto alla separazione patrimoniale, considerato altresì che la restante normativa rilevante in proposito (cfr. art. , co. , T.U.F., nonché , co.  e , T.U.B.). Cfr., sul punto, anche G. GUGLIOTTA, sub art. ), in Testo unico dell’intermediazione finanziaria. Commentario al d. lgs.  febbraio , n.  a cura di C. Rabitti Bedogni, Milano, , p.  ss., spec. . In senso contrario ad una distinzione concettuale è anche R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., p.  ss., con riguardo alla fattispecie dei portafogli di investimento. 191 Cfr. supra nt.  e testo corrispondente. 189 190     lare192. Analoghe disposizioni sono previste anche per gli istituti di pagamento193. 192 Ai sensi dell’art. , co. , T.U.F. e del Regolamento banca d’Italia ° luglio , si distingue tra banche, da un lato, e intermediari non bancari, dall’altro, poiché per le prime il principio di separazione riguarda i soli strumenti finanziari e non anche il denaro. Per le somme di denaro, si è ritenuto che la ragione del regime differenziato sia da rintracciare nell’applicabilità della disciplina del deposito bancario (art.  c.c.), secondo cui la banca acquista la proprietà della somma depositata ed è tenuta a restituirla nella medesima specie monetaria (in questo senso la stessa Relazione ministeriale illustrativa di accompagnamento al d. lgs.  luglio , n.  che ha introdotto la norma nel nostro ordinamento). Ma, in senso contrario, può, più semplicemente sostenersi che la distinzione, alla stregua dell’impianto complessivo della normativa, si giustifica con ragioni di tutela dell’investitore. Ove il recupero delle somme investite sia garantito, ex se, dalle caratteristiche dell’istituto cui queste sono state affidate (leggi Sistemi di Garanzia dei depositanti ex art.  ss. T.U.B.), un meccanismo ulteriore non appare necessario. Inoltre le banche non sono mai obbligate a depositare presso terzi né il denaro né gli strumenti finanziari ricevuti per l’esecuzione dei servizi d’investimento (a contrario, art. , co. ). In ossequio al criterio generale secondo cui gli «strumenti finanziari e il denaro dei singoli clienti a qualunque titolo detenuti dagli intermediari devono risultare da apposite evidenze contabili relative a ciascun cliente e suddivise per tipologia di servizio prestato», nello specifico, le modalità di separazione si realizzano, con riferimento al denaro, attraverso il deposito da parte degli intermediari non bancari presso una banca in conti «intestati agli intermediari depositanti con l’indicazione che si tratta di beni di terzi», distinti dagli altri conti degli stessi intermediari accesi presso la medesima banca (c.vo nostro, Reg. Banca d’Italia, ° luglio , rispettivamente § , comma ° e § ., comma °. L’obbligo di cui al § . non riguarda, appunto, le banche). Sebbene la normativa invocata risulti imprecisa sottintendendo sempre, anche con riferimento agli strumenti finanziari, (attraverso meccanismi di deposito e sub-deposito, ex artt. , comma °, T.U.F. e § , reg. Banca d’Italia, ° luglio ) la materialità dell’oggetto della separazione, si può facilmente desumere che la doppia separazione (del patrimonio del cliente rispetto a quello dell’intermediario, e dei patrimoni dei clienti tra loro) risulti sempre imperniata su di un meccanismo di tipo contabile. Cfr. BRIOLINI, sub art.  cit., p. , il quale spiega trattarsi di un meccanismo che non richiede che ogni singola banconota di pertinenza di ciascun cliente sia individualmente registrata nelle “apposite evidenze contabili” che l’intermediario è tento a predisporre, le quali devono piuttosto consentire di ricostruire in qualsiasi momento con certezza la posizione di ciascun cliente (§ ., reg. Banca d’Italia ° luglio ). 193 Si vedano le Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica – Provvedimento della Banca d’Italia del  giugno , cap. IV, sez. II, p. , secondo cui: le evidenze contabili sono tenute distintamente per ciascun cliente, e richiedono l’indicazione delle attività in cui le somme sono state investite. Esse vanno aggiornate con continuità e tempestività in modo da consentire in ogni momento di individuare la posizione di ciascun cliente, e riconciliate con gli estratti conto prodotti dai depositari. I fondi, infatti, vengono depositati presso banche autorizzate che tengono una distinta contabilità, se non investite in titoli di debito pubblico qualificati o quote di fondi comuni. Gestioni di denaro e strumenti di tutela Detta separazione è improntata a consentire il costante accertamento della entità e tracciabilità dei beni del cliente rispetto a quelli dell’intermediario. Il sistema della contabilità così previsto comporta, infatti, la tenuta di conti che hanno la funzione di rappresentare lo svolgimento della gestione e che dovrebbero riprodurre altre annotazioni contabili/scritturali: nel caso del denaro, quelle che la banca compie in relazione a ciascuna operazione di trasferimento di somme e che rappresentano, come si è più volte detto, la nuova morfologia del denaro. Ai fini dell’accertamento della contabilità stessa in sede di contenzioso o di conflitti, si avranno allora, i conti tenuti da due soggetti, l’intermediario non bancario e il depositario (bancario), ovvero, la possibilità di un duplice riscontro contabile nel caso di servizio espletato da un istituto bancario194. Con riguardo alla responsabilità patrimoniale, che costituisce la principale connotazione della normativa, un sistema così articolato mira ad evitare che in caso di dissesto dell’intermediario i diritti del cliente si convertano in pretese creditorie concorrenti secondo il principio della par condicio195. Tale esigenza di protezione si rende evidente soprattutto in situazioni di insolvenza dell’intermediario, che si manifestano – di regola – a seguito di una serie di irregolarità, anche contabili. Queste ultime sono di ostacolo alla ricostruzione della posizione dei singoli clienti che possono non essere in grado di determinare la consistenza della propria posizione. In questo caso, la mancata osservanza degli obblighi contabili (separazione come attività) mette a rischio l’effetto separativo: cioè la possibilità di riottenere i valori e le liquidità in astratto ascrivibili al proprio patrimonio separato, o di cui il cliente può essere convinto di essere titolare, sulla base delle comunicazioni resegli dallo stesso intermediario infedele. Mancando la identificazione dei beni, infatti, il cliente può perdere la possibilità di riuscire a separare (per le liquidazioni coatte amministrative Cfr. nt.  supra. Per gli istituti di pagamento, cfr. supra nt. precedente. L’art. , comma , T.U.F., attuazione in sede concorsuale del principio contenuto nell’art. , sancisce che «i clienti aventi diritto alla restituzione degli strumenti finanziari e del danaro relativi ai servizi e alle attività previsti dal presente decreto sono iscritti in apposita e separata sezione dello stato passivo». Si consente così il recupero, anche se non necessariamente in specie, del denaro e degli strumenti finanziari affidati all’intermediario e da questi detenuti. 194 195     degli intermediari, art. , co. , T.U.B.196, e in sede fallimentare, ex art.  l. fall., per eventuali fattispecie non disciplinate), i valori, sottraendoli alla massa. In mancanza di diversa previsione, e nel più nefasto dei casi, non gli resta che concorrere per il credito alla restituzione della somma iniziale, a diversa somma ricostruita dai commissari, o all’equivalente monetario del danno subito, sulla massa, ma come creditore chirografario. La disciplina di diritto speciale tende ad arginare questo rischio prevedendo un regime differenziato in ragione della tipologia di irregolarità posta in essere dall’intermediario, secondo che riguardi i patrimoni degli investitori tra loro, ovvero si tratti di un’irregolarità che confonde i flussi anche con riguardo ai beni del patrimonio generale dell’intermediario insolvente197. In proposito, l’art.  T.U. bancario, richiamato in sede di liquidazione coatta amministrativa delle SIM, delle società di gestione del risparmio e delle SICAV dall’art.  T.U.F. (e come si è visto anche in caso di liquidazione degli istituti di pagamento), stabilendo le modalità attraverso le quali, in caso d’insolvenza dell’intermediario, possono essere compiute le restituzioni ai clienti investitori, affronta le due ipotesi in cui risulti il mancato rispetto della separazione del patrimonio dell’intermediario e di quello dei clienti, oppure, manchi in tutto o in parte la separazione tra i patrimoni dei singoli clienti, pur essendo stata rispettata la separazione dei beni di questi rispetto al patrimonio dell’intermediario198. In questo secondo caso (comma °), che si applica altresì ove «[…] gli strumenti finanziari non risultino sufficienti per l’effettuazione di tutte le restituzioni», i commissari liquidatori procedono alle restituzioni in proporzione dei diritti per i quali ciascuno dei clienti è stato ammesso alla sezione separata dello stato passivo, ovvero alla liquidazione degli strumenti finanziari di pertinenza della clientela e alla ripartizione del ricavato secondo la medesima proporzione. Ma sul punto, si veda meglio, infra para. successivo. Sul carattere di maggior tutela a favore dei risparmiatori con il passaggio dal regime della gestione “in monte” a quello della “doppia separazione”, che consente la esclusione dal concorso con gli altri creditori dell’intermediario, cfr. la ricostruzione storico-normativa in Trib. Milano,  giugno , in Giur. comm., , p. , con nota di STOCCO, In tema di concorso dei titoli oggetto di «doppia separazione» nella liquidazione coatta amministrativa delle S.I.M. 198 Come già sottolineato (cfr. supra nt.  e nt. successiva – nt. ) ai sensi dell’art.  T.U.F., l’espressione strumenti finanziari, qui dev’essere intesa come comprensiva anche del denaro. 196 197 Gestioni di denaro e strumenti di tutela Nel caso di mancata separazione patrimoniale del patrimonio dell’intermediario da quello dei clienti (comma °), i clienti investitori debbono concorrere al pari dei creditori chirografi sul patrimonio dell’intermediario con la conseguenza della perdita da parte di tutti gli investitori del beneficio della separatezza del loro patrimonio199. I clienti concorrono con 199 Cfr. S. BONFATTI, sub art. ), in AA. VV., Commento al d. lgs. °settembre , n.  Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Belli, G. Contento, A. Patroni Griffi, M. Porzio, V. Santoro, II, Bologna,  (rist. ), p.  ss.; S. FORTUNATO, sub art. , in AA. VV., Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia a cura di F. Capriglione, a ed., I, Padova, , p.  ss. Al co. , la disposizione prevede, anzitutto, la possibilità ottenere la restituzione dei beni o strumenti finanziari dei quali sia possibile dimostrare la titolarità, al di fuori di ogni riparto, analogamente a quanto nel fallimento è previsto dall’art. , e nel corpo del T.U.B. ai sensi dell’art. , co. . Quest’ultima norma fa riferimento alla titolarità di diritti reali su strumenti finanziari (ex d. lgs.  febbraio , n. ), in possesso della banca, che consente la “rivendica” del bene ovvero la sottrazione dello stesso all’attivo fallimentare. In questo caso, il diritto viene inserito in elenco distinto dallo stato passivo vero e proprio e non subisce alcun concorso. In forza del disposto dell’art.  T.U.F. (che estende l’espressione “strumenti finanziari” contenuta nel T.U.B. anche al denaro) e dell’interpretazione estensiva dell’espressione “diritti reali” contenuta nell’art. , co. , T.U.B. deve ritenersi che, in condizioni di determinabilità delle evidenze del conto corrente, sia possibile la separazione / rivendica (come da intendersi in sede di procedure d’insolvenza) anche di somme di denaro. Sull’interpretazione, in senso ampio dell’espressione “diritti reali” contenuta nel T.U.B., all’art. , co. , conformemente alla relazione illustrativa al decreto introduttivo della norma, si veda S. BONFATTI, artt. -, in AA. VV., Commento al d. lgs. °settembre , n.  Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Belli, G. Contento, A. Patroni Griffi, M. Porzio, V. Santoro cit., p. . Diverso è l’inquadramento alla disciplina che viene compiuto da altri aa. (cfr. V. TUSINI COTTAFAVI, sub art. , in Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia a cura di F. Capriglione cit., p.  ss.) i quali riconducono la possibilità di affermare un diritto reale o meno sugli strumenti finanziari (e denaro nell’insolvenza degli intermediari) alla qualificazione giuridica del rapporto contrattuale cui accedono: nel caso di rapporto di custodia e amministrazione, non invece nel caso di mandato gestorio in cui il diritto del cliente è destinato a degradare a mero diritto restitutorio, pur se incluso in una sezione separata dello stato passivo. Si tratta, tuttavia, di un’interpretazione fortemente condizionata dalla lettura di tutta la normativa sull’insolvenza bancaria sulla base di categorie proprietarie rigidamente intese. La tesi non è condivisibile. Essa si fonda su un’idea della “rivendicabilità” in sede fallimentare, basata esclusivamente sul criterio proprietario, pretermettendo la possibilità di sottrarre beni alla massa in base all’affermazione di un titolo comunque poziore (arg. ex art.  l. fall.). Inoltre, quand’anche si volesse far rinvio al criterio della proprietà, abbiamo visto come vi sono spazi per affermare, in condizioni di sufficiente individuabilità, un diritto sul surrogato anche in fattispecie gestorie. Peraltro si tratta di un’interpretazione incoerente rispetto alla stessa disciplina della separazione patrimoniale ex art.  T.U.F. Sul punto, ex multis, cfr. COSTANTINO, Brevi note sui crediti dei clienti degli intermediari finanziari nelle procedure concorsuali, in Foro it., , I, c.     i creditori chirografari, in ogni caso per la parte di credito rimasta insoddisfatta200. Si può notare come nella prima ipotesi si dia luogo ad un riparto relativo ad una sezione separata dello stato passivo. La soluzione restitutoria qui consiste nella creazione di una sotto-massa (o evitando evocazioni proprietarie, di una sezione separata dello stato passivo), comprendente i beni dei soli clienti, sulla quale gli stessi possono soddisfarsi proporzionalmente201. Appare evidente come in questo caso, la pretesa iscritta nella sezione separata, e, soprattutto, la restituzione non avverrà su un’entità individuata  ss., spec. p. , che ben rileva come la disciplina della separazione non attribuisca particolare rilevanza né alle situazioni soggettive dei clienti, né alla causa del singolo servizio d’investimento in esecuzione del quale l’intermediario detiene nomine alieno. 200 La norma evidenzia il carattere di unilateralità della separazione prevista in sede d’intermediazione finanziaria. 201 S. FORTUNATO, sub art.  cit., p. , che sostiene una lettura della norma ispirata allo schema proprietario della commistione ex art.  c.c. Come vedremo nel paragrafo che segue, e come si è in parte già visto nel cap. II in tema di deposito, lo schema concettuale della commistione è stato più volte invocato relativamente ai beni fungibili e al denaro. Le ragioni sono molteplici. Vi sono da un lato suggestioni derivanti dalla metafora della mescolanza relativamente al denaro (e ai beni fungibili), la quale, inevitabilmente, tende a condizionare anche il discorso giuridico in proposito. Questa, se non condotta con certo rigore concettuale, può prestarsi a fraintendimenti o confusioni. In questa accezione sarebbe errato intendere la lettura di una norma quale l’art. , co. , T.U.B., la quale costruisce come pretese creditorie (alla restituzione) i diritti dei clienti – investitori, e coerentemente li colloca in un conto, sebbene separato, dello stato passivo, come riproduzione della disposizione di cui all’art.  c.c., relativa a diritti reali ed ispirata ad istanze produttivistiche. Vi è però, per altro verso, un’intuizione di fondo che l’argomentazione giuridica ha storicamente elaborato con riguardo alle categorie proprietarie, ma che può essere utile in un discorso relativo alla concorrenza su un patrimonio (come dimostra anche l’esperienza di common law ispirata, come noto, ad una concezione più economica della proprietà, nel nostro caso corrispondente all’area concettuale del patrimonio); essa si basa sull’idea che la confusione in una massa, purché distinta (tale cioè da non arrecare pregiudizio a soggetti terzi, leggi creditori), determini un principio di comunione (condivisione). L’idea della contitolarità (non come mera solidarietà attiva), peraltro, come si è visto, tende ad affermarsi anche con riguardo ai diritti di credito e può riguardare anche crediti disponibili (ove poi la determinazione del quantum di ciascun diritto è determinato da un’operazione aritmetica). Infine – come si vedrà con riguardo agli antecedenti giurisprudenziali della norma –, lo strumento concettuale per raggiungere a risultati analoghi è stato proprio il ricorso all’istituto del deposito. Il che, al di là di ulteriori e successivi chiarimenti concettuali (cfr. L. SALAMONE, La Cassazione fa un passo avanti rispetto alla giurisprudenza consolidata in materia di rivendicazione fallimentare (art.  l. fall.) di quantità di fungibili non individuati, in Banca, borsa, tit. cred., , II, p.  ss.), ripropone il ricorrere di una logica comune. Gestioni di denaro e strumenti di tutela (in senso stretto), ma su beni della stessa natura (denaro, esatto strumento finanziario) oggetto della pretesa. Si tratta di soluzioni condivise, anche in altri ordinamenti202, la cui applicazione pratica, tuttavia, resta, in certo modo, influenzata da condizionamenti equitativi. Infatti, una delle principali questioni interpretative con riguardo a questa norma è quella relativa alla sorte del riparto proporzionale nel caso in cui le irregolarità siano presenti soltanto per alcuni clienti e non per altri. In questi casi si discute, se l’insufficienza complessiva dei fondi della clientela debba essere sopportata da tutta la clientela ovvero solo dai clienti i cui conti o valori non siano regolari e rintracciabili203. 202 Si veda, con riguardo all’ordinamento statunitense, la procedura prevista dal SIPA (Securities Investor Protection Act), che tuttavia è procedura facoltativa a scelta del commissario liquidatore (trustee in bankruptcy). Vi sono ovviamente numerose differenze in termini di poteri della procedura (ad esempio, lì il trustee può anche procedere all’acquisto dei titoli che sarebbero dovuti essere presenti nel portafoglio clienti  U.S.C. §fff-(d)), ma in tema di liquidazione/ripartizione, vi è un criterio analogo, di distribuzione proporzionale della massa dei clienti (il customer property fund distinto dal general estate) ( U.S.C. § fff-(b)). A parte l’impostazione di massima, vi è tuttavia una differenza sostanziale: il sistema americano, in maniera più tranchant, prevede, infatti, che ciascun cliente concorra per un valore pari al valore inizialmente investito (net equity § ll ()), laddove non sia in grado di “rivendicare” i propri beni. Inoltre, è prevista la significativa possibilità di far riferimento ad un (funzionante!) sistema d’indennizzo (SIPC fund) con il quale soddisfare i crediti restitutori dei clienti  U.S.C. §§ fff(b) and (a)). Solo per quanto non può essere soddisfatto in tal modo, gli investitori si rifaranno in percentuale sulla massa. Di particolare interesse, sebbene non può essere oggetto di specifica analisi in questa sede, è inoltre la section  USCA §  fff- (c) () che prevede «Whenever customer property is not sufficient to pay in full the claims set forth in subparagraphs (A) through (D) of paragraph (), the trustee may recover any property transferred by the debtor which, except for such transfer, would have been customer property if and to the extent that such transfer is voidable or void under the provisions of title . Such recovered property shall be treated as customer property. For purposes of such recovery, the property so transferred shall be deemed to have been the property of the debtor and, if such transfer was made to a customer or for his benefit, such customer shall be deemed to have been a creditor, the laws of any State to the contrary notwithstanding». Cfr. infra Cap. IV.. 203 Si discute sulla portata di una norma del genere: se, cioè, ad essa si debba dare applicazione quando le irregolarità contabili riguardino pochi clienti, o addirittura uno solo. In senso, negativo, F. D’ALESSANDRO, Dissesto dell’intermediario mobiliare e tutela dei clienti cit., p. , ovvero se vi debba essere comunque una solidarizzazione del rischio e del pregiudizio. Secondo questa seconda interpretazione, si dovrebbe imporre l’attuazione di un trattamento paritario tra tutti i clienti, anche se l’ammanco o le irregolarità non hanno riguardato tutti i clienti e tutti i generi di strumenti finanziari. In questo secondo senso, S. BONFATTI, artt. - cit., p.     Allo stesso tempo, per l’ipotesi della confusione con il patrimonio dell’intermediario, l’impossibilità di rintracciare il bene diventa causa di una degradazione della propria posizione a credito chirografario. Alla luce di queste considerazioni, in un campo in cui le ragioni di tutela vengono condizionate dall’operare dell’autore della lesione e, a loro volta, possono a loro volta ledere soggetti terzi, appare opportuno verificare quali siano i criteri che assicurano la (relativa, in termini di effettiva soddisfazione) prevalenza di una classe di soggetti, piuttosto che di un’altra. Ciò impone di verificare quali siano i criteri della individuazione/identificazione applicati, principalmente, dall’esperienza pratica in materia. . Insufficienza della teoria della mera separazione a fornire adeguata tutela in caso di denaro come oggetto della gestione. Il nodo di fondo: la commixtio nummorum e i limiti derivanti dall’adesione all’opinione dominante Tra i moventi che hanno ispirato la normativa sulla separazione patrimoniale nel settore dell’intermediazione finanziaria vi era l’esigenza di predisporre a carico dell’intermediario istituzionale un sistema di obblighi in grado di contenere i rischi di perdite a carico dei risparmiatori e i pericoli di impatto sistemico sul mercato. Al legislatore era ben chiaro, infatti, come, con riguardo al denaro (e agli altri beni fungibili), la mera statuizione di un determinato regime di responsabilità patrimoniale fosse non sufficiente. È stato così imposta, in via  s. riprendendo il pensiero di Tusini Cottafavi. Una tendenziale conferma del primo orientamento, invero, potrebbe trovarsi nel testo della Convenzione Unidroit di Ginevra per titoli presso intermediari finanziari, adottata il  ottobre , la quale, ha finalità di armonizzazione internazionale della disciplina delle securities detenute presso intermediari finanziari. La Convenzione, che non si applica al denaro e finora non è ancora entrata in vigore (essendo previsto un numero minimo di tre ratifiche, e allo stato solo il Bangladesh vi ha provveduto), prevede all’art. , para. , infatti, che «If the aggregate number or amount of securities and intermediated securities of any description allocated […] to an account holder, a group of account holders or the intermediary’s account holders generally is less than the aggregate number or amount of securities of that description credited to the securities accounts of that account holder, that group of account holders of the intermediary’s account hoders generally, the shortfall shall be born […] by the account holders to whom the relevant securities have been allocated, in proportion to the respective number or amount of securieties of that description credited to their securities account». Gestioni di denaro e strumenti di tutela imperativa, la tenuta di un sistema di contabilità capillare, la quale è diventata cifra dell’agire intermediato nei mercati finanziari. La separazione patrimoniale è un principio caratterizzante l’“agire intermediato” già secondo il diritto comune, che lo disciplina in via generale (artt.  e  c.c.). Tuttavia, queste disposizioni hanno mancato, in dottrina e giurisprudenza, a parte alcune pur autorevoli voci204, di essere: . in via di principio considerate riferibili al denaro; . in ogni caso, ritenute utilizzabili per consentire, nei rapporti tra mandante – creditori del gestore, la prevalenza del primo. Le ragioni – lo si è più volte detto – risiedono nell’assunta impossibilità di individuare (in termini proprietari) o più genericamente identificare le somme, una volta versate nel patrimonio del mandatario. L’argomento è quello sostenuto in sede di acquisti di beni fungibili ex art.  c.c., con riferimento al mancato effetto traslativo dovuto alla confusione con altri beni del mandatario. Anche in tema di responsabilità patrimoniale, e in particolare di insolvenza del mandatario, dove di contro più insistente si fa l’esigenza di un sistema di tutela della ricchezza finanziaria, le categorie proprietarie sono state utilizzate per spiegare perché il mandante non possa prevalere sui creditori del mandatario. Un primo test di quanto andiamo dicendo è nella giurisprudenza sulla revocabilità delle rimesse effettuate nei confronti del mandante da parte del mandatario poi fallito. In proposito, insegnamento costante sostiene che le somme incassate dal mandante e versate dal mandatario siano revocabili, in considerazione L’esigenza di un mutamento, veniva già espressa, sebbene con specifico riguardo ai beni fiduciari (fungibili), cui l’a. estendeva la disciplina del mandato, sul finire degli anni Sessanta da JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit., p. : «La riconosciuta esigenza che i beni fiduciari risultino specificati ed individuati con certezza, onde possa esserne consentita la separazione, costituisce, a nostro avviso, l’ostacolo più serio ad un’utilizzazione, nel diritto italiano, della fiducia in maniera adeguata ai bisogni moderni del traffico». L’a. stesso, aveva, proprio sulla base dell’applicazione di tali criteri di individuazione/specificazione, dovuto escludere che il denaro contante potesse costituire oggetto di separazione (p.  s.). La proposta si fa più esplicita in SALAMONE, Gestione e separazione cit., che della prima opera rappresenta un ideale sviluppo. Il discorso è qui condotto con specifico riguardo ai beni fungibili (e al denaro, sul quale l’a. non manca di fornire significativi spunti). Cfr. SALAMONE, ult. op. cit., p.  ss. 204     della natura del denaro, quale bene fungibile. In quanto tale, una volta entrato nel patrimonio di un soggetto (mandatario) e in assenza di un atto di individuazione, questo si confonde con ogni altra somma di sua proprietà, senza che altri (mandante) possa quindi avanzare, allo scopo di ottenerne il trasferimento, una pretesa diversa da un diritto di credito per l’importo a sé dovuto205. Invero, un discorso che dia centralità al titolo del trasferimento, pur se assistito da criteri di identificabilità, potrebbe condurre a risultati più conformi alla sostanza economica dei trasferimenti monetari. Non ogni trasferimento di denaro (o di altri beni fungibili) dal soggetto, poi fallito, al terzo può essere considerato pagamento revocabile, se costituisce oggetto di un obbligo di restituzione di cosa appartenente al patrimonio separato, com’è stato già sostenuto dalla giurisprudenza di merito206. 205 Da ultimo Trib. Milano,  gennaio , in Giur. it., , p. . Ma l’affermazione è propria della giurisprudenza di legittimità. Cfr. Cass.,  dicembre , n.  in De Jure, ove in un caso di mandato con rappresentanza si è affermato che le somme incassate dal mandatario per conto (ed in nome, ma il discorso è identico anche in assenza di spendita del nome) del mandante, vanno a quest’ultimo ritrasferite ai sensi degli artt. - c.c., poiché il denaro è «per sua natura insuscettibile di individuazione […]» per cui «le somme incassate entrano e si confondo nel patrimonio del mandatario, il quale ne diviene contestualmente debitore verso il mandante». Esse costituiscono, pertanto, pagamenti, revocabili, in caso di successivo pagamento del solvens. Il S. C., così come la corte d’appello, nega l’applicabilità di un acquisto sul denaro ex art.  c.c. Tale mancato acquisto troverebbe conferma nel disposto di cui all’art.  c.c. relativo alla produzione di interessi sulle somme riscosse dal mandatario. La lettura di questa norma – tuttavia – non ci sembra affatto persuasiva, come esplicitato supra alla nt. . In senso analogo, Cass.  luglio , n. , in Fallimento, p.  e in Foro it., , I, c. . Parzialmente diverso, ma fondato sul medesimo assunto, il caso del pagamento effettuato dal terzo, poi fallito, alla società mandataria all’incasso di somme di spettanza del mandante. Si è ritenuto che, anche in questo caso, il pagamento fosse revocabile, riconoscendosi al mandatario (non al mandante) la qualità di accipiens dal terzo (Cass.  marzo , n , in Pluris e De Jure). Invero, la motivazione della sentenza lascia intravedere la possibilità di una soluzione alternativa (cioè la legittimazione passiva del mandante), se il mandatario avesse fornito prova che le somme percepite non potevano essere utilizzate per le esigenze aziendali dello stesso, ma, nel complesso la sentenza può ritenersi conforme all’indirizzo maggioritario, come dimostra il richiamo espresso alla succitata Cass. /, circa la fungibilità del denaro «che fa di regola identificare nel detentore materiale il dominus delle somme consegnate». 206 Trib. Firenze,  febbraio , in Foro it, , I, c.  ss., con nota di Staunovo Polacco, e in Fallimento, , p. , con nota di Stalla, a proposito della corresponsione di una somma di denaro effettuata nel periodo sospetto da una società di intermediazione mobiliare, al tempo regolata dalla l. n.  del , in esecuzione di un ordine di disinvestimento di titoli di Gestioni di denaro e strumenti di tutela Sul terreno inverso e speculare, quello delle pretese di tipo restitutorio/reipersecutorio del mandante rispetto al mandatario, poi fallito, giurisprudenza e dottrina dimostrano maggiore vivacità e elasticità, certamente sollecitate dalla diffusione del fenomeno delle gestioni nei mercati finanziari e dall’evoluzione legislativa in questo ambito. Si è in questi casi ammesso che l’investitore possa chiedere all’intermediario decotto la restituzione del denaro (e di altri beni fungibili) presenti nel suo patrimonio separato anche se non individuati secondo i criteri stringenti richiesti per il passaggio del diritto di proprietà (ad es. il numero seriale delle banconote). Si tratta di una posizione che parzialmente devìa rispetto alla tradizionale interpretazione della dottrina in tema di azioni di rivendicazione e restituzione in sede fallimentare (art.  l. fall.)207, alla quale si ricollega un proprietà del cliente. Si è considerata inammissibile, per difetto del presupposto c.d. oggettivo per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, la domanda proposta ai sensi del comma  art.  l. fall. per la dichiarazione di inefficacia dell’atto di restituzione a seguito di richiesta di disinvestimento da parte dello stesso, trattandosi di un atto costituente non un “pagamento” ma adempimento di un obbligo di restituzione a fondamento reale di cosa appartenente a terzi, e come tale non rientrante nell’oggetto del diritto di garanzia generica ex art.  c.c. che la procedura concorsuale è destinata a realizzare. La “pertinenza” delle somme al patrimonio separato del cliente è stata ritenuta, quindi, causa di inammissibilità dell’azione revocatoria proposta dagli organi della procedura, i quali avrebbero dovuto fornire prova del venir meno della separazione dei beni del cliente rispetto al patrimonio dell’intermediario e dell’avvenuta corresponsione di detta somma, a titolo di pagamento dell’equivalente del valore degli stessi, anziché in adempimento di un obbligo di restituzione a carattere reale, secondo il modello sancito dall’allora art. , oggi art.  l. fall. Invero, anche con riferimento al pur corretto inquadramento della pronuncia del tribunale fiorentino (il quale tende a mostrare particolare attenzione agli interessi in gioco in questa materia), l’eccepibilità del titolo restitutorio rispetto all’azione revocatoria è controverso. Alcuni aa. (Stalla, succitato) lo ricostruiscono ai sensi dell’art.  l. fall., ritenendo quindi necessario che sia stato rispettato l’obbligo di separazione; altri (Staunovo Polacco) ritengono in proposito irrilevanti le problematiche relative alla individuazione dei beni. 207 Sulla disposizione, da ultimo modificata da d. lgs.  settembre , n. , e in vigore dal ° gennaio  per i procedimenti per la dichiarazione pendenti e successivi a quella data, cfr. P. P. FERRARO, sub art. , in AA.VV., La riforma della legge fallimentare a cura di A. Nigro e M. Sandulli, I, Torino, , p.  ss.; AA.VV., La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a cura di M. Ferro, Padova, , p.  ss.; L. D’ORAZIO, sub art. , in AA.VV., Commentario alla legge fallimentare diretto da C. Cavallini, artt. -, Milano, , p.  ss. In dottrina, sulla inammissibilità dell’azione sui beni fungibili, cfr. SATTA, Diritto fallimentare, Padova, , p. ; PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, II, Milano, , p. ; BONFATTI, La formazione del passivo, in AA.VV., Il fallimento, trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, III, Torino, , p. . Ma in senso contrario, A. CASTAGNOLA, Le rivendiche mobiliari nel fallimento cit., p.      generale orientamento “rigorista” nella giurisprudenza208. Sulla scorta delle consuete argomentazioni, si sottolinea che se il bene in possesso del fallito non è individuato in specie (ex art.  c.c.), chi assume di vantare un diritto sullo stesso, non potrà che far valere un credito concorsuale209. Questo orientamento è presente anche in tema di mandato210 e nelle pronunce più risalenti relative ai rapporti d’intermediazione con società fiduciarie211. ss., il quale contesta che la fungibilità costituisca un requisito di ammissibilità, piuttosto di fondatezza della domanda di rivendicazione. 208 Sui presupposti della rivendica fallimentare: Cass,  febbraio , n. , in Fallimento, , p.  ss. (in cui si è esclusa la rivendica fallimentare di argento a peso consegnato all’altra parte contrattuale per la lavorazione di semi-lavorati che poiché il bene si confonde nel suo patrimonio, a nulla rilevando la qualificazione delle parti nel senso della infungibilità del bene); Cass.  luglio , n. , in Fallimento, , p.  ss. e in Giust. civ., , I, p.  ss.; Cass.  novembre , n. , in Fallimento, , p.  ss.; Cass.  ottobre , n. , in Fallimento, , p.  ss. 209 Il diritto vantato dal rivendicante può essere reale (di proprietà, o altro diritto reale prevalente rispetto a quello vantato dal possessore fallito) ovvero un diritto personale che obblighi il fallito alla restituzione. Come noto, la norma contempla congiuntamente all’azione di rivendicazione quella di restituzione di cose mobili possedute dal fallito allo scopo di sottrarle all’esproprio fallimentare. Trattandosi di un’azione volta alla depurazione del patrimonio del fallito dagli elementi ad esso estranei (la dottrina parla correntemente di azione di accertamento negativo), non richiede la prova della proprietà (in termini di probatio diabolica, ma solo un titolo di acquisto opponibile al fallimento, come per l’opposizione di terzo all’esecuzione) neppure in capo a chi rivendichi il bene (il diritto di proprietà sullo stesso), ma di un titolo opponibile al fallimento. P. FERRARO, sub art.  cit., p.  s. Nell’attuale formulazione della norma, essa fa salvo anche il diritto del mandante ex art.  c.c., clausola di salvezza prima contenuta nell’art.  l. fall. 210 Criticabile, invero, Cass.,  maggio , n. , in Giur. comm., , II, p. , e in Fallimento, , p.  in cui si è negata la restituzione di somma del mandante, depositata su apposito conto intestato al fallito con riguardo al mandato relativo ad una precisa operazione, pur non essendovi stati successivi utilizzi da parte dal mandatario (poi fallito). 211 Trib. Torino,  luglio , in Dir. fall., , II, p.  ss. e in Nuova giur. civ. comm., , I, p.  ss., annotata da BAZZANI, Natura e contenuto del contratto intercorrente tra la società fiduciaria e il risparmiatore (si tratta del caso Società Fundus, che tuttavia, in sede di legittimità, sarà riformata da Cass.,  ottobre , n. , Modiano e altro c. Società Fundus, dando luogo al revirement in materia); Trib. Torino,  gennaio , in Fallimento, , p.  ss.; Trib. Torino,  febbraio , in Banca, borsa, tit. cred., , II, p.  ss., con nota di SEPE, Tutela concorsuale del fiduciante e separatezza patrimoniale nel regime della legge sulle SIM, p.  ss. e MAYR , L’ambito di applicazione dell’art.  della legge fallimentare, p.  ss.; Trib. Ferrara,  dicembre , in Banca, borsa, tit. cred., , II, p. , con nota critica di MAYR, Il fallimento della SIM e restituzione dei patrimoni di proprietà dei clienti; in Fallimento, , p.  ss., con nota RUGGERI e TOMASSETTI, SIM Gestioni di denaro e strumenti di tutela Ad esso si è contrapposto, a partire dal finire degli anni Novanta, un orientamento più elastico, il quale, pur entro ben precisi limiti, ha ritenuto ammissibile un’azione di restituzione avente ad oggetto beni fungibili (tra cui anche denaro) non individuati purché appartenenti (recte relativi) ad una massa definita212. Questo mutamento d’indirizzo, relativamente (dapprima) a fattispecie di amministrazione intermediata di beni fungibili (c.d. fiducia statica), poggiava su una certa interpretazione del rapporto tra fiducianti e società fiduciaria, basata sul diritto comune213. Riprendendo l’insegnamento di autorevole dottrina214, si riconosceva ai fiducianti la (com-)proprietà effettiva dei insolvente, tutela dei clienti e fondo di garanzia; e in Società, , p.  ss. con nota di F. DI MAIO, Fallimento dell’intermediario e proprietà del cliente: due teorie a confronto; Trib. Napoli,  giugno , in Società, , I, p.  ss., annotata da FIMMANÒ, Sim, Eurosim e disciplina dell’insolvenza; Trib. Torino,  gennaio , in Banca, borsa, tit. cred., , II, p. , con nota di SALAMONE, La Cassazione fa un passo avanti rispetto alla giurisprudenza consolidata in materia di rivendicazione fallimentare (art.  l. fall.) di quantità di fungibili non individuati. Ancora, di recente, conformemente a questo orientamento App. Milano,  maggio , in Giur. comm., , II, p.  ss. con nota di SCARLINO, Sim insolvente, tutela degli investitori e riforma delle procedure concorsuali, p.  ss. 212 Leading case di quest’orientamento è stata Cass.,  ottobre , n. , in Giur. comm., , II, p. , annotata da F. DI MAIO, L’attività propria di società fiduciaria, la qualificazione del rapporto e la separazione dei beni amministrati: una interessante puntualizzazione sull’applicazione dell’art.  l. fall., p.  ss.; in Notariato, , p. , annotata da GRONDONA, Intestazione fiduciaria e deposito; in Foro it., , I, p. , annotata da CRISOSTOMO-MACARIO, Separazione e individuazione del patrimonio dei fiducianti nelle azioni reipersecutorie contro la società fiduciaria, in Contratti, I, , p. , annotata da CARNEVALI, Beni amministrati da società fiduciaria e separazione dei patrimoni, in Fallimento, , p. , con nota di GALANTI, Dissesto dell’intermediario e separazione patrimoniale: restituzione degli strumenti finanziari privi di individuazione; infine, in Banca, borsa, tit. cred., , II, p. , con nota di SALAMONE, La Cassazione fa un passo avanti rispetto alla giurisprudenza consolidata in materia di rivendicazione fallimentare (art.  l. fall) di quantità di fungibili non individuati. 213 Le fattispecie su cui la giurisprudenza era stata chiamata a pronunciarsi non rientravano, infatti, ratione temporis, nell’applicazione della disciplina di diritto speciale, prima, ex art.  l.  gennaio , n. , né dal successivo d. lgs.  luglio , n. , di recepimento delle direttive //CEE e //CEE, c.d. decreto Eurosim, poi confluito nel T.U.F. (v. supra nt. ). 214 PORTALE e DOLMETTA, Deposito irregolare di cose fungibili e fallimento del depositario cit., p.  ss., ove anche riferimenti a conformi opinioni dottrinarie; ma, può rinvenirsi, altresì, una certa continuità rispetto a contributi risalenti all’inizio del secolo scorso in tema di deposito alla rinfusa e regolare su beni fungibili. Per questi ultimi, cfr. supra cap. II. .. nonché E. BRUSCHETTA, Profili critici in tema di diritto alla restituzione degli strumenti finanziari e del denaro di «clienti» di S.I.M. sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, in Fallimento, , p.  ss., spec. pp. -, per ulteriore bibliografia. Si ricordi, tuttavia, che, anche se con argomentazioni di-     beni, pur (soltanto formalmente) intestati alla fiduciaria che li deteneva215, e che tale titolarità non venisse meno neppure nel caso in cui si trattasse di beni fungibili, poiché, ai sensi dell’art.  c.c., l’effetto traslativo al depositario si produce solo se gli è concessa facoltà di servirsi nel suo interesse dei beni (che andava esclusa nel caso di rapporto fiduciario)216. Sulla base di questa ricostruzione, si ammetteva che i fiducianti potessero chiedere alla fiduciaria la restituzione di titoli non individuati, cioè non specificamente ascrivibili ad un singolo titolare, ma ad una pluralità di soggetti (fiducianti)217. Successiva giurisprudenza ha poi esteso la portata di questa interpretazione anche alle ipotesi di c.d. fiducia dinamica, laddove l’aspetto gestorio è privilegiato rispetto a quello della custodia, richiamando gli artt.  e  c.c., e riportando sul terreno della responsabilità patrimoniale i risultati ottenuti in sede giurisprudenziale e dottrinale, utilizzando lo “strumentario” giuridico della proprietà218. Nel frattempo, altra giurisprudenza si pronunverse, l’opera precorritrice in materia resta JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit. 215 La sentenza sul punto richiama e si uniforma ai suoi precedenti in materia tributaria (Cass., SS. UU.,  dicembre , n. , in Foro it., , I, c. ) in cui era stato affermata in relazione all’intestazione fiduciaria il concetto dei fiducianti come proprietari effettivi, muovendo da una serie di norme sparse nell’ordinamento. 216 Sull’insegnamento secondo cui la diversità degli effetti nel negozio di deposito non dipendono dalla qualità della cosa depositata, bensì dal titolo del deposito, cfr. supra cap. II. .. testo corrispondente e successivo alla nt. . Il richiamo che questa lettura evoca alla figura del deposito alla rinfusa, e più in generale alle categorie della proprietà, è stato altresì compiuto in altri ordinamenti, ove, pur nel diverso valore semantico degli istituti, si è utilizzato lo schema della co-ownership al fine di giustificare, finanche, la costituzione di un trust su beni non individui. Cfr. infra cap. IV, testo corrispondente a ntt. -,  e . 217 Nel caso di specie, oggetto controverso erano dei titoli azionari, i quali: non erano stati intestati nominativamente, ma erano stati raggruppati in un unico certificato azionario rappresentativo di tutti i titoli dei fiducianti; non potevano essere ricollegati a singoli fiducianti né in base alle risultanze contabili del fiduciario né a quelle del depositario; erano stati, infatti, oggetto di commistione anche all’interno dei conti d’ordine tenuti dal fiduciario (ma non con il patrimonio di questi). 218 Cass.,  maggio , n. , in Giust. civ., , I, p. , con nota di SALAFIA, Note in tema di mandato conferito dai fiducianti a società fiduciaria; in Società, , p. , con nota di RODORF, Separazione patrimoniale ed azione di responsabilità nelle società fiduciarie; in Fallimento, , p. , con nota di DI MAIO, Legittimazione attiva dei commissari liquidatori; in Giur. it, , p. , con nota di PETRAZZINI, Note in tema di società fiduciaria e responsabilità degli amministratori; Trib. Firenze,  febbraio , in Fallimento cit..; Trib. Trani,  settembre , in Società, , p. , Gestioni di denaro e strumenti di tutela ciava anche con riguardo alle fattispecie regolate dalla disciplina speciale sull’intermediazione finanziaria219, anche qui non mancando di riconoscere tale normativa come espressione sul piano specialistico di quella di diritto comune in materia di mandato220. Lungo questa linea evolutiva, quell’omogeneità di risultati tra diritto comune e la disciplina di diritto speciale si è tradotto, più consapevolmente nel ricorso alle categorie della separazione patrimoniale221. Un chiaro risvolto di questa evoluzione giurisprudenziale e legislativa è rappresentato da una più consapevole conferma dell’applicabilità degli esiti raggiunti in sede di diritto speciale al caso dell’affidamento negoziale, se con nota di FUNARI, Pactum fiduciae e separazione dei patrimoni tra fiduciaria e fiduciante; e in Contratti, , I, p. , con nota di CAPILLI, Intestazione fiduciaria di azioni. Sull’applicazione della normativa del mandato (in part. dell’art.  c.c.) con riguardo al patrimonio fiduciario, già JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit., p.  e passim; D’ALESSANDRO, op. cit., p.  ss. 219 Cass.  marzo , n. , in Foro it., , I, c.  ss., con nota di COSTANTINO, Brevi note sui crediti dei clienti degli intermediari finanziari nelle procedure concorsuali cit.; in Giur. it., , p.  ss., annotata da B. PETRAZZINI, Dissesto di intermediario mobiliare e tutela dei clienti: le regole della «doppia separazione patrimoniale» al vaglio della Cassazione, p.  ss. La sentenza si segnala per esser stata della prima pronuncia di legittimità che applicasse la disciplina del T.U.F. e delle relative norme in tema di formazione del passivo e riparto tra i clienti, ed inoltre per avere ad oggetto denaro derivante dallo smobilizzo di titoli compresi nel portafoglio oggetto di gestione individuale. La prima pronuncia, in assoluto, era stata, invece, Trib. Milano,  giugno , cit., Ed, inoltre, Trib. Firenze,  novembre , in Fallimento, , p. , con nota di E. BRUSCHETTA, Profili critici in tema di diritto alla restituzione degli strumenti finanziari e del denaro di «clienti» di S.I.M. sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, p.  ss.; Cass.,  luglio , n. , in De Jure; e Cass.,  aprile , n. , in Banche dati del Foro it. In quest’ultimo caso (la liquidazione coatta della Patrimonium Sim) la sezione I del S.C., confermava il pronunciamento di secondo grado di accoglimento delle pretese restitutorie (Appello Bologna,  gennaio , in DeJure), il quale aveva rovesciato Trib. Ferrara,  settembre  cit. con nota critica di MAYR, in Banca, borsa, tit. cred. , cit., che in relazione all’iniziale procedura fallimentare (solo dopo convertita in l. c. a.), aveva applicato un’interpretazione restrittiva dell’art.  l. fall. relativa ai beni fungibili. 220 Espressamente, ad esempio, Cass.  luglio , n. , in De Jure. 221 L’utilizzo del diritto di proprietà nel ricostruire la soluzione del conflitto tra gerito e creditori del gestore era stata la principale critica mossa dal Salamone (la cui tesi muove dal postulato opposto della scissione tra titolarità del diritto di proprietà e disciplina della garanzia patrimoniale) al pronunciamento Cass. /. Cfr. SALAMONE, La Cassazione fa un passo avanti rispetto alla giurisprudenza consolidata in materia di rivendicazione fallimentare cit., p.  e passim, che tuttavia ne riconosceva la pratica utilità in virtù della sicura presa sulla platea degli operatori del diritto.     risulti da scrittura provata avente data certa i sensi dell’art.  c.c. e ove i diritti sulle quantità di chi agisce risultino da conti d’ordine (ovvero, in genere, da documentazione) del debitore; e in ogni caso in cui vi sia una destinazione assistita dal meccanismo della separazione patrimoniale222. E ciò non può che valere anche con riguardo al denaro223. Si tratta di una posizione che, tuttavia, non sembra ancora trovare accoglimento nell’opinione dominante, ma che rappresenta, alternativa coerente nell’interpretazione del sistema in una materia in cui continuano a dominare schemi interpretativi plurimi224. La coerenza sistematica tra diritto speciale e diritto comune si riscontra anche sotto il profilo, più specifico, della mancata tenuta di una contabilità separata. In materia di intermediazione finanziaria sono previsti stringenti obblighi contabili a carico dell’intermediario, obblighi che rappresentano un principio generale nel settore dell’intermediazione finanziaria (anche con riguardo a fattispecie non espressamente disciplinate) e che, fuori dal settore specifico, potrebbero prevedersi per via pattizia225, svolgendo altresì la fun222 AA. VV., La legge fallimentare. Commentario teorico – pratico cit., p.  s., ove si fa generico riferimento all’ambito negoziale. È d’uopo precisare come tale ambito non sia circoscritto al settore dell’intermediazione finanziaria, ma vada coerentemente esteso a tutte le ipotesi in cui trova applicazione il meccanismo della separazione patrimoniale (ex art.  c.c.) di fonte negoziale (ipotesi gestorie, destinazioni patrimoniali di fonte negoziale). 223 Tale riferibilità è chiara nella giurisprudenza relativa al diritto speciale. Tra la casistica espressamente relativa al denaro (e non ad altri fungibili), cfr. Cass.  marzo , n.  cit., e Trib. Firenze,  novembre , cit., (il tribunale fiorentino ha accolto la richiesta di alcuni clienti di essere inseriti nella sezione separata dello stato passivo, ex art. , co. , T.U.F., ritenendo raggiunto la prova degli avvenuti versamenti di denaro sul conto della S.I.M. e giudicato che il commissario non avesse data la contraria dimostrazione delle asserite distrazioni del promotore). 224 Si veda, ad esempio la giurisprudenza in tema di revocatoria fallimentare dei pagamenti del mandatario poi fallito, supra, testo corrispondente e seguente a nt. . Ma anche Cass.,  maggio , n. , in Fallimento, , p.  s. (sul mancato riconoscimento della separazione patrimoniale – ovvero della prededucibilità del credito pecuniario – relativamente a somme (premi assicurativi) incassati da un Consorzio agrario, in l.c.a., per conto di una compagnia assicuratrice). La pronuncia applica il tradizionale orientamento in tema di rivendiche fallimentari (art.  l. fall.). I diversi orientamenti nel panorama giurisprudenziale sono, altresì, offerte dalla nota di commento alla sentenza: M. COSTANZA, Quali diritti al mandante del mandatario fallito?, in Fallimento, , p.  ss. 225 Avendo in mente, in particolare, una gestione realizzata in serie, in una dimensione Gestioni di denaro e strumenti di tutela zione di delimitare i confini dell’ammissibilità di una pretesa di una pluralità di geriti di soddisfarsi fuori dal concorso226. Si è visto come la disciplina speciale consenta la concorrenza, anche se solo proporzionale in caso di incapienza, sulle somme/strumenti finanziari a disposizione della procedura, se sia stata, tuttavia, rispettata la separazione verticale (nel senso di tenuta di una contabilità regolare non riguardo ai clienti tra di loro, ma almeno rispetto al patrimonio del gestore). E come ad analoghi risultati, pur facendo rinvio alla categoria della comunione sulla massa comune (tramite il medio concettuale deposito alla rinfusa) fosse giunta giurisprudenza e dottrina espressasi sul punto227. Mette conto di osservare che, anche se si adotta più consapevolmente l’ottica della separazione patrimoniale, la tutela dell’affidamento di beni a terzi rispetto ai creditori di quest’ultimo non incontra ostacoli sul piano del diritto comune, ove compatibile con il programma negoziale e l’attività (professionale) del gestore: laddove non sia riscontrabile una contabilità separata in caso di una pluralità di mandanti (si badi bene non di mandato collettivo), sarebbe configurabile un unico patrimonio separato su cui tutti i beneficiari avrebbero diritto in proporzione al proprio contributo. Il discorso appare estensibile a vincoli di destinazione, anche di fonte negoziale, in virtù dell’applicabilità a questi degli artt. - c.c. Lo sviluppo delineato, tradisce, tuttavia, una facile insidia: quella di considerare in tal modo sostanzialmente al riparo i diritti dei geriti (siano essi clienti, principalmente, ma anche mandanti, o beneficiari di una destinazione). L’insidia qui risiede nel fatto che l’obbligo che assicurerebbe la tu- imprenditoriale, SALAMONE, Gestione e separazione cit., p. , configura, secondo la disciplina comune del mandato, la possibilità che il rendiconto ex art.  c.c. possa essere correlato alle risultanze di un conto corrente, il che più precisamente significa ipotizzare un collegamento negoziale tra mandato e conto corrente. Secondo l’a., questa modalità di regolamentazione delle relative posizioni di dare ed avere potrebbe avere poi, come effetto riflesso, quello di concorrere ad integrare la opponibilità ai terzi della variazione del patrimonio separato. In particolare, l’estratto conto non contestato potrebbe costituire un atto a riferibilità bilaterale che è presupposto nell’art.  c.c. Sul punto, però, cfr. infra nt. . 226 Come si è visto supra testo dopo nt. . 227 Cass.,  ottobre , n.  cit.. In dottrina, lo sottolineano D’ALESSANDRO, Dissesto dell’intermediario mobiliare e tutela dei clienti cit., p.  ss. e CRISOSTOMO-MACARIO, Separazione e individuazione del patrimonio dei fiducianti nelle azioni reipersecutorie contro la società fiduciaria cit., p.  ss.     tela del gerito nel caso di conflitto è posto a carico dello stesso gestore (intermediario/trustee)228. Questa modalità introduce un rischio facilmente intuibile in capo al gerito, cioè quello che i margini di tutela della propria posizione (secondo un grado di via via minore intensità), relativamente ai casi di conflitto con terzi sul patrimonio, dipendano dal grado di maggiore o minore diligenza del gestore229. In altri termini, la separazione come effetto tende a trovare applicazione solo se gli obblighi di separazione (separazione come attività) vengano effettivamente e correttamente osservati dall’intermediario230. È opinione incontrastata, oltre essere oggetto di specifica previsione (art. , co. , T.U.B.), che, in caso di c.d. confusione patrimoniale, l’effetto separativo sui diritti del gerito venga meno231. 228 In condizioni di piena conformità normativa e quindi di rigorosa separazione patrimoniale, ben difficilmente può concepirsi uno stato di insolvenza dell’intermediario. Così, INZITARI, Effetti della liquidazione coatta amministrativa cit., p. . Il problema è ben chiaro anche in Trib. Firenze,  novembre , con conta di BRUSCHETTA, Profili critici in tema di diritto alla restituzione degli strumenti finanziari e del denaro, cit., p.  e SCARLINO, Sim insolvente, tutela degli investitori e riforma delle procedure concorsuali cit., p.  ss. 229 Dipendono, cioè, da quali regole di separazione abbia rispettato. È inevitabile rilevare, con riguardo al risparmiatore, che se l’intermediario non ha compiuto rilevanti irregolarità nella gestione di determinati programmi o piani, cui aderiscono una serie di clienti, anche su base personalizzata, stante comunque la possibilità di un riscontro contabile nel conto e dossier della banca depositaria, il primo potrà avvalersi della separazione patrimoniale del fondo (pur divenuto comune). Nel caso in cui, invece, sussista confusione tra il patrimonio dell’intermediario e quello dei clienti, ritornano – diciamo operativi – i criteri tradizionali. Sicché, in caso di intermediazione finanziaria, «è giocoforza ammettere che ai clienti altro non residua che un diritto di credito nei confronti dell’intermediario medesimo, credito in quanto tale destinato a concorrere con gli altri crediti vantati da terzi verso quest’ultimo» (Cass.,  settembre  n.  cit., p.  del testo). 230 La conseguenza è che pur se l’investitore è in grado di dimostrare il proprio diritto, laddove l’intermediario abbia confuso il valore sul quale il diritto è vantato, anche agendo con dolo o colpa, il cliente si trova a chiedere l’ammissione al passivo chirografario. 231 Anche Cass.,  luglio , n. , in DeJure, non ci sembra possa essere letta come espressione di una posizione contraria. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte riguardava un’azione revocatoria esperita dal curatore di una Sim per il trasferimento ad un cliente di denaro tramite assegno. La Sez. III accoglie, infine, l’eccezione del cliente circa la propria posizione di fiduciante e quindi la titolarità della somma, nonché l’assoggettabilità alla disciplina di diritto speciale. Sebbene la sentenza, espressamente reciti: «La posizione della Società Zoppi» (leggi Sim) «[…] non era quella di un debitore di somma di danaro. Il fatto che nel giudizio sia stato accertato che la» Sim «non aveva rispettato la disposizione in tema di separa- Gestioni di denaro e strumenti di tutela Si tratta di un meccanismo che dà vita ad una normativa “imperfetta”, relativamente alla tutela – potremmo dire – «interna» delle situazioni soggettive interessate232. Se si guarda poi all’applicazione concreta di queste previsioni si vedrà come recente giurisprudenza, anche non strettamente relativa al settore dell’intermediazione finanziaria, pur applicandone gli schemi giuridici astrattamente più flessibili elaborati con riguardo a quella233, neghi che il denaro possa essere in concreto separato nel patrimonio di un soggetto per consentirne la restituzione234. In questi casi, cioè, non essendo possibile individuare zione del proprio patrimonio da quello dei clienti non può condurre ad esiti diversi della decisione, giacché la circostanza non vale a mutare la posizione giuridica della società come fiduciaria, configurandosi, semmai, come ulteriore profilo del suo inadempimento», tale affermazione va riferita all’inquadramento della disciplina prescritta per il rinvio alla Corte d’Appello, e non alla soluzione specifica della controversia. 232 Si prescinde in quest’analisi dal livello, previsto per il solo settore speciale, della tutela penalistica esistente (art.  T.U.F.) e dal piano risarcitorio, connesso a sistemi di indennizzo di cui agli artt.  e  T.U.F. e, piú di recente, d. lgs.  ottobre , n. , i quali pure hanno rivelato scarsa efficienza. Sui sistemi di indennizzo, cfr. supra cap. I, ntt.  e ; SANTAGATA, voce Sistemi di indennizzo degli investitori, in Dig. IV, Disc. Priv., sez. comm., Agg. X, , p.  ss. e S. MACCARONE, Il sistema di garanzia degli investitori: rapporti con le procedure di liquidazione coatta amministrativa; linee di confine con la tutela dei sistemi di garanzia dei depositanti, in Dir. banca merc. finanziario, , I, p.  ss. Dal punto di vista selezionato, può sostenersi che la soluzione normativa offerta, principalmente a fronte dell’ipotesi della decozione, si riveli gravemente insoddisfacente per la tutela dell’investitore, che pure è stata ravvisata essere un principio di ordine pubblico interno. Si può vedere, per considerazioni analoghe, GAGGERO, L’inefficienza della regola sulla separazione dei patrimoni dei clienti nella disciplina relativa ai servizi d’investimento, in AA. VV., Analisi economica del diritto privato a cura di Alpa, Chiassoni, Pericu, Pulitini, Rodotà e Romani, Milano, , p.  ss. 233 Ad esempio, il richiamo al deposito regolare su beni fungibili. Cfr. nt. successiva. 234 In Cass.,  febbraio , n. , in Rep. Foro it., , voce Liquidazione coatta amministrativa, n. , e testo integrale della sentenza in De Jure, la rivendica proposta da una cassa di previdenza nei confronti della compagnia assicuratrice depositaria di conti individuali riferibili agli agenti della medesima compagnia è stata rigettata poiché: l’appostazione in bilancio delle predette somme non era stata ritenuta costituire dato indiziante di una gestione separata dei fondi depositati; né era stato rinvenuto un vincolo legale o contrattuale di destinazione. A tal fine l’obbligo di garantire pronta liquidità solo per le somme da retrocedersi in caso di trasferimento degli agenti ad altra cassa o cessazione del rapporto di agenzia non era stato considerato idoneo ad integrare tale vincolo. Quest’ultima sentenza rivela appieno come il richiamo alle categorie pur elaborate dalla giurisprudenza più avanzata sul punto (la figura del deposito regolare assistito da un principio di doppia separazione patrimoniale), rischi di rimanere una mera affermazione di principio quando non assistito da un’interpretazione che sia idonea a     un patrimonio separato non sarebbe possibile procedere a nessun tipo di recupero di somme anche se astrattamente ascrivibili a chi agisce in rivendica235. Questo indirizzo finisce con il non superare (almeno completamente), nei risultati, quello tuttora dominante e tradizionale relativo alla separabilità del denaro in fattispecie non gestorie. Si tratta di un orientamento che anche in quei casi ha spesso condotto a risultati criticabili: ad esempio, all’inammissibilità della pretesa restitutoria (ex art.  l.f.) di somme previamente oggetto di sequestro penale (e quindi individuate), per le quali è stata invece ritenuta ammissibile solo un’insinuazione nel passivo fallimentare per il corrispondente ammontare236. renderle operative nell’ipotesi patologica (che, nell’ipotesi più semplice, significa, ad esempio, dare rilevanza al dato contabile). La S.C. è consapevole di ciò, ma sembra non cogliere il punto problematico, allorquando afferma: «questa tutela è garantita appieno soltanto nel caso in cui il regime di separazione sia stato effettivamente rispettato, con la conseguenza che, qualora ciò non sia accaduto – sia in quanto la società abbia confuso, in tutto o in parte, il proprio patrimonio con quello dei clienti, sia in quanto abbia violato al regola della reciproca separazione dei patrimoni dei singoli clienti l’investitore è titolare esclusivamente di un diritto di credito nei confronti dell’intermediario». In proposito, analogamente nel settore dell’intermediazione finanziaria, Cass.,  marzo , n. , (massima ufficiale) riportata in Giur. it. cit., p. ; nonché Cass.,  settembre , n.  in Rep. Foro it., cit., ove chiaramente si fa dipendere l’esperibilità della rivendica all’avvenuta osservanza degli obblighi di doppia separazione patrimoniale ritenuti applicabili anche a fattispecie anteriori all’entrata in vigore della l. n.  del . In altro campo, ma ugualmente nel senso di una visione probabilmente troppo restrittiva anche circa l’esistenza di vincoli di destinazione, cfr. supra nt. . 235 Diversamente la giurisprudenza di merito pare dar maggiormente voce a soluzioni più liberali. Proprio con riguardo a due delle fattispecie supra citate, cfr. App. Milano,  febbraio , in Fallimento, , p. , secondo cui «è legittima la domanda di restituzione di somma di denaro incassata dal mandatario senza rappresentanza per conto del mandante, proposta nei confronti del fallimento del mandatario, quando si è accertato che la somma, pur essendo stata depositata su conto corrente intestato al fallito, non era stata utilizzata da questi, né si era confusa con il proprio patrimonio», poi cassata da Cass.,  maggio , n.  cit. nt. precedente; nonché Trib. Roma,  maggio , in Giur. romana, , p. , confermata in appello ma cassata da Cass.,  febbraio , n.  cit. nt. precedente. In entrambi i precedenti gradi di giudizio, sia il dato contabile sia l’obbligo legale di tenere le somme a disposizione dei clienti erano stati ritenuti elementi sufficienti ad integrare la separazione tra i patrimoni, come principio immanente al sistema. 236 Cfr. Cass.,  aprile , n. , in De Jure il caso, pur se non relativo ad un rapporto gestorio, riguardava al richiesta del fallimento Calcio Napoli della restituzione ad altro fallimento di somme giacenti sul conto corrente intestato a quest’ultimo e già oggetto di sequestro penale. Il S. C. ha ritenuto che la domanda ex art.  l. fall. possa riguardare solo cose mobili esattamente individuate per specie, non anche fungibili, ed in particolare denaro. Par- Gestioni di denaro e strumenti di tutela Il problema di fondo ci sembra allora non essere tanto quello dell’inquadramento del fenomeno della separazione secondo le categorie della proprietà (che pure richiede degli inevitabili adattamenti, ad esempio con riguardo ai beni dematerializzati o smaterializzati), ovvero secondo quelle più proprie della responsabilità patrimoniale, della quale va assunta un’autonomia concettuale. Tale dibattito ha interessato autorevole dottrina e ha una sua indubbia valenza sistematica. Sia aderendo all’uno, sia all’altro orientamento, si ha che all’interno di una massa/patrimonio limitato, non è necessario individuare i beni fungibili sui quali si vantano i propri diritti, al fine di garantire una “sopravvivenza” degli stessi, anche se con una consistenza economica ridotta, in conseguenza di comportamenti scorretti del gestore. Poco importa, sotto questo profilo, che le ragioni restitutorie si esprimano in veste reale o creditoria237, ovvero che l’effetto conservativo (mancato trasferimento della proprietà/sussistenza di un patrimonio separato) sia conseguenza pattizia (se si preferisce il modello del deposito regolare), o ex lege (accedendo alla disciplina sul mandato). L’affermazione di questa pretesa restitutoria viene confermata dalla disciplina sulla separazione (come obbligo contabile). Il problema che ci sembra centrale risiede, invece, nella difficoltà sia dell’uno sia dell’altro orientamento, di superare il nodo della confusione patrimoniale, quel fenomeno (talora inteso come principio) che il diritto romano individuava nell’espressione commixtio nummorum. zialmente diversa la motivazione in Cass.  luglio , n. , in Pluris, in cui i giudici di legittimità pur astrattamente non contestando che il vincolo di destinazione derivante dal pignoramento di conto corrente bancario sia idoneo a determinare un vincolo di indisponibilità sul bene idoneo ad individuare il bene, rigettano il ricorso a causa della successiva assegnazione della somma pignorata al fallimento. Il venir meno del pignoramento avrebbe quindi determinato la confusione del denaro nell’attivo fallimentare. Invero, in questo caso si sarebbe anche potuto ipotizzare come il confluire della somma determinata (individuata con il pignoramento) in una massa certa (l’attivo fallimentare), e rispetto alla quale vi sono precisi obblighi di legge di amministrazione conservativa della stessa da parte del curatore (sebbene in funzione della liquidazione ai creditori), invero non determina una confusione (sulla falsariga di quella c.d. patrimoniale) idonea a far transitare la pretesa ad rem in credito per l’equivalente (secondo un discorso analogo a quanto previsto a proposito di deposito regolare su beni fungibili). Sul requisito della individuazione in specie per beni fungibili o denaro, ancora di recente, Cass.  ottobre , , in Dir. fall., , II, p.  ss. e Fallimento, , p.  ss.; e Cass.  maggio , n. , entrambi in CED, entrambe richiamate da entrambi i pronunciamenti succitati in nota. 237 In questo senso, cfr. anche Cass.,  marzo , n.  cit.     La questione, in tutta la sua complessiva, rivela una serie di nodi problematici: “recuperare” un bene (nel senso di ottenerne la restituzione) significa affermare l’esistenza di un diritto sulla cosa (specifica/ determinata) trasferita, ma questo è ostico in materia di fungibili e diventa ancora più difficile in caso di denaro, ove i trasferimenti successivi, da soggetto a soggetto, sono esponenzialmente più frequenti. Ciò significa che nel momento in cui si assume che il denaro sia transitato – cioè si sia “materialmente” confuso, con quello del gestore, poi diventi difficile stabilire dove sia “andato a finire”. Questo è il problema alla base della c.d. confusione patrimoniale come principio (cfr. supra), per cui, secondo un’ottica reipersecutoria o recuperatoria, diventa improbabile, anche se non astrattamente impossibile, recuperare il “proprio denaro” presso terzi. E questo problema lo si ritrova anche in un contesto puramente “virtuale” in cui questa tracciabilità è affidata non a dati materiali ma contabili. Così, quando, nei mercati finanziari (in cui la frequenza delle movimentazioni è altissima), ci si trova di fronte a situazioni in cui è, ex post, impossibile procedere ad una credibile ricostruzione delle movimentazioni poste in essere dall’intermediario negligente, nel senso di individuare quanto meno – una sottomassa cui riferire le operazioni, il diritto del singolo cliente/gerito sembra destinato a subire la falcidia concorsuale. In altri termini, una volta allargate le maglie della recuperabilità del bene, attraverso il riferimento ad una massa più ampia (in tal modo non reputando ostativa alla restituzione la mera natura fungibile del bene restituendo), il problema si sposta sulla individuabilità (o meglio delimitazione) del patrimonio separato. Se diventa impossibile distinguere anche complessivamente i beni dei clienti, la restituzione a carattere reale viene travolta238. La soluzione di questo nodo diventa centrale per riconoscere un’effettiva valenza pratica al regime legislativamente previsto, o in ogni caso desumibile dall’ordinamento. 238 In questo senso Trib. Firenze,  novembre , cit., p. . Gestioni di denaro e strumenti di tutela . Opponibilità della destinazione e criterio quantitativo-contabile come soluzione possibile Alcune ricostruzioni dottrinali del sistema della responsabilità patrimoniale, e del conseguente inquadramento del regime patrimoniale dei soggetti operanti nei mercati finanziari, hanno condotto ad una rilettura dei criteri valevoli a determinare la composizione dei patrimoni separati, anche nei rapporti dell’intermediazione finanziaria239. Il risultato pratico che ne dovrebbe conseguire è la maggiore probabilità di una ricostruzione dei patrimoni gestiti, in sede di liquidazione, e la prevalenza con riguardo a questi dei creditori aventi diritto alla restituzione240. Questa proposta teorica, anzitutto, si oppone all’interpretazione consueta del dettato legislativo il quale vede l’intero sistema della responsabilità patrimoniale influenzato dalle regole di imputazione che s’imperniano sul diritto di proprietà241. Non è necessario, in altri termini, per sottrarre un bene al creditore pignorante (ovvero al fallimento), dimostrare un diritto di proprietà su tale bene, bensì l’esistenza di un titolo purché avente data certa anteriore rispetto Si veda la fondamentale opera di SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit. L’a. espressamente indica come esito intenzionale della ricerca (quello politicamente più auspicabile nell’era del capitalismo avanzato) il rafforzamento della posizione dei creditori aventi diritto alla restituzione del tantundem eiusdem generis et qualitatis (ovvero diritto degli stessi a non concorrere con altri creditori), in base al regime di favore che il legislatore (anche in sede fallimentare) accorderebbe al creditore avente diritto alla restituzione, nonché all’assenza di ogni indicazione legislativa che limiti la restituzione alle res individue (il legislatore fa, infatti, genericamente rinvio a beni mobili). Cfr. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., pp.  -  e p.  ove «Il problema più urgente nelle attuali istituzioni di mercato finanziario è dunque legato alla ammissibilità o meno della separazione del denaro e degli altri beni fungibili non individuati; sia in generale […] sia con specifico riguardo alla disciplina della gestione […]» La parziale abrogazione dell’art.  l. fall. (parzialmente confluito nell’attuale art.  l. fall.) non sembra, peraltro, modificare la complessiva lettura del fenomeno. Sull’abrogazione dell’art.  l. fall., per ragioni di duplicazione rispetto all’art.  e transito dell’unica disposizione presente in quello soltanto (relativa alla salvezza dell’art.  c.c.) cfr. AA. VV., Il diritto fallimentare riformato – Appendice di aggiornamento, a cura di G. Schiano di Pepe, Padova, , p. . 241 Soluzione adottata anche in tema di vincoli di destinazione. Ex multis, GEMMA, Destinazione e finanziamento cit., p. , che in tema di vincoli di destinazione, vi attribuisce efficacia esterna richiamando l’opponibilità del titolo, prescindendo dalla natura del diritto, come nel caso degli artt. , ,  c.c., norme ad applicazione generale. 239 240     al pignoramento/ fallimento, e perciò opponibile, dal quale sorga un diritto, anche se di credito, alla restituzione. I conflitti tra titolari di diritti su determinati beni in possesso di un terzo e i creditori di costui vengono risolti senza adottare la prospettiva della contrapposizione tra diritto reale e diritto di credito, ma secondo le norme di cui agli artt. , ,  c.c. che delimitano le tipologie di pretese restitutorie opponibili e i criteri di opponibilità (la data certa), e i cui principi valgono anche in sede di procedura d’insolvenza242. In tema di fungibili, il disancoramento dal criterio della proprietà si traduce in irrilevanza della specificità dei beni, non essendo il conflitto dell’avente diritto ad un bene con i creditori in genere del debitore (art. , n.  c.c.), come pure nei rapporti tra mandante e creditori del mandatario (art.  c.c.), o in presenza di un altro vincolo di destinazione (art..  c.c.), regolato pensando alla circolazione delle res certae. Ciò significa che nel caso in cui la pretesa restitutoria abbia per oggetto beni fungibili in possesso del debitore esecutato o del fallito non sia necessaria la “disindividualizzazione” ovvero l’individuazione (ex art.  c.c.) perché il titolare di un diritto derivante da titolo opponibile munito di data certa (sia egli proprietario avente diritto al trasferimento, mandatario o beneficiario di altro vincolo di destinazione sul bene) possa prevalere nei conflitti con i creditori procedenti o concorrenti su quei beni243. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p.  e passim, nonché p.  (ove richiama GAMBARO, Segregazione e unità del patrimonio, in TAF, , p.  ss., spec. p. , relativamente alla distinzione di un patrimonio (e degli atti di disposizione) tra aspetto interno – regolato dal principio consensualistico -, e aspetto esterno rispetto ai creditori – regolato dalla opponibilità). 243 Proprio in virtù dello sganciamento tra disciplina della responsabilità patrimoniale e della proprietà, anche nel suo momento dinamico della circolazione dei diritti, viene operata una distinzione tra i conflitti regolati dalla prima (con i creditori) e dalla seconda (inter partes e rispetto ai terzi). Con riguardo a quest’ultima ed in particolare alla individuazione (ex  c.c.) come regola che sancisce il passaggio della proprietà, essa serve a regolare, invece, le ipotesi di: perimento incolpevole delle cose alienate (ad es. nella vendita di cose di genere); doppia alienazione; tutela della proprietà. Cfr. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p.  s. Nello stesso senso anche MORCAVALLO, Crisi della S.I.M. e tutela restitutoria in sede concorsuale: spunti sul principio di separazione patrimoniale nel sistema dei rapporti gestori, in Nuova giur. civ. comm., , II, p.  ss., e, ancor prima CRISOSTOMO-MACARIO, Separazione e individuazione del patrimonio dei fiducianti nelle azioni rei persecutorie contro la società fiduciaria cit., i quali, tuttavia, limitano l’ambito delle regole di imputazione (appartenenza - titolarità) al rischio di perimento della res. 242 Gestioni di denaro e strumenti di tutela Il principio dell’art.  c.c., applicato estensivamente o, se si vuole, analogicamente anche ai fungibili dematerializzati o smaterializzati, conformemente a quanto fa la lettura tradizionale, paralizza, invece, l’operatività – almeno fino al momento dell’individuazione - delle regole risolutive di conflitti tra creditori (art. , ,  c.c.), poiché in difetto della individuazione nessuno può dirsi proprietario, ovvero avente diritto su una cosa certa, e in relazione a quei beni tutti concorrono come creditori244. In questa prospettiva, con riguardo alle gestioni dei beni fungibili, l’“individuazione” degli stessi (in senso stretto, ex art.  c.c., che è applicato secondo criteri rigorosi) non è più necessaria245. Criterio dirimente diventa invece il dato numerico, quantitativo, purché documentato246. Questa lettura comporta che la sola documentazione valga a determinare l’ammontare delle somme o titoli cui si ha diritto, i quali dovranno poi essere adeguati in base all’effettiva consistenza del patrimonio separato, in caso di sua incapienza, secondo un criterio di proporzionalità. Dal punto di vista formale, la documentazione è vista come necessaria integrazione del titolo opponibile in relazione alla variabilità, nel mandato in special modo, dei beni gravati da vincolo di destinazione, e può alternativamente manifestarsi nelle forme del rendiconto, anche periodico, ex art.  c.c., ovvero di un contratto di conto corrente collegato al mandato, il quale si presenta più consono all’intermediazione svolta non a carattere periodico ma come attività d’impresa, per le caratteristiche di semplificazione e certezza proprie della disciplina del conto corrente247. In questo quadro, SALAMONE, Gestione e separazione cit., pp. , ,  e passim. La critica che si muove all’utilizzo dei criteri proprietari in materia di fungibili è la finzione dell’utilizzare la risultanza contabile ai fini dell’individuazione del fungibile (art.  c.c.) oppure per impedire il verificarsi della confusione (, co. , c.c.): queste tesi applicherebbero alla vicenda contabile una regola che per legge dovrebbe conseguire ad una vicenda materiale (operazione di individuazione oppure un fatto di commistione), usando il criterio della similitudine e della identità di ratio in una materia regolata dal divieto di analogia art. , co. , c.c. SALAMONE, Gestione e separazione cit. 246 La necessità della documentazione come elemento attraverso cui il numero (un fatto) acquista rilevanza giuridica è frequente sia nella dottrina commercialistica che processual-civilistica, SALAMONE, Gestione e separazione cit., p. , nt. , ove essenziali riferimenti bibliografici. 247 Secondo l’a. SALAMONE, op. ult. cit., p.  ss., anche la documentazione attestante le variazioni delle quantità dei beni vincolati dovrebbe avere le caratteristiche della scrittura pri244 245     analoga funzione viene riconosciuta alla contabilità obbligatoria prevista dalla disciplina di diritto speciale248. La tenuta della contabilità prescritta, ovvero del rendiconto assumono valore decisivo poiché vengono a costituire requisito nonché mezzo di vata munita di data certa, ex art.  c.c., cioè i requisiti di forma prescritti dall’art.  c.c. Questo rappresenterebbe un inevitabile onere che le parti devono sostenere ove intendano avvalersi del beneficio della separazione patrimoniale, cioè dell’opponibilità ai terzi creditori. Siffatta ricostruzione – a parere di chi scrive – introduce tuttavia oneri di forma e complicazioni operative che appaiono contrarie alla stessa essenza del mandato (specialmente se avente ad oggetto beni mobili), volta a promuovere la circolazione della ricchezza; e all’esistenza dell’art.  c.c. (che diventa allora una mera riproduzione dell’art.  e  c.c.). Per considerazioni analoghe, cfr. supra nt. . Peraltro, l’a., che distingue logicamente dal mandato come contratto (fonte di obblighi tra le parti), l’atto di destinazione (che seguendo la dottrina dominante sul tema, è atto unilaterale), pur riferendo l’art.  concettualmente al secondo, rileva – secondo il tenore letterale – come la disposizione si applichi all’atto bilaterale, che ne rappresenta il presupposto. Tuttavia, se si ha in mente l’atto attestante la variazione del patrimonio separato, l’applicazione a questo dell’art.  c.c. determinerebbe una certa “sovrabbondanza” nella struttura dell’atto: nonostante, a rigore, si tratti di una variazione della destinazione (che secondo il pensiero dell’a. dovrebbe essere unilaterale), il disposto di legge ne imporrebbe la bilateralità e sottoscrizione da parte del mandante e del mandatario. L’a. poi prova ad attenuare il requisito parlando di riferibilità bilaterale, anche in difetto di contestualità e facendo rinvio al possibile collegamento del mandato con un contratto di conto corrente, come modello idoneo alla tenuta della contabilità. Tramite la disciplina dell’estratto conto e della sua approvazione (in part. art.  c.c.), egli individua nell’estratto non contestato un atto a rilevanza bilaterale efficace tra le parti (sebbene non sottoscritto da entrambe), e opponibile ai terzi, rispettati i requisiti dell’art.  c.c. Va, tuttavia, ricordato che proprio ai sensi dell’art.  c.c. il conto non può ritenersi definitivo se prima non siano trascorsi i  mesi dall’approvazione, per effetto dell’esperibilità, in questo periodo, delle impugnazioni per errori (art. , co. , c.c.). Ciò potrebbe porre, a parer nostro, un ulteriore questione relativa al dies a quo della stabilità dell’atto e dei relativi effetti rilessi per i creditori del gestore. 248 SALAMONE, Gestione e separazione cit., p.  s. Per la disciplina di diritto speciale, in particolare quella regolamentare della Banca d’Italia, si veda supra nt. . In verità la contabilità obbligatoria non svolge la medesima funzione né dell’estratto conto (ex art.  c.c.) né del rendiconto (ex art. , co. , c.c.), cui corrisponde invece la pratica della rendicontazione, oggi prevista dettagliatamente dal Reg. Intermediari, artt.  – , che tuttavia non chiarisce in merito alla disciplina della contestazione. In proposito, di recente, cfr. Cass.,  febbraio , n. , in Contratti, , p.  ss., ove si chiarisce che il rendiconto periodicamente inviato al cliente dalla società di gestione del portafoglio di strumenti finanziari costituisce un vero conto di gestione, cui tuttavia non si applicano né l’art.  T.U.B. (per differenza di contenuto e funzione), né l’art.  c.c. (che presuppone l’esecuzione dell’incarico), ma regole improntate a fornire all’investitore un “surplus” di tutela. Ciò comporta – ha statuito il S. C. – che non vi è alcuna decadenza dal diritto di agire in responsabilità nei confronti del gestore in caso di mancato reclamo entro il termine prefissato. Gestioni di denaro e strumenti di tutela prova, tendenzialmente esclusivo, dell’opponibilità ai creditori di un determinato atto dispositivo o di destinazione correlato alla gestione249, ma ad esso viene negata ogni rilevanza in indagini di tipo proprietario (art.  c.c.). Ora la centralità che nella dottrina in commento assume l’elemento del conto (o della contabilità) porta con sé, in astratto, una maggiore possibilità di dar ragione ad istanze restitutorie confliggenti con pretese sui medesimi beni da parte di altri debitori del possessore/detentore del bene conteso. Ciò è particolarmente vero nell’ipotesi degli strumenti finanziari, ove l’emancipazione dai criteri della individuazione significa irrilevanza del dar prova, ai fini del vittorioso esperimento dell’azione restitutoria, di dati specifici con riguardo agli strumenti finanziari (ad es., numero di serie, riferimento ad una particolare emissione di titoli, etc.), ma esclusivamente del “dato numerico” (e tipologico) portato dal conto250. Invero, questa teoria realizza in maniera certamente più snella ed elastica risultati analoghi alle proposte che invece si informano sul criterio del passaggio o meno della proprietà, e sullo schema della comproprietà, le quali, con procedimenti interpretativi di tipo analogico, danno corpo ad pretese restitutorie a fondamento proprietario. Essa, in aggiunta, consente, nei limiti di un dato contabile coerente, per quanto irregolare, la ricostruzione dei patrimoni separati, nonché delle eventuali movimentazioni in entrata ed in uscita dal patrimonio generale dell’intermediario. V’è, tuttavia, che tale interpretazione sconta, probabilmente, un diverso rischio d’incertezza nella definizione dei rapporti, affidando gli esiti dei conflitti tra situazioni giuridiche esclusivamente alle risultanze definite dal gestore medesimo, anche quando non veritiere251. 249 SALAMONE, Gestione e separazione cit., p.  s. Con riguardo alla limitazione della prova a risultanze contabili, l’a., tuttavia, fa salve espresse disposizioni contrarie, come, ad esempio, quella portata dall’art.  c.p.c.. 250 Come si vedrà nel para. successivo, non ci sembra invece che, al di là del “beneficio” derivante da una maggiore coerenza sistematica e dalla correttezza dell’inquadramento disciplinare, il passaggio dalla prospettiva della proprietà a quella della responsabilità patrimoniale abbia significato una semplificazione della prova della componente monetaria. I criteri dell’individuazione e del dato contabile con riguardo al denaro scritturale – invero, coincidono, essendo il denaro – per definizione – rilevante solo in termini di quantità. 251 Il particolare ruolo assegnato da questa dottrina alla contabilità fa propendere per la soluzione di dare rilievo al conto apparentemente regolare ma non veritiero (ove però, nelle ipotesi disciplinate dalla legislazione speciale, il quantitativo di denaro e strumenti finanziari sia sufficiente a soddisfare tutti i c.d. creditori separatisti, cioè i clienti). Cfr. SALAMONE, Ge-     Ciò diventa particolarmente critico nel caso di condotta abusiva o infedele del gestore. In una situazione d’infedeltà, il dato contabile diventa inaffidabile, con buona pace sia delle “teorie”, lato sensu, “proprietarie”, sia di quelle che poggiano sulla responsabilità anziché sull’imputazione252. Infatti, anche nelle “teorie della responsabilità patrimoniale”(come disciplina autonoma dalla proprietà), se si limita la rilevanza di mezzi di prova differenti rispetto al dato contabile, potrebbe realizzarsi un risultato opposto a quello perseguito, che significa la soccombenza o il concorso in procedure esecutive o concorsuali, a causa della riscontrata fittizietà di un dato contabile che non trova riscontro nella spesso esigua massa fallimentare. Vi è, infine, un dato ulteriore da tener in conto. Esso riguarda, più specificamente, le fattispecie regolate dal diritto comune. Come si è visto, la dottrina in commento, in base ad un’interpretazione dell’art.  c.c. estesa anche agli atti di variazione della destinazione (ovvero del patrimonio separato del mandatario), richiede anche per questi ultimi una “riferibilità bilaterale” (nelle forme della sottoscrizione ovvero dell’approvazione tacita da parte del gerito, ex art.  c.c.) nonché la data certa. Ci sembra che questa lettura della normativa, tuttavia, introduca un elemento di complicazione nella operatività della gestione, che rompe l’unità formale dell’operazione economica e tradisce gli scopi stessi della cooperazione gestoria, della sua promozione e accessibilità253. stione e separazione cit., p.  s.; nonché p.  ss., ove a proposito della disciplina della cartolarizzazione dei crediti, al fine di garantire che la separazione patrimoniale effettivamente si produca, ritiene sufficiente la tenuta di una contabilità che evidenzi il vincolo di destinazione (c.d. segregazione meramente contabile) non essendo necessaria (pur se più prudente) la c.d. segregazione reale, cioè il deposito delle somme in conti rubricati come vincolati al fondo previdenziale. 252 Cfr. in questo senso anche SCARLINO, Sim insolvente, tutela degli investitori e riforma delle procedure concorsuali cit., p. , nt. , ove si sottolinea che il vero problema è quello della individuabilità della cosa da restituire. 253 Cfr. supra nt. , nonché nt. , sempre in questo capitolo. L’a. qualifica la documentazione integrativa relativamente alle variazioni patrimoniali come vera e propria rinnovazione del negozio (SALAMONE, op. cit., p. ). Ovviamente non sfugge che il requisito della bilateralità costituisce, oltre ad essere requisito di opponibilità, uno strumento di garanzia e controllo periodico dell’operato del gestore. Ma esso, tuttavia, non può derivarsi dalla normativa generale in tema di mandato, la quale, in ogni caso è improntata ad un meccanismo di controllo (il rendiconto) che è normalmente inteso essere documento di chiusura della gestione. È, allora, più consapevolmente, all’autonomia contrattuale che bisogna ricorrere, per garantire il ri- Gestioni di denaro e strumenti di tutela A favore della tesi contraria, che vede la necessità del requisito della data certa solo per l’atto iniziale del mandato ai fini della opponibilità ai terzi creditori anche delle variazioni del patrimonio gestorio, v’è un ulteriore argomento sistematico, riguardante il regime della responsabilità patrimoniale. Esso gravita intorno alla disciplina del c.d. pegno rotativo. Nel pegno rotativo – come si è visto – l’opponibilità è assicurata dall’iniziale data certa nonché dalla specifica indicazione dei beni oggetto di pegno all’atto della costituzione dello stesso; mentre, per l’oggetto variabile, è sufficiente che i criteri della sostituzione siano fissati nel contratto di pegno254. A maiori ciò deve ritenersi poter avvenire in caso di mandato, ove quindi, come conferma la disciplina sull’eccesso, ogni variazione corrispondente all’interesse del mandante (anche nel mandato generale) è computabile al patrimonio di quest’ultimo, e quindi, di conseguenza, sottratto ai creditori del mandatario. Sulla scorta di tali considerazioni, si rende necessario ora provare a meglio comprendere se vi possa essere uno strumentario giuridico che possa contrastare il limite con cui si scontra ogni pretesa restitutoria avente ad oggetto denaro (principalmente, ma anche altri beni fungibili) oggetto di gestione: quello della loro confusione nel patrimonio del gestore, che determina la degradazione, in sede di esecuzione, a credito concorrente. . La rilevanza del dato contabile e il problema della tracciabilità La proposta interpretativa cui si è fatto cenno nel paragrafo precedente finisce con il consegnare la soluzione dei conflitti tra gerito e creditori del gestore, in sede di esecuzione o procedura concorsuale, alle risultanze dei conti, ovvero dei dati contabili, previsti in via pattizia ovvero obbligatoriamente prescritti dalla legislazione speciale. L’espletamento di un’attività sultato di una consapevole informazione dell’interessato nel corso della gestione. Infine, va precisato che la comunicazione del contenuto delle singole variazioni del patrimonio gestito non assicura la fedeltà dell’operato, né dei sottostanti conti (o scritture contabili), anche se certamente rappresenta un ostacolo che la frode dell’intermediario è chiamata a superare. Anche sotto questo profilo, la bilateralità e la data certa richiesta per gli atti di variazione rappresenta una non condivisibile complicazione. 254 Cfr. supra cap. II, testo corrispondente a ntt. da  a .     di registrazione in conti, o di rendicontazione, da parte dell’intermediario/gestore rappresenta quindi l’unico presupposto per l’operatività della separazione patrimoniale come effetto giuridico. La conoscenza dell’andamento della gestione per il mandante/cliente, a sua volta, è formalmente garantita dall’invio dell’estratto conto periodico (che, per le fattispecie regolate dal diritto comune, andrebbe previsto nel contratto, arg. ex art.  c.c.). Questa aderenza al dato contabile non assicura, tuttavia, contro possibili comportamenti fraudolenti del gestore relativamente alla corrispondenza tra gestione dichiarata e movimentazioni effettivamente eseguite, per il semplice motivo che la tenuta della contabilità compete al gestore medesimo. Così, è ben possibile che, anche nelle ipotesi in cui siano previsti per legge specifici obblighi contabili, il loro ossequio formale tradisca una ben diversa realtà. Ci si trova di fronte a quello che è l’inevitabile rischio dell’agire gestorio255, e che espone il mandante/cliente ai risultati di distrazioni, indebite appropriazioni da parte dell’intermediario, le quali, in caso di esecuzione o di procedura concorsuale, si palesano come una perdita finanziaria netta per il gerito256. E non è detto che prestar fede alla verità contabile delle operazioni annotate si traduca sempre in un vantaggio per il cliente. Tra le innumerevoli declinazioni delle possibili truffe, è possibile, ad esempio, che vi sia una diversità tra l’estratto conto e la contabilità effettiva (se l’estratto conto, approvato dal cliente, non rispecchi la contabilità tenuta). In ogni caso al solo al dato contabile bisognerebbe poi attenersi in sede di riparto, secondo la dottrina richiamata. O, ancora, si pensi, all’ipotesi di una contabilità che favorisca, anche 255 Cfr. infra cap. V. I rischi che si palesano dietro la contabilità di un intermediario discendono dalle caratteristiche dell’”agire intermediato” cioè gestorio e si specificano rispetto a quelli correlati genericamente all’attività d’impresa (art.  ss. c.c.). 256 La dottrina in parola ritiene, tuttavia, che questo sia un «mero problema di capienza, poiché la consistenza di cassa non permette alcuna ripartizione dell’attivo liquidato» e che «finché vi siano sufficienti quantitativi di denaro […], anche in presenza di una violazione degli obblighi di deposito la contabilità regolare fa sì che questi siano attratti alla massa separata e debbano essere utilizzati per soddisfare il ceto creditorio le cui ragioni siano sorte in relazione al servizio di investimento od alla gestione collettiva del risparmio, con precedenza rispetto all’altro ceto». Cfr. SALAMONE, Gestione e separazione cit., p. . Gestioni di denaro e strumenti di tutela se ciò non implica necessariamente una collusione con i soggetti favoriti, alcuni clienti a discapito di altri257. Vi è, infine, una più sottile insidia sottesa all’idea di traslare l’intera applicazione della normativa sulla separazione patrimoniale unicamente verso il piano formale del rispetto degli obblighi contabili: quello di tradire la ratio della normativa speciale. Se, infatti, gli obblighi contabili, e più in generale ogni forma di contabilità258, ha la funzione di spingere l’intermediario ad un agire corretto (effettivo), un’interpretazione imperniata però sul solo dato contabile formale potrebbe di contro indurre ad un ossequio anch’esso (solo) apparente259. 257 Si pensi a quei tipi di truffa che vanno sotto il nome di schemi Ponzi (Ponzi schemes), che hanno avuto grossa risonanza negli Stati Uniti (e di recente anche in noti casi italiani) in cui il profitti agli investitori precedenti vengono pagati con il denaro versato dagli investitori successivi, e non per effetto di effettivi guadagni o perché siano stati eseguiti investimenti. Ciò significa sicuri guadagni per i “vecchi” investitori, possibili perdite per gli investitori intermedi; mentre la fittizietà dell’intera operazione, cioè dello schema, ricadrà, in concreto, tutta sui clienti finali. Sul punto, cfr. infra cap. IV. . Ora se si guarda a queste vicende, sotto il profilo della contabilità, attenersi a questa può significare che gli investitori che fanno valere i propri crediti contro la procedura potrebbero avere dati contabili a sé sfavorevoli, ovvero favorevoli (poiché i truffatori tendono a mantenere il raggiro fino al coup de théâtre finale), ma in concreto è l’aderenza alla contabilità nel suo complesso a pregiudicarli. Ciò sposta il problema sul titolo dei pagamenti effettuati agli altri investitori e su eventuali azioni volte a invalidarlo. Cfr. infra cap. V.. Come noto, giurisprudenza consolidata riconosce la differenza tra aspetto sostanziale e aspetto contabile nei rapporti bancari, per cui l’approvazione dell’estratto conto inerisce esclusivamente alla realtà materiale in esso rappresentata non già alla validità del titolo giuridico sottostante, la cui impugnazione è regolata dalle norme generali sui contratti (Cfr., da ultimo, Trib. Salerno,  marzo  e Trib. Benevento,  settembre , in Pluris). Un’altra, più semplice, ipotesi di trattamento diversificato dei clienti da parte del gestore può riguardare il caso in cui l’intermediario abbia garantito alcuni clienti a discapito di altri (ad esempio, categorie d’investitori più “deboli” o sprovveduti). 258 Prevale in dottrina la c.d. teoria mista o pluralistica secondo cui la funzione delle scritture contabili non è solo la tutela interna, cioè di consentire all’imprenditore di conoscere l’andamento dell’impresa, ma anche la tutela di interessi “esterni”, dei singoli creditori, che possono avvalersi delle scritture come specifico mezzo di prova contro l’imprenditore (art.  c.c.), o della massa dei creditori, in caso d’insolvenza, rispetto ai quali la contabilità permette di ricostruire la consistenza del patrimonio, nonché del pubblico al controllo ed al regolare funzionamento dell’impresa. Cfr. F. GALGANO, L’imprenditore, Bologna, , p. , per il quale rilevano gli interessi alla tutela degli interessi dei creditori. Con riguardo specifico alla disciplina dell’intermediazione finanziaria, si veda M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., p. , che individua il complesso disciplinare, anche in sede regolamentare, sulla separazione e sull’autonomia contabile come volto ad evitare la confusione materiale.     V’è, tuttavia, che la dottrina in commento induce a meglio interrogarsi su quale rilevanza effettiva dare al dato contabile dell’intermediario finanziario (o al conto del gestore) in rapporto al dato reale, ovvero alle movimentazioni finanziarie realmente effettuate. Queste ultime, esse stesse – lo si ricorderà –, consistono in altro dato contabile. Ad esclusione dell’ipotesi in cui il prestatore dei servizi d’investimento sia una banca, il mandatario, anche finanziario, è sempre soggetto ulteriore rispetto a colui che svolge il ruolo di diretto intermediario nella circolazione dei diritti sul denaro, che è (tendenzialmente) l’istituto bancario, e che, nelle fattispecie del T.U.F., svolge la funzione depositario. È la contabilità di quest’ultimo a rappresentare più attendibilmente i reali flussi finanziari in entrata ed in uscita, cioè l’attività concretamente posta in essere dal mandatario/intermediario finanziario. E, a nostro modo di vedere e seguendo gli spunti offerti da autorevole dottrina, a tale contabilizzazione (anche se elettronica, cioè non materializzata) va attribuita una valenza di realità, potendo il dato in essa espresso fungere da “misuratore” effettivo delle disponibilità ascrivibili ad un soggetto260. Tale dato reale, come ulteriore rispetto al dato contabile dell’intermediario finanziario (o al conto del mandatario), opera in sede di ricostruzione dell’operato del gestore infedele. La costante applicazione del diritto speciale in sede di liquidazione 259 È ben chiaro che tale rilievo ha scarsa attinenza nella prospettiva esclusiva della responsabilità patrimoniale del gestore, se consideriamo che, invece, le vicende inerenti a quest’ultima interessano, in punto di conseguenze patrimoniali, non il gestore stesso, il quale sarebbe in ogni caso privato del proprio patrimonio (ovvero di parte di esso), ma il conflitto – come più volte detto – tra il soggetto leso dall’agire infedele e i creditori dell’autore dell’inadempimento. L’utilizzo del criterio contabile poi potrebbe estendersi ad altri profili, si pensi a quello penale. L’ottica coerente della dottrina in esame è nel senso, infatti, di sanzionare ai sensi dell’art.  T.U.F. non la confusione materiale, bensì le conseguenze della mancata tenuta contabile. Sul punto cfr. SALAMONE, Gestione e separazione cit., p.  ss. 260 A questo dato contabile, può attribuirsi natura monetaria, sostitutiva del possesso materiale. In questo senso, ci sembra, chiaramente FERRO-LUZZI, Lezioni di diritto bancario cit., p.  ss., il quale mette in risalto gli elementi del “numero” e del “conto” e LEMME, Moneta scritturale e moneta elettronica cit., p.  ss. In una prospettiva similare, dell’inquadramento della circolazione dematerializzata (degli strumenti finanziari) rispetto a quella propriamente materiale, ma che di quest’ultima assolve la medesima funzione (che è il punto che intendiamo qui sottolineare), cfr. R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., p.  ss., la quale però esclude che si tratti di fenomeni regolati dalle medesime logiche. Ivi anche citati i principali contributi della letteratura commercialistica sul tema. Gestioni di denaro e strumenti di tutela coatta amministrativa, ove più copioso è il contenzioso, è, infatti, chiaramente ispirata al criterio di far riferimento agli effettivi flussi finanziari per stabilire il grado di tutela spettante alla clientela nei servizi d’investimento, cioè per valutare se vi sia stata o meno separazione patrimoniale261. In altri termini, la giurisprudenza interpreta il termine “separazione” contenuta nell’art.  T.U.B. non solo nel senso di “separazione contabile” (dell’intermediario), ma anche, e soprattutto, come separazione reale (per il denaro della banca)262. Il binomio separazione/confusione va inteso non soltanto nel senso di attività (volta alla separazione o alla confusione), ma anche come fatto materiale, da cui dipendono i correlativi effetti giuridici (separativi). In verità, l’impostazione di far dipendere la separazione e i suoi effetti dal mancato verificarsi di un accadimento materiale (la confusione) che dipende dall’operato del gestore potrebbe penalizzare maggiormente l’investitore. Esempio emblematico può aversi, ad esempio, quando l’infedeltà, che in sede di procedura concorsuale comporta incapienza del patrimonio, sia stata nascosta da un dato contabile pur formalmente regolare. Il legislatore, come noto, non considera ostativa al mantenimento della separazione patrimoniale l’avvenuta confusione dei valori (o, comunque, se si dà risalto all’interpretazione ispirata al dato contabile dell’intermediario dei conti) dei clienti (art. , co. , T.U.B.)263. Quindi, in queste ipo261 Alla luce di questa notazione, faremo riferimento, d’ora innanzi, nel testo primariamente alle fattispecie di diritto speciale che si presentano più articolate, ma che allo stesso tempo, consentono un completo inquadramento della problematica, con risultati utilizzabili anche in diritto comune. 262 Cfr., ad esempio, Cass.  marzo , n.  cit., nonché Trib. Firenze,  nov.  cit., ove espressamente «sarebbe riduttivo ritenere che solo osservati gli specifici adempimenti prescritti i patrimoni gestiti dalla S.I.M. possano considerarsi individuabili e separati, poiché, alla luce di quanto sopra osservato l’unico limite ostativo alla restituzione è l’impossibilità materiale di distinguere i beni dell’investitore da quelli dell’intermediario o i beni dei singoli clienti tra di loro e tale impossibilità materiale non potrebbe essere eliminata non solo seguendo le misure prescritte dalla legge speciale […] ma anche con altri accorgimenti contabili, pur diversi, che consentano comunque di ricostruire attendibilmente la posizione dei singoli clienti oppure di individuare i valori mobiliari spettanti ai clienti - sia pure, al loro interno, in modo indistinto - rispetto al patrimonio della società di intermediazione». 263 Il dato rilevante che viene evidenziato dalla disciplina dettata in sede di insolvenza è quello di assecondare la prassi dei mercati finanziari nei quali, poiché non è d’interesse di nessuno dei suoi protagonisti, le contrattazioni non avvengono di solito attraverso la spendita del nome dell’investitore (cfr. INZITARI, Effetti della liquidazione coatta amministrativa sui rapporto     tesi, ci sembra che l’adesione all’una teoria piuttosto che all’altra, non comporti notevoli differenze264. Diversamente nell’ipotesi di cui all’art. , co. , T.U.B. in cui le conseguenze della mancata separazione comportano il concorso chirografario anche per i clienti/investitori. In questi casi, i risultati derivanti dall’applicazione dell’uno piuttosto che dell’altro criterio possono variare più significativamente. Se si prediligesse il dato contabile, piuttosto che quello reale, l’avvenuta confusione materiale verrebbe considerata ininfluente, e quindi gli investitori si troverebbero a concorrere, per l’ammontare espresso in contabilità, sostanzialmente in via “privilegiata” (cioè su un conto separato dello stato passivo in grado di “attrarre” le disponibilità liquide anche non riconducibili al patrimonio separato). Inoltre, ulteriore e fondamentale profilo è che, dando rilievo al dato contabile anzichè reale, si avrà “attrazione” alla massa separata (sia pur solo formalmente) delle disponibilità di cassa pur rinvenibili nel patrimonio (confuso) dell’intermediario a soddisfare i clienti investitori. A ben vedere, la proposta illustrata, coerentemente con le sue premesse, mira a fornire uno strumento per la tutela dell’investitore, e in generale del titolare di un credito di restituzione. Infatti, nel caso di circolazione dei fungibili, la confusione e i suoi effetti (perdita della proprietà, venir meno della separazione patrimoniale per impossibilità di determinarne l’oggetto) tendono a verificarsi di frequente e quindi l’aderenza al dato reale può essere aggirata o attraverso la costruzione giuridica (com’è avvenuto con riguardo alle fattispecie di deposito regolare su fungibili), ovvero, come nel caso di specie, invertendo l’ordine del discorso e affidandosi alla realtà contabile dell’intermediario, rappresentata dalle partite di debito /credito, che, a parte casi estremi, dovrebbe essere in grado di consentire una ricostruzione dei patrimoni, anche se non necessariamente corrispondente alla realtà storica. Si viene così eccezionalmente a sovvertire l’ordine del reale, che è di rein corso cit., p. ). Ma, conformemente ai principi generali, la mancata spendita del nome non canalizza nella sfera giuridica dell’intermediario tutti gli effetti degli atti di disposizione, e tale separazione delle sfere giuridiche (a determinati effetti) resiste finché resista un requisito minimo di distinguibilità tra i beni appartenenti all’intermediario e ai clienti (sebbene collettivamente intesi). 264 Piuttosto, in questi casi, il problema interpretativo che si pone riguarda l’estensione, o meno, della confusione/irregolarità relativa al singolo cliente all’intera classe. Cfr. supra nt. . Gestioni di denaro e strumenti di tutela gola l’oggetto d’interpretazione della legge, in ragione della protezione di dati interessi o dell’affidamento delle parti265. Da un punto di vista sostanziale, questa lettura – se ben vediamo – finisce, inoltre, con il concepire un credito di restituzione per quantità (ove il criterio di identificazione è rappresentato dal dato contabile non da quello reale) fuori dal concorso, e la cui soddisfazione potrebbe essere garantita anche con beni ulteriori rispetto alla massa separata. Secondo l’interpretazione tradizionale, invece, anche in sede di esecuzione o di procedura concorsuale, il creditore separatista può far valer il proprio credito esclusivamente su beni del patrimonio separato, quello ricostruibile come tale in seguito all’apertura della procedura. Va da sé che la composizione fungibile del patrimonio separato può aver reso particolarmente facili eventuali distrazioni e ridurre la finale consistenza del patrimonio separato. Le due posizioni (l’interpretazione tradizionale e quella più estrema) possono essere conciliate nella direzione di un contemperamento degli interessi in gioco, dei creditori separatisti e di quelli chirografari266. Si noti bene, come non è in questione l’utilizzo dello strumento della finzione (che è strumento criticato dallo stesso a., cfr. supra nt. ), bensì una ricostruzione basata su una ben coerente interpretazione del dato normativo (leggi l’interpretazione del termine separazione nel Testo unico bancario e dell’intermediazione finanziaria). 266 L’indiscriminata attrazione al patrimonio separato di beni non direttamente riconducibili a quest’ultimo incontra l’obiezione del danno al ceto creditorio e della violazione del principio della par condicio creditorum (non essendo i beni su cui si soddisfano i creditori separatisti formalmente appartenenti al patrimonio separato o a questo riconducibile). La ricerca di un criterio giuridico che sia in grado di creare un nesso tra patrimonio separato e bene rappresenta quindi un passo necessario per una valutazione globale degli interessi coinvolti nella fattispecie. Questa funzione, negli ordinamenti di common law, è svolta – ad esempio – dal complesso di regole costituito dal tracing. Cfr. infra cap. IV, nonché M. GRAZIADEI, U. MATTEI e L. SMITH, Commercial Trusts in European Private Law cit., p. , che rivelano come in materia d’intermediazione finanziaria, l’ordinamento inglese presenti una posizione analoga al sistema italiano, eccezion fatto – appunto – che per l’operatività del tracing: «Whether each client’s position is kept separate will not affect the trust device. It is common to have a trust held for a large number of beneficiaries, whose shares are measured by their proportionate contribution. If» (the intermediary) «properly kept the menaged trust funds separate from his own, then his personal bankruptcy does not affect his clients. If he breached the trust and took trust funds, then his clients will need to try to trace their assets. To the extent that they succeed, they will have a priority claim to the traced trust assets. To the extent that tracing is impossible, they will be reduced to personal claims for breach of trust and will be general creditors in the bankruptcy». 265     La tutela degli interessi recuperatori nei rapporti gestori, anche con riguardo al denaro e ad altri beni fungibili, non può prescindere da un presupposto di fatto materiale della separazione patrimoniale267: l’identificazione dei beni alla stregua dei flussi finanziari effettivamente verificatisi, secondo dei criteri che siano tuttavia più consoni alle liquidità monetarie. La non esclusiva rilevanza del dato contabile dell’intermediario può, peraltro, significare la possibilità di far ricorso a mezzi di prova ulteriori e sussidiari in caso di carenza o inattendibilità del primo268. In questo quadro ruolo essenziale è svolto dal controllo incrociato con la contabilità del depositario, ad esempio269. È allora nell’adeguata modulazione dei mezzi sostanziali e processuali disponibili al cliente (ma il discorso è ugualmente valevole per il mandante) che può essere rintracciata una sua più adeguata tutela, anche in sede di conflitti con altri creditori. Tale tutela rappresenta, infatti, la prospettiva di policy adottata a favore del mandante/cliente da parte del legislatore ordinario e costituzionale (con specifico riguardo alla tutela del risparmio), di cui dev’essere consapevole l’operatore giuridico e che deve informare il libero apprezzamento del giudice270. Come si è visto, il principale problema operativo che si pone in queste fattispecie è rappresentato dalla verifica della c.d. confusione patrimoSulla individuazione/identificazione dei beni come presupposto per l’operatività della regola di separazione, cfr., altresì, M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., p.  ss. 268 A parte i rilievi che si porranno in luce infra circa la prova nell’opposizione di terzo all’esecuzione e nelle procedure concorsuali, la giurisprudenza ha chiara questa possibilità. Cfr., in tema di interessi ultra-legali a carico del correntista, Cass.,  novembre , n. , in CED Cassazione,  e Pluris, secondo cui «la banca non può dimostrare l’entità del proprio credito, mediante la produzione, ai sensi dell’art.  c.c., dell’estratto notarile delle sue scritture contabili dalle quali risulti il mero saldo del conto, ma ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto. Né la banca può sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito» (c.vo nostro). Conformi a tale massima, successivamente anche Cass.,  gennaio , n.  e Cass.,  maggio , n. , entrambe in Pluris. Ovviamente, il problema che viene posto nel testo non coincide con la capacità della scrittura contabile dell’intermediario (anche certificata, ex art.  T.U.B.) a costituire prova ove contestata (dal correntista, sulla non idoneità cfr. Cass,  maggio , n. , in CED Cassazione, ), ma sulla verifica, attraverso i controlli anche incrociati circa la possibilità di ricostruire le posizioni dei singoli clienti. 269 Cfr. Cass.  ottobre , n.  cit. e cfr. supra nt. . 270 Cfr. supra nt. . 267 Gestioni di denaro e strumenti di tutela niale, ovvero utilizzando la terminologia comune per la legislazione speciale, la mancata “separazione verticale”271, cui si ricollega il venir meno della possibilità di far valere una pretesa restitutoria, con prevalenza rispetto a creditori pignoranti ovvero al ceto creditorio nel suo complesso. La confusione patrimoniale, come già in parte accennato in precedenza, integra un fatto giuridico, originariamente riferito, come commixtio nummorum, ad un’idea proprietaria, poi transitato nel diritto moderno verso una più consapevole collocazione anche nel settore della responsabilità patrimoniale, della quale al pari rappresenta il presupposto fattuale272. Essa tuttavia non manca di essere, spesso anche inconsapevolmente, inteso come principio giuridico273. Si è più volte parlato del fatto che tale Di confusione patrimoniale si è parlato più volte. Basti qui ricordare che, nell’ambito del diritto civile, tradizionalmente si parla di confusione patrimoniale come di fatto giuridico distinto dalla commistione prevista ex art.  c.c., la quale – utilizzando una terminologia da noi frequentemente utilizzata – riguarda masse distinte e in ogni caso non coincidenti con il patrimonio di un soggetto di diritto (il fatto della commistione, anche solo idealmente, corrisponderebbe, nella disciplina speciale della intermediazione finanziaria, alla c.d. separazione orizzontale). È evidente, infine, come l’adozione di un criterio (materiale o soltanto contabile) per definire entrambe le forme di separazione (verticale ed orizzontale) non può che essere il medesimo. 272 La qualificazione della identificazione (separazione in senso materiale o reale) come presupposto di operatività del regime della separazione patrimoniale rappresenta, a nostro parere, il dato che collega (ma che è anche origine delle confusioni tra) le interpretazioni dei patrimoni separati in termini di proprietà, ovvero di disciplina autonoma, poiché in entrambi i casi, salva la necessità di interpretarne estensivamente i criteri, vi è necessità di un criterio funzionale al collegamento tra titolo e soggetto. Al collegamento tra titolo e soggetto allude INZITARI, Effetti della liquidazione coatta amministrativa sui rapporto in corso cit., p. . L’idea della identificazione come presupposto di operatività è idonea a comprendere anche la versione più astratta, cioè quella contabile, che viene utilizzata sia dalle tesi che parlano di disindividualizzazione (cioè di non necessità di una individuazione in termini proprietari, ma che non significa “disidentificazione”), sia da quelle teoria che recepiscono la nozione di individuazione (a fini proprietari) in una versione necessariamente astratta dalla corporalità e riferita alla iscrizione in conto, a causa dell’avvenuta dematerializzazione/smaterializzazione dell’oggetto della gestione. L’idea che in questa seconda accezione si operi una finzione giuridica (ritenendo corporali beni che non lo sono, su cui supra nt. ) – da scongiurare in quanto tale – può essere invece “de-stigmatizzata” alla luce di una visione che valorizzi l’equivalenza funzionale tra entità che servono la medesima funzione. 273 L’idea della confusione patrimoniale come principio giuridico è implicita nelle pronunce giurisprudenziali che parlano di inammissibilità della pretesa rivendicatoria sul denaro, in sede fallimentare. Si tratta, come noto, della visione tradizionale in dottrina e giurisprudenza (cfr. giurisprudenza già citata supra nt.  e , nonché CASTAGNOLA, Le rivendiche mobi271     principio possa astrattamente rispondere ad una logica di economia del mezzo giuridico, in questo senso, ratificando situazioni normalmente occorrenti nella pratica. In realtà, mancando indicazioni di diritto positivo in tal senso, non può inferirsi se non che la confusione patrimoniale coincida con una semplice evenienza di fatto, probabile statisticamente, avente una specifica rilevanza giuridica. Anche le più avanzate tesi che propongono il superamento del requisito della certezza del bene (res certae) per le pretese restitutorie fatte valere nell’esecuzione274, e che confinano la soluzione dei conflitti non nella circolazione reale dei beni, bensì quasi esclusivamente nel dato contabile dell’intermediario275, non ci sembra riescano a superare lo scoglio rappresentato dalla confusione patrimoniale come fatto (anche se appartenente ad una specifica dimensione contabile), peraltro normativamente prevista nel settore dell’intermediazione finanziaria276. liari nel fallimento cit., p. , nt. ) che porta in definitiva ad escludere che possano esservi condizioni per una identificazione del denaro che giustifichino l’accoglimento di una pretesa restitutoria (in sede di opposizione di terzo all’esecuzione, restituzione fallimentare, ma anche restituzione di cosa determinata). Si è, invece, condivisibilmente sostenuto che (anche con riferimento alla rivendica fallimentare in senso stretto) «non la si può escludere in maniera apodittica, fino a parlare di sua inammissibilità: il più delle volte, in circostanze normali, la confusione del denaro nel patrimonio si produce, e la rivendica sarà dunque infondata. Ma se, in casi particolari, la confusione è stata impedita, o non si è comunque verificata, non si vede il motivo, per il quale denaro o beni fungibili che non appartengono al patrimonio fallimentare non possano essere rivendicati dall’avente diritto, solo in ragione di una natura che in altre circostanze avrebbero prodotto la confusione». Il periodo citato è in CASTAGNOLA, Le rivendiche mobiliari nel fallimento cit., p.  s. Si tratta, peraltro, di una posizione che la dottrina fallimentarista aveva già espresso. Cfr. SATTA, Diritto fallimentare cit., p. . 274 SALAMONE, Gestione e separazione cit., p. , secondo il quale «giuspoliticamente pare incongruo lasciare sprovvisto di una tutela il creditore di restituzione di quantità in un ordinamento nel quale è riconosciuta, al vertice, la parità di trattamento sostanziale (art.  Cost.) oltreché meramente formale». 275 Cfr. supra para. che precede. 276 Cfr. SALAMONE, Gestione e separazione cit., pp.  s.,  ss.,  ss. Con riguardo all’esperibilità dell’opposizione di terzo alla esecuzione per la tutela di prerogative aventi per oggetto denaro, si finisce con il richiamare il ricorso ad una “segregazione reale” ovvero alla costituzione di un conto corrente dedicato alla gestione, sulla scorta dell’esperienza tedesca e di quella anglo-americana del trust. In tal modo, la documentazione contabile bancaria, in relazione al conto separato, funge da prova della spettanza delle somme al terzo opponente, e non al debitore esecutato. Nel caso di “rivendica fallimentare”, l’a. pur ammettendola per accertare l’estraneità di un bene alla massa fallimentare, con riguardo ad una «quantità di beni fungibili Gestioni di denaro e strumenti di tutela Questo significa altresì che una effettiva “disindividualizzazione” del fungibile (anche oltre i confini proprietari) ovvero l’irrilevanza di una identificazione specifica del bene (anche se sulla base ad un criterio meramente contabile), ed invece l’ammissione di un criterio meramente proporzionale, venga ammessa, pienamente nel nostro ordinamento, solo all’interno di un compendio di beni, ovvero di un patrimonio separato limitato, non anche se l’ambito è invece quello del patrimonio generale di un soggetto (nel nostro caso il gestore). Per le ipotesi di patrimonio separato limitato, allora, può correttamente intendersi come la confusione dei beni (che è cosa diversa dalla confusione c.d. patrimoniale e a differenza di questa) non rappresenti un ostacolo alla operatività del regime della separazione277. La ragione dell’esclusione della “disindividualizzazione” (e “disidentificazione”) come riferita al patrimonio generale sembra risiedere proprio nella tutela del credito e della par condicio creditorum, ove una prevalenza indiscriminata, ovvero per quantità, del credito restitutorio, sorpasserebbe non tanto la interpretazione corrente di dottrina e giurisprudenza, ma il dato legislativo, nonché la normale concezione dei diritti sui beni278. non individuati, ma descritta secondo una unità di misura omogenea, e frazionaria di una massa indivisa» (c.vo nostro) (p. ), che in astratto potrebbe coincidere anche con il conto personale del gestore, poi finisce con il richiamare la giurisprudenza tedesca, che se non riferibile a conti separati e dedicati, non ammette la rivendica fallimentare genericamente su una massa pro diviso (p. ). Infine, con specifico riguardo al mandato, il richiamo ancora alla prassi tedesca, con i necessari adattamenti derivanti dall’applicazione dell’art.  c.c. (per cui – sembra – non sarebbe necessario un conto separato presso una banca, ma semplicemente una contabilità separata che l’a. riconduce al disposto dell’art.  c.c.) omette di considerare in verità che nel primo caso, la contabilità può assumere una specifica rilevanza in quanto tenuta da un soggetto terzo diverso dal gestore e non, generalmente, in potenziale conflitto d’interesse con il gerito (semmai connivente con questi). 277 M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., p.  ss., la quale circoscrive l’identificazione (materiale) dei beni come presupposto per l’operatività della regola di separazione solo nella separazione verticale, non in quella orizzontale. 278 Se così fosse ci scopriremmo a consentire al gerito, una volta accertato l’ammontare del diritto spettantegli, cioè l’ammontare del credito pecuniario, a opporre il proprio diritto alla generalità dei creditori solo in virtù del titolo del credito restitutorio, ma questo verrebbe poi a scontrarsi con il dettato normativo di cui agli artt.  ss. c.p.c.,  l. fall., , co.  e , T.U.B. In particolare, se si pensa all’opposizione di terzo in sede di esecuzione individuale o collettiva, la ratio di tali azioni si basa sull’accertamento dell’estraneità di un bene all’esecuzione/massa fallimentare. Ora l’idea che possa esistere una quantità astratta, sganciata cioè da un’esistente reale (anche se non corporale) introduce un elemento distonico nella comune configurazione dei diritti sui beni, anche nel caso in cui si tratti di credito di restituzione. Seb-     Vedremo, poi, nel capitolo che segue, come anche in sistemi che per comune intendimento hanno intrapreso «la giusta linea di sviluppo flessibile, attenta ai bisogni sociali del capitalismo»279, adottino criteri, anche molto spesso farraginosi, di sequela del bene, o dei suoi sostituti, che non riescono comunque a superare la c.d. confusione patrimoniale, secondo l’opinione prevalente (che osteggia il c.d. liberal tracing o swallen assets theory pur accolto da certa giurisprudenza)280. In altri termini, non sembra possibile, in assenza di ulteriori criteri, che terzi oppongano l’appartenenza di una determinata somma di denaro rifacendosi, ad esempio, al conto personale del debitore/gestore281. Ciò vale tanto per le fattispecie di diritto comune, quanto di diritto speciale, sebbene sia da riconoscere in entrambi i casi un possibile livello intermedio: quello del filtro del patrimonio complessivo della pluralità di clienti, o della pluralità di mandanti. In questo caso, ove la confusione sia stata limitata ai patrimoni dei vari geriti, s’interpone un patrimonio separato o massa282 sulla quale non possono soddisfarsi i creditori del gestore283. bene una visione meramente incentrata sul dato quantitativo, a ben vedere, rappresenti la logica alternativa rispetto ad una sin troppo cieca visione della circolazione dei diritti sul denaro, essa sembra invero spingersi oltre rispetto al sistema dei diritti. Analoghe considerazioni, come si vedrà, vengono avanzate anche nei sistemi anglo-americani. Infine, si badi bene che il problema che qui si pone non è quello degli effetti della separazione, se bilaterale o unilaterale, protettiva del solo patrimonio separato rispetto ai creditori generali ma non preclusiva della possibilità per i creditori separatisti di rivalersi anche su altri beni del patrimonio generale, bensì quello della impossibilità o difficoltà nel ricostruire il patrimonio separato. 279 SALAMONE, Gestione e separazione cit., p. , tuttavia criticando una certa sudditanza culturale, spesso ingiustificata, presente in certa scuola comparatista italiana. 280 Cfr. infra cap. IV. 281 Diversa è l’ipotesi della possibilità di opporre la separazione della quota “in natura” (ex art.  c.p.c.), che pure viene ammesso da attenta dottrina in caso di conto cointestato. Va da sé che, in questo caso, la cointestazione fughi ogni dubbio in ordine alla conoscibilità e quindi opponibilità rispetto ai terzi. 282 Il termine massa – oltre ad evocare la terminologia relativa all’attivo fallimentare – sottintende quell’interpretazione che, muovendo dallo schema del deposito, ricostruisce il diritto sui patrimoni dei clienti in termini di comproprietà (per quantità), alla stregua del deposito alla rinfusa, ovvero ai sensi dell’art. , co. , c.c.. In tali casi, in base alle norme di diritto comune, risulterebbero applicabili ai fini della separazione, ovvero divisione in natura, gli artt.  c.c. e, in sede di esecuzione,  c.p.c. 283 Il trattamento normativo in queste ipotesi evidenzia come l’inevitabile discordanza tra dato reale e contabile non sia considerato fonte di rischi per il ceto creditorio. Rientra, infatti, nel normale svolgimento dell’intermediazione, anche nei servizi finanziari, la possibilità Gestioni di denaro e strumenti di tutela La questione che emerge rimane quindi quella di chiarire a quali condizioni il denaro possa dirsi appartenente al patrimonio separato o comunque non riconducibile a quello generale. Ma ciò significa, a ben vedere, definire quando il denaro può essere cosa determinata284, ove vi siano gli estremi per identificarlo285. Diversamente argomentando, come pure – tuttavia – sembra fare la giurisprudenza quando ad esempio rigetta l’azione ex  l. fall. dichiarandola inammissibile – ci troveremmo ad accogliere una nozione di confusione coincidente con quella di principio giuridico286. Ai fini della prova, va logicamente tenuto distinto il problema della confusione patrimoniale del denaro, da quello dell’inseguire, cioè rintracciare i flussi finanziari (che è il problema della c.d. “tracciabilità”287). di ordini cumulativi riferibili ad una pluralità di investitori, dovendo, invece, essere la contabilità dei relativi conti necessariamente separata. Questa eventualità è insita non solo nella previsione di cui all’art. , co. , T.U.F. «Salvo consenso scritto dei clienti, l’impresa di investimento, la Sgr, la società di gestione armonizzata, l’intermediario finanziario iscritto nell’elenco previsto dall’articolo  del T.U. bancario e la banca non possono utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, gli strumenti finanziari di pertinenza dei clienti, da essi detenuti a qualsiasi titolo»; nonché art. , co. , Nuovo Reg. Intermediari n. /, sulla possibilità di “conti omnibus” in cui denaro e strumenti finanziari possono essere detenuti presso un terzo diverso dall’intermediario. Queste previsioni si giustificano con lo sviluppo dei mercati finanziari che non può richiedere in via imperativa che vi sia il rapporto una operazione – un trasferimento, né che nella quotidiana rapida movimentazione di masse anche ingenti di strumenti finanziari sia costantemente speso il nome dei singoli clienti. Sul punto INZITARI, Effetti della liquidazione coatta amministrativa cit., p.  ss. Sui risvolti sulla opponibilità presso i terzi, cfr. infra nel testo. 284 Già negli anni Sessanta JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit., p.  s. rilevava come incoerente, da un lato ritenere ammissibile una rivendica fallimentare su «un assegno bancario […] alla persona successivamente fallita» e non consentire «il rimborso di una somma di denaro, consegnata al fallito allo stesso scopo». Cfr. supra nt. . 285 In diverso contesto, C.M. BIANCA, Diritto civile, , La responsabilità, Milano, , p. , nt. , a proposito dell’eventus damni quale presupposto per l’esercizio dell’azione revocatoria, ritiene che non necessariamente il fatto che l’atto dispositivo abbia realizzato un corrispettivo sia da considerarsi pregiudizievole per il creditore. Infatti, fintanto che il debitore può dimostrare che il bene acquisito – si fa espresso rinvio al denaro – sia identificabile nel suo patrimonio, l’estremo del pregiudizio è insussistente. 286 Cfr. supra nt. . 287 È di tutta evidenza come l’espressione “tracciabilità”, riferita ai flussi finanziari, alluda a quel procedimento di monitoraggio degli spostamenti di denaro tra soggetti diversi, che è obiettivo di molta della legislazione amministrativa e penale volta a contrastare il riciclaggio di denaro. Cfr. da ultimo, sui limiti alla circolazione del denaro contante, d. l.  dicembre , n. , che ha nuovamente abbassato il limite alla circolazione del denaro per singola opera-     Quella che indichiamo come tracciabilità è l’individuazione del percorso della circolazione, cioè i soggetti, o meglio i conti correnti bancari, coinvolti nel trasferimento di una somma, e può acquistare rilievo in relazione all’agire gestorio, al fine di verificare l’ascrivibilità del denaro utilizzato al patrimonio della gestione. Nel caso del denaro essa è agevolata con la moneta bancaria o comunque scritturale/virtuale288. La confusione, c.d. patrimoniale, riguarda, invece, il possibile esito finale di un trasferimento di denaro, significando che, ove non siano predisposti meccanismi valevoli a garantire la separazione ovvero non sia possibile in alcun modo procedere alla identificazione, il denaro confluisce nei beni del gestore (ad es. su un conto corrente a lui intestato) e viene da questi utizione alla somma di €, confermando, per l’inosservanza, una sanzione amministrativa pecuniaria; l.  agosto , n.  e modificazioni, sulla tracciabilità delle commesse pubbliche. Come dimostra la legislazione appena richiamata, i c.d. obblighi di tracciabilità, volti a consentire il controllo di flussi eventualmente provenienti dalla criminalità, si sostanziano nell’utilizzo di conti correnti bancari dedicati (anche in via non esclusiva, come nel caso della tracciabilità negli appalti pubblici ex art.  l.  agosto , n.  e successive modifiche e relative determinazioni Avcp), nonché l’uso esclusivo di trasferimenti monetari via bonifico bancario o forma equivalente. La disciplina adottata in questa sede, ancorché avente finalità di repressiva in sede penale, – se si vuole – conferma la già intuitiva considerazione che la circolazione monetaria c.d. scritturale, o in ogni caso tramite intermediario, garantisca una maggiore trasparenza dei flussi medesimi, e per quanto qui d’interesse può garantire l’identificazione della provenienza delle somme. Va altresì detto che quando utilizziamo il termine “tracciabilità”, ci riferiamo ad un fatto e non ad un istituto giuridico come è invece l’istituto del tracing per gli ordinamenti di common law che si sostanzia in un complesso di presunzioni e regole volte a definire la spettanza delle somme oggetto di trasferimenti(come si vedrà infra cap. IV.. e IV., nonché supra ntt.  e ). 288 La ricostruzione dei flussi finanziari può essere fatta sulla base di informative della Guardia di Finanza, ovvero di perizie tecnico-contabili, ovvero di presunzioni. Si prenda a mo’ d’esempio la fattispecie in Cass.,  ottobre , n. , in Dir. fall., , p.  ss. (in tema di valutazione della gratuità del pagamento eseguito al terzo fallito – promotore finanziario, ai fini della revocatoria fallimentare): al fine di valutare la natura o meno di pagamento (revocabile) da parte del promotore ad alcuni clienti se ne analizza l’appartenenza (allo stesso, ovvero ai clienti medesimi, in base al riscontro se costoro avessero fornito in precedenza una provvista per operazioni eseguite dal promotore). A questo proposito, possono entrare in gioco una serie di valutazioni relative alla sostanziale appartenenza delle somme, in base alla intestazione, cointestazione, intestazione fittizia del conto corrente bancario. Mentre è ovviamente considerato pacifico che l’emissione di assegno da conto corrente intestato ad un soggetto comporti un pagamento di suo denaro, la provenienza delle somme sul conto può essere dimostrata in vario modo (prove documentali, per testi, c.t.u, ordini di esibizione alle banche). Gestioni di denaro e strumenti di tutela lizzato senza che poi risulti possibile rintracciare per l’originario tradens le somme di propria spettanza. La combinazione di questa duplice indagine rappresenta l’unico possibile significato di un procedimento di identificazione/separazione relativo al denaro, per il quale non sussiste alcun profilo qualitativo289 e in relazione al quale la rilevanza esclusiva del dato quantitavo/numerico accentua il rischio confusorio290. L’idea della necessità di una identificazione reale del denaro come presupposto per gli effetti giuridici della separazione è, invero, sottesa alle diffuse proposte di prevedere conti correnti bancari dedicati per lo svolgimento di attività gestorie o destinate291, la cui previsione è peraltro mutuata da esperienze ordinamentali straniere, nelle quali spesso non è richiesta la menzione di conto corrente fiduciario o per conto altrui nei rapporti con i terzi292. 289 Cfr. l’allusione al “bene senza qualità”, supra cap. II. , che rappresenta, per altro verso, la ragione per la quale nel caso dell’obbligazione pecuniaria (quand’anche voglia essere assimilata all’obbligazione generica) un’individuazione stricto sensu – cioè prima della consegna – non possa esservi. Cfr. supra cap. II. , nt.  e testo corrispondente. Questa essenziale rilevanza del profilo quantitativo o numerico – come detto – rappresenta l’unico dato differenziale rispetto agli altri beni fungibili, in cui vi è almeno un’altra caratteristica qualitativa comune, in aggiunta al dato numerico, che rende, al suo interno, omogenea la classe e che non manca di possibili sotto-classificazioni (si veda ad es. nell’ambito degli strumenti finanziari le varie tipologie, nonché l’emittente, etc., che come abbiamo visto rilevano ai fini della determinazione del diritto). In punto di trasferimenti di denaro, la caratterizzazione in senso meramente quantitativo ha una precisa valenza poiché accentua il rischio confusorio. Ove non sussistesse alcun onere di identificazione e rilevasse, invece, solo il titolo della pretesa, ciò significherebbe di contro la possibilità di far valere una pretesa restitutoria opponibile su qualsiasi bene del patrimonio (ci sembra tra l’altro questa una possibile versione della teoria proposta dal Salamone, supra para. che precede). Ma anche secondo questa accezione, come si rileva anche dalla normativa sull’intermediazione finanziaria, si rende necessario quanto meno la separazione dal patrimonio personale dell’intermediario, a garanzia dei creditori personali dell’intermediario/gestore. 290 Le problematiche che si sono ora introdotte della confusione o identificazione unitamente alla tracciabilità del denaro rappresentano dei fatti giuridici che s’interpongono nell’applicabilità delle norme previste dall’ordinamento che assicurano la possibilità di azionare una pretesa di tipo recuperatorio, sia essa un’azione restitutoria, perché relativa a cose “determinate” ( c.c.), ovvero si tratti di una pretesa restitutoria intesa a prevalere rispetto ad altri creditori (come nel caso del  c.c.) 291 Ad esempio, in tema di trust, cfr. supra ntt.  e ; ovvero, in tema di fiducia, JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit., p. ; M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., p. . 292 Sul sistema anglo-americano, cfr. infra cap. IV, nt.  e testo corrispondente. Per il diritto tedesco, il rinvio all’Anderkonto (il conto professionale) e/o al Treuhandkonto (il conto fiduciario) è in JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit., p. ; SALAMONE,     La prassi negoziale domestica dovrebbe cioè prevedere un conto corrente bancario intestato al mandatario/trustee/fiduciario e adibito alle movimentazioni relative all’attività d’intermediazione svolta, al fine di garantire l’effettività della separazione patrimoniale prevista in sede di disciplina sul mandato293. La disciplina legislativa di diritto speciale in tema di separazione patrimoniale relativa a denaro (analogamente alla previsione dell’ art. , co. , T.U.B.) conferma una tale visione294. Si tratta di un presupposto che non si collega alla conoscenza della destinazione dei fondi da parte dei terzi che contrattano con l’intermediario, la quale non va necessariamente esplicitata (sarebbe, peraltro, contrario all’assetto negoziale in caso di mandato senza rappresentanza)295, ma che – come conferma il dettato legislativo – ci sembra si ponga come requisito ultimo di sicura conoscenza da parte della banca depositaria, e in ogni caso volto ad arginare il rischio della confusione materiale296. Gestione e separazione cit., p.  ss., il quale sottolinea come nella giurisprudenza tedesca non venga ritenuto requisito necessario ai fini della opponibilità la pubblicità, fuori del rapporto tra le parti, della qualità di conto nell’interesse di terzi né nell’Anderkonto né nel Treuhandkonto; M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., p.  s. 293 Precisa JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento cit., p.  come l’eventuale compensazione (ex art.  c.c.) tra i saldi di più rapporti o conti tra banca ed intestatario (quando uno di essi sia destinato) può essere esclusa per via pattizia, e che in ogni caso la identificazione dal punto di vista economico realizzabile attraverso il conto separato sia tranquillante nonostante possibili inconvenienti ed iniquità derivanti da possibili manovre fraudolente a danno dei creditori da parte dei clienti. A determinare la esclusione della compensazione, parte della dottrina, anche se in via dubitativa, ha ritenuto che potrebbe essere idonea la mera indicazione del nome del terzo interessato alla banca. 294 D. lgs. / (codice delle assicurazioni private), art. : «i premi pagati all’intermediario e le somme destinate ai risarcimenti o ai pagamenti dovuti dalle imprese di assicurazione, se regolati per il tramite dell’intermediario, sono versati in un conto separato, del quale può essere titolare anche l’intermediario in tale qualità e che costituiscono un patrimonio autonomo rispetto a quello dell’intermediario medesimo. Sul conto separato non sono ammesse azioni, sequestri o pignoramenti da parte di creditori diversi dagli assicurati e dalle imprese di assicurazione. Sono ammesse le azioni da parte dei loro creditori ma nei limiti della somma rispettivamente spettante al singolo assicurato o alla singola impresa di assicurazione». Con riguardo, invece, alla disciplina sulla cartolarizzazione (l. /) la dottrina ha sottolineato come proprio la mancata previsione di conti separati presso istituti di credito riservati alle somme via via riscosse abbia reso poco efficace la costituzione del patrimonio separato. Si veda R. QUADRI, La destinazione patrimoniale cit., p. . 295 Cfr. supra nt.  e testo corrispondente. 296 La separazione dei conti rappresenta allora uno strumento per la identificabilità Gestioni di denaro e strumenti di tutela Se tale è l’indicazione che ci proviene dal diritto vigente, allora è soltanto nelle ipotesi in cui non sia stato affatto acceso un conto destinato alla clientela che può parlarsi di difetto di separazione patrimoniale, ai sensi dell’art. , co. , T.U.B297. Ovvero si tratterà di una situazione di totale, completa e grossolana omissione negli adempimenti scritturali che escluda la «riferibilità all’intermediario o alla clientela di tutte le disponibilità finanziarie e monetarie»298. delle somme (in eventuali conflitti tra mandante e mandatario, ad esempio) che è presupposto non per la conoscenza attuale da parte dei creditori del secondo, ma per l’opponibilità agli stessi di una eventuale e successiva sottrazione di fondi alla soddisfazione dei propri crediti. Il criterio di astratta conoscibilità da parte dei terzi fondato sulla data certa dell’atto di mandato verrebbe così a specificarsi su fondi specifici, ma la logica – conformemente al principio generale ex art.  c.c. – non è quella dell’effettiva conoscenza dal parte del terzo al momento del compimento del negozio gestorio. Peraltro, la conoscenza della destinazione dei fondi da parte dell’istituto bancario opera sul piano negoziale (nel senso, ad esempio, di evitare la compensazione ex art.  c.c.), garantisce uno dei principali creditori del mandatario (la banca, appunto) da eventuali frodi (conoscendo la reale consistenza del suo patrimonio), nonché, eventualmente, ulteriori creditori attenti ed interessati alla conoscenza della situazione finanziaria del mandatario (attraverso la richiesta di un’attestazione bancaria attestante la capacità economica e finanziaria). 297 Cfr. INZITARI, Effetti della liquidazione coatta amministrativa cit., p.  s., ove «Considerato che il sistema della separazione viene attuato […] in forma contabile, con l’annotazione scritturale delle disponibilità finanziarie di pertinenza di ciascun cliente nei registri […] elettronici, dell’intermediario, le cui risultanze debbono concordare con le scritturazioni presenti nel deposito bancario unico aperto dall’intermediario presso la banca per conto della clientela, il mancato rispetto della separazione può emergere […] solo nei casi di più grossolano comportamento dell’intermediario, che con una trascuratezza e negligenza, oggi quasi neanche concepibile ometta di aprire un conto bancario destinato al deposito degli strumenti finanziari della clientela, e, piuttosto, in dispregio ad ogni regola di comportamento abbia versato ogni liquidità e disponibilità finanziaria propria e della clientela indistintamente in un unico conto bancario, e contestualmente abbia omesso di costruire o tenere presso di sé una contabilità idonea a identificare le liquidità e le disponibilità finanziarie dei clienti». Analogamente D’ALESSANDRO, Dissesto di intermediario mobiliare e tutela dei clienti cit., p. , che esclude la separazione solo in caso di impossibilità materiale di distinguere i beni dei clienti da quelli dell’intermediario, non nel caso di mancata osservanza delle misure prescritte dalla legge e dai regolamenti. 298 INZITARI, ult. op. loc. cit. il quale prosegue che quindi che il venir meno della separazione patrimoniale si verifica quando «risulta impossibile valutare quali siano, quantitativamente e qualitativamente, le disponibilità finanziarie spettanti alla clientela», cioè quando non è per nulla determinabile il credito di restituzione dei clienti investitori, in quanto ogni qualvolta questo risulti determinabile, si deve anche ritenere che, almeno per le disponibilità finanziarie dei clienti, sia stata tenuta una contabilità idonea a determinare la riferibilità ai clienti di parte della disponibilità finanziaria.     Solo in queste ipotesi cioè può dirsi che manchi quella separazione (contabile-reale) tra patrimoni che rappresenta il requisito richiesto dalla complessiva regolamentazione (ordinaria e che si specifica e ben si coglie in quella regolamentare) e l’unico rispondente non solo alla lettera ma anche alla ratio legis. Di difetto di separazione non può parlarsi in altri casi, poiché l’insufficienza o la non corrispondenza della massa attiva (e delle sotto-masse) alle disponibilità riconosciute come spettanti alla clientela rappresenta un momento successivo rispetto all’accertamento del titolo. Inoltre, in un campo in cui la combinazione tra natura del bene e normali regole di recupero tendono a penalizzare il titolare di beni affidati a terzi e la cui gestione è necessariamente intermediata, compito dell’interprete che intenda seguire lo spirito della legge è quello di ricorrere ad un’interpretazione restrittiva di tutte le ipotesi che limitino il diritto dell’avente diritto alla restituzione fuori dal concorso299. È verisimile che, in tali casi, la prova venga raggiunta tendenzialmente attraverso la documentazione fornita. Ma vero è anche che il profilo probatorio in questi casi non risulta limitato alla contabilità dell’intermediario finanziario, ma è esteso a documentazione ulteriore attestante i versamenti eseguiti dal cliente (al fine dell’accertamento della somma spettante e delle irregolarità compiute), a perizie contabili (come di frequente avviene in sede di contenzioso), presunzioni semplici300. Peraltro, la ripartizione dell’onere probatorio in sede di giudizi di opposizione (all’esecuzione, allo stato passivo, ovvero di rivendica fallimentare), anche a seguito di conferme giunte da recenti riforme301, conferma un 299 In senso analogo D’ALESSANDRO, Dissesto di intermediario mobiliare e tutela dei clienti cit., p. . 300 Nelle ipotesi succitate di non corrispondenza per quantità (ad esempio, numero di azioni o disponibilità finanziarie) oppure per qualità (in caso rinvenimento di strumenti finanziari diversi rispetto a quelli iscritti nei conti), dei fondi alla contabilità, le quali mettono in evidenza un’avvenuta distrazione da parte dell’intermediario, la possibilità di recuperare l’equivalente monetario nel patrimonio dell’intermediario può derivare ad esempio nella tracciabilità di ordini di vendita estranei alla gestione caratteristica. Cfr. INZITARI, Effetti della liquidazione coatta amministrativa cit., p. . 301 D. lgs.  gennaio , n. , recante la riforma organica delle procedure concorsuali, ai sensi dell’art. , co. , della legge  maggio , n. . La riforma che mira ad abbreviare i tempi di accertamento del passivo. In particolare, l’art.  ha sostituito il testo dell’art.  l. fall. prevedendo che: «Ai procedimenti che hanno ad oggetto domande di restituzione e rivendica- Gestioni di denaro e strumenti di tutela sistema della prova che viene calibrato tenendo conto dell’attività professionale svolta dall’intermediario. Appaiono condivisibili in proposito i suggerimenti avanzati da tempo, già a proposito della lg. n. /, sulla possibilità di ricavare dalla norma della separazione patrimoniale una presunzione di appartenenza ai singoli clienti di tutti i beni depositati sui conti predisposti dalla S.I.M. facendo gravare sull’intermediario sottoposto a procedura concorsuale che avesse posto in essere atti di confusione l’onere di isolare il proprio patrimonio da quello dei clienti302. La rilevanza di tale presunzione semplice ha ricevuto conferma nella giurisprudenza, ad esempio, in sede di giudizi di opposizione allo stato passivo (art.  l. fall.)303, mentre più in generale la prova per testimoni e presunzioni semplici (ex art. , co. , c.c.) costituisce regola comune per i giudizi volti a far dichiarare la esclusione di «beni mobili» dall’esecuzione o in ogni caso dal soddisfo della massa concorsuale (opposizione di terzo all’esecuzione, rivendica fallimentare)304. zione, si applica il regime probatorio previsto nell’articolo  del codice di procedura civile. Se il bene non è stato acquisito all’attivo della procedura, il titolare del diritto, anche nel corso dell’udienza di cui all’art. , può modificare l’originaria domanda e chiedere l’ammissione al passivo del controvalore del bene alla data di apertura del concorso. Se il curatore perde il possesso della cosa dopo averla acquisita, il titolare del diritto può chiedere che il controvalore del bene sia corrisposto in prededuzione». 302 C. E. MAYR, Fallimento della S.I.M. e restituzione dei patrimoni di proprietà dei clienti, cit., p.  ss. e ID., La disciplina della crisi della S.I.M., in Dir. banca merc. fin., , p.  ss. L’idea è condivisibile sulla base del principio della separazione patrimoniale come elemento fisionomico dell’agire dell’intermediario, che si pone quale ostacolo insuperabile a che possa verificarsi l’acquisto degli strumenti finanziari o della liquidità da parte dell’intermediario stesso. Ne consegue che, anche quando l’intermediario non agisce in nome e per conto dell’investitore, in ogni caso gli strumenti finanziari e le liquidità sui quali si svolge la sua attività di intermediazione per i clienti, mai potrebbero entrare nel suo patrimonio, bensì sarebbero comunque attribuite al patrimonio separato di pertinenza dei clienti. 303 Cfr. Trib. Firenze  novembre  cit., p.  ss. l’opponente deve dare solo prova dell’avvenuto versamento (bonifico bancario, assegno) sul conto dell’intermediario, mentre al curatore spetta di dare prova contraria dell’asserita distrazione al fine di escludere il credito vantato dal cliente dall’ammissione alla sezione separata dello stato passivo. 304 L’estensione ai giudizi di rivendica fallimentare del regime probatorio previsto dall’art.  c.p.c., pur non comportando una presunzione di alienità quanto alla proprietà dei beni inventariati presso l’intermediario, gravando così sulla procedura di provare il contrario, dota gli investitori di maggiori strumenti probatori (prova per testimoni e presunzioni semplici). Alle fattispecie dell’intermediazione finanziaria si applica certamente l’eccezione al regime di     Ciò comporta la possibilità di far valere il proprio diritto, anche sulla base di atto avente data certa provata per fatti equipollenti a quelli di cui all’art.  c.c.305, a rivalersi sempre sulla somma inizialmente conferita al gestore, anche quando i risultati finali o intermedi, portati alla conoscenza del cliente si rivelino totalmente non veritieri306. opponibilità degli atti (che esclude che il terzo opponente possa provare per testimoni l’appartenenza sui beni pignorati nella casa o nell’azienda del debitore) quando l’esistenza del diritto sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore (sulle situazioni che consentono la prova testimoniale, cfr. AA. VV., sub art. , in Codice di procedura civile, a cura di N. Picardi, II, Milano, , p.  ss.). Il richiamo all’art.  c.p.c. operato dall’art.  l. fall. ha accolto l’orientamento già prevalente in dottrina e giurisprudenza che attribuisce alla dichiarazione di fallimento l’efficacia di un pignoramento generale dei beni del fallito. Sul punto già Cass.  dicembre , n. , in Giust. civ., , I, p.  ss. e Cass.  giugno , n.  in Dir. fall., , II, p.  ss. Pertanto, sia nei giudizi di opposizione quanto nelle rivendiche fallimentari, spetta al terzo opponente/attore in restituzione superare la presunzione iuris tantum di appartenenza al debitore dei beni pignorati/inventariati, attraverso la prova della proprietà o di altro titolo prevalente a lui spettante. Sull’onere della c.d. doppia prova (della titolarità sul bene, anche se non in base ai criteri della probatio diabolica, e del titolo di affidamento al debitore) nei giudizi ex art.  l. fall. – proprio delle opposizioni di terzo nell’opposizione all’esecuzione – cfr. AA. VV., La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a cura di M. Ferro cit., p.  s. 305 L’applicazione del regime derogatorio di cui all’art.  c.p.c., che consente il ricorso alla c.d. doppia prova orale (cfr. nt. precedente), comporterebbe, entro i limiti ben più ristretti dettati dalla disciplina dell’opposizione, l’applicazione di quello che è il regime generale in tema di scrittura privata non autenticata (art.  c.c.), che consente l’accesso alla prova testimoniale per fatti equipollenti a quelli previsti dall’art.  c.c.. Cfr. AA. VV., ult. op. loc. cit. 306 Trib. Napoli,  novembre , in Fallimento, , p.  ss.: «L’ammissione al passivo del saldo debitore del conto corrente bancario presuppone la prova di data certa del titolo contrattuale e di tutte le movimentazioni che lo hanno generato, documentabili attraverso tutti gli estratti conto ovvero attraverso la documentazione delle singole operazioni che lo hanno riguardato dall’inizio alla fine, essendo le singole registrazioni parti imprescindibili della cifra finale, tenuto conto della logica del rapporto di conto corrente e delle continue compensazione delle voci in dare e avere» (nella specie il credito è stato escluso avendo la banca prodotto soltanto un estratto conto parziale ed alcuni tabulati privi di data certa, sigla e sottoscrizione, da cui non era possibile stabilire di volta in volta la sorte capitale e la base di calcolo degli interessi applicati al correntista). Per la differente soluzione proposta dalla dottrina cfr. supra nt. . Può essere utile sottolineare come sia astrattamente configurabile anche l’ipotesi in cui la procedura, sulla base della ricostruzione delle operazioni effettivamente poste in essere dall’intermediario, accerti un credito del cliente di ammontare inferiore rispetto all’iniziale versamento. Va da sé che, in questi casi, ove ve ne siano gli estremi (che in caso di gestione irregolare è un’evenienza frequente), il cliente possa in sede di opposizione allo stato passivo disconoscere gli atti successivi posti in essere dall’intermediario in quanto eccedenti l’incarico Gestioni di denaro e strumenti di tutela Ciò ovviamente non esclude, in presenza di prova (ad esempio, estratti conto) relativa a successive movimentazioni, la possibilità di chiedere la maggior somma documentabile, salvo poi l’effettivo riconoscimento derivante dall’accertamento tecnico-contabile. È indubbio, infatti, che una volta provata l’appartenenza al cliente della somma iniziale, le sue successive variazioni siano computabili nel patrimonio separato anche a seguito di confusione (purché relativa a massa distinta)307. Per il sistema di diritto comune, può dirsi che la costituzione di un conto corrente destinato rappresenti la migliore valutazione di opportunità per garantire il mandante, e rintracciare le somme utilizzate. Tuttavia, anche ove ciò non sia stato compiuto, non è affatto da escludere che sia possibile operare un tracciamento del denaro-cosa determinata, individuando i conti di provenienza e destinazione, ovvero i successivi acquisti dei beni effettuati con la somma inizialmente conferita al mandatario. In questo caso, l’operare del principio della surrogazione, anche in presenza di un atto formalmente eccedente l’incarico ma ratificato dal mandante, comporta la possibilità di recuperare il bene al patrimonio separato. Ove ciò non sia possibile, tuttavia, resterebbe possibile al mandante, in presenza di atti astrattamente ascrivibili alla funzione, o anche solo ratificabili, inferire che le somme utilizzate siano state anticipate dal mandatario (presunzione di anticipazione), in tal modo residuando allo stesso un debito di rimborso per quanto inizialmente speso (art.  c.c.)308. Va, infine, rammentato che la prospettiva “recuperatoria” da noi adottata ha una duplice portata: comprende le pretese restitutorie sia verso il gestore (possessore/detentore del bene) con prevalenza rispetto ai di lui creditori, sia verso terzi aventi causa; e, sotto il profilo oggettivo, riguarda, poiché relativa a denaro della gestione, sì le somme in sé, ma anche i risultati della gestione (i beni acquistati, ovvero ulteriori proventi o frutti)309. conferito e chiedere l’iscrizione nella sezione separata per un ammontare corrispondente alla somma iniziale. 307 Poco importa, in proposito, se vicende confusorie abbiano determinato la non identità della somma iniziale nel conto bancario, grazie all’operatività del principio della surrogazione. Per l’analogo trattamento in sede penale, cfr. supra cap. II, nt. . 308 Ovviamente, una tale prospettazione potrebbe risultare utile nell’ipotesi in cui il risultato dell’investimento superi in valore il prezzo d’acquisto. 309 In questo senso, il termine “recupero”, pur nella sua a-tecnicità, intende alludere ad     In ciascuno dei casi descritti, presupposto comune per poter dimostrare il diritto al recupero del bene è rappresentato dall’utilizzo di denaro della gestione, nell’acquisto del bene, ovvero quale corrispettivo dell’alienazione di un bene del patrimonio gestito. Si tratta di un requisito necessario per poter integrare il principio surrogatorio che opera nel patrimonio della gestione e per poter quindi ascrivere ad esso i suoi risultati (secondo i poteri consentiti dagli artt. , ,  c.c.), ma che sottostà altresì al meccanismo restitutorio operante in caso di atto extra-mandato (art. , co. , c.c.). Bisogna, quindi, astrattamente distinguere due momenti: . l’identificazione delle somme utilizzate e l’operazione compiuta (ad esempio, nell’art.  co. , parte prima, c.c., ove lo si applichi anche ai trasferimenti di denaro, in virtù del fatto che l’obbligo della restituzione si estende anche al bene scambiato o al valore); . in aggiunta, l’identificazione di tali somme, una volta transitate nel patrimonio terzo, ovvero nelle mani gestore310. Questo secondo caso si verifica quando la pretesa restitutoria a carattere reale abbia ad oggetto propriamente denaro e le ipotesi più frequenti riguardano il conflitto tra i gerito e i creditori del gestore311. Ovviamente queste operazioni si fanno più complesse nell’ambito dei mercati finanziari, in ragione dell’altro numero di transazioni e l’omogeneità di problematiche per la provvista e il risultato della gestione (beni fungibili), mentre le fattispecie di diritto comune sono astrattamente caratterizzate da un minor numero di operazioni gestorie e generalmente finalizzate all’acquisto di beni anche non fungibili312. Va comunque tenuto presente che, nel una pluralità di manifestazioni della pretesa restitutoria, che hanno in comune il fatto di rivolgersi o prevalere su soggetti terzi (nel secondo caso, i creditori) rispetto al rapporto obbligatorio. Questa rilevanza reale comporta, per schemi giuridici consolidati, che il bene restituendo vada in qualche modo identificato, anche se all’interno di una massa o patrimonio più ampio e non coincida con il mero equivalente. 310 Nel caso del trasferimento di denaro al gestore, tale identificazione significa possibilità di ascriverlo al patrimonio separato della gestione. 311 Come abbiamo visto, il recupero del denaro trasferito presso il terzo non suscita particolare interesse in sede pratica. Escludendo l’ipotesi di cui all’art. , co. , parte , c.c., tale pretesa viene a coincidere con un’azione di rivendica (come richiamata dall’art.  c.c.), avente per oggetto denaro. Cfr. supra nt. . 312 È in ogni caso evidente che il passaggio da fattispecie non gestorie – di affidamento conservativo (si pensi alla figura del deposito analizzata supra al cap. II. ..) – a quelle gestorie, complessivamente intese, già palesi il passaggio da problematiche legate a quantità fisse (in cui l’assenza di circolazione significa fondamentalmente l’impiego dello schema del patrimonio se- Gestioni di denaro e strumenti di tutela primo caso, l’esistenza di obblighi contabili rende altresì maggiormente probabile la possibilità di effettuare una ricostruzione dei flussi finanziari. Si tratta di operazioni che – come abbiamo visto – vanno verificate sul piano dell’effettività, cioè del loro reale verificarsi, anche se per effetto dell’evoluzione tecnologica, al dato fisico (del materiale possesso, della materiale consegna) si sostituisce il piano c.d. scritturale/elettronico. Il tentativo che si è fatto di valorizzare il dato documentale che attesti il valore quantitativo – numerico, unitamente al sistema di ripartizione dell’onere probatorio, rappresenta l’unico criterio possibile per la tracciabilità materiale e per desumere le effettive movimentazioni effettuate. Queste valutazioni si rendono serventi nell’ambito del quadro pluririmediale, che si è tracciato e che verrà meglio specificato nelle pagine che seguono313. parato, ovvero della possibilità di un diritto di proprietà su beni fungibili non posseduti, in termini di comproprietà sugli stessi in caso di una pluralità di depositanti) a quelle invece in cui questi schemi devono integrarsi con le modificazioni interne al patrimonio separato (o massa comune), e in cui, oltre a quello della confusione con il patrimonio del depositante, emergono rischi ulteriori derivanti dalla mancata tracciabilità dei beni coinvolti nella gestione. 313 Cfr. infra cap. V.  Capitolo quarto Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law . Le ragioni della comparazione. – . La gestione patrimoniale nel diritto anglo-americano: riesame di alcuni dati ermeneutici diffusi. – .. Segue. L’infedeltà del trustee: i rimedi reali a tutela del beneficiary e altre forme di privilegio. – . Gestione mediante trust: i trust monetari. – .. Segue. Costituzione e regolamento. – .. Segue. Circolazione. – . La tutela del beneficiary come modello rimediale per operazioni commerciali diverse dai trust monetari. – . Recupero del denaro (recovery of money) e fallimento (insolvency). – .. Segue. Le regole del tracing: la recente ricostruzione ad opera del Restatement (Third) of Restitution and Unjust Enrichment. – . Questioni attuali e profili critici di tutela dell’investitore. Il caso Madoff e i Ponzi schemes. . Le ragioni della comparazione L’utilizzo del denaro quale strumento di pagamento, la sua fungibilità (anche “esterna”, intesa come scambiabilità rispetto a qualsiasi altro bene), la necessità di favorirne le negoziazioni hanno storicamente reso, come confermato dalla tradizione dei diversi sistemi giuridici, non rilevante l’affermazione di un titolo di proprietà sullo stesso, rimanendo, invece, la sua circolazione giuridica affidata a logiche basate sul possesso o su vicende acquisitive “di default”, cioè indipendenti dalla volontà delle parti (cfr. cap. II). Allo stesso tempo, una economia che ha visto aumentare esponenzialmente il numero delle transazioni finanziarie, e in cui la mobilizzazione della ricchezza (finanziaria) passa per la gestione intermediata della stessa, richiama l’attenzione sulla necessità di strumenti idonei a bilanciare le esigenze di tutela dell’originario detentore, soprattutto quando il prodotto della propria decisione d’investimento o di gestione in capo a terzi sia destinata a concludersi in un risultato monetario1. 1 Una delle opere classiche (senza voler echeggiare l’eredità di Montesquieu o Savigny)    L’istanza di tutela che abbiamo preso in considerazione è quella rivolta nei confronti di un soggetto intermediario che gestisca il denaro affidatogli. Essa interessa la restituzione della somma affidata/investita, in pretese di regola aventi una rilevanza trilaterale (ove vi sia, cioè, un centro d’interessi ulteriore rispetto alla relazione tradens-accipiens, rappresentato dal ceto creditorio, ovvero in caso di plurime pretese concorrenti), in cui il denaro sia divenuto bene (relativamente) scarso e, quindi, non sia esperibile un rimedio risarcitorio (cap. III). Come vedremo, questo discorso mette in luce, più in generale, e come dimostra l’atteggiamento di alcuni ordinamenti (ad esempio, quello statunitense), come operino le pretese restitutorie, e non esclusivamente all’ipotesi della gestione intermediata. In ogni caso, nelle situazioni alle quali facciamo riferimento emerge un conflitto (rilevante anche rispetto ai terzi) su una somma, sia essa quella originaria o il frutto o il sostituto della stessa2. I sistemi giuridici tendono a regolare questo conflitto in maniera differente. Il diritto italiano, e più in generale, i sistemi di civil law, per tradizione, sembrano puntare l’ago della bilancia a favore dell’attuale detentore della sull’evoluzione del diritto come risposta ai cambiamenti sociali resta W. FRIEDMANN, Law in a Changing Society, a ed. London (Stevens & Sons), , e, per i tipi della Columbia University Press,  (a ed.), ove si analizzano i principali cambiamenti occorsi nel secolo scorso e le direttrici di cambiamento delle istituzioni giuridiche per effetto dei mutamenti sociali, dimostrandosi come, nelle relazioni commerciali, i differenti processi di law making non siano in grado di alterare la forte tendenza verso l’uniformità. Cfr., altresì, la recensione di R. POUND, Critique: W. Friedmann’s “Law in a Changing Society”, in  Minn. L. Rev., -, p. . L’idea “semplicistica” che i mutamenti del diritto seguano i cambiamenti sociali è stata, tuttavia, oggetto di critiche da parte della dottrina giuridica, sia nell’ambito del diritto comparato (all’errore nel trapianto, secondo A. WATSON, Law out of the Context, University of Georgia Press, ), sia dall’analisi economica del diritto, aprendosi a motivazioni basate sul prestigio di certe istituzioni giuridiche o della cultura giuridica, o/e all’idea dell’efficienza. Una efficace sintesi, che propende per la sinergia di questi due fattori, è in U. MATTEI, Efficiency in Legal Transplants: An Essay in Comparative Law and Economics, in  International Review of Law and Economics, , p. , spec. pp. -. Cfr., inoltre, l’opposta idea che è alla base della c.d. law and finance, su cui infra nt. . 2 Come si è già visto in precedenza, la primaria ipotesi di studio (recupero del danaro), implicando una inevitabile sostituzione della somma, nella forma materiale, e, più realisticamente, giuridica (trattandosi di crediti), inizialmente conferita, passa per il medio logico e diventa verifica dell’affermabilità di tale diritto sui sostituti del denaro, cioè dei beni con esso acquistati. Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law somma, senza riuscire a dare – apparentemente – rilievo al titolo di tale situazione di fatto. Nella famiglia di common law, la prospettiva cambia3. Qui si può far ricorso a rimedi e procedure, sviluppatisi con riguardo ai rapporti fiduciari (equity), ma che sono, quanto meno in linea di principio nei diversi sistemi di common law, applicabili ad ogni pretesa restitutoria (law of restitution)4. Essi guardano alla specific money e i suoi sostituti5, attraverso il meccanismo di funzionamento del c.d. constructive trust 6. 3 NUSSBAUM, Money in the law. National and International cit., p. . Come si è visto nel capitolo che precede, tale inadeguatezza sembra risiedere in due ostacoli principali: l’impossibilità di poter ipotizzare una pretesa sul denaro alternativa al possesso sullo stesso; l’inopponibilità a terzi dello stesso credito restitutorio su somma di denaro. In quest’ultimo caso, la ragione sembra risiedere nel fatto che l’ordinamento italiano, secondo l’interpretazione corrente, rifiuta la connotazione del denaro come bene o come cosa determinata (cfr. artt.  e  c.c.), finzione che invece, come vedremo, in assenza di diverso meccanismo, ha consentito agli ordinamenti di common law, anche attraverso l’utilizzo di presunzioni, di dare voce agli interessi di cui ci occupiamo. 4 Come si vedrà più avanti (infra paragrafo ), infatti, anche il “diritto fallimentare” attinge alla law of restitution, che a sua volta trova origine, nella sua versione più avanzata, in meccanismi della trust law. In questo senso, principalmente, è attualmente lo “stato dell’arte” del diritto americano, sebbene, come vedremo, vi sia un’uguale aspirazione all’uniformità nel diritto inglese (cfr. in letteratura, L. SMITH, The law of Tracing, Oxford (OUP), , pp.  e  ss.) 5 NUSSBAUM, Money in the Law. National and International cit., p.  ss. L’a. include sotto la tematica della specific money (p.  ss.) tutte le ipotesi in cui il denaro è tradizionalmente comparso come oggetto del diritto di proprietà (personal o mobile) nei sistemi giuridici di civil law e di common law. Vi rientrano, innanzitutto, gli acquisti sul denaro (via possesso vale titolo o confusione) – tema su cui il contenzioso già risultava esiguo nella prima metà del Novecento – e quindi la trattazione di quelle pretese in cui l’originario diritto di proprietà sul denaro si può trasferire su altri beni che siano al primo riconducibili come un ricavato dei primi, a seguito di sostituzioni. Tale ultimo settore appare, in questa prospettiva, omogeneo rispetto al primo poiché fa rinvio, in ogni caso, alla componente equitativa della law of property che va sotto il nome di constructive trust e lien (i quali, infatti, danno titolo al paragrafo I..IV). Questo, tuttavia, non deve indurre ad un facile fraintendimento per l’osservatore straniero. Il riferimento al mantenimento della proprietà sul bene non accede al discorso sull’esperibilità di rimedi proprietari, ma è funzionale, invece, all’avanzamento di pretese restitutorie (at common law e in equity). Cfr. infra nel testo. Più in generale, sulla posizione del diritto inglese sui primi resta, come confermato più di recente, in OBG Ltd v Allan [] WLR , quella della non esperibilità dell’azione di conversion su intangible property. 6 «Even where the original owner of specific money – we call him “O” – is not prevented from following it against its recipient who, being an actual or constructive wrongdoer, may be called “W”, O’s claim for the specific money will frequently or perhaps ordinarily fail because the money has been spent by W or because it is unidentifiable. In civil law – which     Il constructive trust, unitamente ad altre forme di privilegio (c.d. lien o charge) e tramite il meccanismo del c.d. tracing, nasce per conferire, inizialmente solo in relazione a preesistenti rapporti di trust, rilevanza esterna e prevalenza (rispetto ad concorrenti pretese) all’interesse del beneficiario in relazione ai beni oggetto dell’affidamento, e tra questi, anche al denaro. Esso è stato riconosciuto rappresentare una delle note peculiari di tale istituto (trust), tale da porlo in una posizione di superiorità competitiva rispetto ad altri modelli, appartenenti allo stesso o ad altri sistemi giuridici7. through its commingling rule further adds to the obstacles – O is in this situation reduced to the status of general creditor of W. Not in the common law. If the proceeds of W’s transaction can be traced into W’s posssession, O may enforce upon them a constructive trust, or, at his option, an equitabel lien to secure his claim for reimbursement from the wrongdoer. Thus, if W loaned O’s money to T, O could prevent W’s general creditors form realizing on the debt owed to W by T. If T is himself mala fide, or did not give a valuable consideration, O would have the same in rem rights against T» (corsivo nostro). NUSSBAUM, op. cit., p. . Come è evidente, in questo caso il wrongdoer non è trustee. Ciò induce a considerare una più generale visione, che sebbene attinga a percorsi e ragionamenti sviluppati nel settore dell’equity, viene poi a riguardare il più ampio settore dell’arricchimento senza giusta causa (inteso come categoria ampia) nei diversi sistemi giuridici. 7 H. HANNSMANN e U. MATTEI, The Functions of Trust Law: A Comparative Legal and Economic Analysis, in  New York University Law Review, , p.  ss., spec. pp. , ,  (l’articolo è compendiato nel successivo ID., Trust Law in the United States: A Basic Study of Its Special Contribution, in  American Journal of Comparative Law Supplement,  p. ). Questi aa. hanno rintracciato nella capacità di sottrarre i beni del fondo dalle pretese creditorie il principale contributo della law of trust. Per tali peculiarità il trust si differenzia da modelli di interposizione gestoria (leggi agency) che si ritrovano in quello come – pur con differenze – in altri ordinamenti. Più in generale, l’affermazione delle potenzialità del trust è confermata anche se si attinge all’analisi economica. Cfr. U. MATTEI, Efficiency in Legal Transplants: An Essay in Comparative Law and Economics, in  Intern. Rev. of Law and Economics, , p.  ss., spec. p.  s. ove si indicano, nei bassi costi transattivi e nel fatto di costituire un incentivo per gli investitori avversi al rischio, le ragioni della «well-deserved victory in the competition in the market of legal doctrines». L’attenzione per i profili della c.d. asset partioning sono stati, tuttavia, più frequenti nella letteratura comparatistica che in quella anglo-americana, soprattutto di law and economics. Quest’ultima ha per lungo tempo tralasciato gli aspetti proprietari, accentuando quelli obbligatori o simil-societari. Ne è conferma che i fondamentali trattati in materia (Posner, Ulen- Cooter, The New Palgrave dictionary of Economics and the law, Encyclopedia of law and Economics) non dedicano spazio all’analisi dell’istituto del trust, se non incidentalmente: con riguardo agli aspetti fiscali o indicandolo come uno dei metodi più efficienti di amministrare la proprietà unitamente alle altre ipotesi di scissione tra proprietà e controllo (e amministrazione dello stesso) in cui vengono inclusi anche il modello societario o obbligazionario (R. A. POSNER, Economic Analysis of the law, a ed., Wolters-Kluwer, ). Gli studi specifici restano concentrati sugli aspetti di fiduciary governance. Cfr. R.H. SITKOFF, The Economic Structure Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law La consapevolezza di questa discontinuità di trattamento – ma, a nostro parere, si tratta solo di un diverso grado di intensità, ovvero di una maggiore esplicitazione – tra le due famiglie giuridiche è presente nei più attenti studi che – anche se incidentalmente, con riguardo al denaro – hanno affrontato questa problematica8. È evidente che, allora, l’utilizzo dello strumento comparativo possa risultare particolarmente utile a disvelare le ragioni ed implicazioni di tale scenario9. Esso ci racconta una diversa storia sulle ipotesi e le modalità con cui l’interesse recuperatorio sul denaro si sviluppa e quindi funge da utile test per misurare l’effettività di tale bisogno di tutela10. Sebbene la «monetary law» offra «an unusual and probably unique opportunity for comparative treatment because the fundamental problems which it raiof Fiduciary law, in  B.U. L. Rev., , pp.  spec. p.  s. ove, tuttavia, le presunzioni in tema di commingled funds sono lette come parte di quella regolamentazione (sussidiaria e attuativa dei doveri di lealtà) che si è sviluppata da una «accumulated experience with recurring, common sets of facts and circumstances» e che ha l’effetto di ridurre i costi transattivi, aumentare la prevedibilità delle condotte. 8 Si vedano, con riguardo al settore della gestione intermediata, SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale cit., p.  ss.; M. GRAZIADEI, U. MATTEI e L. SMITH, Commercial trusts in European private law, cit., passim, spec. pp.  ss. e  ss. La prospettiva delle restituzioni in generale è, come si è visto, in NUSSBAUM, Money in the Law National and International cit., p. . «[…] under common law, the owner of specific money whose original in rem claim has actually become ineffectual is given instead an in rem substitute. This is a fruit of flexible equity jurisprudence which has no real counterpart in civil law. […] One is confronted here with a significant diversity of common law and civil law, a diversity opening vistas which far exceed the scope of the present discussion». 9 La comparazione offre al giurista una migliore conoscenza e funge da stimolo per il miglioramento degli stessi modelli del diritto interno. Essa, tuttavia, non può tradursi in una facile “esterofilia”, che, come dimostrano le analisi più accurate, risulta invece foriera di criticità. Più spesso si è dimostrato, infatti, come ai diversi framework concettuali tendano poi a corrispondere regole operazionali analoghe negli ordinamenti oggetto della comparazione. Si veda, sul primo aspetto, R. SACCO, Introduzione al diritto comparato, Torino, ; sul secondo, ID., Le transfert de la propriété des choses mobilières determinées par acte entre vifs en droit comparé, in Riv. dir. civ., , I, p.  ss. 10 Soccorre l’insegnamento del M. GRAZIADEI, Diritti nell’interesse altrui. Undisclosed agency e trust nell’esperienza giuridica inglese, Trento, , p. , introducendo il suo fondamentale lavoro, «Si tratta quindi di esaminare quali soluzioni ricevono alcuni problemi che, nell’area romanistica, sono soffocati sul nascere, o vengono affrontati solo dalla legge, al fine di comprendere quale spazio possa essere recuperato alla ricerca da parte dei privati delle migliori regole giuste».     ses for lawgivers and courts are largerly identical everywhere in modern civilization»11, in senso completamente opposto, la tematica sotto scrutinio (le pretese restitutorie sul denaro, ove ne diventi necessaria l’opponibilità a terzi) mette a confronto istituti e regole che si differenziano in duplice senso. Un primo fattore di differenziazione è rappresentato dallo schema giuridico all’interno del quale viene inquadrata l’ipotesi di studio dalla quale partiamo (le gestioni monetarie) e che è costituito nei sistemi di common law, dall’istituto del trust12. Si tratta, infatti, dello strumento più duttile e al quale si fa normalmente ricorso, come conferma la scelta dello stesso per l’elaborazione di quei modelli tipici necessari allo sviluppo dei mercati (l’ampio ventaglio di trust finanziari e commerciali)13. L’altro, che riguarda più strettamente l’oggetto della pretesa, ma si connette al primo, è rappresentato dalla modalità con cui l’interesse giuridico alla restituzione della somma è stato lì formalizzato (giuridicamente), 11 NUSSBAUM, Money in the Law National and International cit., iv, ove continua «[…] besides other elements, the ideas of justice and fairness must be resorted to in that analysis». 12 Il trust, come noto, veniva descritto da Maitland, come «the greatest and most distinctive achievment performed by Englishmen in the field of jurisprudence». F. W. MAITLAND, The Unincorporate Body, in AA.VV., The Collected Papers of Frederic William Maitland, a cura di H.A.L. Fisher, III, Cambridge (CUP), , p.  s. Come vedremo più innanzi, tuttavia, pari differenze si riscontrano anche nel diritto delle restituzioni o unjust enrichment nelle due diverse famiglie giuridiche. 13 J. H. LANGBEIN, The Secret Life of Trust: Trust as an Instrument of Commerce, in  Yale Law Journal, -, p.  ss.; M. GRAZIADEI, U. MATTEI e L. SMITH, Commercial trusts cit.; D. HAYTON, The Uses of Trusts in the Commercial Context, in AA.VV., Modern International Developments in Trust Law, London (Kluwer Law International), , p.  ss. Le potenzialità di sviluppo del trust ne hanno determinato lo sviluppo in molteplici campi, tanto da assistersi ad una tripartizione funzionale dei trusts in trust donativi (che rappresentano il modello archetipico), commerciali e operanti nel mercato dei capitali. In ognuno di questi ambiti lo strumento, pur rimanendo lo stesso, tende ad assumere un significato diverso (la minimizzazione della tassazione nei trust donativi, ad esempio, come riconosce SITKOFF, An Agency Cost etc. cit., p. ). Tuttavia, la diffusione dei trust commerciali è pervasiva. Lo studio di Langbein, già nel ’, riportava come il % del denaro tenuto in trust negli Stati Uniti attenesse a trust commerciali (nelle forme di Pension Truts, Investment Trusts, Mutual Funds, Asset Securitization, Law Office Trust Account). Appare evidente che tra i principali vantaggi del ricorso al trust in questi ambiti vi sia, oltre alla flessibilità della governance interna e all’adattabilità agli interessi dei beneficiari, la mancata esposizione del beneficiario (che in questi casi è l’investitore o il creditore di denaro) al rischio dell’insolvenza del debitore. Tale potenzialità non appare invece espressa, poiché non necessaria, nei trust donativi (SITKOFF, An Agency Costs Theory of Trust Law, in  Cornell Law Review, , pp. -, spec. p. ). Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law cioè attraverso la finzione giuridica della tracciabilità corporale della moneta14. Partiamo dal primo punto, al fine di chiarire alcune implicazioni relative alle ricadute nel nostro ordinamento. All’ampio dibattito nella dottrina italiana che si è sviluppato a proposito del trust è sottesa l’idea che si tratti di uno strumento capace di interpretare e servire gli interessi gestori nella sostituzione intesa come forma di cooperazione economica e giuridica e che, a prima vista, sembrerebbe non riproducibile in esperienze ordinamentali diverse. L’intrinseca discrezionalità nell’agire del trustee e la rilevanza esterna di interessi alieni rispetto a quelli del proprietario (trustee) sono il frutto della storica evoluzione dell’istituto all’interno della law of property e sembrano averlo reso uno strumento peculiare15. Queste considerazioni di carattere generale si nutrono di particolare contenuto, ove si considerino le capacità di funzionamento del trust anche con riguardo ai beni mobili fungibili (c.d. trust monetari)16. Proprio con riferimento a questi ultimi, l’esistenza di mercati tran- 14 Questa modalità di individuazione di beni che, come vedremo, assume il nome di tracing (e following), e che potremmo dire è “asset-based”, negli ordinamenti di common law si ritrova in diversi settori (equity, restitution, bankruptcy), ma di per sé non rappresenta una necessità logica di ogni ordinamento. Ciò che intendiamo sottolineare, tuttavia, è che a fronte di uno strumento che è chiaramente frutto di un determinato sviluppo storico, non sembra ritrovarsi, nel sistema italiano, un altrettanto compiuto equivalente funzionale. Questa prospettiva che tocca le più ampie tematiche del trust e dell’unjust enrichment – come vedremo nel testo – si qualifica in relazione alla problematica della competizione tra gli ordinamenti. 15 Sulle ragioni dell’assunta superiorità del trust si annoverano: la protezione garantita al beneficiary attraverso strumenti proprietari dell’injunction e del tracing (a differenza della controparte continentale che si assume poter confidare solo nel risarcimento danni); i basti costi transattivi – derivanti dal fatto di essere uno strumento regolamentato; il fatto di favorire la circolazione della ricchezza, fornendo incentivi agli investitori avversi al rischio, proprio per il fatto di garantire loro un’efficace protezione (cfr. MATTEI, Efficiency in Legal Transplants cit., p. , ove altresì ulteriore bibliografia). Sul congegno operazionale del trust, come sovente ripetuto a metà tra contract e property, cfr. infra paragrafo successivo e R. H. SITKOFF, An Agency Costs Theory of Trust Law cit., che, pur rendendo tributo a questa schematizzazione, ne parla come di un modello principalmente organizzativo, coerentemente con un inquandramento più vicino ad un approccio di law and economics. 16 Sottolinea il profilo gestionale delle nuove e più diffuse forme di trust, ad appannaggio di istuzioni finanziarie o banche d’affari, SITKOFF, An Agency Costs etc. cit., p. . Anche questo aspetto avvicina lo studio del trust ormai, più al diritto degli enti che a quello della proprietà o delle successioni.     snazionali ha indotto negli ultimi decenni ad un’uniformazione nelle legislazioni speciali nella gestione del denaro o di strumenti finanziari (es. servizi finanziari, garanzie finanziarie, servizi di pagamento, cartolarizzazione per citarne solo alcuni). Le legislazioni speciali continentali, pur modellando gli schemi giuridici domestici, hanno dato voce a quelle esigenze utilizzando combinatamente lo schema del mandato e forme elaborate di separazione bilaterale patrimoniale, come abbiamo visto, nell’ambito dei mercati finanziari, le quali mimano il funzionamento di un trust 17. La questione immediatamente successiva è, quindi, se quelle medesime caratteristiche e tutele, quando non siano dettate dal funzionamento di particolari mercati, possano essere realizzate nello stesso modo dall’autonomia privata, assecondando uno schema che è ritenuto in grado di ridurre i costi transattivi delle operazioni e tale da fornire superiori incentivi ai traffici18. 17 Sul punto GRAZIADEI, Diritti nell’interesse altrui etc. cit., pp. -, che legge nella proliferazione (nell’ultimo quindicennio ancora più diffusa) di una legislazione speciale in cui i modelli e le forme di separazione patrimoniale e di mandato vengono combinati, l’indice dell’esigenza di sopperire ad una lacuna che le prerogative private non avrebbero potuto, esse sole, colmare. In verità, la ragione di una normazione autonoma può essere rintracciata altrove, ove si consideri che anche nei sistemi di common law, nei medesimi settori, si è sentita l’esigenza di legislazioni ad hoc (cfr. supra nt. ). In questi casi l’omogeneità di funzionamento dei mercati sembra rappresentare l’istanza più urgente, anche se non può disconoscersi che la portata di questi interventi nell’ordinamento italiano sia stata di impatto notevole, nella rimodulazione degli stessi schemi giuridici generali. Ci sembra, inoltre, che il riconoscimento della funzionalità economica di uno strumento trust-like, unitamente alla (quanto meno non) immediata rintracciabilità di uno analogo nel nostro ordinamento, costituisca una appropriata obiezione alla facile e frequente critica che viene mossa all’attenzione per i modelli stranieri, secondo cui l’utilizzo di tale strumento sarebbe giustificato dal mero risparmio (elusione) fiscale (che, invero, può essere rivolta ad altre ipotesi, quelle di trust utilizzato per la trasmissione della ricchezza familiare). Infine, per coloro che guardano in maniera diffidente all’utilizzo del trust in ambito successorio (o di strumenti equivalenti), l’esperienza giapponese dimostra come sia possibile prefigurarne l’utilizzo solo in ambito commerciale, lasciando il settore successorio letteralmente intatto. Cfr. LANGBEIN, The Secret Life of Trust cit., p. . Questa conclusione, nella prospettiva dell’ammissibilità dello strumento da parte dell’autonomia privata, è facilmente ricavabile nel nostro ordinamento dall’operatività delle norme inderogabili. Sulla limitazione dell’ufficio di trust nei paesi sud-americani, Francia, Lussemburgo ad istituzioni bancarie, assicurative o, in ogni caso, a persone giuridiche, si veda I. J. GOODWIN, Why Civil Law Countries Might Forego the Individual Trustee: Provocative Insights from the New-to-the-Fold (November , ), in AA.VV., The Worlds of the Trust, a cura di L. Smith, Cambridge (CUP), ; University of Tennessee Legal Studies Research Paper No. , p.  ss., part. pp. -. Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract= or doi:./ssrn.. 18 Cfr. supra nt. . Una lettura dei costi-benefici nelle relazioni a stampo fiduciario è Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Le diverse possibili soluzioni sono, in radice, condizionate da una precisa concezione del diritto e di quali ne siano i processi di produzione, che non è possibile, tuttavia, in questa sede scandagliare. Tuttavia, alcune direttive possono trarsi. Sebbene proprio il trust costituisca un esempio di “trapianto giuridico” in vari sistemi, ciò che, ad un diverso livello di analisi bisogna comprendere è in che modo esso si sia realizzato. Bisogna verificare, allora, quali siano i canali della convergenza tra i diversi sistemi giuridici: le forme di prestito, ovvero, più ragionevolmente, di riscoperta delle potenzialità intrinseche dei modelli interni19. In tale analisi, va tuttavia, tenuto in debita consinel già citato SITKOFF, The Economic Structure of Fiduciary law cit.; con riguardo alla prudent man rule, R. A. POSNER, Economic Analysis cit., p. . Fondamentale, come si vedrà, è in proposito lo studio di SITKOFF, An Agency Costs Theory of Trust Law cit., spec. p.  ss. Se leggiamo questi fenomeni utilizzando lo strumento dell’analisi economica, emerge il riferimento a dinamiche competitive tra gli ordinamenti (come se i modelli giuridici siano merci circolanti all’interno di un mercato, il mercato della cultura giuridica o delle idee giuridiche). L’analisi più recente ha dimostrato come, facendo rinvio a tali meccanismi competitivi tra gli ordinamenti giuridici, ad esempio, la libertà di scelta della legge applicabile nei contratti commerciali internazionali inneschi un pressione competitiva nei diritti meno “efficienti”, determinando la convergenza del diritto meno prescelto rispetto alle regole di quello più diffusamente prescelto. Tale metafora diventa particolarmente efficace, ove il diritto assolva una funzione c.d. “facilitativa” rispetto all’autonomia privata, come dimostra anche la “vittoria” del concetto anglo-americano di trust. Si veda A. OGUS, The Economic Approach: Competition between Legal Systems, in AA.VV., Comparative Law. A Handbook, a cura di E. Örücü e D. Nelken, Oxford-Portland (Hart Publishing), , p.  ss., spec. p.  s. 19 Il trust, o di modelli analoghi, si è diffuso in vari sistemi giuridici (Messico e paesi sud-americani, Giappone, Lichtenstein, Lussemburgo, Francia, per citarne solo alcuni), si veda I. J. GOODWIN, Why Civil Law Countries Might Forego the Individual Trustee: Provocative Insights from the New-to-the-Fold (November , ) cit., p.  ss. Più di recente, l’idea del trapianto giuridico (A. WATSON, Legal transplants: An Approach to Comparative Law, a ed., Edimburgh (Scottish Academic Press), ), quale effetto della colonizzazione, risulta ripreso dal quel filone della letteratura economica che va sotto il nome di legal origins, il quale rintraccia nelle caratteristiche dei sistemi giuridici (gli “stili di controllo sociale della vita economica”) le ragioni del loro differente sviluppo finanziario e assume la maggiore efficienza dei sistemi di common law su quelli di basati sul modello francese (il modello tedesco e quello scandinavo vengono invece assolti). L’idea del trapianto viene recuperata non solo da un punto di vista analitico, cioè nella descrizione dello sviluppo delle famiglie giuridiche, ma – eminentemente – quale soluzione ai diversi gradi di efficienza dei sistemi, a meno che – ma tale clausola di salvezza non ci sembra molto più che una di stile – il costo della modifica risulti alterare i dati caratterizzanti la tradizione giuridica (R. LA PORTA, F. LOPEZ-DE-SILANES e A. SHLEIFER, The Economic Consequences of Legal Origins, in  Journal of Economic Literature, , , p.  ss., spec. a pp.  ss. e ).     derazione che, in senso opposto, ostacoli ad un processo di convergenza verso l’operatività di analoghi congegni giuridici di sovente si ritrovano in atteggiamenti dei ceti professionali20. Siamo convinti che tale convergenza, che appare sempre più necessaria nelle dinamiche dei mercati globali, invece, debba servirsi di strumenti già familiari all’arena alla quale questi ultimi sono destinati21. Questo filone, inaugurato dal noto saggio di La Porta et al. (R. LA PORTA, F. LOPEZ DE SILANES, A. SHLEIFER e R.W. VISHNY, Law and Finance, in Journal of Political Economy, , p.  ss.) sulla protezione dell’investitore, si è poi esteso all’analisi di altri settori che si sono dimostrati influenti sulla performance degli ordinamenti (e.g. indipendenza dei giudici, mercato del lavoro, diritti dei creditori nelle procedure fallimentari). Invero, la teoria, che viene fortemente supportata e applicata dalla World Bank nel Doing Business Project, soffre, tra le altre possibili critiche, di una fondamentale contraddizione metodologica, consistente nella generalizzazione dei risultati provenienti da singoli settori prescelti e nell’assunzione che lo sviluppo del diritto per via giurisprudenziale realizzi una maggiore efficienza di regole (quest’ultima idea, seppure non nell’ambito comparativo, è stata per la prima volta avanza da R. A. POSNER, Economic Analysis of the Law, , riprendendo il pensiero di Holmes). Cfr. in merito, N. GAROUPA e C. G. LIGUERRE, The Syndrome of Efficiency of the Common law, in  Boston University Journ. Intern. Law,  disponibile sul sito hrrp://ssnr.com/abstract=, ove, relativamente al diritto sostanziale, si dimostra come esistano altre aree in cui la tradizione francese produce risultati più efficienti di quella di common law. In un quadro meno assolutizzante, ma efficace, recupera l’idea del trapianto U. MATTEI, Efficiency in Legal Transplants: An Essay in Comparative Law and Economics cit., con riguardo al trust, pp. -. 20 Come fa presente A. OGUS, The Economic Approach cit., pp.  e  s., ove ulteriore bibliografia, il problema della comportamenti opportunistici delle professioni legali può estrinsecarsi in diversi modi, normalmente assumendo la veste di “artificial product differentiation”, che produce l’ovvio risultato di creare posizioni monopolistiche nell’offerta del servizio legale, ma che allo stesso tempo milita contro la soluzione più efficiente (ovvero, che meglio serve gli interessi delle parti coinvolte). Cfr. M. GRAZIADEI, U. MATTEI e L. SMITH, Commercial trusts in European private law cit., p. : «What if continental lawyers approaching trusts considered them as examples of split ownersip for no other reason than the desire to ‘exoticise’ the object of their study». Sul punto, anche GATT, Dal trust al trust cit., passim e infra nt. . 21 In via generale, l’idea del mero “prestito” da altri sistemi, quale fattore di evoluzione giuridica, è stato da più parti criticato, sulla base, principalmente di argomenti storici, epistemologici, culturali. In senso critico – evolutivo rispetto al contributo di A. WATSON, Legal transplants, cit., si vedano O. KAHN-FREUND, On Uses and Misuses of Comparative Law, in  Modern Law Review, , p. ; P. LEGRAND, European Legal System are not Converging, in  Int. Comp. Law Quart., , p. . Con riguardo al trust, rifiuta l’idea del trapianto formale principalmente nelle forme della legiferazione ex novo, come già visto, GATT, op. cit., pp. - , il cui lavoro rappresenta l’esempio più completo di ricostruzione del trust di diritto interno (trust), attraverso lo strumentario giuridico domestico, dimostrando come il diritto italiano sia già equipaggiato per far fronte alla concorrenza dei trusts. Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Come è stato, infatti, già ampiamente dimostrato il più calzante sostituto funzionale del trust nel nostro ordinamento risiede nel mandato senza rappresentanza22. È allora quest’ultimo l’istituto da interrogare, come ha già fatto l’esperienza legislativa, per dare forma agli interessi sottesi alla costituzione di un trust e, come si è visto, alle gestioni monetarie23. Ritornando all’altro momento della nostra analisi comparativa, il passo successivo è, come anticipato, quello di verificare in che modo il meccanismo di funzionamento del trust si atteggi quando questi abbia ad oggetto somme di denaro (trust monetari o c.d. amministrazioni dinamiche di denaro). Questo significa vedere come la pretesa ad una determinata somma possa resistere anche ad ipotesi patologiche di misappropriation. Tale discorso si estende fino a comprendere quello più generale, perché attinente ad ogni pretesa restitutoria, della fondatezza di una domanda restitutoria su somma di denaro che si affermi prevalente rispetto a concorrenti uguali pretese. Infine, il riferimento agli ordinamenti di common law si presenta particolarmente utile anche sotto il profilo metodologico. Il pragmatismo culturale del Common law si traduce nell’adozione di una prospettiva di tipo rimediale ai problemi giuridici24. Essa guarda al diGATT, Dal trust al trust cit., p.  ss.; M. GRAZIADEI, U. MATTEI e L. SMITH, Commercial trusts in European private law cit., p. ; L. SANTORO, Il trust in Italia, cit. che propende, tuttavia, per l’irriducibilità del trust al nostrano mandato senza rappresentanza. Ci permettiamo, infine, di rinviare al nostro Property Rights over Money: the Italian Perspective and English Law, Global Jurist: Vol. : Iss.  (Topics), Article , nonché supra cap. III. 23 Ad esempio, è la stessa figura del mandato a subire trasformazioni nel momento in cui viene preordinato a far acquisire al mandante la ricchezza rappresentata da determinati beni, piuttosto che il loro controllo. Cfr. F. GALGANO, Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, III, , Milano, , p. ; la medesima idea è sottesa all’analisi presente in ID., I contratti di investimento e gli ordini dell’investitore all’intermediario, in Contratto e impr., , p.  ss., spec.  ss., con riguardo ai profili applicativi del mandato con riguardo ai servizi d’investimento. Tale prospettiva, come noto, è stata accolta dalla giurisprudenza della Suprema Corte, nelle ben note sentenze gemelle n.  e  del  dicembre  – Presidente Carbone, Rel. Rordof, cit. Si veda, altresì, P. FERRO-LUZZI, Le gestioni patrimoniali, in Giur. comm., , I, p.  ss. 24 L’idea del rimedio come elemento centrale nella tassonomia giuridica, che si giustifica in quanto dipendente dal processo di law making processuale proprio del diritto inglese, trova una delle sue prime conferme in Blackstone che ne parla come di un elemento legato a qualsiasi diritto («where there is a legal right there is also a remedy»), per il tramite di una action in law, ogni qualvolta il diritto sia invaso (ovvero di ci sia un wrong). Cfr. W. BLACKSTONE, 22     ritto dalla prospettiva dei meccanismi di attuazione dei diritti e degli interessi piuttosto che, meramente, dal punto di vista della loro proclamazione a livello sostanziale25. Questo punto di osservazione è in grado di meglio evidenziare la connessione tra il bisogno di tutela direttamente ai dispositivo tecnico che l’ordinamento prevede (siano essi restitutori, risarcitori o satisfattori), e di dare centralità all’interesse, la cui realizzazione non viene filtrata attraverso la logica attributiva dei diritti26. Come si è potuto verificare, con riguardo agli inCommentaries on the Laws of England . Il collegamento tra diritto o sua violazione (wrong) e rimedio, rischia di presentarsi restrittivo. Ed è in questo senso che si è proposto di collegare il rimedio, direttamente a qualsiasi interesse giuridicamente protetto in un modo o nell’altro. F.H. LAWSON, Remedies of English law, a ed., London (Butterworths), , p.  s., pur riconoscendosi che in questo modo «we are now in a circle» (p. ), poichè è il rimedio stesso a definire ciò che è oggetto dello stesso e non c’è nessun’altra categoria da poter invocare per individuarlo. La collocazione del concetto di rimedio tra diritto sostanziale e processo è chiarito da D. B. DOBBS, Law of Remedies, a ed., St. Paul MN (West Publ.), , p.  s., che precisa come stabilire se vi sia stato inadempimento, ad es., è una domanda che si pone il diritto sostanziale, mentre individuare quale sia il rimedio (relief) o strumento accordato dall’ordinamento contro la violazione di quel rimedio e in quale misura sia consentito (es. l’ammontare del danno) è compito della law of remedies (secondary rights, secondo l’espressione di Hart, ma che in realtà non fa che riecheggiare il diritto romano). Quest’ultima, a sua volta, va distinta dal diritto processuale, che invece riguarda le procedure «of getting from right to remedy» (p. ). Ovviamente, lo sviluppo del tema dei rimedi in un’autonoma disciplina ha indotto a classificazioni (legal v. equitable, specific v. substitutional, e quindi a partizioni interne) che, tuttavia, possono indurre in errore, proprio per il carattere del rimedio quale strumento a metà tra il diritto sostanziale e processuale e quindi sviluppatosi per rispondere ad entrambe le istanze. Sul punto J. M. FISCHER, Understanding Remedies, New York-San Francisco (M. Bender & Co.), , p. . 25 R. L. WEAVER, D. E. PARTLETT, D. E. LIVELY e M. B. KELLY, Remedies: Cases, Practical Problems and Execises, St. Paul MN (Thomson West), , p. : «Remedies allows you to see the law in a more integrated way. Established subject boundaries are artificial, and, although convenient for classification, they are not responsive to the law in practice or to the remedial policies that transcend substantive areas of the law». 26 Un esempio di tale approccio nella dottrina italiana, riferito al diritto europeo, è anche in AA.VV., Manuale di diritto privato europeo, a cura di Castronovo e Mazzamuto, vol. II, p.  ss. Ma cfr. anche supra cap. I, nt.  e . Appare, invece, interessante notare come, in senso totalmente inverso, parte della dottrina del common law inglese (per altri, più generici caveat, si veda supra nt. ) si opponga alla prospettiva rimediale, in quanto foriera di incertezze. P. BIRKS, Rights, Wrongs, and Remedies, in  Oxford J. Legal Studies, , p.  ss. L’idea, invero, si giustifica in virtù della polisemia che il termine ha assunto nello sviluppo della giurisprudenza e dottrina inglese, tale da renderlo pericoloso non solo per la conservazione di categorie rigorose Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law teressi sul denaro, l’assunta difficoltà di applicare tale logica attributiva sembra aver fatto disconoscere l’interesse stesso, almeno nella riflessione giuridica domestica. Il capitolo è strutturato come segue. Procederemo ad analizzare, prima, gli strumenti di gestione del denaro disponibili all’autonomia privata negli ordinamenti di common law: innanziatutto, il trust27; quindi, i rimedi per l’ipotesi del comportamento infedele del gestore. Particolare attenzione, infine, sarà rivolta ad alcune particolari fattispecie in cui le problematiche connesse al tema principale concretamente operino. Un’ultima precisazione riguarda i sistemi cui più precisamente faremo riferimento, all’interno della famiglia di common law: quello inglese e quello statunitense28. (viste come presidio della certezza del diritto), ma anche per la deviazione verso un utilizzo del termine che (si pensi nell’ambito proprio del constructive trust) diventa sinonimo di concessione arbitraria (discrezionale) del rimedio da parte del giudice. L’a. sottolinea come invece rifugio sicuro potrebbe essere la sostituzione, nei casi in cui è possibile del termine con “diritto” (rights). Questa prospettiva, che se ben pensiamo è esattamente opposta a quella inaugurata qualche decennio fa’ nella dottrina italiana (cfr. cap. I, nt. ), proviene da uno degli studiosi che principalmente hanno contribuito all’evoluzione di alcuni settori del diritto privato inglese e alla sua sistematizzazione, spesso attingendo all’eredità del diritto romano. Essa ci sembra dimostrare che quando i processi di elaborazione del diritto e della dottrina giuridica diventano ipertrofici, un utile “rimedio” può essere quello di guardare con una lente diversa i medesimi processi. Ciò, anziché screditare, conferma l’utilità della prospettiva rimediale in un ordinamento di civil law. 27 Come già accennato, la nostra attenzione sarà rivolta ad aspetti che, ad esempio, si ritrovano c.d. trust finanziari e commerciali, nei quali è insita la funzione gestoria. 28 Le principali differenze nel diritto dei trust tra ordinamento inglese e americano risiedono, invero, nei trust personali donativi, cioè quelli utilizzati, come strumento di trasmissione della ricchezza intragenerazionale per causa di morte, quando il de cuius sia titolare di un cospicuo e variegato patrimonio. Questi rappresentano il prototipo storico su cui poi l’istituto si sviluppò nel Medioevo, e la cui centralità, quanto meno nella mentalità giuridica, è confermata, negli Stati Uniti, dalla esclusione dei trust commerciali dall’ambito del Restatement (Third) of Trusts pubblicato nel  dall’ALI, e dalla collocazione accademico-dottrinale della tematica (tra i trasferimenti a titolo gratuito). Alcune di queste differenze, tra cui la posizione di preminenza concessa alla volontà del settlor (come nell’ammissibilità della spendthrift trust clause, o, per alcuni aspetti, la stretta aderenza alle disposizioni del settlor nel modello americano) tendono, in parte, ad essere attenuate. Cfr. T. P. GALLANIS, On the New Direction of American Trust Law, in  Iowa Law Rev., , p.  ss. Sull’evoluzione storica, si veda, J. GETZLER,     La ragione di questa scelta è dettata, nel primo caso, dal primato storico dell’ordinamento inglese (dove i modelli cui ci riferiamo hanno trovato origine), che può quindi essere utile a comprenderne ragioni e dinamiche di funzionamento; nel secondo, per il fatto che sia stato il diritto americano ad elaborare quella unificazione delle regole restitutorie che consentono la recuperabilità del denaro, anche al di fuori del contesto di trust. È interessante notare, inoltre, come l’accademia americana, attraverso la sua influenza nell’opera di uniformazione del diritto (attraverso l’ALI ovvero gli Uniform Act) sia da tempo impegnata in un’opera di revisione dell’istituto, che lì ha storicamente assunto un rilievo meno centrale nell’insegnamento accademico. Tra i principali risultati di tale lettura vi è quello collaterale di allineare, puntando sulla rilevanza del trust commerciale o finanziario29, il modello americano con quello che si è sviluppato nei paesi di civil law e che, nell’ordinamento italiano, si qualifica come tematica della separazione patrimoniale e degli strumenti idonei a realizzarla30. Nel discorso che segue, si farà riferimento al diritto inglese per gli aspetti che presentano maggiore uniformità nei diversi sistemi; a quello statunitense, ove specificato. . La gestione patrimoniale nel diritto anglo-americano: riesame di alcuni dati ermeneutici diffusi Il trust rappresenta il principale strumento giuridico cui il legislatore fa ricorso negli ordinamenti di common law, per la custodia e gestione nelle operazioni finanziarie31. Transplantation and Mutation in Anglo-American Trust Law, in  Theoretical Inquires in Law, , p.  ss. Va ricordato, infine, che tra le fonti del diritto americano, anche se non potrà procedersi ad un’analisi dettagliata, va annoverato, altresì, l’Uniform Trust Code (adottato in  Stati e nel Distretto della Columbia), il quale non manca di presentare discontinuità rispetto al Restatement of Law Third: Trusts. 29 J. LANGBEIN e R. A. POSNER, Market Funds and Trust Investment Law, in Am. B. Found. Res. J., , No.. 30 Su questo processo di convergenza inverso (nella direzione che va dai paesi di common law a quelli di civil law), si veda I. J. GOODWIN, Why Civil Law Countries Might Forego etc. cit., p.  ss. 31 Cfr. quanto riportato supra alla nt. , con riguardo alla ricognizione della realtà statunitense e, per l’ordinamento inglese, sull’utilizzo del trust nelle attività finanziarie (come trust Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Tuttavia, l’ipotesi gestoria realizzantesi nello schema di trust non assorbe lo spettro degli strumenti astrattamente disponibili. Partiamo quindi, dall’ipotesi di studio che abbiamo definito nel capitolo precedente, quella di un astratto schema volto alla custodia e gestione di denaro, per verificare se vi siano schemi concorrenti, e, per differenza, quali differenze / precipuità emergano. Il case law inglese ed americano riconosce, al pari dell’evoluzione del nostro diritto sulla portata del deposito regolare, che, quando il bailment (il quale prevederebbe il trasferimento della mera possession, con obbligo di restituzione in specie del bene consegnato) riguardi di beni fungibili e questi siano destinati a confluire in una più ampia massa di proprietà di una pluralità di bailors, non vi sia alcun passaggio di proprietà (che avrebbero fatto transitare la fattispecie nello schema del mutuo (loan o sale)32-33. Il common law, fund, garanzia finanziaria, rimedio per inadempimento in operazioni finanziarie), cfr. G. THOMAS e A. HUDSON, Law of trusts, Oxford, , pp. -. In particolare, la normativa inglese sui servizi finanziari è regolata dal Financial Services and Markets Act (), e dei Regolamenti dell’Autorità di Settore (Financial Services and Markets Authority). Per le regole relative alle regole di distribuzione del denaro affidato agli intermediari si veda FSA / Uk Corporate Governance Code (Handbook Amendments) Instrument nella parte relativa ai Busness Standards (Clients Asset-CASS -A) disponibile sul sito dell’FSA http://fsahandbook.info/FSA/html/handbook/ CASS/, che tiene conto dell’Client Assets Sourcebook (Common Platform Provisions) Instrument , emanato in ottemperanza alle modifiche apportate dalle direttive Mifid (//CE, // CE) e dal regolamento /). La nuova disciplina sostituisce il Financial Services Act  e le Financial Services (Clients Money) (Supplementary) Regulations , le quali regolavano espressamente in regime di trust i fondi appartenenti ai clienti. In continuità rispetto all’abrogata disciplina (CMR, r. , r. , r. , r.  () (c), r. .., r. .), la nuova normativa, prevede che l’intermediario sia da considerarsi trustee (si tratta di un purpose trust) sulle somme ricevute in caso di eventi quali insolvenza dell’intermediario, o del depositario (CASS, r. ..) e che in questi casi la ripartizione dei fondi garantisca la parità di trattamento tra i clienti stessi, in deroga alla disciplina comune che stabilisce, come vedremo, priorità di ordine temporale tra gli aventi diritto alle somme depositate presso il trustee. Si vedano in particolare, per i clients money segregation requirements CASS, r. .. e r. .., per la disciplina in caso di insolvenza dell’intermediario (anteriore al conferimento delle somme primary pooling events): CASS., r. A. e r. A. ; per le regole sui riparti: CASS., r. A.., r. A.. e r. A... I. Sulla disciplina primaria dell’FSMA, G. MACNEIL, The law on financial investment, Oxford and Portland (Hart Publishing), . 32 Per l’istituto del bailment, si vedano M. BRIDGE, Personal Property, Oxford (Clarendon Series), , pp. -; R.A. BROWN e W.B. RAUSHENBUSH, The Law of Property, a ed., Chicago (Callaghan&Co.), , p.  ss. Con particolare riguardo ai beni fungibili, ancora R.A. BROWN e W.B. RAUSHENBUSH, op. ult. cit., p.  ss.; P. BIRKS, Mixtures, in PALMER e MCKENDRICK (cur.), Interests in Goods, London, , p.  ss.; e 33 Per il diritto inglese, Mercer v Craven Grain Storage Ltd [] CLC ., (HL) il caso     poi recepito dalla statutory law, configura in questo caso una situazione di comunione sulla massa (tenancy in common), quand’anche essa sia stato oggetto di sostituizioni al suo interno, restando l’obbligo per il bailee alla restituzione dell’equivalente, con conseguente condivisione pro rata delle perdite ma salvezza di tali diritti dalla procedura di insolvency del depositario34. Fin qui, diremmo, nulla di diverso rispetto all’evoluzione giurisprudenziale che abbiamo visto in Italia in tema di deposito regolare e che introduce quale sia il trattamento dei beni fungibili. Tuttavia, in presenza di un interesse delle parti alla gestione di beni affidati, è evidente che uno strumento volto alla custodia sia insufficiente. Gli ordinamenti di common law hanno formalizzato la cooperazione nell’interesse altrui mediante il congegno dell’agency, che è il modello di common law grossomodo corrispondente agli istituti del mandato e della rappresentanza negli ordinamenti continentali35. riguardava un deposito di grano. Contra, South Australia Insurance Co v Randell () LR  PC  e Chapman Bors v Verco Bros & Co ()  CLR . Per il diritto americano, Rice v. Nixon, in  Ind ,  Am Rep  (). 34 Per il diritto americano, cfr. UCC § -, subsection , che prevede la proprietà in comune in caso di beni fungibili confusi (l’ipotesi è quella della confusione nei magazzini generali). Il principio è ritenuto essere applicabile anche al caso in cui nella massa comune siano inclusi anche beni del depositario, purchè egli sia tenuto a mantenere una quantità sufficiente a soddisfare le richieste di restituzione dei depositanti. Cfr. A. BROWN e W.B. RAUSHENBUSH, The Law of Property cit., p. . Per il diritto inglese, cfr. Sale of Goods Act , sect. A e B (introdotte dal Sale of Goods (Amendment) Act ), riguardanti l’ipotesi, parzialmente diversa, della vendita di quantità specifiche di beni non individuati, purchè relativi ad una massa definita. L’introduzione di questi due articoli riguardanti l’ipotesi della executory division (vendita a distinti soggetti di una massa di fungibili appartenente inizialmente ad un unico proprietario), pur essendo esattamente opposta a quella del deposito in magazzini – cioè alla commixtio (in cui beni appartenenti inizialmente a proprietari diversi, vengono poi a formare una massa comune) – ne conferma, tuttavia, la logica, in base alla quale: in caso di fungibili la comunione per quota cede il passo a quella per quantità; la configurabilità di tale comunione sulla massa (in ossequio, come abbiamo visto nel capitolo precedente, alla garanzia per i terzi) è configurabile solo ove si tratti di una massa specifica pre-determinata. Cfr., P. BIRKS, Mixtures cit., pp. - e, sull’idea della comunione per quantità, altresì, R. GOODE, Ownership and Obligation in Commercial Transactions, in  LQR, , p.  ss., spec. p. : «If I buy  per cent of the total stock of  bottles, I am contracting not for  unidentified bottles but for a  per cent share of the entire fund of  bottles. The difference in formulation may seem subtle but it is decisive. It is, however, impracticable in a business sense, for buyers want an assurance of a designated quantity, wight or number, rather than a percentage of a total bulk the quantity of which tehey cannot readily verify». 35 Come noto i paesi che non hanno subito l’influenza dell’elaborazione pandettistica Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Il contratto di agency, nel diritto inglese, presenta, infatti, aspetti di ambivalenza, per il fatto di regolare sia i rapporti interni tra le parti quanto quelli esterni tra le parti e i terzi36. Ma, allo stesso tempo, da un punto di vista prospettico e comparativo, sembra ricoprire un’area più limitata, per effetto della presenza di istituti concorrenti, quali, appunto, il trust, di cui condivide una parte della normativa imperativa (quella sui fiduciary duties), e delle vicende che ne possono derivare37. Senza poter ripercorrere nel dettaglio le differenze tra i due istituti, esse vengono rintracciate nelle caratteristiche del rapporto tra le parti: l’esistenza di un potere di controllo in capo al principal (e in maniera molto più limitata in capo al beneficiary)38; la durata del rapporto, strettamente legata alla alla volontà o alla sopravvivenza delle parti (non così nel caso del trust fund che può sopravvivere alla morte del trustee e la cui durata è impressa dall’atto istitutivo); la titolarità dei beni (rispettivamente del principal o degli istituti giuridici, non conoscono la differenza tra mandato e rappresentanza. Di conseguenza, anche la fattispecie in cui l’intermediario non disvela ai terzi la posizione di agent – assimilabile al nostro mandato senza rappresentanza – (undisclosed agency) risulta formalmente parte della law of agency e dalle sue regole condizionata. F.M.B. REYNOLDS, Bowstead and Reynolds on Agency, a ed., London (Sweet & Maxwell), , p.  ss. Sull’agency, si veda ZWEIGERT e KÖTZ, Comparative law, a ed., Oxford, pp. -; e, con particolare attenzione al diritto inglese, M. GRAZIADEI, I diritti nell’interesse altrui, Trento, , pp. -. È bene ricordare come, tuttavia, lo spazio coperto dalla law of agency sia ben più ampio di quello proprio del mandato/rappresentanza, estendosi, ad esempio, anche a fattispecie di gestione di affari altrui, e a ipotesi di falsus procurator, la cui responsabilità è qualificata come contrattuale, in quanto conseguenza di un implied clause. 36 Parlano di “Giano bifronte” ZWEIGERT e KÖTZ, Comparative law, cit., p. . La definizione data dal Restatement (Third) of Agency, §., in parte ripresa anche da Bowstead and Reynolds on Agency cit., p. , parla di una «[…] fiduciary relationship that arises when one person (a “principal”) manifests assent to another person (an “agent”) that the agent shall act on the principal’s behalf and subject to the principal’s control, and the agent manifests assent or otherwise consents so to act.» 37 Sui doveri fiduciari, una sintetica illustrazione degli stessi, è in D. S. KLEINBERGER, Agency, Partnerships, and LLCs, New York (Wolters Kluwer), , pp. -. Sui comuni rischi connessi, invece, all’intermediazione nell’attività giuridica, e principalmente alla gestione infedele (ipotesi a noi note come eccesso di mandato e/o di rappresentanza senza poteri), in termini di perdita di beni (o valori) per effetto del loro acquisto – libero vincoli equitativi – da parte del terzo di buona fede, cfr. G.H.L. FRIDMAN, The Law of Agency, a ed., London (Butterworths), , pp.  e -. 38 Tale diritto può esplicarsi in vario modo: istruzioni, ordini, ovvero in termini più generali, come nel caso della managing agency, su cui infra nt. .     trustee); la responsabilità per le obbligazioni contratte in esecuzione del trust/agency (rispettivamente in capo al trustee/principal); la legittimazione processuale attiva, ad esclusione delle azioni possessorie (ancora, in capo al trustee ovvero al principal)39. La scelta dell’uno o dell’altro modello, nonchè la regolamentazione di ciascuno, riposa nell’intento delle parti40, e le differenze tendono a persistere anche nel caso di undisclosed agency41. Escludendosi le regole derogabili, e la considerazione che si tratti di due strumenti molto affini, ciò che comincia ad intravedersi è, tuttavia, un più stretto legame del rapporto di agency all’individualità delle parti originarie del contratto, il quale non sopravvive alla morte delle stesse; ed, inoltre, un rapporto diretto, ovvero una sorta di barriera mobile – nel caso di undisclosed agency – tra terzo e principal. Proprio nel rapporto con i terzi risiedono le principali differenze tra trust e agency. In quest’ultimo caso, l’interesse del principal, anche quando non viene manifestato verso l’esterno (undisclosed agency), si traduce nell’azionabilità di diritti e nel carico di responsabilità (in capo al pricipal, appunto) nei rapporti con i terzi che vengono in contatto con l’agire (per conto) dell’agent 42. Nel primo caso, invece, come meglio si vedrà 39 AA.VV., Scott and Ascher on Trusts, a ed., I, Aspen, , p.  ss. e D. HAYTON, P. MATTHEWS e C. MITCHELL, Underhill and Hayton Law Relating to Trusts and Trustees, a ed., London (LexisNexis Butterworths), , p.  ss. 40 AA.VV., Scott and Ascher on Trusts cit., p.  e  s., con riguardo alle ipotesi di managing agency in capo ad istituti bancari. In questi casi, e in modo analogo rispetto alla flessibilità del mandato rispetto a incarichi discrezionali, la banca può assumere obblighi di gestione attiva che rendono il suo operato del tutto simile a quello di un trustee. Anche in questo caso, gli eventi condizionanti la durata, un maggiore potere di controllo e una più estesa responsabilità distinguono l’agire del trustee rispetto a quello dell’agent. 41 Sulla doctrine dell’undisclosed principal, cfr. F. M. B. REYNOLDS, Bowstead and Rynolds on Agency cit., p.  ss. Variazioni si riscontrano, ad esempio, con riguardo alle obbligazioni assunte dall’agent, che in caso di undisclosed principal, si continuano ad appuntare in capo al primo, e in capo a quest’ultimo solo se si riesce a dimostrare la sua conoscenza dell’agire dell’agent. Cfr. D. S. KLEINBERGER, Agency etc. cit., p.  e Restatemet (Third) on Agency, , § .. 42 Con riguardo ai rapporti con i terzi in caso di undisclosed agency, il terzo può agire (in caso di insolvenza dell’agent, o di suo inadempimento nei confronti del terzo) direttamente nei confronti del principal, che in tal modo sopporta il rischio dell’insolvenza, della misappropriation o defalcation dell’intermediario. Anche nel caso di undisclosed principal si instaura, infatti, un rapporto diretto tra terzo e principal, in aggiunta a quello tra terzo e agent. Questa rappresenta una delle principali differenze con i sistemi di civil law, ove, a fronte della possibilità anche del mandante senza rappresentanza di far valere i diritti derivanti dal mandato e di una sterilizzazione Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law a breve, la responsabilità e titolarità giuridica derivante dall’agire nell’interesse del beneficiary si concentrano in capo al trustee e all’operare del trust fund. Nel caso dell’agency, invece, la titolarità, at common law, cioè in base al mero rapporto di agency, spetta al principal, anche nel caso di beni mobili acquistati dall’agent 43. Se si muta, tuttavia, prospettiva, passando dal momento dell’acquisto a quelle fasi del rapporto gestorio in cui l’agent si trova nel possesso (recte nella titolarità) di disponibilità monetarie (somministrate, ad esempio, per l’esecuzione dell’incarico), le differenze tra i due istituti tendono a ridursi44. In questi casi, è l’agent viene considerato “proprietario” della somma, per effetto del mero possesso45. Allo stesso tempo, però, (come, peraltro, si verifica in tutti i rapporti di agency), ove vi sia un abuso dell’agent che assume la forma di secret profit ovvero di confusione dei propri beni – tra cui anche il denaro – con quelli del principal o di terzi, si tendono ad applicare i rimedi di equity, ovvero, a presumere l’esistenza di un trust 46. degli acquisti compiuti in esecuzione del mandato dalle pretese dei terzi (artt. , co. , parte II- c.c.), i terzi non possono far valere le proprie pretese nei confronti del mandante (art. , co. , parte I). ZWEIGERT e KÖTZ, op. loc. cit., tacciano, tuttavia, la regola inglese come un’anomalia. Sulla azionabilità dei diritti del undisclosed principal nei confronti del terzo, nel diritto inglese e similmente a quanto previsto dal diritto italiano, cfr. Greer v Downs Supply Co. []  KB  e Said v Button [] KB . 43 FRIDMAN, The Law of Agency cit., p.  ss. Con riguardo all’acquisto di beni mobili si segnala l’interpretazione, familiare anche al giurista italiano, secondo cui si avrebbe una duplice vicenda traslativa in caso di undisclosed principal, con acquisto da parte dell’intermediario ed istantaneo (for a scintilla temporis) ritrasferimento del bene al principal. F. M. B. REYNOLDS, Bowstead and Rynolds on Agency cit., p. . 44 GRAZIADEI, I diritti nell’interesse altrui cit., p. , parla, per queste ipotesi, di «posizione dell’intermediario rispetto al bene nel periodo antecedente l’alienazione al terzo». 45 In questo caso, se ben intendiamo, considerando il passaggio della proprietà, indipendente da ogni manifestazione delle parti, in mancanza di una diversa deliberazione, secondo AA.VV., Scott and Ascher on Trusts cit., p. , si continuerebbero ad applicare i principi dell’agency anziché del trust. In verità, questa prospettiva – è bene chiarirlo – parzialmente muta nell’ipotesi, ormai divenuta esclusiva, di denaro tenuto in conti correnti bancari. In questi casi, la c.d. proprietà del denaro si qualifica meglio come disponibilità delle somme e inattaccabilità da parte dei terzi. Essa risulta in qualche modo attenuata per effetto di una maggiore tracciabilità. 46 FRIDMAN, The Law of Agency cit., pp.  ss. e  ss. (per l’ipotesi di secret profit e commixtio) e - (per l’ipotesi di unauthorised disposition). Quanto alla prima ipotesi (ricorrente     In casi di violazione da parte dell’agent dell’incarico ricevuto, la presunzione favorevole alla costituzione del trust, e superabile da prova contraria dell’agent, opera rispetto ai beni acquistati, di qualunque natura (mobili o immobili), e a favore di tutte le persone che contribuirono all’acquisto, le quali acquistano – in qualità di beneficiari – pro quota diritti sulla massa47. Il discorso condotto sull’agency confluisce naturalmente in quello sul trust, di cui condivide parte dei rimedi disponibili. Alcuni profili sono già stati illustrati riguardo alla configurazione di questo istituto, che vede, astrattamente, la presenza di tre centri d’interesse: il settlor e trustee, parti dell’operazione in cui il primo trasferisce beni e definisce, con riguardo a questi ultimi, l’incarico e le funzioni del secondo, che si obbliga conformemente48; e il beneficiary, nel cui interesse l’operazione viene compiuta49. ogniqualvolta vi sia un guadagno segretamente conseguito per effetto del ruolo di agent, anche in assenza di fraud), posto che si fuoriesce dall’ambito di applicazione della law of agency, discute se vadano applicati i principi di equity o i proprietary restitutionary remedies. Per l’ipotesi di commixtio di beni, l’applicabilità nell’agency del tracing (e dei rimedi ad esso connessi), anche ove si tratti di denaro (o di sue trasformazioni) è affermato dalla dottrina dominante. I casi di unauthorised disposition (in cui non vi sia il conferimento di un’apparent authority) il trasferimento a terzi è fatto salvo solo nell’ipotesi di acquisto da parte del terzo di buona fede. 47 L’ambiguità circa l’operatività delle regole di trust origina nell’argomentazione in Taylor v. Plumer () M & S  (K. B.), in cui, per un verso, la proprietà da parte del principal sui beni acquistati con il denaro dell’agent infedele (e quindi la prevalenza rispetto al fallimento di quest’ultimo) è una proprietà at common law, non essendovi stata confusione con altro denaro/altri beni (in questo senso anche FRIDMAN, The Law of Agency cit., pp.  ss). Si ricorda, infatti, come solo i diritti riconosciuti in equity sopravvivano alla materiale confusione con beni appartenenti a terzi. Per altro verso, tuttavia, nella decisione ricorrono argomenti basati sull’analogia con il trust. Sull’ampio dibattito sviluppatosi su tale pronuncia nel diritto inglese, si veda GRAZIADEI, I diritti nell’interesse altrui cit., p.  ss. Una chiara sintesi è in F. M. B. REYNOLDS, Bowstead and Reynolds on Agency cit., p.  ss., ove si sostiene il carattere di fiduciary dell’agent e la sua facoltà, all’abbisogna, di vantare una beneficial ownership sui beni interessati, secondo le regole e con i limiti valevoli per il trust. Si veda altresì R. GOODE, Proprietary Rights and Insolvency in Sale Transactions, a ed., London, , p.  ss. 48 Non deve trattarsi necessariamente di un contratto, supportato da consideration, potendo originare anche da un deed, D. HAYTON, P. MATTHEWS e C. MITCHELL, Underhill and Hayton Law Relating to Trusts and Trustees cit., p.  s. 49 Tali centri d’interesse non necessariamente coincidono con singole persone (fisiche o giuridiche). Lo schema essenziale sopra descritto può, infatti, risultare modificato, non solo per l’assenza di un contratto e di un formale trasferimento della proprietà nel caso in cui le fun- Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Quest’ultimo, o i soggetti in grado di azionare i correlativi diritti in un purpose trust, non solo vanta dei diritti personali nei confronti del trustee in caso di violazione degli obblighi assunti o per le perdite subite (breach of trust), ma anche diritti sui beni in trust (cioè su quelli originariamente trasferiti o vincolati e sui loro sostituti). Ciò comporta la facoltà di chiedere la restituzione dei beni al trustee (o ai suoi successori), e ad ogni altro terzo che non abbia li ricevuti in buona fede, per value, without notice dell’esistenza del trust50. Il fatto che il meccanismo del trust coinvolga non solo una relazione – bilaterale tra settlor e trustee – ma produca effetti nella sfera giuridica di un terzo, in particolare (il beneficiary), e di ulteriori categorie di terzi (acquirenti dal trustee, creditori del trustee o del beneficiary) lo rende, come normalmente si riporta, uno strumento a metà tra contratto e property51. zioni di costituente e trustee coincidano nella stessa persona (c.d. autodichiarato), ma anche nell’ipotesi di altre ipotesi di cumulo di ruoli in capo ad uno stesso soggetto (es. settlor e beneficiary), ovvero in cui manchi un beneficiario-persona fisica. In questi casi, la funzione dell’operazione può consistere nel perseguimento di uno scopo, non necessariamente nel beneficio di uno o più soggetti, come avviene nel caso dei purpose trust o del Quistclose Trust. In quest’ultimo caso (che coincide in via di approssimazione con un mutuo di scopo), la qualificazione di trust emerge solo in sede patologica, non da un atto delle parti (non si tratta, in altri termini, di un express trust) ma per effetto della pronuncia del giudice (resulting trust). Sulle modalità di costituzione del trust, sulle eventuali formalità richieste, nonché sul Quistclose Trust si veda R. PEARCE, J. STEVENS e W. BARR, The Law of Trusts and Equitable Obligations, a ed., Oxford (OUP), , pp.  ss.,  ss. e  ss. 50 L’economia del presente lavoro non ci consente di analizzare nel dettaglio le regole di funzionamento e le possibili architetture del trust. Ciò che appare utile mettere in evidenza, in questa sede, è la possibilità per effetto del vincolo fiduciario del trust di reiperseguire i beni conferiti. 51 L’opponibilità a terzi (ovvero la rilevanza della posizione del beneficiary) si giustificata su base storica per effetto della necessità, a partire dall’Inghilterra medioevale, di utilizzare strumenti proprietari per rispondere alle istanze di sviluppo giuridico, mancando una teoria generale delle obbligazioni. Tale flessibilità (e di contro una teoria unitaria della proprietà) mancò nei paesi continentali, ove i giuristi attinsero principalmente al diritto dei contratti. Sul punto, A. CANDIAN, A. GAMBARO e B. POZZO, Property propriété eingentum, Padova, , pp. . Questi sviluppi, rispondenti agli interessi dei litiganti insoddisfatti, si devono, in particolare, all’operare delle Corti di Equity, che così elaborarono la differenza tra ownership at common law e equitable interests (ownership in equity). Sempre guardando all’evoluzione storica, è la rivoluzione francese a bloccare qualsiasi possibilità di utilizzo dello strumento che, nel ceppo dell’eredità romanistica, più si avvicinava al trust: il fidecommesso. Lì l’utilizzo dell’istituto per la trasmissione della ricchezza familiare al primogenito, risultò contrario ai principi egualitari.     Le opinioni, nella dottrina anglo-americana e comparatistica, si dividono circa la migliore adattabilità del vestito proprietario, piuttosto che contrattuale, ovvero di entità giuridica52. L’adesione all’una piuttosto che all’altra interpretazione non è priva di Cfr. Civil Code, art.  e P. MATTHEWS, The French Fiducie: And Now for Something Completely Different?, in  Tr. L. International, , p.  ss. 52 Nel primo senso è la gran parte della dottrina inglese. D. HAYTON, P. MATTHEWS e C. MITCHELL, Underhill and Hayton Law Relating to Trusts and Trustees cit., p.  ss., spec. pp. - e ; J. E. PENNER, The Law of Trusts, a ed., , p.  («Unfortunately the ‘obligational’ view of the trust still occasionally raises its bewildered head to confuse and annoy»); P. A. PEARCE, J. STEVENS e W. BARR, The Law of Trusts and Equitable Obligations cit., p. . Nella dottrina italiana, la posizione dominante in ambito comparatistico, che attinge all’idea della frammentazione della proprietà, trova uno dei suoi primi sostenitori in R. FRANCESCHELLI, Il trust nel diritto inglese, Padova, . La posizione è maggiormente dibattuta nel diritto americano ed è ben ricostruita da R. H. SITKOFF, An Agency Costs Theory of Trust Law cit., spec. pp. -, che, in linea con la lettura di analisi economica, propende, tuttavia, per il modello “organizzativo”, in quanto in grado di meglio interpretare la fusione degli aspetti proprietari e contrattuali (cfr. supra nt. ). Lì, la teoria contrattualista è principalmente supportata da J. H. LANGBEIN, The Contractarian Basis of the Law of Trusts, in  Yale L. J., , p.  ss., il quale individua la struttura contrattuale, che riprodurrebbe la funzione di un contratto a favore di terzi, come il miglior modo per comprendere anche la funzione della normativa esistente (nel senso di norme dispositive e in ogni caso idonee a ridurre i costi transattivi). Si tratta, peraltro, di un’interpretazione che tende a dare centralità alla posizione del beneficiario. L’a. stesso, tuttavia, ammette (p. ) come gli elementi proprietari, non possano essere trascesi ed, in particolare, che la regolamentazione della insolvenza del trustee rappresenti il «weak point of contractarian analysis» (p. , nt. ). È interessante notare, inoltre, come la possibilità da parte del beneficiario di far valere il proprio diritto anche sul bene alienato per breach of trust venga da questa teoria spiegato in termini di “opponibilità del titolo” («vindicate that deal», pp. -), la quale diventa la inevitabile spiegazione se si adotta una prospettiva contrattuale. La rilevanza di tali profili (denominata asset partioning function) è perfettamente illustrata negli scritti di H. HANSMANN e U. MATTEI, cit. supra alla nt. , che infatti fanno riferimento a «the use of trust law to shield trust assets from claims of the trustee’s personal creditors» (H. HANSMANN e U. MATTEI, Trust Law in the United States: A Basic Study of Its Special Contribution cit., p. ). In questa prospettiva, l’aspetto della opponibilità a terzi dell’interesse del beneficiario (l’aspetto c.d. proprietario, secondo gli schemi della law of property) viene visto dall’angolo visuale della valutazione del patrimonio del trustee e del trattamento delle parti che entrano in contatto con lo stesso. Il trust ha così l’effetto di dividere il trustee in due «distinct legal persons: a natural person contracting on behalf of himself, and an artificail person acting on behalf of the beneficiarie» (p. ). Questa prospettiva che viene ascritta alla c.d. organizational law non solo è in grado di cogliere quei profili di separazione patrimoniale (in un ordinamento) di cui si è già parlato nel cap. precedente, ma – a nostro modo di vedere – interpreta al meglio la funzione attualmente assolta dal trust come strumento d’investimento. Vedi infra testo. Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law conseguenze, in termini, ad esempio, interpretazione delle norme esistenti, come derogabili dalla volontà delle parti, ovvero imperative53. Invero, la tesi contrattualista, rendendo derogabile dalle parti gran parte della normativa, ha proprio lo lo scopo di assicurare al settlor ampia libertà di determinazione dei termini del trust, recuperandone l’originaria flessibilità e reinterpretandolo come strumento del mercato54. Tuttavia, appare evidente che la esposizione di terzi diversi dal beneficiario (terzi acquirenti dei beni del trust, creditori del trustee o del beneficiary) trascende la disciplina del contratto a favore di terzi55, e, per gli ordinamenti di civil law, non può essere spiegata attraverso dubbi richiami alle obbligazioni propter rem56. Se l’errore comunemente commesso in dottrina è che gli aspetti proprietari del trust vadano rintracciati nella divided ownership tra trustee e beneficiary57, allo stesso tempo bisogna riconoscere l’opponibilità del contratto, e quindi del diritto del beneficiary nelle ipotesi insolvenza del trustee (per comprenderne la portata, si pensi – nella realtà italiana – a procedure di sequestro o pignoramento), che hanno i caratteri della realità (intesa appunto come opponibilità ai terzi) e che vanno a collocarsi, lì, nell’ampio spettro della law of property. Come si è visto già nel capitolo precedente, questi aspetti, a causa della diversa declinazione del diritto di proprietà negli ordinamenti continentali, appaiono qui diversamente collocati dal sapere e dall’esperienza giuMentre, ad esempio, il diritto inglese impone al trustee un obbligo inderogabile di informare i beneficiaries circa l’amministrazione del trust, nel diritto americano, pur prevedendosi simili regole all’interno Restatement of the Law Third: Trusts e nell’Uniform Trust Code, la situazione si presenta differente, poiché, gli Stati che hanno deciso di adottare l’Uniform Trust Code, l’hanno resa una norma derogabile per volontà del settlor. T. P. GALLANIS, On the New Direction of American Trust Law cit., p. , nt. . 54 J. H. LANGBEIN, The Contractarian Basis of the Law of Trusts cit., spec. . 55 R. H. SITKOFF, An Agency Costs Theory cit., p. . Sulle differenze funzionali tra contratto a favore di terzi e tust, si veda la ricognizione in L. SANTORO, Il trust in Italia cit., p.  ss. 56 Cfr. supra cap. III, nt. . E L. SMITH, The Re-imagined Trust, disponibile in versione elettronica al sito http://ssrn.com/abstract=, testo corrispondente alla nt. . 57 L. SMITH, The Re-imagined Trust cit., testo corrispondente alla nt.  ss. L’a., conformemente a quella prospettiva pronta a disvelare i crittotipi che molto spesso impediscono la comunicazione tra ordinamenti giuridici (cfr. supra nt. ), riconosce nella metafora della divisione della proprietà il principale ostacolo alla compatibilità dell’istituto con gli ordinamenti di civil law. 53     ridici, ma non sono del tutto soffocati od oscurati. La funzione che in common law viene assolta da una complessa law of property (la cui complessità può ascriversi principalmente allo sviluppo di posizioni tutelate in equity), è condivisa, negli ordinamenti di civil law, nel quadro della responsabilità patrimoniale (della separazione patrimoniale). In tal modo, si può meglio comprendere l’analogo risultato che può essere realizzato, tramite il concepire come reale (i.e. “proprietaria”) una situazione soggettiva, cioè opponibile alla generalità dei consociati; ovvero, dando sostanza alla situazione soggettiva originante da un determinato atto giuridico prevedendo la opponibilità di tale atto (come, ad es., il contratto di mandato) alle categorie di terzi potenzialmente in conflitto58. Peraltro, il modello continentale del patrimonio separato tende singolarmente a convergere verso la nuova fisionomia che sta assumendo l’istituto di trust anche nei paesi d’origine, quello di strumento per l’investimento, e che tende ad essere interpretato come “organizzazione”, avvicinandolo al diritto degli enti59. Va precisato che, secondo l’insegnamento tradizionale, il meccanismo del trust in realtà non implica una “frammentazione della proprietà”, né tecnicamente una separazione all’interno del patrimonio del trustee 60. Escludeva che il trust fosse qualcosa di magico non riproducibile in altri ordinamenti, già FRATCHER, voce Trust, in International Encyclopedia of Comparative law, XI, , p.  ss., che correttamente guardava allo special patrimony come equivalente funzionale. Interessante dal punto di vista comparativo è come la nozione di patrimonio separato (del settlor o, in ogni caso, distinto da quello del trustee) sia invocata anche nei sistemi misti come la Scozia o il Quebéc, ovvero nella recente novella legislativa francese sulla fiducie. Cfr. L. SMITH, The Re-imagined Trust cit., testo successivo a nt. . 59 Ciò, si allontana dalla ricostruzione giuridica tradizionale (poiché i trust non sono persone giuridiche), ma si giustifica anche in virtù del trattamento fiscale riservato al trust negli Stati Uniti. Esso viene trattato come un soggetto d’imposta sul reddito, distinto da beneficiaries, settlors, trustees (Internal Revenue Code  C.F.R., subch. J), a meno che il settlor non trattenga benefici o poteri o al beneficiary spettino diritti o facoltà che sono ritenute equivalenti al diritto di proprietà. In questi casi, il reddito derivante dal trust viene tassato come parte del loro reddito (IRC ss. -). 60 L’idea della divisione/frammentazione della proprietà, si ritrova di frequente in case law (tra tutti, Ayerst v. C & K (Construction) Ltd [] AC , spec. p. ) e in dottrina, ma rinvia a quella distinzione tra proprietà at common law (quella del trustee) e proprietà in equity (quella del beneficiary), che non trova corrispondenza in altri sistemi giuridici, e che, funzionalmente, può essere tradotta solo in termini di diritti (o, in senso, più generico di prerogative) sui beni, quando risultino opponibili ai terzi. Allo stesso tempo, non è propriamente corretto immagi58 Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Inoltre, proprio per lo sviluppo dell’utilizzo e dello sviluppo dei trust dinamici negli ultimi tempi, alcune di queste differenze tra famiglie giuridiche tendono, non più soltanto ad ricomposte utilizzando gli strumenti della comparazione funzionale, ma altresì a scomparire. Proviamo a dar conto, brevemente, di ciò. Mancando una nozione di patrimonio – e di patrimonio separato – nei sistemi di common law, il ragionamento giuridico ha concepito in via indipendente gli assets (trust property), da un lato, e le liabilities in capo al trustee, dall’altro61. Il trustee è, infatti, il proprietario legale dei beni trasferitigli (o di cui era già precedentemente proprietario), i quali, allo stesso tempo, vengono a costituire un complesso unitario e mutevole, in conseguenza delle attività compiute nell’esercizio del suo incarico (trust property o trust fund)62, che non può nare una separazione di tipo bilaterale, tra trust fund e patrimonio generale del trustee. In questo caso, poiché manca la nozione di patrimonio negli ordinamenti di common law. Da un punto di vista funzionale, tuttavia, il risultato che deriva da un rapporto di trust è quello assimilabile una separazione, tendenzialmente, unilaterale a favore dei beneficiaries. Anche nella prospettiva giuseconomica, si esclude che quella originante dal trust sia una “separazione di proprietà” (divided ownership), la quale – aggiungiamo – at common law sarebbe inconcepibile per la personal property (cfr. E.L.G. TYLER e N.E. PALMER, Crossley Vaines’ Personal Property, a ed., London, , p. ), piuttosto un più efficiente metodo di amministrazione della proprietà. Sul punto R. A. POSNER, Economic Analysis of the Law cit., p.  s. e R. EPSTEIN, Past and Future: The Temporal Dimension of the Law of Property, in  Wash. U. L. Q., , p.  ss., in part. p.  ss. e passim. 61 Questa è la rappresentazione secondo i principi tradizionali. Cfr. AA.VV., Scott and Ascher on Trusts , IV, a ed., Aspen, , pp.  ss. 62 La trust property (insieme a quella di trust estate è l’espressione utilizzata anche dal Restatement (Third) of Trusts § ) comprende tutti beni originariamente conferiti al trustee, i loro frutti, e ogni bene acquisito successivamente dal trustee, il cui acquisto possa considerarsi “autorizzato” (sia se ex ante sia ex post, se ritenuta dal benficiary vantaggiosa). D. HAYTON, P. MATTHEWS e C. MITCHELL, Underhill and Hayton Law Relating to Trusts and Trustees, cit., pp.  e . La nozione di asset, su cui si rinvia a F. DE FRANCHIS, voce Assets, Dizionario giuridico, I, Milano, , p.  s., corrisponde ad ogni voce inquadrabile all’attivo di un patrimonio. La nozione di trust fund come complesso patrimoniale che evidenzia i successivi acquisti e scambi originanti dalla property iniziale è ricavabile dall’inglese Law of property Act (), ove si distingue tra i diritti che consistono nel rapporto con beni determinati – per le loro caratteristiche intrinseche –, e statuto dei beni apprezzati per il loro valore monetario (come valore capitalizzato), quali sono quelli conferiti all’atto di costituzione del trust. Cfr. B. RUDDEN, Thing as thing and things as wealth, in  Oxford Journal of Legal Studies, , p.  ss. e M. GRAZIADEI e B. RUDDEN, Il diritto inglese dei beni e il trust: dalle res al fund, in Quadrimestre, , p.  ss. Avvicinava il concetto di fund a quello di universitas iuris P.G. JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, , p. .     essere aggredito dai suoi creditori personali, nemmeno in caso di insolvenza, essendo destinato al beneficiary (o ad uno scopo), e ai creditori di questi. Per altro verso, il trustee è personalmente responsabile di tutte le obbligazioni da lui assunte, siano esse o meno ascrivibili all’ufficio di trustee, salvo un diritto di rivalersi sul trust fund nel primo caso63; e, talora, risponde con il proprio patrimonio, nella misura in cui il fondo di trust si riveli insufficiente64. Come si è detto, questi profili di responsabilità personale tendono ad attenuarsi65. In ogni caso, il trustee non può vincolare il beneficiary, il quale però può agire con effetti sul trust fund, o perché lo ha impegnato direttamente, ovvero perché sul trust fund possono rivalersi i suoi creditori, anche per debiti non dipendenti dall’operare del trust 66. .. Segue. L’infedeltà del trustee: rimedi reali a tutela del beneficiary e altre forme di privilegio Giungiamo, così, a delineare quale sia la posizione dei beneficiaries, rispetto alla trust property, posizione che, proprio per lo storico procedere ri63 Tale diritto è assistito da privilegio (che prevale sui diritti degli stessi beneficiari) e da ritenzione sui beni del fondo. Cfr. HAYTON ET AL., Underhill and Hayton Law Relating to Trusts and Trustees cit., p.  ss. Il trustee, secondo i principi tradizionali, è responsabile personalmente, a qualsiasi titolo (contrattuale, extra-contrattuale), per gli aspetti connessi alla gestione del trust. Cfr. AA.VV., Scott and Ascher on Trusts cit., pp. -. Ma, diversamente, l’Unifom Trust Act, s. , ss. -, che prevede l’esclusione di responsabilità nel caso in cui il trustee abbia dichiarato di agire secondo tale ufficio, e, nella generalità dei casi, in ogni caso solo in caso di illecito (contrattuale, extra-contrattuale, amministrativo) colpevole. E in generale, Scott and Ascher on Trust (op. loc. cit) riporta come sia in caso di responsabilità contrattuale, extracontrattuale, eccedente la disponibilità del trust estate, la legislazione uniforme tenda a limitare l’ambito della responsabilità personale, facendo in ogni caso salvo il right of indemnity. 64 Questa è la posizione del diritto americano, non del diritto inglese che consente la possibilità di rivalersi nei confronti dei beneficiaries. Cfr. AA.VV., Scott and Ascher on Trusts cit., p.  ss. Cfr. anche, M. GRAZIADEI, U. MATTEI e L. SMITH, Commercial trusts in European private law cit., p. , riportata supra nt. . 65 Vedi supra nt. precedente, nonché i recenti sviluppi del diritto americano che, proprio in virtù della prevalente considerazione del trust come organizzazione, esclude la confusione della posizione debitoria e creditoria, quando uno dei due lati dell’obbligazione riguardi l’ufficio di trustee AA.VV., Scott and Ascher on Trusts cit., II, p. , che riporta le previosioni della legislazione uniforme, statale, la regola contenuta nel Restatement (Third) of Trust §§ . 66 D. HAYTON, P. MATTHEWS e C. MITCHELL, Underhill and Hayton cit., p. . Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law mediale del diritto inglese, si comprende meglio nelle ipotesi patologiche: di inadempimento del trustee, eventualmente associato alla sua insolvenza. Accanto ai rimedi “personali” (responsabilità per danni o alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, comune a tutte le ipotesi di breach of trust), nell’ipotesi in cui il trustee abbia in modo illecito/in conflitto d’interessi concluso contratti in difetto di autorizzazione (i.e. eccesso o assenza di incarico) o tratto profitto dalla sua posizione fiduciaria rispetto ai beni affidatigli, si riconosce al beneficiario la possibilità recuperare il bene (o suoi sostituti) ottenuto dal trustee in conseguenza del proprio inadempimento (ad es. denaro ricevuto in caso di corruzione), ovvero di vantare una sorta di privilegio per il valore corrispondente all’oggetto della contestazione67. Tali pretese vengono qualificate come proprietary, sebbene, ancora una volta, l’aggettivo vada inteso evitando facili assimilazioni. Correntemente, si parla in proposito di pretese restitutorio-proprietarie, il cui oggetto può estendersi anche a beni frutto di successive operazioni aventi ad oggetto un valore del fondo, si pensi, ad esempio, all’acquisto di un’autovettura con denaro del trust 68. La realità del rimedio risiede nelSi fa riferimento ai rimedi del constructive trust e del lien, che – si ricorda – si applicano ad ogni fattispecie di fiduciary duties (tra cui – come visto – vi è anche l’agency). Non è possibile, ovviamente, in questa sede dar conto dell’intera disciplina e casistica rilevante, con particolare riguardo ai compensatory e restitutionary remedies, per la quale si rinvia alle trattazioni generali D. HAYTON ET AL., Underhill and Hayton cit., p.  ss. e R. PEARCE ET AL., The Law of Trusts and Equitable Obligations cit., p.  ss. 68 La distinzione tra rimedi personali e proprietari è basata – per utilizzare una terminologia familiare – non sulla causa petendi (rispetto alla quale sembra più modellarsi la categoria delle claim), ma sul petitum. Ne deriva che rimedi personali sono quelli, tendenzialmente per equivalente (ma lo è anche la specific performance), e che possono essere fatti valere solo nei confronti dell’autore dell’illecito; proprietari, quelli che riguardano un bene specifico e possono essere opposti a terzi. Ci permettiamo di rinviare a CAGGIANO, Property rights over money cit., ntt.  e . L’assenza, per un verso di rimedi proprietari in senso stretto at common law con riguardo alla personal property (in un senso assimilabile alla vindicatio, cfr. T. WEIR, A Casebook on Torts, a ed., London (Sweet&Maxwell), , pp. -), il procedere ancora parallelo dei rimedi di equity rispetto a quelli di common law, ed, infine, il solo recente sviluppo del settore scientifico della law of restitution in quanto governato da un unitario principio, hanno determinato un procedere alquanto disordinato del case-law relativamente alla esatta qualificazione di quei rimedi che hanno riguardo a beni determinati. Questi ci sembrano alcuni dei fattori determinanti il dibattito, interno al diritto inglese, sulla qualificazione, come restitutoria-proprietaria (ovvero di restituzione avente ad oggetto beni determinati) ovvero puramente proprietaria, della pretesa avente ad oggetto il recupero di sostituti un bene facente parte di un fondo di trust. Sul 67     l’aver riguardo a rapporti con terzi, cui può essere diretta, in alternativa rispetto al recipient immediato, la pretesa recuperatoria69; ma, altresì, nel fatto che tale pretesa, anche su un sostituto, può essere fatta valere di fronte ad un’altra categoria di terzi: i creditori dell’intermediario, nell’ipotesi di sua insolvenza o di aggressione dei propri beni70. I beni, frutto in vario modo dell’agire illecito del trustee, ad elezione del beneficiary possono essere considerati parte del fondo di trust, e ad essi si estende il suo regime. Nell’ipotesi più incisiva (quando è possibile ricorrere al rimedio del constructive trust), il terzo che si trovi in possesso di un bene del fondo viene considerato come se fosse un trustee nominato (constructive trustee)71, cui può essere richiesta la restituzione del bene in specie (o di un suo punto GOFF e JONES, Law of Restitution, a cura di G. Jones, a ed., London (Sweet&Maxwell), , p.  ss. 69 In questo senso, ma solo approssimativamente, può parlarsi di uno jus sequelae, o, meglio, di situazione opponibile a talune categorie di terzi. Gli autori inglesi, in particolare, cercano l’equivalente dei sistemi di civil law nella espressione surrogazione reale (real subrogation). F.H. LAWSON e B. RUDDEN, The law of Property, a ed., Oxford, , : «Civil lawyers use the phrase ‘real subrogation’, to denote the case where one thing (res) stands in for another». L’assimilazione, sul piano funzionale, è supportata dal fatto che la disponibilità dei rimedi non sia legata allo stato soggettivo del trustee (buona o mala fede). Cfr. D. HAYTON ET AL., Underhill and Hayton cit., pp.  e -, i quali tacciano una parte del case-law che tende a parlare di una wrong-based liability. Tuttavia e in senso contrario, è bene precisare che è necessaria la prova di uno stringente nesso di causalità tra l’inadempimento (breach of fiduciary duty) e il guadagno ottenuto, recte, tramite un’inversione dell’onere della prova, che la violazione del dovere fiduciario non ha rivestito alcuna efficienza causale sul guadagno ottenuto. Ancora D. HAYTON ET AL., Underhill and Hayton cit., p.  s., citando, tra le più recenti, Murad v Al-Saraj [] WTLR, p. , spec. [], dictum di Arden LJ. 70 G. MCCORMACK, Property claims and insolvency, London (Sweet & Maxwell), , pp. -. Ancora, il connotato reale anche nell’ipotesi di insolvenza ha un’evidente importante ricaduta pratica. «If the fiduciary is sufficiently solvent then the beneficiaries will normally be happy to elect for payment to them of the appropriate amount, thereby leaving the fiduciary, as purchaser, entitled to the particular assets that represent his unauthorised gain. However, if the fiduciary is insolvent then the beneficiaries should insist on their proprietary rights because their personal remedy will be worth very little» HAYTON ET AL., Underhill and Hayton cit., pp.  e , richiamando Swain v Law Society []  All ER, p. , in part. p.  s. 71 HAYTON ET AL., Underhill and Hayton cit., p.  ss. L’idea di procedere per finzioni (il ricorso al congegno logico del come se), nello sviluppo del diritto, proprio degli ordinamenti basati sul diritto giurisprudenziale e caratterizzati da un alto tasso di rigidità, è stato già sottolineato nel cap. II, nt. . Propenderebbe per l’espunzione dei termini constructive trust, quasi contract, perché forieiri di fraintendimenti, P. BIRKS, An Introduction to the Law of Restitution, Oxford (OUP), , p. . Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law sostituto) ovvero se il sostituto è un bene individuabile nelle mani del trustee, il suo eventuale maggior valore si rifletterà nell’incremento del valore (della quota) spettante al beneficiary. In alternativa, il beneficiary può richiedere che il risarcimento del danno per breach of trust sia garantito dal privilegio imposto sul bene acquistato dal convenuto (lien o charge). È fatto salvo, in ogni caso, l’acquisto da parte del terzo, purchè in bona fide for value with notice72. Allo stesso tempo, se per effetto di un’operazione su un bene in trust, il trustee abbia acquistato, o si trovi nella disponibilità di un altro bene (che possa considerarsi un sostituto), il beneficiary potrà richiederne la restituzione, con prevalenza rispetto ad ogni altro creditore del trustee. Tuttavia, i contorni, le tassonomie e, principalmente, l’esatta portata di tale posizione di tipo reale in capo al beneficiary sono ancora oggetto di dibattito, nella dottrina inglese, anche in considerazione del fatto che il discorso viene condotto in una prospettiva più ampia, comprendendo tutte le ipotesi in cui è possibile ricorre a rimedi aventi connotati di realità, non solo quando questi accedano ad un pre-esistente rapporto di trust o di altro fiduciary duty73. 72 In pratica ciò significa che il beneficiary può recuperare la specific trust property oppure its traceable exchange product dal trustee o da colui cui il trustee ha trasferito il bene anche in caso di insolvenza o morte del trustee, e, quanto ai terzi acquirenti, purchè non si tratti di bona fide purchaser for value without notice dell’esistenza del trust, di un suo sub-acquirente o nei casi specifici previsti dalla legge. A tal proposito, è fatta salva anche l’eventuale change of position del terzo acquirente, ovvero laddove ricorrano ulteriori regole di circolazione che fanno salvo l’acquisto del terzo da parte di soggetto non legittimato (es., in caso di immobili, nel diritto inglese Land Registration Act , , ,  (),  ()). Cfr. HAYTON ET AL., Underhill and Hayton cit., p.  ss. 73 Come abbiamo già iniziato a vedere (cfr. supra nt. ), si discute, nella dottrina inglese, come vada qualificata l’azione esercitata dal beneficiary sui sostituti del bene appartenene alla trust property. Mentre dubbi non sono mai sorti in ordine al carattere “puramente proprietario” (pure proprietary claim) dell’azione volta al recupero del bene medesimo sottratto al trust (GOFF e JONES, The law of Restitution cit., p. ), la dottrina prevalente ha, per lungo tempo, teso a caratterizzare come restitutoria (ovvero fondata sull’evento-unjust enrichment) la pretesa avente ad oggetto un sostituto del primo (individuato come tale tramite il procedimento di tracing). Cfr. P. BIRKS, Unjust Enrichment, a ed., Cambridge (CUP), , p.  ss.; SMITH, Law of Tracing, pp. -. Prestesa proprietario-restitutoria è una categoria utilizzata per distinguere la restituzione di cosa determinata, anche in capo a terzi aventi causa, rispetto alla ripetizione per equivalente (ad es. è personal restitutionary remedy l’azione for money had and received). Quest’ultima viene liquidata in base al criterio dell’arricchimento conseguito dal recipient (plaintiff). La prima, invece, guardando al recupero del bene di cui si è persa la disponibilità, ha per oggetto il bene stesso o ciò che – in base ai principi del sistema – lo rappresenti. Partendo da que-     L’alternativa che si è posta è quella di considerare i rimedi che possono colpire i sostituti dei beni in trust come proprietari in senso stretto, ovsta distinzione, (BIRKS, An Introduction to the Law of Restitution cit., p. , parla di, rispettivamente, second e first measure), che costituisce il criterio di quantificazione nella tradizionale distinzione tra restitution per unjust enrichment e restitution for wrongs, parte della dottrina ha espressamente contestato la portata uniformante del principio dell’unjust enrichment, non in virtù di un differente risultato per l’attore (si tratta di casi in cui la perdita dell’attore equivale al guadagno del convenuto), ma del fatto che in tal modo la pretesa viene a colpire beni mai appartenuti all’attore. Non può trattarsi in senso stretto di “restituzione”. In tal senso, G. VIRGO, The Principles of the Law of Restitution, a ed., Oxford (OUP), , pp. -; ID., What is the Law of Restitution About, in AA.VV., Restitution. Past, Present and Future, Oxford (Hart), , p.  ss., che distingue tre differenti “causae petendi” (grounds, causes of actions, events) alle pretese restitutorie (unjust enrichment, wrongdoing – tra cui rientrano il breach of contract e di fiduciary duties –, vindication of property rigths). In questi ultimi due casi il diritto spettante a colui che ha perso la disponibilità di un diritto o di una situazione di vantaggio, non viene calcolata in base al guadagno del convenuto, e quindi non può parlarsi di ipotesi governate dal principio dell’arricchimento ingiustificato, a meno di non considerarlo in senso meramente descrittivo e non sostanziale (ovvero tale da determinare il quantum del diritto/pretesa dell’attore). Nel pensiero dell’a., inoltre, non vi è necessaria coincidenza tra il carattere “proprietario” dell’azione (nel senso supra specificato di claim) e quello del rimedio (potendo la pretesa, pur essendo misurata sulla perdita subita, e basata sulla titolarità del bene, chiedere la resitutuzione dell’equivalente – money had and received). Ritornando, ora, al discorso iniziale (il carattere restitutorio-proprietario del rimedio volto ad ottenere la “restituzione” del sostituto), tale dottrina sostiene che, invece, la scelta dei criteri dell’attribuzione proprietaria appartenga alla law of property, e che il trasferimento del bene per effetto di una pretesa alla consegna del bene all’attore vada affermata in base alle sue leggi di circolazione. Questa posizione è stata accolta dalla House of Lord in Foskett v Mckeown []  All ER, p.  ss., in part. pp. - per Lord Millet, che ha pienamente accolto la qualifica come proprietario del rimedio volto al recupero del traceable proceed. Nonostante l’authority in Foskett, l’unitarietà della categoria restitutoria, come fondata sul causa dell’unjust enrichment, continua ad essere sostenuta, tra gli altri, da BIRKS, Unjust Enrichment, a ed. cit., p.  ss., ove si contesta che non vi sia necessità logica per escludere che un ordinamento consenta il sorgere di una pretesa proprietaria da una fattispecie di ingiustificato arricchimento, e che, modificando rispetto alla prima edizione dell’opera, la categoria della restitution for wrongs vada studiata nell’ambito dell’illecito (essendo, ancora una volta criterio discriminante, la cause of action). Si veda altresì A. BURROWS, Proprietary Restitution: Unmasking Unjust Enrichment, in  L.Q.R., , p.  ss. e, ancora più di recente, ID., The Law of Restitution, a ed., Oxford (OUP), , p.  ss., ove si sostiene che l’idea proprietaria è solo una finzione per ribaltare l’ingiustificato arricchimento del recipient. In giurisprudenza, propende per un’idea del tracing come parte della law of restitution il pronunciamento in El Ajou v Dollar Land Holdings plc (No ) []  All ER , spec. . Sull’unjust enrichment come principio informante ogni pretesa restitutoria, nel case law, Lipkin Gorman v Karpnale Ltd. []  AC, p. , un caso di tracing at common law, in cui tuttavia, si parla di base proprietaria della tracing claim; in dottrina, si veda GOFF e JONES, The law of Restitution, a ed. London (Sweet&Maxwell), , p.  e ID., The Law of Restitution cit., p. . Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law vero parte della law of restitution. L’adesione all’una piuttosto che all’altra prospettazione incide non solo sul novero delle eccezioni disponibili dal primo recipient ovvero dai terzi aventi causa74, ma, principalmente, sembra condizionata dal timore di consentire, accedendo alla tesi restitutoria, l’ingresso nel diritto inglese del c.d. remedial constructive trust 75. Tornando all’ipotesi centrata sulla pre-esistenza di un express trust, vediamo in che modo possano essere individuati e quindi perseguiti i beni del trust fund (le medesime logiche sono utilizzate per individuare l’oggetto delle pretese restitutorie in ipotesi in cui un trust o altro rapporto fiduciario non pre-esista). Tali regole di individuazione sono state concepite, nelle argomentazioni della giurisprudenza e dottrina inglesi, come procedimenti distinti, tracing e following (ovvero di tracing per il diritto americano)76. Essi, che come si è accennato, non hanno una portata limitata alla tutela dei beni in trust, assistono in modo differente i rimedi di equity rispetto a quelli di common law77, la differenza basandosi sul fatto se via sia o meno una (non necessariamente pre-esistente) fiduciary relationship78. 74 VIRGO, What is the Law of Restitution About cit., p.  ss., con particolare riguardo alla defence della bona fide purchase, e sui limitation periods; non ugualmente sulla change of position, che anche se con criteri differenti, è considerata operare anche nel caso di vindication of property. 75 Su cui infra paragrafo successivo, nt. . 76 L. SMITH, The law of tracing cit. è la prima opera completa sul punto. Non distingue, invece, tra tracing e following R. GOODE, The Right to Trace and its Impact on Commercial Transactions I e II, in  LQR, , p.  ss. e p.  ss. La differenza è seguita dal case law (Foskett v McKeown). 77 Questa differenza persiste ancora, nel diritto inglese. Tuttavia, lì, la giurisprudenza ha da tempo avanzato l’ipotesi di sviluppare un assetto di regole comuni che siano applicabili alle pretese secondo common law e secondo equity: Foskett v McKeown [] AC, p. , []  All ER , []  WLR , HL, per Lord Millett. Nell’obiter, Lord Millett affermò che, sebbene se ne potesse prospettare una visione unitaria, non fosse quella ‘the occasion to explore these matters further’. Le regole di common law e equity, quindi, continuano a divergere. Ma contra l’equiparazione delle regole, con riguardo al denaro, è FOX, Property rights in money, cit., passim. 78 Agip (Africa) Ltd v. Jackson [] Ch. , spec. p. ; il case è anche riportato in []  W.L.R. , []  All E.R. . Qui si ribadisce come la violazione di un fiduciary duty ricorra anche nel caso di agency o di rapporto di lavoro. Cfr., inoltre, El Ajou v Dollar Land Holdings plc []  All ER . La distinzione non è meramente basata sulla pre-esistenza o meno di un fiduciary duty, o sul fatto di essere venuti in contatto con della trust property, potendo le più flessibili regole del tracing in equity essere invocate anche nell’ipotesi di operazioni commerciali in cui un constructive trust sorga in funzione restitutoria, a seguito dell’operazione contestata. Sul punto, si     Si tratta, in ogni caso, di procedimenti probatori (evidential) serventi rispetto all’azione proposta79. Che l’attenzione sia rivolta al bene trasferito (following) o al suo sostituto (tracing), tramite essi si verifica se vi siano beni sui quali si possa appuntare la pretesa invocata80. Come vedremo dallo sviluppo del capitolo, non ci sembra, che la caratterizzazione come “probatoria” delle regole relative valga ad far obliterare, in una prospettiva comparativa, il rilievo che assume la possibilità di avvalersene, giacchè, ferma l’antecedenza logica della individuazione del diritto o del rimedio che si può far valere, da esse regole dipendono i caratteri dell’uno e dell’altro81. In altri termini, altro è analizzare quali sono i criteri veda infra para. , nonché SMITH, The Law of Tracing cit., p.  ss., spec. p. , citando l’autorità in Chase Manhattan Bank NA v. Israel-British Bank (London) Ltd. [] Ch.  (Ch. D) (un ipotesi di pagamento fatto per errore in cui l’accipiens fu ritenuto trustee per conto del tradens). 79 La distinzione è resa chiara in Foskett v McKeown [] AC, p. , spec.  s., ove, adottando la terminologia che è in SMITH, The Law of Tracing cit., p.  ss. si chiarisce che mentre tracing e following «are both execises in locating assets which are or may be taken to represent an asset belonging to the plaintiffs and to which they assert ownership» e in relazione ai quali «a claimant can elect whether to follow the original asset into the hands of the new owner or to trace its value into the new asset in the hands of the same owner», claiming «will depend on a number of factors including the nature of his interest in the original asset …[…] may also be exposed to potential defences as a result of intervening transactions». In una prospettiva, più vicina al civil lawyer, solleva un binomio parallelo, tra evidential e substantive questions, BIRKS, Mixtures cit., p. . Sul carattere “procedimentale” del tracing, si veda altresì, Boscawen v Bajwa Ch. []  All. E. R., p.  ss. 80 SMITH, The Law of Tracing, cit., p. , chiarendo come il meccanismo del tracing non dia vita a nuovi diritti proprietari, ma consente che essi possano essere predicati con riguardo ad un ampio raggio di beni, in relazione ai quali poi l’attore effettuerà la scelta. 81 Il discorso appare più chiaro se si ha riguardo al tracing, ovvero alla rei-perseguibilità dei sostituti del bene oggetto del diritto che si fa valere. La disponibilità in sè di tale procedimento (in quanto distinta dalle regole poi concretamente adottate per individuare i sostituti) tende ad ampliare non solo il ventaglio dei beni aggredibili, ma, altresì, modifica i contorni stessi del diritto/rimedio che si fa valere. In questo senso, S. MORIARTY, Tracing, Mixing and Laundering, in AA.VV., Laundering and Tracing, a cura di P. Birks, Oxford (OUP), , p.  ss., spec. p.  s.: il tracing mira ad «ensuring that the remedies which a plaintiff would otherwise have in respect of an asset are not wholly defeated by the replacement, or mixing, of that asset with other property». Si spinge oltre, C. ROTHERHAM, The Metaphysics of Tracing: Substituted Title and Property, in ID., Proprietary Remedies in Context, Oxford (Hart), , p.  ss., il quale, discostandosi dall’insegnamento dominante, parla del tracing come di un intermediate remedy. Va, infine, precisato come, da un punto di vista cronologico “l’esercizio del tracing” preceda l’individuazione del rimedio nel senso di condizionarne l’effettiva esperibilità (ad es. nella scelta tra constructive trust/charge). Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law del following/tracing – si tratta in questo caso evidentemente di questioni di prova, secondo il consueto argomentare della dottrina anglo-americana – altro è vedere quali siano le pretese che possono servirsi di tali procedimenti, e, in astratto, in che modo il rimedio si caratterizzi e quando i terzi possano essere interessati82. Per tale motivo riteniamo che, per una migliore intelligenza delle questioni proposte, non sia possibile analizzare i meccanismi della “identificazione” senza avere riguardo al rimedio al quale afferiscono di volta in volta. Vediamo, quindi, più da vicino, quale funzione in una relazione di trust assolva il procedimento del tracing (in equity), che è il meccanismo più singolare e rilevante83. Difatti, inseguire nelle mani del terzo acquirente il bene oggetto della operazione non autorizzata potrebbe scontrarsi con l’ -altamente probabilesuo acquisto in buona fede; di contro, la possibilità di poter vantare il medesimo diritto su un suo sostituto, nelle mani del gestore infedele, garantisce al beneficiary una più adeguata protezione dei propri interessi84. 82 Si pensi, come si vedrà più avanti, con alcuni esempi tratti dal case law, alla possibilità di fare valere una pretesa reale su sostituti (beni acquistati con) di una somma originariamente sottratta, che abbiano un valore superiore alla somma stessa; ovvero quando sia possibile estendere la pretesa a terzi acquirenti. 83 Il following corrisponde alla ricerca del bene oggetto della pretesa (secondo meccanismi ben noti e utilizzabili, ad es., in caso di rivendica o di restituzione di cosa determinata) e, normalmente, non ha per oggetto il denaro. Inoltre, escludendosi l’ipotesi di scuola delle monete/banconote all’interno di una cassetta o di un sacchetto, anche quando il denaro ne fosse l’oggetto, secondo un’opinione autorevole, anche il versamento di denaro in conto bancario comporterebbe una sostituzione (e non una mera change of form). SMITH, Law of Tracing cit., p. . 84 Il più elementare operare dei meccanismi del tracing/following è illustrato da SMITH, Law of Tracing, p. , sebbene con riguardo ad una ipotesi-tipo non fiduciaria: «Suppose that a thief steals my computer and swaps it for a stereo, which he then gives to his brother. To assert a claim in relation to the computer, I must follow it; I do not need to trace. Following it into the possession of the thief will allow me to asset a claim against him, and following it further might allow claims against others. If I am to assert a claim against the thief ’s brother, I have to trace through the substitution of the stereo for the computer. Then I have to follow the stereo to its receipt by the brother. Following and tracing can thus appear in the same story. But sometimes, one technique is available where the other is not. When the thief steals my computer and swaps it for a stereo, the logical possibiilities are to follow the computer or to trace through the substitution into the thief ’s rights to the stereo. But if he gave the computer to someone, there would be no substituted asset received by the thief, and all I could do would     Questa possibilità, tuttavia, rappresenta un’esigenza quasi logica nella policy dei rapporti giuridici caratterizzati dall’agire per conto, la quale abbiamo già visto accompagnare, nel diritto italiano, il meccanismo della separazione patrimoniale e degli acquisti nel rapporto di mandato85. Pertanto, in questa prospettiva, non sembrano rivestire carattere di particolare novità le regole dell’equity anglosassone; come pure, allo stesso tempo, acquista un sapore puramente interno il dibattito della dottrina inglese circa le fonti che giustificano il sorgere di un diritto di proprietà su nuovi beni – sostituti – ovvero sul tracing come espressione di un più ampio potere di ratifica86. In entrambi i casi, nell’ottica comparativa, si tratta di questioni che non sollecitano particolare attenzione, in quanto assorbite nel diritto italiano dai meccanismi della separazione patrimoniale. Ci sembra, invece, come si vedrà a breve, che un notevole interesse rivesta lo sviluppo delle regole del tracing at equity in caso di trasferimenti monetari, perché in grado di meglio garantire l’efficacia della regola; nonché l’estensione della sua operatività al di fuori della pre-esistenza di un rapporto fiduciario. Come detto, le regole del tracing forniscono i criteri attraverso cui identificare un bene che venga a sostituire quello originariamente alla base della pretesa, in successive operazioni di scambio87. Esse presuppongono, be to follow the computer […] other case can allow tracing but not following. If someone steals my cake and sells it, and the buyer immediately eats it, the execise of following the cake is at an end. Tracing, on the other hand, leads to the price received by the thief». 85 Cfr. supra cap. III, nt. . 86 Sul primo punto, cfr. supra nt.  e relativo testo. Sul secondo, C. ROTHERHAM, The Metaphysics of Tracing etc. cit., p.  s. Ad ogni modo, ci sembra assorbente la considerazione che una lettura del tracing come ratification, non verrebbe a rappresentare la nozione tecnica di ratification, ovvero ne confinerebbe la rilevanza solo al caso di una manifestazione di un potere rappresentativo. 87 Non si può tracciare qualsiasi operazione che si dimostri esser stata effettuata sulla base dell’erronea convinzione generata dal trasferimento contestato, ma deve trattarsi di operazioni aventi ad oggetto proprio il bene contestato. Es. acquisto un nuovo orologio e, di conseguenza, regalo il mio vecchio ad un amico. In seguito, si verrà a scoprire che il mio nuovo orologio, in realtà, era stato stato rubato. Il suo originario proprietario non potrebbe esercitare un’azione volta alla restituzione del mio vecchio orologio, non essendo esso tecnicamente un sostituto del proprio. Tuttavia, il tracing può applicarsi anche ad azioni personali (nel senso di aventi ad oggetto una somma di denaro, l’equivalente monetario), quando vengano esercitate nei confronti di un terzo, ad es., in common law, l’actio for money had and received; oppure nel caso Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law nella variabilità degli assets di volta in volta coinvolti, passaggio in ognuno di essi del valore del bene originario, sebbene appaia evidente come questa possibilità passi per una caratterizzazione metaforica88. Nel caso – che qui tuttavia non rileva – in cui ad essere esercitata sia un’azione di common law89, i beni oggetto della pretesa restitutoria possono essere “tracciati” solo attraverso clean substitutions, vale a dire solo nelle situazioni in cui i beni originari siano comunque identificabili, sia pure attraverso sostituzioni90. dell’immediato recipient quando risulti più conveniente recuperare un bene sostituto di più alto valore (ad es. il ricavato della vendita di un bene acquistato con il denaro sottratto, per un prezzo superiore a quello dell’acquisto). Cfr. BORROWS, The Law of Restitution cit., p.  s. 88 Critica il meccanismo di funzionamento del tracing in quanto metaforico e, in quanto tale pericoloso, C. ROTHERAM, Proprietary Relief as Restitution, in ID., Proprietary Remedies in Context cit., p.  ss., spec.  (sulle insidie): «Often, such metaphorical reasoning brings with it its owns form of logic that may lead the law in directions in which the courts would not otherwise venture. If we were to remove the metaphors completerly we would be liable to feel utterly lost. Without the metaphysics, these doctrines need fresh justifications – and we sould find that the positive law corresponds only imperfectly with any we might offer». 89 Può trattarsi tanto di azioni a tutela della proprietà in senso stretto (per quanto non appartengano alla partizione scientifica della law of property), quanto di azioni restitutorie. PEARCE ET AL., The Law of Trusts and Equitable Obligations cit., p.  ss. 90 Ciò comporta che l’identificazione sia possibile solo nel caso in cui non siano coinvolti beni fungibili quindi, a parte rare coincidenze, mai quando ad essere coinvolte siano somme di denaro, sebbene detenute in conti correnti bancari. Le trattazioni più puntuali sul punto sono in GOFF e JONES, The Law of Restitution, a ed. cit., p.  ss. e, con riguardo alle pretese at common law aventi ad oggetto somme di denaro (limitate all’azione personale for money had and received) p.  ss. (si ricordi, infatti, che l’azione di quantum meruit e quantum valebat sono relativa alla remunerazione per sevizi effettuati e corrispettivo per beni forniti dall’attore), e AA.VV., Law of Bank Payments, a cura di M. Brindle e R. Cox cit., p.  ss., spec. pp.  e . In virtù del carattere personale dell’azione, per il vittorioso esperimento della stessa è sufficiente dimostrare il trasferimento di somme dell’attore al convenuto (non anche in persistere del bene in capo al secondo), ma nei passaggi successivi, l’eventuale confusione con altro denaro di quest’ultimo, non consenta poi di tracciare l’iniziale somma nel conto di un terzo beneficiario di un versamento effettuato dal conto del convenuto. Nei confronti di questi, pertanto, l’azione è destinata a fallire. Ovviamente, le fattispecie, complicate dall’esistenza di rapporti di conto corrente presso gli istituti bancari, possono eccezionalmente risultare vittoriose. Sono i casi di Banque Belge pour l’Etranger v Hambrouck [] K. B. , e Lipkin Gorman v Karpnale Ltd []  AC . Nel primo caso si trattava di un’azione esperita da un istituto bancario in relazione ad un conto tenuto presso lo stesso, da cui erano stati effettuati successivi trasferimenti in due differenti banche (trattavasi di assegni spiccati, senza l’autorizzazione del titolare, da un conto presso la banca attrice, al conto di un dipendente del primo, e quindi a quello della sua amante). L’azione sul saldo del conto dell’amante risulta vittoriosa poiché non vi erano stati ul-     In verità, si distingue tra la confusione di cose corporali fungibili all’interno di una massa comune (bulk) rispetto alla confusione di denaro, sia esso considerato nella sua tangible o intangible form, ovvero l’acquisto tramite il denaro di un diverso bene91. Ma, in ognuno di questi casi la risposta dell’ordinamento, anche quando ne si voglia giustificare la permanenza con l’idea della tutela degli interessi dei terzi (creditori), risulta significativamente condizionata da una stringente concezione materialistica dei beni, che risulta invero dubbia92. teriori versamenti in questo e il denaro presente (seppure nella forma di chose of action) era senza dubbio ricollegabile all’iniziale chose of action dell’attore. Ugualmente, in Lipkin, ancora, il versamento di assegni non autorizzati, nel conto dell’autore dell’illecito e da questi poi utilizzato per giocare al casinò, poiché – non confusosi con altro denaro – è stato ritenuto supportare l’azione for money had and received nei confronti del casinò. Tuttavia, distinguishing rispetto a Banque Belge, l’esercizio di tracing at common law fallisce in Agip (Africa) Ltd v Jackson [] Ch. , poiché, secondo l’argomentazione poi seguita in Court of Appeal il passaggio del denaro (qui nella forma esclusivamente di moneta bancaria) inizialmente sottratto per truffa e finalità di riciclaggio, attraverso successivi trasferimenti in conti correnti bancari è stato ritenuto non resistere alla prova della confusione nella stanza di compensazione bancaria (New York clearing system). Conforme Bank Tejarat v Hong Kong & Shanghay Banking Corporation (CI) Ltd. []  Lloyd’s Rep. , spec.  (Tuckey J.). Cfr. sulle interne incoerenze di alcune delle argomentazioni, supra cap. II e AA.VV., Law of Bank Payments cit., p.  ss. 91 Nel caso di fungibles in a mixed bulk, si ammette la costituzione di una tenancy in common (purchè non ricorrano gli estremi della specificazione). Sul punto si vedano Indian Oil Corpn Ltd v Greenstone Shipping Co Sa (Panama) [] QB ; Glencore International AG v Metro Trading International Inc (No ) []  Lloyd’s Rep . Per un commento PEARCE ET AL., The Law of Trusts and Equitable Obligations cit., p.  s. Sul mixing of money, si veda nt. precedente e infra nt. . I problemi connessi all’eventuale mixture di denaro del tradens (claimant) con quello dell’immediato recipient, impedisce, così, la successiva tracciabilità anche dei beni acquistati con il denaro (o parte del) denaro commisto. Come si è visto, supra nt. , la difficoltà di rinconciliare il dilemma tra tracing at common law e in equity, fa propendere la dottrina, che sta così stimolando la giurisprudenza, per una unificazione delle regole, anche per arginare la tendenza, finalizzata proprio all’utilizzo delle regole dell’equity, di estendere lo spettro dei doveri fiduciari. Cfr. Wesdeutsche Landesbank Girozentrale v Islington London Borough Council [] AC . 92 Un’istanza di tutela dei terzi creditori/aventi causa ci sembra rappresenti il principale portato della usuale distinzione tra mixtures of money e di altri beni fungibili, sebbene, in particolare nell’ordinamento inglese, tale istanza venga ancorata proprio alle questioni della tracciabilità materiale. Ovviamente, nello sviluppo storico questa non rappresenta una motivazione consapevole. Cfr. Taylor v Plumer () M&S , p. , per Lord Ellemborugh: «The difficulty which arises in such a case is a difficulty of fact, not of law, and the dictum that money has no earnmark must be understood in the same way: i.e. as predicated only of an undivided and undistinguishable mass of current money». Rileva BIRKS, Mixtures cit., pp. - e -, come l’impossibilità di tracing through mixing significherebbe che il diritto inglese così Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Nel caso di tracing rilevante in equity, invece, il c.d. bene sostituto può essere rintracciato anche nel caso in cui la property originaria (in questo caso l’asset facente parte del trust fund) si sia “fisicamente” confusa con altri beni appartenenti al trustee o, comunque, a terzi (c.d. mixed funds)93. Come si vedrà, ciò rende praticabile l’esercizio del tracing anche nel caso di trasferimenti monetari in ambito scritturale ed elettronico94. non possa riconoscere la comproprietà sul denaro (mentre la riconosce sugli altri beni fungibili). Diversamente non si giustificherebbe come l’acquisto di un bene fatto con denaro confusosi e quindi appartenente a più titolari non determini la comproprietà del bene acquistato. Aderendo all’idea di una modifica delle regole: «It is not tolerable that liability should depend on the substantially irrelevat question whther a defendant has effected a clean or mixed substitution» (p. ). 93 BIRKS, Mixtures cit., p. , chiarisce come il fenomeno delle sostituzioni si venga ad intersecare con quello delle commistioni/confusioni: «Substitiution has in principle nothing to do with mixing but it often shares some of the same problems. This happens because in the chain of substitutions the defendant will sometimes add value not inherent in the thing which he proposes to exchange […] By applying the rules of tracing, the plaintiff seeks to establish how the value of the original asset was used and thus to determine whether the defendant does indeed hold what can in whole or part be called a substitute for the original. Tracing traces value through substitutions: it has nothing to do with finding physical things or with unravelling physical mixtures. However, where value has been applied from different sources, similar evidential difficulties can arise as are encountered in physical mixtures» 94 Con riguardo alle differenze tra tracing at common law e in equity, si possono notare, in concreto, alcune delle contraddizioni portate dall’utilizzo delle metafore nell’argomentazione giuridica. Il fatto di aver considerato i crediti disponibili presso gli istituti bancari alla stregua di cose ha determinato palesi contraddizioni. Noto, in proposito, è il dictum di Millet J. in Agip a giustificare l’impraticabilità del tracing at common law: «Nothing passed between Tunisia and London but a stream of electrons. It is not possible to treat the money received by Lloyds Bank in London or its correspondent bank in New York as representing the proceeds of the payment order or of any other physical asset previously in its hands and delivered by it in exchange of money». Va, in ogni caso ricordato che nella giurisprudenza successiva conforme (Bank Tejarat), è stata accolta non questa ma la seconda parte del ragionamento di Millet J., relativa – come visto – alla intracciabilità dovuta alla confusione avvenuta nella stanza di compensazione. Ci sembra, tuttavia, che anche questa giustificazione, proprio in quanto volta a riportare all’interno di schemi noti le novità tecnologiche (e non invece ad una equivalenza funzionale), abbia finito con il determinare risultati discutibili. Essa, infatti, non risolve l’incoerenza nel trattamento dei trasferimenti tra conti correnti e quelli originati dal pagamento di assegni (anch’essi passano, al momento del versamento, in stanze di compensazione). Di conseguenza, quasi concordemente nel diritto inglese, si invoca la unificazione delle regole di tracing, in tal modo, non modificando il tipo di ragionamento applicato (la metafora), ma la regola stessa. Cfr. supra nt. , circa l’obiter di Lord Millet e per ulteriore bibliografia AA.VV., Law of Bank Payments cit., p. , nt. .     Da un punto di vista dottrinale, questa possibilità trae origine dallo sviluppo dell’equity come una serie di regole rispondenti alla massima «Equity looks on as done that which ought to be done». In tal modo si spiegano quella serie di presunzioni nei confronti del trustee inadempiente, che prevedono, ad esempio e salva l’ipotesi in cui il denaro sia stato materialmente dissipato, che, in caso di acquisto di un bene da parte del trustee successivo alla distrazione di denaro dal trust fund, quest’ultimo confluito all’interno di un conto suo personale con un saldo attivo, tale bene si presume acquistato interamente con denaro del trust e su di esso si estenderà la tutela prevista per il beni del fund. . Gestione mediante trust: i trust monetari Dopo aver sintenticamente passato in rassegna, in maniera funzionale rispetto al nostro oggetto d’indagine, alcuni degli aspetti del diritto dei trust, cominciamo a vedere come essi si atteggino con riguardo al denaro. Come abbiamo riscontrato in precedenza, il trust appare essere lo strumento prediletto, anche dal legislatore, nelle operazioni in cui il denaro venga trasferito a terzi non per fini di pagamento (trust commerciali). Più in particolare, può vedersi la legislazione riguardante la professione di solicitor, l’intermediazione in ambito immobiliare, assicurativo, finanziario, che valgono ad assicurare che il denaro ricevuto dall’intermediario nell’interesse dei propri clienti non sia invece destinato a finanziare le rispettive attività, o a soddisfare i crediti vantati da soggetti diversi dai clienti95. GRAZIADEI, I diritti nell’interesse altrui cit., p.  ss. e p.  ss., che fornisce un utile inquadramento sebbene con riguardo, in alcuni casi, alla legislazione previgente. Al di fuori delle ipotesi in cui sia coinvolto un soggetto istituzionale, non sempre vi è un parallelo nel panorama italiano. Nell’ipotesi in cui ad un professionista venga affidato del denaro, destinato ad un determinato utilizzo, convenuto con il depositante/cliente (es. deposito di una caparra confirmatoria che, per ragioni di reciproca tutela, viene lasciata nella disponibilità di un soggetto terzo rispetto ai contraenti; deposito a garanzia, nel caso di pagamento del prezzo di una compravendita di azienda, da cui scomputare imparzialmente il valore delle rimanenze di magazzino che emergerà da un apposito inventario; provvista di un versamento che il professionista deve fare per conto del cliente a titolo di imposte dovute o di somma da corrispondere a una controparte, etc.) quella somma, come noto, entra a far parte del suo patrimonio “generale” e con esso si “confonde”. Per cui, in caso di procedure di sequestro o pignoramento, anche le somme presso di lui depositate andranno a soddisfare le pretese dei suoi creditori, senza che – 95 Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Ma si pensi, anche, in maniera preponderante, ai trust utilizzati in ambito finanziario, quale fondamentale motore per lo sviluppo dei settori delle garanzie finanziarie e nei fondi e servizi d’investimento96. Vediamo per quali ragioni esso sia risultato appetibile alla tecnica legislativa e allo stesso tempo come esso si presenti utile all’autonomia privata97. Questo consente di individuare le leggi di circolazione del denaro, applicabili nella fase patologica nei rapporti di trust e, analogicamente, negli altri casi ammessi. Per far ciò limitiamo il campo d’indagine a ciò che definiamo, con formula estensiva e meramente descrittiva (cioè non funzionale), monetary trust. Essa comprende, anzitutto, le ipotesi in cui il denaro rappresenta l’oggetto iniziale del rapporto (può parlarsi in questo caso di trust monetari in senso stretto). Qui, in quanto oggetto del conferimento iniziale, esso viene destinato (alla gestione), e quindi – diversamente non potrebbe essere – allo scambio con altri beni98. secondo costante giurisprudenza – a questi possa essere opposta la destinazione ad uno specifico fine. 96 In aggiunta a quanto visto supra alla nt. , si vedano G. THOMAS e A. HUDSON, The Law of Trusts cit., p.  ss.; D. HAYTON, The Use of Trusts in the Commercial Context, in AA.VV., Modern International Developments in Trust Law cit., p.  ss. 97 Per i privati, la possibilità di ricorrere ad uno strumento che: consente ai suoi beneficiari (in virtù del riconoscimento in capo agli stessi della equitable ownership) di avere una forte garanzia sui beni, senza aver bisogno di ricorrere alle procedure di costituzione di persone giuridiche (ciò vale soprattutto in caso di aggressione del patrimonio del gestore da parte di terzi); e permette al costituente la più ampia libertà di regolamentazione del contenuto del contratto, che può così rispondere, anche agli interessi dello stesso trustee, ne assicura una varietà di utilizzo pari alla «imagination of lawyers in taking account of the wishes of bankers, financiers and businessment in the commercial context». Cfr. HAYTON ET AL., Underhill and Hayton cit., p. . Precisiamo, a questo punto, che la nostra indagine, finalizzata a verificare quale sia il funzionamento del trust con riguardo all’oggetto monetario, in parte, si discosta dal prevalente filone della dottrina italiana, che ha già accuratamente verificato la ammissibilità negoziale, nel nostro ordinamento, di strumenti assimilabili al trust, per cui si rinvia a GATT, Dal trust al trust cit. Nell’economia del presente lavoro appare, pertanto, equivalente attingere ai trust previsti dalla legislazione speciale, ovvero di fonte negoziale, potendo i primi, laddove non presentino tratti peculiari, solo enfatizzare delle caratteristiche comuni. In entrambi i casi, inoltre, essi rappresentano una ottima istantanea di quelle che abbiamo indicato come “leggi di circolazione” del denaro. 98 In questa classe rientra anche il c.d. Quistclose trust, assimilabile al mutuo di scopo, che sorge allorquando i termini del contratto di prestito espressamente prevedano un utilizzo     In una prospettiva analoga, tuttavia, le medesime questioni dal punto di vista della tutela del gerito, si pongono nel caso in cui il denaro venga a trovarsi nelle mani di un intermediario perchè oggetto intermedio e/o finale della gestione, o, più genericamente, di attività svolte per conto. Anche queste vanno, pertanto, tenute a mente. In questi ultimi casi, la questione di fondo, più volte richiamata, è quella dello scambio con altri beni, che, nell’ottica della gestione, diventa trasformazione del denaro in essi e viceversa (ovvero – secondo la prospettiva del complesso patrimoniale – del passaggio del suo valore nei beni scambiati). Di tale processo, per i nostri fini, interessa non la quantificazione, ma definire quali diritti (recte pretese) che possono essere vantati su tale somma. Questo passaggio – lo ricordiamo – rimanda, se si guarda squisitamente al concetto di denaro, alla sua nozione di “valore”. Si tratta di quello che in altre aree del diritto (ad es., dei contratti, per la valutazione della prestazione; dell’illecito, per la liquidazione del danno) è la nozione di equivalente monetario e che qui ha la funzione di garantire continuità nei mutamenti di un patrimonio limitato. In questo contesto, l’attenzione si rivolge a valutare i concreti confini entro cui, quale sia il momento in cui denaro compaia nelle vicende del patrimonio gestito, è possibile esercitarne una tutela di tipo reale, cioè opponibile e prevalente rispetto ai terzi. I sistemi di common law tendono a garantire, tramite il meccanismo del trust, questa posizione utilizzando di una serie di rimedi reali e procedimenti probatori, che risultano applicabili anche al denaro. limitato a finalità determinate. In questi casi si è ritenuto, che il mutuante acquisti un equitable interest sulla somma (Twinsectra Ltd v Yardley [] UKHL , [] AC ; Barclay’s Bank v Quistclose Investments Ltd [] AC ), per cui nell’ipotesi di fallimento del mutuatario, prima del verificarsi del termine previsto per la realizzazione dello scopo (si trattava del pagamento di dividendi dovuti in una data successiva al fallimento), non essendo potuto realizzarsi il primary trust (rappresentato appunto dal pagamento dei dividendi), verrebbe in esistenza un secondary trust (rappresentato dallo scopo di restituire la somma al mutuante). Nel caso di specie, la qualificazione in termini di trust del pagamento al mutante, evitò che la banca presso cui, in un conto separato, era stata accreditata la somma mutuata da Quistclose Ltd., la quale era peraltro a conoscenza dello scopo del prestito, potesse compensare le somme mutuate per la copertura dello scoperto del mutuatario. Sul punto si veda AA.VV., Quistoclose Trust, a cura di W. Swalding, London (Hart Publishing), . Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Come ben sappiamo, definire una situazione che non sia meramente creditoria si scontra con la difficoltà di identificare/ individuare l’oggetto del diritto, difficoltà che è comune anche agli altri beni fungibili (la cui più frequente versione nella realtà economica contemporanea è rappresentata dai prodotti finanziari). Nel caso del denaro, tale ostacolo sembra presentare un’ulteriore complicazione derivante dalla inevitabile presenza di altro denaro nel patrimonio generale del recipient, che si traduce in una più alta possibilità di “confusione”. Questa idea, come abbiamo visto, però, può essere, in certo modo, superata, ove si consideri in concreto “dove” il denaro si trovi (conti correnti bancari), di cui è possibile, molto più spesso che in passato, verificare la tracciabilità; e, principalmente, ove si presti attenzione al fatto che, con riguardo al denaro, la necessità di individuare, e soprattuto, seguire il bene è solo uno strumento, non dettato dall’interesse delle parti coinvolte (per le quali è indifferente ripetere l’esatta somma inizialmente versata – concetto che tra l’altro – al di fuori del contesto della moneta corporale ha perso ogni rilevanza pratica); bensì, esso segna il crinale, molto spesso non rispondente alla realtà dei fatti (la cui ricerca sarebbe tuttavia inutile e dispendiosa), tra tutela della posizione dell’avente diritto alla restituzione in particolari – qualificati casi, e quella dei creditori generali a non vedere “depredato” il patrimonio generale del debitore. Tenenedo a mente tali considerazioni, faremo riferimento, in maniera analoga a quanto visto per il diritto italiano, ad alcune delle argomentazioni utilizzate per i beni fungibili, avendo riguardo al momento della costituzione del trust, a parte della disciplina legale e, infine, nella fase patologica. .. Segue. Costituzione e regolamento La costituzione di un trust su un’inziale somma di denaro (quello che abbiamo indicato come monetary trust in senso stretto) condivide alcune delle problematiche relative alla determinazione dell’oggetto che si presentano nei contratti relativi a cose di genere o aventi oggetto mutevole (ad es. floating charge)99. Esse consistono nella definizione dei criteri per definire la se- 99 L’assimilazione ai contratti aventi ad oggetto cose generiche (tra cui innanzitutto la vendita) rileva evidentemente con riguardo agli aspetti relativi alla possibilità o meno di indi-     parazione dei beni fungibili da una più ampia massa, che nel caso del denaro normalmente è rappresentato da un conto bancario del debitore/trustee100. Questa esigenza, alla quale in via più generale ci si riferisce come requisito della certainty of subject matter101, ha ricevuto particolare attenzione nel case law inglese con riguardo ai beni fungibili, giungendo ad alcuni interessanti risultati. Secondo l’opinione consolidata, perché un trust possa validamente sorgere con riguardo a beni fungibili è necessario che questi vengano fisicamente separati dalla (eventuale) restante massa, in modo da risultare attribuibili a soggetti individuati, si tratti del beneficiary rispetto al trustee, ovvero di una pluralità di beneficiaries. In quest’ultimo caso, il diritto inglese ha chiaramente optato per una soluzione formalistica di allocazione delle risorse, con l’esito di impedire il sorgere di qualsiasi privilegio o garanzia rispetto ai creditori generali del debitore in assenza di un atto materiale di individuazione102. viduare beni all’interno di una massa (o stock) al fine di una valida conclusione del contratto e la produzione dei relativi effetti. Ha mero sapore retorico notare, come, invece non possono rilevare per il denaro altri aspetti, ad es. relativi al passaggio del rischio. Sulle principali questioni nella vendita di cosa generica, si veda GOODE, Commercial law, a ed. cit., p.  ss. 100 Come già si è notato (cfr. supra cap. II) l’analogia tra denaro e beni fungibili (strumenti finanziari) si caratterizza anche con riguardo alle più recenti evoluzioni evoluzioni tecnologiche. In entrambi i casi, la corrispondenza delle movimentazioni elettroniche (trasferimenti monetari o finanziari) con operazioni di economia reale rende, e quindi, il fatto che tali trasferimenti si identifichino esclusivamente nella risultanza contabile sposta su sistemi esterni all’operazione stessa (i requisiti dei soggetti istituzionali abilitati, ovvero il sistema entro cui operano) la garanzia del funzionamento e della correttezza delle operazioni, e, per altro verso, accentua i rischi di agenzia connessi alla intermediazione. 101 Ex multis, PEARCE ET AL., The Law of Trusts and Equitable Obligations cit., pp.  ss. e  ss. 102 Le principali authorities in proposito sono Re London Wine Co (Shippers) Ltd. [] P C.C.,  (pur trattandosi di un caso del ), confermato e supportato in Re Goldcorp Exchange []  AC . In entrambi i casi, si è stabilito che la mera statuizione di costituire un trust con riguardo a una determinata quantità di beni, all’interno di una più ampia massa in possesso del settlor, non vale a costituire un valido trust, fino a quando non si proceda alla materiale segregazione. Così, ad es., nel primo caso, la London Wine Corporation aveva previsto un meccanismo di vendita (di bottiglie di vino tenute in vari suoi magazzini) per cui, fino al momento dell’ordine e della consegna al cliente, esse erano oggetto di trust in favore della collettività dei clienti. La contabilità della società teneva distinte le partite di vino vendute ai clienti dal rimanente stock, tuttavia via materialmente questa non avveniva fino al ritiro. Quando la società andò in liquidazione, la National Westmister Bank che vantava un privilegio generale (floating charge) sui beni Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Vi è tuttavia un altro indirizzo proveniente dalle Corti e dalla dottrina inglese, in tema di identificazione dei beni in trust. Si tratta del caso Hunter v. Moss103, in cui il proprietario di  azioni emesse (in una unica emissione per un totale di ) dalla Moss Electrical Company Ltd., per meri fini fiscali, non trasferì  azioni al suo dipendente Hunter (come aveva fatto per altro dipendente) ma si dichiarò trustee in favore di quest’ultimo per il % del totale del capitale sociale della società. La dichiarazione non specificava quali azioni (che, peraltro, non erano numerate e rappresentative di uguali diritti) fossero oggetto del trust. Moss pagò ad Hunter per due anni i dividendi percepiti sulle azioni. Poi i rapporti tra i due si incrinaro e Hunter pretese da Moss il controvalore delle cinquanta azioni della Moss Electrical che erano oggetto del trust dichiarato in suo favore. La domanda fu accolta in entrambi i gradi del processo, con motivazioni parzialmente diverse. Per il giudice di prime cure, che ritenne inapplicabile il precedente Re London Wine Co (Shippers) Ltd., si trattava di casi aventi ad oggetto beni differenti (tangibile nel caso più risalente, intangible nel secondo); e che la separazione o individuazione delle unità costituenti delle cose incorporali, come ad esempio il saldo attivo di un conto, non sarebbe stata necessaria per costituire un rapporto di trust104. Il caso ha suscitato in dottrina aspre critiche ma anche sostanziale so- della London Wine sulle casse di vino residue depositate a nome della società, agì nei suoi confronti. Nessuno degli assunti beneficiaries fu in grado di far valere il proprio diritto. Secondo i giudici inglesi, infatti, nessun trust sulle singole bottiglie di vino era sorto poiché non vi era stata individuazione, nonostante fosse possibile parlare di una massa omogenea, di cui l’identità specifica è di scarsa importanza. Il medesimo reasoning si ritrova in Re GoldCorp, ove la massa era costituita da lingotti d’oro venduti a vari clienti e tenuti in deposito dal venditore. A seguito della liquidazione di questo, ancora una volta, si riafferma che nessun trust poteva essere sorto in favore dei compratori, per i quali non vi fosse stata una concreta individuazione dei lingotti rispetto alla restante massa. 103 []  W.L.R. , caso deciso prima di Re Goldcorp e confermata in appello, []  W.L.R. . 104 In senso analogo, ma in sede penale, nel ben noto Regina v Preddy [] AC , la giurisprudenza, ancora basandosi sulle differenze tra denaro contante e moneta scritturale giunse a ritenere, salvo rendersi poi necessaria una modifica legislativa, che la sottrazione di denaro da un conto non potesse integrare il reato di furto. La soluzione appare ovviamente assurda, ma, trattandosi di una giurisprudenza penale, un’interpretazione strettamente formalistica risulta – nella prospettiva delle giurisprudenza anglossassone – maggiormente giustificabile.     stegno per lo sviluppo del diritto inglese105, sebbene risulti confermato in una sola decisione successiva106. Un’autorevole proposta ricostruttiva sviluppa in maniera più raffinata la decisione di primo grado argomentando come, in realtà, il caso non riguardasse beni fungibili poiché è necessario che le parti prevedano la sostituibilità107. Non essendo ciò avvenuto, l’eventuale trasferimento di un certo numero o di una quantità dalla massa, venendo a riguardare un bene unico (in questo caso il complesso delle azioni oggetto di un’unica emissione), determina il sorgere di una co-ownership sullo stesso. Il discorso viene esteso, per quanto ci interessa, anche sul denaro, se oggetto di un bank account, ovvero di un trust fund; e di contitolarità si deve trattare anche nel caso dei conti tenuti presso un intermediario. In questo caso ultimo, la contabilità separata per ciascun cliente riveste mera funzione di tracciabilità, ma la titolarità resta comune in trust per tutti i clienti dello stesso intermediario, ciascuno per la sua quota108. 105 Per la posizione contraria, si vedano HAYTON ET AL., Underhill and Hayton Law Relating to Trusts and Trustees cit., p.  s.; A. HUDSON, The law on Investment Entities, London (Sweet&Maxwell), , ove si prova a sostenere che nei casi riguardanti intangible fungibles, una soluzione in grado di tutelare la par condicio creditorum consisterebbe nello considerare oggetto della separazione/segregazione la chose of action, come evidenziata (ovvero, incorporata, a nostro modo di vedere) nelle risultanze contabili. 106 Re Harvard Securities Ltd (Holland v Newbury) [] B.C.L.C , concernente ancora il caso di securities detenute da un intermediario, in trust per conto dei suoi clienti, ma nè numerate nè segregate. 107 R. GOODE, Are intangible assets fungible? cit., p. . Sono beni fungibili, secondo l’a., quelli tra loro sostituibili, che le parti decidono tali, per i quali – siano essi corporali o meno – si applicano le medesime regole. 108 In senso analogo, PEARCE ET AL., The Law of Trusts and Equitable Obligations cit., p.  s., che rigettando l’opinion basata sulla differenza chattels/intangibles, inquadra, invece, il più elastico criterio adottato nella sentenza in continuità con le modifiche adottate nel Sale of Goods (Amendment) Act , ove si ammette la comproprietà (tenancy in common) per gli acquirenti di beni non identificati su una massa limitata, così prevedendosi una prevalenza degli stessi rispetto ai creditori generali del venditore. Il parallelo sull’executory division prevista dal Sale of Goods, ss. A e B, la fattispecie in Hunter, e il tracing in mixed funds, si veda BIRS, Mixtures cit., p. . Ugualmente favorevole è J. BENJAMIN, Interests in securities, Oxford (OUP), , pp.  e , la quale – ugualmente – propende per l’idea della comunione (in ragione della indivisibilità dell’emissione azionaria, che fa riferimento a «one asset, in which shareholders participate as co-owners» cfr. p. , nt. ), che tuttavia non si potrebbe applicare al denaro detenuto su conto, il quale, invece, sarebbe perfettamente “separabile” attraverso l’apertura di conti separati Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law In verità, con specifico riguardo al denaro vi è una differente authority, secondo cui uno stringente requisito di individuazione sarebbe necessario in caso di trust costituito su denaro su conto corrente109. Tale posizione è ricollegabile all’orientamento secondo cui, al pari di quanto abbiamo visto nel diritto italiano, generalmente un trasferimento di denaro determina il sorgere di una posizione debitoria in capo all’accipiens110. Il requisito della separatezza con riguardo al denaro si presenterebbe particolarmente necessario in virtù della difficoltà poi di individuare il denaro oggetto di trust, per cui l’apertura di un conto separato viene ritenuto sicuro indice dell’esistenza di un trust111. La sua mancanza, di contro, non esclude in principio l’esistenza di un trust ove vi siano altri indicatori112. Mac-Jordan Construction Ltd v Brookmount Erostin Ltd (in receivership) [] BCLC . Il caso riguardava il diritto di un sub-appaltatore al pagamento di uno stato di avanzamento. Egli, a seguito del fallimento del pagatore, richiese la costituzione di un trust sul conto bancario da cui venivano solitamente effettuati i pagamenti. Trattandosi di un conto avente un saldo superiore alla somma pari al credito del sub-appaltatore, la Court of Appeal ha ritenuto che non potesse essere suscettibile di trust per una parte di esso. Tuttavia si dubita che su questo punto la sentenza statuisca in maniera vincolante. È stato rilevato che potrebbe trattarsi di un obiter dato che la sentenza lascia scoperta la questione pregiudiziale di quale sia l’effettivo diritto sulla somma spettante all’attore. G. THOMAS e A. HUDSON, Law of trusts cit., p.  s. Cfr. anche A. J. M. BLACKER, Retention Monies in UK Building Contracts, in AA.VV., Interests in Goods, a cura di Palmer-McKendrick, a ed., Oxford, . 110 R v Clowes () []  All ER, p. , spec. p.  che segue Henry v Hammond []  KB, .  ss., in part. p. , in cui si afferma che chi riceve del denaro: «is not bound to keep the money separate, but is entitled to mix it with his own money and deal with it as he pleases, and when called upon to hand over an equivalent sum of money, then he is not a trustee of the money but merely a debtor». 111 «In the case of trust of intangible assets, such a purported trust of a specific sum of money forming part of a larger credit balance in a particular bank account, the question of certainty depends not on an immutable principle based on the requirements of a need for segregation or appropriation, but rather on whether immediately after the purported declaration of the trust, the court could, if asked, make an order for the execution of the purported trust» P. PETTIT, voce Trusts, in Halsbury’s Laws of England, , a ed.,  (reissue), para. . 112 È questo il caso in cui il requisito della separazione non sia rispettato con riguardo ai fondi di una pluralità di beneficiaries, se ciò origini da particolari caratteristiche delle transazioni (investimenti nei mercati finanziari), nel cui caso si configura un situazione di comproprietà (equitable tenancy in common). Ma, si presenta anche in altre ipotesi, analoghe per certi versi, e riguardanti il rapporto tra i “patrimoni” del trustee e del beneficiary: come nel caso di vendita con riserva di proprietà in cui l’eventuale percezione dei frutti (civili) del bene da parte del venditore in un proprio conto, può dare origine alla costituzione di un trust su tali somme, 109     Se ci spostiamo, poi, dal piano dei requisiti richiesti per la valida costituzione del trust a quello dei criteri della responsabilità in capo al trustee, le medesime ragioni di opportunità inducono a prevedere uguali prescrizioni sulla separazione dei beni. Pertanto, non solo al momento della costituzione, ma anche nel corso del rapporto, incombe in capo al trustee il preciso obbligo di non confondere il denaro ricevuto con il proprio (cioè, di mantenere un conto separato), il che si ritiene, ancora una volta, costituisca prova l’esistenza del trust113. Di contro l’avvenuta confusione (cioè il deposito del denaro del trust sul proprio conto corrente bancario) costituisce di per sé breach of trust, il quale, prescindendo da ogni criterio di imputabilità soggettiva, ricorrerà anche quando il denaro non sia stato poi usato per fini personali dal trustee, con la conseguenza che il trustee sarà responsabile di tutte le perdite derivanti dal suo inadempimento114. .. Segue. Circolazione I sistemi di common law prevedono, quindi, che la violazione degli obblighi di separazione determini una responsabilità personale, e talvolta penale, in capo al trustee115. tali da poter essere tracciate e reiperseguite con gli usuali strumenti (in questi casi il contratto dovrebbe specificare l’obbligo del venditore di tenere le somme per breve periodo –  gg. lavorativi –). Sul punto HAYTON ET AL., Underhill and Hayton Law Relating to Trusts and Trustees cit., p. , citando, tra la giurisprudenza più recente, Associated Alloys Pty Ltd v ACN    Pty Ltd ()  ALJR . 113 Il diritto americano appare, in principio, maggiormente tranchant, relativamente agli obblighi di separazione riguardo alla trust property A. W. SCOTT, W. F. FRATCHER e M. L. ASCHER, Scott and Ascher on Trusts, III, a ed., Aspen Publishers, , p.  ss., spec. . Si tratta degli obblighi generali di: ) di tenere separata la trust property dai propri beni; ) di tenere separata la trust property da altri trusts; ) di contrassegnare (earmark) la trust property come beni in trust. Si vedano anche, per le specifiche regole di responsabilità relative ai versamenti di denaro del trust nel conto personale del trustee, p.  ss. 114 A.W. SCOTT, W. F. FRATCHER e M.L. ASCHER, Scott and Ascher on Trusts ult. cit., p.  e . Con riguado al diritto inglese, si veda HAYTON ET AL., Underhill and Hayton Law Relating to Trusts and Trustees cit., p.  ss., ove si chiarisce come il case law solo nel caso di innocent breach liquidi la responsabilità in base all’effettiva perdita subita, essendo definita, negli altri casi, in base al principio in odium spoliatoris omnia praesumuntur, nel più alto tasso d’interesse che possa “ragionevolmente” applicarsi, e quindi, anche l’interesse composto, come presuntivo tasso del guadagno effettivamente conseguito per effetto della disponibilità della trust money. 115 A. W. SCOTT, W. F. FRATCHER e M. L. ASCHER, Scott and Ascher on Trusts op. ult. cit., p. . Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Se tuttavia la violazione di tale obbligo si verifica nel momento iniziale del sorgere del trust, ciò non ne impedisce la costituzione. Una contraria interpretazione di tale obbligo, nei termini cioè di requisito essenziale, verrebbe ad escludere, peraltro, una qualsiasi responsabilità per breach in capo al trustee. Pertanto, in qualsiasi momento si verifichi, la confusione dei beni (e tra questi del denaro) del trust, determina il sorgere dei rimedi personali e proprietari a favore del beneficiary. Come già visto, questi ultimi si applicano altresì al denaro, anzi può certamente dirsi che le regole di tracing in equity, e la loro flessibilità, origini propriamente dalla necessità di risolvere le questioni connesse agli scambi con somme di denaro116. È singolare notare come il diritto anglo-americano guardi al denaro, pur nella singolarità delle sue caratteristiche e delle problematiche che ne sorgono, come bene, originariamente mucchi di monete, cui possono in principio applicarsi le medesime regole valevoli per gli altri beni fungibili117. In tal modo, si differenzia dalla posizione del diritto italiano, secondo l’interpretazione corrente, che, pur partendo da una comune metafora della confusione, elimina qualsiasi dubbio nell’allocazione della attribuzione proprietaria (nei casi in cui rilevi), assegnandola normalmente al recipiens. Lì il principale strumento servente all’attribuzione proprietaria è rappresentato dalla regole formatesi con riguardo alla procedura del tracing at equity118. 116 Il tracing, prevedendo per definizione una sostituzione (di un bene con un altro), presuppone – tranne in improbabili ipotesi di baratto – l’avvenuta sostituzione, quantomeno, con una somma di denaro. Ugualmente il denaro è coinvolto quando esso costituisce l’oggetto iniziale del “procedimento”. 117 Sull’identità delle regole R. GOODE, The Right to Trace and its Impact on Commercial Transactions I cit., p.  ss., spec. p.  «There seems no reason why more precise identification should be required for money than for any other fungible and if the common law was able to accept a claimant’s right to follow into the hands of the recipient of a mixed fund of dollars […] why should it reject a claim to follow money into a mixed fund […]?». 118 Le regole di tracing applicate nel caso di trust si sono, per tradizione, sviluppate in maniera più elastica. Sorte per far fronte ad un istanza di equità, sono in grado di rispondere in tal modo ad un chiaro problema di agenzia (cfr. infra cap V). La possibilità in principio di rintracciare un determinato ammontare in un c.d. mixed fund, anche se virtuale, si rivela saper rispondere alla attuale realtà dei trasferimenti elettronici interbancari. Cfr. AA.VV., Law of Bank Payments cit., p. : «There is no mystique as to how electronic transfers work and as a matter     Vediamo ora quali ne siano le logiche fondamentali, con la riserva di un esame più dettagliato in grado di fornire il quadro dell’effettiva possibilità di tracciare il denaro indebitamente sottratto nei sistemi di common law. Le regole riguardanti la commistione di denaro ricavabili dalla casistica possono distinguersi, innanzitutto, in base al fatto di derivare o meno da un comportamento doloso o colposo del trustee, mentre incontrano i propri limiti esterni nella dissipazione oltre che nell’acquisto in buona fede da parte del terzo. Come sappiamo, l’elemento fondamentale che contraddistingue le pretese di tipo proprietario del beneficiario in un rapporto di trust è rappresentato dalla possibilità, derivante dall’operare delle regole di tracing in equity, di poter vantare la propria pretesa anche nei confronti dei terzi acquirenti, ovvero nei confronti del trustee o del suo estate, su beni specifici. Anche nel caso del denaro, questo appare possibile, sebbene qui sorgano una serie di problematiche connesse alla sua individuazione. Il diritto inglese, come più volte abbiamo detto, procede in questo caso attingendo alle logiche note: quelle della individuazione materiale, anche se in questo caso, necessitano di essere adattate e, non corrispondendo alla realtà materiale, spesso vengono a riposare su presunzioni. L’immagine di base, quella della della confusione materiale del denaro appartenente a proprietari diversi, persiste tuttavia. E sulla possibilità di discernere all’interno del coacervo, o di identificare i beni con esso acquistati si basano le regole dell’equitable tracing119, che operano talvolta anche in modo palesemente arbitrario. Ad esempio, nel caso di differenti contributors nel mixed fund ove que- of evidence, tranfers can be proved by comparing the amount and timing of debit and credit entries in accounts». L’argomentazione è funzionale, altresì, a dimostrare come «The common law tracing rules ought to be brought into line with those used in equity so as to allow the commn law to trace through electronic funds transfer systems». 119 In Foskett v McKeown []  AC , spec. , ove Lord Millett afferma: «In principle it should not matter… whether the trustee mixes the trust money with his own and buys the new asset with the mixed fund or makes separate payments of the purchase price (whether simultaneously or sequentially) out of the different funds. In every case the value formerly inherent in the trust property has become located within the value inherent in the new asset». In senso analogo, Lord Greene «The equitable remedies pre-suppose the continued existence of the money either as a separate fund or as part of a mixed fund or as latent in property acquired by means of such a fund» Re Diplock [] Ch , spec. p. . Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law sto non sia sufficiente a soddisfare tutte le pretese e vi sia un qualche illecito commesso da uno dei contributors, giurisprudenza risalente ha stabilito una presunzione di imputabilità delle somme mancanti al denaro dell’autore dell’illecito (trustee)120. O, ancora, in caso di una pluralità di innocent contributors questi non concorrono sulle somme residue ciascuno in proporzione alla propria quota, ma, di regola, secondo l’anch’esso risalente principio del Clayton’s Case, i prelievi fatti dal conto debbano essere imputati ai versamenti fatti cronologicamente in data anteriore121. Tale ultima regola è stata stigmatizzata come arbitraria, introducendo un favor a vantaggio degli ultimi contributors, così da non risultare tendenzialmente applicata in fattispecie relative a pluralità d’investitori, né nella legislazione speciale né dalla giurisprudenza122. Accanto a queste presunzioni, vi sono poi una serie di limitazioni, in cui cioè la tracciabilità è impedita, e che trovano giustificazione ancora una volta nella concezione materialistica del tracing. Si tratta delle c.d. ipotesi di dissipation che comprendono l’utilizzo del denaro, ad esempio, per obbligazioni di fare, prestazioni di servizi, in cui nulla di materiale sopravvive alla prestazione; ovvero nel caso di pagamento di un debito. Una delle ipotesi più rilevanti di applicazione di questo principio è rappresentato dal versamento fatto su uno scoperto sul conto, ritenendosi che in questi casi che non residui alcun bene, appartenente a uno dei soggetti componenti la catena del tracing123. Funge da limite – interno – anche il principio cardine del tracing, costituito dalla identificazione, e per il quale non è sufficiente soltanto dimostrare l’ingresso nel patrimonio di un determinato soggetto di un bene, ma anche di individuarne la permanenza, tramite un sostituto124. Con riguardo al denaro ciò si sostanzia in una serie di prensunzioni, che mirano ad individuare la quota di spettanza all’attore all’interno della “massa commista”125. Re Hallett’s Estate ()  CH D . ()  Mer . 122 Cfr. PEARCE ET AL., The Law of Trusts and Equitable Obligations cit., p.  s. 123 Re Tilleys Will Trusts [] Ch ; Re Bishopgate Investment Managememnt Ltd v Homan [] Ch ; Moriarty v Atkinson [] EWCA Civ . 124 Questo aspetto differenzia le pretese resitutorie-proprietarie da quelle personali. Cfr. supra nt. . 125 Si veda infra para. .. 120 121     Tuttavia, si sono registrati anche degli arresti giurisprundenziali difformi, per quanto forieri di critiche e quindi rigettati. Si è ipotizzato, in proposito, che in relazione al denaro di cui la banca, trustee, abbia confuso il denaro fornito con i propri beni, avendo aperto dei conti correnti presso sé stessa, il tracing possa comunque essere esercitato, senza dover dimostrare in quale tra i cespiti della banca sia contenuto il denaro in trust, ma affermandosi un equitable charge (una sorta di privilegio) sul restante denaro sussistente nel patrimonio del banca, il quale era stato “gonfiato” per effetto del trasferimento (c.d. swollen asset theory)126. Questa interpretazione attinge all’idea, già in precedenza presentata, di considerare tutti i cespiti del convenuto come un unico fondo. Essa, tuttavia, sembra non aver trovato – nel common law inglese – supporto, in virtù del timore che ciò possa sostanzialmente condizionare i diritti dei creditori chirografari del convenuto, in caso di suo fallimento127. Una tale, eccezionale, ipotesi potrebbe trovare spazio, in selezionati casi, solo attraverso l’intervento legislativo128. Tuttavia, l’esigenza di assicurare una qualche garanzia al beneficiary defraudato ha indotto parte della dottrina più autorevole ad ipotizzare ricostruzioni alternative, sulle quali il dibattito resta aperto129. Già questa prima analisi ci dimostra come quelle del tracing siano regole particolarmente complesse, discrezionali, ma allo stesso stabilmente radicate nel diritto anglosassone. 126 Space Investments Ltd v Canadian Imperial Bank of Commerce Trust Co (Bahamas) Ltd []  WLR  (PC), [] All ER  ove si fa rinvio (rispettivamente p. , p.  s.) alla possibilità di affermare un equitable charge su tutti i beni della banca. In realtà, si tratta di un dictum di Lord Templeman (la decisione in Space ), seguito da una serie di obiter dicta, ma che resta unprincipled. 127 In sede di appello, la sentenza è stata ribaltata, come pure, in Re Goldcorp Exchange []  AC , che segue Re Diplock [] Ch . Nel senso di consentire un tracing più liberale è invece la casistica di diritto americano. 128 HAYTON ET AL., Underhill and Hayton Law Relating to Trusts and Trustees cit., p. . 129 L. SMITH, Law of Tracing cit., p. -, la proposta è quella di consentire, nel caso di “dissipazione” del denaro indebitamente sottratto a fini di pagamento di un prestito, di “tracciare all’indietro” i beni acquistati con il prestito. La proposta è stata supportata dalla Court of Appeal in Bishopsgate Investment Management v Homan [] Ch , p.  s., per Dillon LJ e, sempre e soltanto in sede di appello, in Foskett v McKeown [] Ch , part. p.  s., per Scott VC. In senso favorevole ad una parziale apertura e al riconoscimento dei un trust anche in caso di inesperibilità del tracing, GOFF e JONES, cit., pp. -. Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Esse, tuttavia, sono in grado di mostrarci come lo stigma che sembra impresso sulla impossibilità di tracciare il danaro nel settore del diritto privato non sia una necessità logica per gli ordinamenti130. Allo stesso tempo, disvelano un diverso problema rappresentato dal rischio di attentare al principio della tutela del credito sul patrimonio generale del debitore. Questi aspetti inducono ad una valutazione comparativa degli interessi in gioco. . La tutela del beneficiary come modello rimediale per operazioni commerciali diverse dai trust monetari Il discorso, finora condotto ha avuto in mente le fattispecie di violazione dei doveri fiduciari nella gestione dei beni affidati e, segnatamente, dell’utilizzo del denaro eccedendo l’incarico conferito131. Per le sue doti peculiari, e in virtù del fatto di costituire la disciplina più tipica e con maggiore capacità estensiva rispetto agli altri modelli dell’agire per conto, si è fatto rinvio alla disciplina del trust. Abbiamo verificato come, fuori della possibilità di riparare la perdita subita a titolo di risarcimento, e parallelamente alla restituzione a carattere personale, il diritto anglo-americano (e, innanzitutto, quello inglese) conosca rimedi che si definiscono a carattere proprietario (principalmente il constructive trust), in cui il significato funzionale della realità è rappresentato dalla possibilità per i beneficiaries di prevalere nei confronti dei creditori dell’intermediario – trustee132. 130 Partiva da un’analoga considerazione R. GOODE, The Right to Trace and its Impact in Commercial Transactions – I e II cit. 131 Ugualmente, come si è visto, nella prospettiva recuperatoria – proprietaria, sono trattati i profitti dell’intermediario ottenuti, secondo una nozione ampia di conflitto d’interessi, in occasione dell’espletamento dell’incarico gestorio. 132 Uno di primi contributi, in questo senso, che adotta una prospettiva sui rimedi recuperatori, personali e reali, limitatamente alle ipotesi di utilizzo in “difetto di autorizzazione” è A.T. DENNING, The Recovery of Money, in  LQR, , p.  ss.. Nelle stesse parole di Lord Denning «If money to which a man is entitled, either in law or in equity, is transferred to another without his authority, how far is he entitled to recover it back? […] I confine myself to cases where the paying way has been done by somebody else without his authority» (p. ), con-     In verità, tale possibilità non è confinata ai rapporti fiduciari, ma si estende ad una più vasta serie di ipotesi. Ci sembra degno di nota prestare attenzione anche a quest’ultime, in quanto esse concretamente definiscono i contorni di quel “terreno proprietario” che non è altro che, per usare un linguaggio a noi più familiare, la consistenza del patrimonio aggredibile dai creditori, anche in caso di insolvenza. Ancora una volta, la peculiarità dei diritti di common law ci sembra consistere non tanto in quali siano le ipotesi in cui è possibile recuperare un bene nelle mani di un terzo che se ne trovi nella disponibilità materiale, bensì nella disponibilità di più consapevoli meccanismi di tracciabilità, che estendono la pretesa recuperatoria anche a beni scambiati con l’iniziale oggetto della pretesa, discorso che riguarda anche il denaro in quanto oggetto iniziale e/o finale della pretesa. Si registra un fervente dibattito, e alcune ambiguità in proposito, da parte del diritto inglese in questo settore, a fronte di un più liberale indirizzo nel diritto statunitense dall’altro. Al di là delle ipotesi controverse o di estensioni opinabili ad ulteriori fattispecie faremo riferimento a quei casi su cui sia il diritto statutitense quanto il, più restrittivo, diritto inglese concordano133. cludendo come «‘A man’s money is property which is protected by law. It may exist in various forms, such as coins, treasury notes, cash at bank, or cheques, or bills of exchancge of which he is “the holder” but, whatever its form, it is protected according to one uniform principle. If it is taken form the rightfull owner, or, indeed, from the beneficial owner, without his authority, he can recover the money from any person into whose hands it can be traced, unless and until it reaches one who receives it in good faith and for value and without notice of the want of authority». 133 A rendere maggiormente difficile per il diritto inglese avere una visione più unitaria – e pertanto suscettibile di applicazione più ampia – delle ipotesi di constructive trust, vi sono, ad esempio, la confusione indotta dal case law tra resulting e constructive trust, ovvero alla distinzione tra equitable interest ed equities. Sul primo punto, a parte la scolastica distinzione tra i casi in cui il trust è chiamato a sopperire ad una volontà presunta delle parti (resulting), ovvero al comportamento di colui che poi è considerato trustee (tesi dell’unconsciounability), è intervenuta più di recente dalla House of Lords in Westdeutsche cit., p. , individuando due fattispecie specifiche di resulting trust, tra cui vi è la presunzione che il pagamento di una somma di denaro (che si considera pertanto in trust nelle mani dell’accipiens) sia generalmente fatto per l’acquisto di una proprietà e non a titolo di donazione. Conformemente, nella dottrina inglese, si ritiene che anche il Quistclose Trust sia un esempio di resulting trust. Sulla differenza equities/equitable interests, come fattore determinante la posizione del diritto inglese, GOODE, The Right to Trace and its Impact in Commercial Transactions, II, in  LQR, , p.  ss., in part. p. . Per quanto qui interessa, la distinzione ta il diritto inglese e quello statunitense in Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Le principali ipotesi in cui, pur in assenza di un preesistente rapporto fiduciario (nella forma di express trust o di istituti analoghi), si riconosce che il soggetto che detiene un bene sia considerato constructive trustee in favore di un altro sono quelle del furto, della fraud, dell’errore, dell’undue influence o di ogni altra situazione in cui il giudice ritenga opportuno correggere una situazione di unjustified enrichment, concedendo un rimedio opponibile ai terzi134. Tuttavia, è bene sottolineare che lo strumento utilizzato in tali pretese tema di constructive trust riposa essenzialmente sull’ambito di operatività del rimedio. È posizione ferma nel diritto inglese, al di là del dibattito dottrinale, che le ipotesi di constructive trust tuttora riconosciute dal case law (acquisition o retention di beni in violazione di obbligo fiduciario, quistclose trust, beni oggetto di reati come il furto, acquisto di proprietà immobiliare, errore di fatto, mentre non è del tutto chiara in caso di mistaken payments – sul punto SMITH, The Law of Tracing cit., p. ), non possano essere ampliate. Di contro, il diritto statunitense tende a vedere ormai da tempo il constructive trust come un rimedio “discrezionale” del giudice a tutela di un arricchimento ingiustificato, e pertanto, sin dalle prime edizioni dei Restatements negli anni , incluso nel Restatement of Restitution (a differenza del resulting trust). Nella dottrina e giurisprudenza anglossassone, si suole parlare in proposito di remedial constructive trust, poiché in questo caso la pronuncia giudiziale avrebbe valore costitutivo (e non dichiarativo come nel caso di institutional c.t.), e non opererebbe sempre retroattivamente fino al momento della fatto che vi ha dato origine, dipendendo dalla scelta del giudice gli effetti sugli acquisti dei terzi che nel frattempo abbiano ricevuto la trust property. Sul remedial constructive trust, cfr. Westdeutsche Landesbank Girozentrale v Islington London Borough Council [] AC , p. . Cfr., per un inquadramento critico, M. LUPOI, Trusts: A Comparative Study, trad. S. Dix, Cambridge (CUP), , p.  ss., in part.  ss. sulle differenze tra diritto inglese e statunitense, interpretando in maniera molto più essenziale la differenza da l’idea del constructive trust come “rimedio” e come “istituto”. Va detto, infine, che a dispetto della percezione d’oltremanica, anche la dottina statunitense maggioritaria tende a concepire il constructive trust in maniera restrittiva (cfr. infra nt. ). 134 Ricordiamo inoltre che, nel diritto inglese, il constructive trust svolge un ruolo nella circolazione dei diritti anche quale strumento di “supporto” nel trasferimento della proprietà (principalmente, immobiliare), non solo in via rimediale, a fronte di una vicenda viziante o di una “perdita involontaria” di un bene. Esso si presta – per utilizzare concetti a noi familiari – a servire la posizione dell’acquirente nel trasferimento “volontario” della proprietà: in conseguenza della rilevanza meramente obbligatoria del contratto, il venditore, fino a quando non abbia eseguito le formalità necessarie per il trasferimento è riconosciuto come constructive trustee, nei cui confronti diventa quindi esperibile il rimedio della specific performance, con possibilità di ottenerne la consegna, ovvero il trasferimento coattivo. Ove non sia diversamente prevista l’efficacia reale del contratto (per effetto di diversa previsione di legge, come nel caso del Sale of Goods Act , s. ), e si tratti di beni individuabili la posizione è riconosciuta anche all’acquirente di personal property. Tale posizione del diritto inglese è ben nota. R. PEARCE ET AL., The Law of Trusts and Equitable Obligations cit., p.  s.     restitutorie (come si è anticipato, il più incisivo è il constructive trust), originanti da operazioni negoziali invalide, affette da dolo o errore – fraud, mistake, o operazioni caratterizzate da wrongful interference135– è quello storicamente sorto a tutela di express trusts e poi, successivamente, piegato e reso funzionale a fattispecie non fiduciarie136. A ben vedere si tratta di fattispecie che nel nostro ordinamento troverebbero risposta, con risultati grosso modo analoghi, nell’efficacia rispetto ai terzi del rimedio giudiziale (ad es. dell’annullamento), ovvero nelle vicende della circolazione giuridica (nel caso di furto)137. Nei sistemi di common law, invece, la necessità di un rimedio aggiuntivo rispetto alla declaratoria sul contratto, per discorrere delle ipotesi più omogenee, si giustifica appunto in virtù di un modello di circolazione giuridica in cui l’atto che esprime il consenso dei contraenti non è sufficiente al Cfr. Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment, Ch. , § -; Ch. , §§ -, Ch. , §§ -, Ch.  Possono essere pertanto cause di constructive trust: mistake, fraud, duress, undue influence, incapacity, want of authority; il pagamento del terzo (§), ovvero il pagamento dell’intero nell’obbligazione solidale (§); il l’illiceità del contratto (§ ); casi di wrongful interference: trespass (§), misappropriation (§ ); oltre che, ovviamente, il breach of fiduciary duty (§ ). 136 Cfr. Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment §  cmt. a, p. . In questi termini il persistente riferimento alla “metafora del trust” anche in questo contesto conserva una funzione descrittiva del costrutto giuridico sottostante la pretesa restitutoria e che mantiene le caratteristiche di trust (c. d. rimediale): la scissione tra legal title (in capo al convenuto), e – prevalente – equitable right of ownership (in capo al restitution claimant). In questo senso si chiarisce ancora una volta perché si utilizzi l’espressione proprietary claims in restitution (con riguardo alle operazioni annullabili), cfr. LORD GOFF OF CHIEVELEY e G. JONES, The law of restitution, 7th ed., London (Sweet & Maxwell), , p. , enfatizzando la stretta connessione tra pretesa restitutoria e titolo proprietario. L’idea dell’unjust enrichment come titolo del constructive trust esclude che quest’ultimo possa essere fatto valere nel caso di pretesa restitutoria in caso di inadempimento. Cfr. Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment § , f) e ill. . Come noto, i sistemi di common law prevedono dei modelli restitutori binari, in cui, cioè si differenzia la disciplina delle restituzioni conseguenti alla caducazione degli effetti del contratto (con effetti non retroattivi), con le altre ipotesi di venire meno della causa solvendi tradizionalmente indicate come quasi-contrattuali, tra cui rientrano i vizi originari del contratto. Sul punto, E. MOSCATI, Caducazione degli effetti del contratto e pretese di restituzione, in Riv. dir. civ., , II, p.  ss., spec. pp.  e p.  ss. 137 Quando, all’ipotesi del furto, va chiarito che sia per diritto inglese sia per quello statunitense, non si ha il trasferimento della proprietà at common law in conseguenza del furto. Cfr. Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment § , ill. . Tuttavia, l’affermazione di un constructive trust può acquistare, nel diritto inglese, una particolare valenza proprio in virtù del fatto che affermare un diritto equitativo consente poi l’utilizzo dell’equitable tracing. 135 Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law trasferimento (atto di trasferimento astratto). In questo senso, i rimedi restitutori rappresentano uno strumento funzionale ad invertire i risultati dell’arricchimento senza causa138. Il settore del diritto che riguarda gli strumenti restitutori disponibili a seguito di “pagamenti indebiti”, “arricchimento senza causa” arricchimento “ingiusto” o “ingiustificato” presenta, a causa della stretta connessione con i sistemi di trasferimento della ricchezza, una notevole etereogeneità nei diversi sistemi giuridici e non può essere oggetto di approfondita trattazione nell’ambito del presente lavoro139. Per quanto qui d’interesse, il modello del constructive trust trova, per un verso, fondamento in una causa ingiusta (o ingiustificata140), e per altro verso si sostanzia in un rimedio che guarda all’arricchimento del convenuto, anziché alla valore della ricchezza trasferita. Questa diversa semantica del diritto, ove non è foriera di un diverso risultato in termini di attribuzione delle situazioni giuridiche – ci sembra – lo diventi per effetto dell’utilizzo dello strumentario disponibile, anche con riguardo al denaro. Vediamo in concreto come questo può operare. Come già detto, il constructive trust rappresenta quella tipologia di rimedio recuperatorio141, alternativa alla costituzione di un lien, il quale, a sua 138 L’ambito delle restituzioni per unjustified enrichment è limitato a quelle che non derivano da inadempimenti contrattuali (breach of contract), le quali sono performance based, ovvero si basano su quanto prestato dalla parte adempiente. Cfr. Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment § , c, cui si rinvia, altresì, per un più compiuto e sintetico inquadramento per il diritto statunitense; Restatement (Second) Contract § . 139 Sul punto si rinvia a F. GIGLIO, A Systematic Approach to ‘Unjust’ and ‘Unjustified’ enrichment, in  Oxford Journal of Legal Studies, , p.  ss., che guarda ad una prospettiva comparativa ai sistemi europei, rintracciando, nei diversi sistemi lo sviluppo dei modelli romanistici della condictio indebiti e dell’actio in rem verso. 140 Il problema di qualificare questa area del diritto in termini di unjustified piuttosto che unjust enrichment, per la vaghezza di quest’ultimo e il rinvio alla coscienza del giudice, è ben presente nella letteratura anglo-americana. Si rinvia, al Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment § , comm. b), per le principali questioni. Ci pare, tuttavia, che al di là delle preoccupazioni sistematiche e di contenimento, interne, non può negarsi un’istanza equitativa che genericamente unisce, da un lato pagamenti invalidi (mistaken), e dall’altro quelli, che al pari di quelli fraudolenti, possano qualificarsi in termini di wrongful interference. 141 Come già detto nel diritto statunitense il constructive trust è inteso in termini di rimedio, non cause of action. Cfr. Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment §  cmt. b, (), p. . Ciò significa che esso (collocandosi «somewhere between substance and procedure, distinct but overlapping with both», D. LAYCOCK, Modern American Remedies, a ed., Aspen     volta, è soltanto latamente assimilabile al privilegio nel diritto italiano142; ovvero alla subrogation143. Il rimedio del constructive trust consente di ottenere un ordine di restituzione di un bene specifico144. Ciò è reso possibile, visto che la proprietà at Publ., , p. ) costituisce ciò che si richiede alla Corte (diremmo il petitum immediato) e non la causa petendi (la doglianza, il fatto costitutivo del diritto affermato, «the fact or facts which establish or give rise to a right of action», voce Cause of Action, in Ballantine’s Law Dictionary, a ed., Lexis Nexis .). Si è discusso diffusamente in proposito sul carattere costitutivo o dichiarativo del relativo provvedimento giudiziale. Con riguardo al diritto americano e con particolare attenzione alle applicazioni nel diritto fallimentare, cfr. E. L. SHERWIN, Constructive Trusts in Bankruptcy, in  U. Ill. L. Rev., , p.  ss., in part. pp. -, e A. KULL, Restitution in Bankruptcy: Reclamation and Constructive Trust, in  Am. Bankr. L. J., , p.  ss., spec.  ss. Il Restatement Third, di cui A. Kull è stato il relatore, chiarisce come il decreto del giudice abbia valore di pronuncia dichiarativa, non costitutiva, e quindi avente efficacia retroattiva al momento della operazione contestata. Cfr. Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment §  e., p. , criticando il case In re Omega Group, Inc.  F.d ,  (th Circ. ), tacciando questo atteggiamento come proprio delle decisioni in bankruptcy, piuttosto che di quelle che fondano il constructive trust sull’arricchimento ingiustificato. 142 Facciamo, ovviamente, riferimento all’equitable lien, che, in quanto rimedio di equity, stante la sua funzione di garanzia rispetto al soddisfacimento del credito, può essere attuato nel modo ritenuto dal giudice più adatto a fare giustizia tra le parti (la modalità usuale è, tuttavia, il decreto di vendita del bene con susseguente soddisfacimento del liener sul ricavato della vendita). Ad esso, si fa ricorso nel caso in cui il bene sia finito nelle mani di un innocent recipient, ovvero nel caso in cui, a seguito di una o più sostituzioni, il sostituto incorpori soltanto parte del valore originario (come ad esempio, se si utilizza del denaro sottratto ad un terzo, unitamente al proprio, per l’acquisto di un’abitazione. Su questa potrà insistere un privilegio pari al valore sottratto, invece di un constructive trust) Cfr.  C.J.S. Lien §  (); F. DE FRANCHIS, voce Lien, Dizionario giuridico cit, p.  s. 143 Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment § . Si tratta di un istituto che è normalmente previsto nei contratti di assicurazione (Restatement Restitution § , comm. b), e in caso di garanzie reali, ma che, al di fuori di quest’ultimo caso, non avendo ad oggetto beni specifici, non conferisce al surrogante alcun privilegio o prevalenza rispetto ai creditori chirografari. 144 Ovviamente, sebbene possa condurre a risultati analoghi, si distingue dalla specific performance, che è strumento del diritto dei contratti. L’equivalente nel diritto italiano è rappresentato dalla restituzione di cosa determinata (artt. - c.c.). Se guardiamo alla disciplina codicistica, compaiono alcune significative differenze nelle possibilità di recupero tra ordinamento italiano e sistemi di common law. In questi ultimi, come si è detto, purché sia possibile seguire i successivi trasferimenti del bene, l’avente diritto alla restituzione può recuperare il bene inizialmente trasferito, o il suo surrogato (ad es. il prezzo dell’alienazione, o l’oggetto dello scambio, anche presso terzi), nelle mani di chiunque se ne trovi in possesso, fatta salva l’opponibilità dell’acquisto in buona fede e a titolo oneroso da parte del terzo, o l’avvenuta change of position (già da tempo accolta nell’ordinamento statunitense, e, più di recente in quello inglese a seguito di Lipkin Gorman v Karpnale Ltd. []  AC ). Su queste, come sulle Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law law risulta trasferita in capo ad un terzo, attraverso la finzione del mantenimento della equitable property sul bene, come si verifica in conseguenza della costituzione di un trust espresso su di esso o a causa di un operazione annullata o comunque inefficace145. È un meccanismo che segue lo schema essenziale, pur distinguendosene, della scissione tra proprietà e possesso, che nel diritto di common law si ha in caso del contratto di bailment o di ipotesi in cui è esperibile la conversion. Come visto, attraverso la procedura del tracing (usando l’accezione comprensiva statunitense), questo diritto può estendersi, ove sia necessario, anche ad un sostituto del bene – purché individuabile –146, anche se l’uno ovaltre defences, si veda, A. BURROWS, The Law of Restitution cit., p.  ss. Il diritto italiano (art.  c.c.), invece, presenta uno scenario più complesso. Innanzitutto, come si è visto, legittima la richiesta restitutoria verso il terzo sub-acquirente solo se a titolo gratuito e nei limiti del suo arricchimento. Quindi, distingue, secondo che l’accipiens abbia a sua volta alienato in buona o mala fede. Lo stato soggettivo rileva per valutare il quantum restitutorio e gli stessi diritti verso il terzo. La buona fede limita la pretesa restitutoria nei confronti dell’accipiens al corrispettivo conseguito nel secondo trasferimento (se oneroso). In caso di mala fede, l’ammontare dovuto dall’accipiens può corrispondere, a scelta dell’attore, al valore della cosa (o restituzione in natura) ovvero al corrispettivo conseguito, e, se il secondo trasferimento è avvenuto a titolo gratuito, innesta un meccanismo di sussidiarietà tra preventiva escussione del primo accipiens e pretesa nei confronti del terzo sub-acquirente. In caso sub-alienazione a titolo oneroso, è prevista in ogni caso la surrogazione nel diritto dell’accipiens al prezzo. In applicazione dei principi generali, inoltre, sarà fatto salvo l’acquisto da parte del terzo in buona fede (secondo le regole previste per la specifica tipologia di bene); non è prevista, invece, un’eccezione analoga alla change of position (tranne che art. , co. , c.c.). Cfr F. GIGLIO, A Systematic Approach to ‘Unjust’ and ‘Unjustified’ enrichment cit., p. , nt. ; P. BIRKS, Unjust Enrichment cit., p.  ss. qualifica la posizione dei sistemi di civil law, sebbene non uniformi, come no basis, cioè basati sull’assenza di una giusta causa. Si rammentano, le obiezoni sollevate in dottrina circa l’applicabilità dell disciplina dell’indebito alle restituzioni contrattuali. Cfr. MOSCATI, Caducazione degli effetti del contratto e pretese di restituzione cit., pp.  ss. e  ss. 145 Una prospettiva che assimila il constructive trust a tutela di express trusts con quello previsto come correttivo alla perdita “involontaria” di proprietà at common law tende pertanto a vedere la conservazione della proprietà in equity in capo a chi agisce in restituzione sin dal momento del verificarsi della perdita / trasferimento del bene, che costituisce fondamento della pretesa restitutoria, e conferisce così efficacia declaratoria (cioè preesistente) alla pronuncia giudiziale. Questa posizione, come si è visto, è espressa da Kull in maniera molto decisa (cfr. supra nt. ), che in tal modo contesta quella visione, condivisa in parte dalla giurisprudenza e parte della dottrina statunitense e da quella anglosassone, secondo cui la pronuncia del giudice avrebbe valore costitutivo e non retroattivo. 146 Il rimedio del constructive trust, invero, prevede due distinte pronunce: una che afferma la superiorità della pretesa equitativa del attore rispetto al legal title del convenuto; la seconda è l’ordine di restituzione (mandatory injuction) o provvedimento equivalente.     vero l’altro si trovino presso terzi sub-acquirenti, che non abbiano acquistato in buona fede for value. In questo contesto il tracing si specifica in maniera estremamente peculiare in caso di beni fungibili ed, in particolare di denaro147. Ciò che è bene tenere a mente è che il constructive trust, pur essendo un rimedio restiturio, possiede una qualificazione proprietaria che comporta un requisito di individuabilità (tracing), ma allo stesso tempo lo rende strumento utile in duplice senso. È possibile, infatti, che s’intenda perseguire il bene originario, o un suo sostituto, laddove siano infungibili, per svariati motivi (la difficoltà di quantificare un danno; l’aumento di valore del bene rispetto al danno subito; il maggior valore del sostituto, cioè dell’arricchimento conseguito, rispetto alla perdita subita148). Tuttavia, nel caso di denaro e di altri beni fungibili, l’esperibilità del constructive trust acquista significato, non in caso di solvibilità del detentore, ma in caso di conflitto con terze parti, che – nell’ambiente anglo-americano – si identifica innanzitutto con l’ipotesi della insolvenza. Da quanto siamo venuti dicendo, quindi abbiamo da meglio chiarire in che modo tale disciplina viene ad incidere sulla tutela dei terzi e dei creditori non privilegiati. Come abbiamo visto, il constructive trust (ciò in parte vale anche per gli strumenti ad esso analoghi), attraverso la finzione del mantenimento sin dall’inizio dell’equitable property conferisce – diremmo – efficacia retroattiva alla pronuncia giudiziale (in questo caso di restituzione), con possibilità, a parte 147 Questo aspetto sarà oggetto di separata trattazione nel paragrafo n. .. Può per ora anticiparsi, che la possibilità di affermare, via constructive trust, un equitable interest sul denaro (astratta affermazione proprietaria che sarebbe possibile anche nel diritto italiano, pensiamo in caso di annullamento di un contratto), porti a risultati differenti rispetto a quelli normalmente realizzabili nel diritto italiano, in virtù della possibilità di tracciarne i trasferimenti. Cfr. Restatement (Third) of Rest. and Unjust Enrichment, § , Ill. , ove il diritto degli investitori rispetto al denaro sottratto loro dal broker infedele prevale rispetto al privilegio dello Stato a titolo di imposizione fiscale. Il dato che si intende sottolineare in questo caso è che la prevalenza degli investitori non è dettata da una normativa speciale, ma dal diritto comune. 148 La possibilità di misurare la restituzione sul arricchimento del convenuto, anziché sulla perdita dell’attore, e quindi la possibilità di esperire il constructive trust, si ha soltanto quando il comportamento del convenuto sia qualificabile come colpevole. Cfr. Restatement (Third) of Rest. and Unjust Enrichment, § , i). Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law l’evenienza dell’acquisto da parte di un terzo in buona fede, di prevalere nei confronti dei terzi. L’idea che in questi casi competa una restituzione, tuttavia, è grossomodo ragguagliabile a quanto ad esempio, si prevede, nel caso di mandato (art.  c.c.), ovvero, nell’ipotesi delle restituzioni per vizi del contratto (art.  c.c.), in cui sono fatti salvi gli effetti dei terzi acquirenti a titolo oneroso in buona fede. Peraltro, come si è visto la portata differenziale nelle due famiglie dipende, fondamentalmente, dalla scelta negli ordinamenti di common law di estendere senza dubbio tale tutela anche a beni che risultino connessi agli originari essendo stati con essi scambiati. Questa estensione oggettiva della pretesa, che è particolarmente sottile ma incisiva, ha creato particolare dibattito in dottrina, soprattutto inglese, circa – a monte – l’ambito dei titoli per i quali tale pretesa, e i suoi corollari operativi, possono essere fatti valere149. La posizione del diritto, statunitense, come visto, appare più liberale e unitaria. . Recupero del denaro (recovery of money) e fallimento (insolvency) Come abbiamo visto, nei sistemi di common law, l’utilità di un constructive trust si misura nella possibilità di recuperare direttamente il bene (anche nelle mani del terzo), ovvero di subentrare nell’operazione posta in essere illegittimamente150. Tale possibilità è subordinata, tuttavia, alla necessità che 149 Si veda, ad esempio, tra le posizioni più rigorose: R. GOODE, Ownership and Obligation in Commercial Transactions cit., passim; ID., Proprietary Restitutionary Claims cit., spec.  s. e passim, ove si limita la possibilità dell’esercizio di tali rimedi “proprietari” all’ipotesi di preesistente proprietà sul bene (sia essa anche di equity). La lettura è restrittiva, tanto che viene ad escludersi, ad es. nei rapporti fiduciari, che il constructive trust pur applicabile in caso di trasferimento eccedente lo scopo del trust, non possa estendersi in caso di agency gains, come pure si critica la posizione della giurisprudenza con riguardo al pagamento di tangenti. In senso più estensivo, S. WORTHINGTON, Three Questions on Proprietary Restitutionary Claims, in AA.VV., Restitution. Past Present Future cit., p.  ss. 150 Le ipotesi sono quelle viste nel paragrafo precedente. Cfr. Restatement Third, cit., §  cmt. c, illus. . A ben vedere, in quest’ultimo caso, e laddove s’inserisca in un preesistente rapporto d’intermediazione, si tratta dei medesimi risultati cui conduce la facoltà di ratifica concessa al mandante ex art. , co. , c.c.     il claimant dimostri che l’oggetto della pretesa è lo stesso bene oggetto del trasferimento invalido, o non legittimato, ovvero si tratti di un suo sostituto (che, ovviamente, potrà essere un altro bene, ovvero una somma di denaro, purché identificabile). Tuttavia, in caso di solvibilità dell’accipiens, la pretesa restitutoria sul denaro si trasferisce comodamente sul tantundem eiusdem generis et qualitatis (se si esclude l’ipotesi di scuola delle banconote contenute in busta chiusa, o delle monete in una cassetta), essendo superflua qualsiasi requisito di tracciabilità151. Degno di nota, in questi casi, in un raffronto comparativo, è la possibilità che gli ordinamenti in esame prevedono di estendere al di fuori dell’ipotesi della gestione intermediata, e ricorrendo i requisiti del constructive trust, il quantum della restituzione non esclusivamente al quantum meruit, ma altresì, all’eventuale meggiore valore conseguente all’acquisto nelle proprie mani da parte del recipient nella operazione, ad es., annullata. Diversa dev’essere l’attenzione da prestare in caso di incapienza del patrimonio del convenuto (sia esso l’originario accipiens ovvero un terzo subacquirente a seconda del valore che si è deciso perseguire)152. È questo il settore in cui, l’esperibilità del constructive trust sul denaro Con la conseguente, nel caso del diritto anglo-americano, inutilità di agire per constructive trust. “If the claimant seeks to recover money form a solvent defendant, constructive trust – even assuming the necessary identification of specific assets – is a superfluous remedy that will not be sought”. Cfr. Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment §  cmt. a, illus. , p. ; R. GOODE, Ownership and Obligations in Commercial Transactions cit., p.  s.: «In the commercial world the distinction between ownership of an asset and purely personal right to acquire an assset, e.g. under a contract, is usually of little significance so long as the debtor is traceable and solvent, for the interest of a commercial creditor in the performance of a transfer undertking is usually monetary rather than in ownership of its own sake, aand if the debtor […] fails to deliver then the creditor can simply obtain what is due to him, either in cash or in kind, by suing for it and enforcing any resulting judgment. It is upon the debtor’s insolvency that the distinction between ownership and a personal right to an asset becomes of crucial significance […] Owner and secured creditors can withdraw from the pool the assets they own or over which they have security […]». 152 Ricordiamo che, attesa la comunanza di problematiche, il discorso tende a presentarsi parzialmente diverso negli ordinamenti di common law, dove l’ipotesi della incapienza patrimoniale sfocia nella procedura di bankruptcy, anche con riguardo alle persone fisiche. Ciò chiarito, può tuttavia chiaramente tracciarsi un parallelo rispetto a quanto prospettato nel capitolo precedente. 151 Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law diventa cruciale153, in cui le regole rintracciate nella law of restitution soccorrono la law of bankruptcy154. Su questo terreno si vede come, nell’ipotesi in cui la moneta diventi bene scarso, e quindi specifico, su di essa si trovino ad insistere molteplici pretese provenienti sia dal lato di chi intende recuperare, sottraendolo alla procedura, un bene del quale si afferma la proprietà, sia da quello della procedura stessa che mira, secondo i rimedi posti dall’ordinamento, a recuperare quanto illegittimamente sottratto al soddisfacimento dei crediti e quindi reintegrare il patrimonio del fallito a favore dei creditori della procedura155. 153 Cfr. Restatement Third, cit., § , cmt. g, illus. , p. . Ricordiamo in proposito come, nella dottrina inglese, tra le proposte di sistematizzazione dei rimedi ad efficacia reale (nel senso di opponibilità) originanti dall’ingiustificato arricchimento (in cui s’inscrive anche il problema dell’ambito da riconoscere al constructive trust), vi è quella si fonda sul criterio dell’assunzione del rischio dell’insolvenza del convenuto da parte dell’attore, con la conseguenza che ogni volta in cui questi abbia avuto la possibilità di poter richiedere una garanzia a tutela del suo credito (e quindi abbia assunto il rischio dell’insolvenza) il rimedio a carattere reale non possa essere riconosciuto. Cfr. BORROWS, The Law of Restitution cit.,  ss. 154 Si tratta di un assunto ormai consolidato nella più autorevole dottrina. Su come le restituzioni anche in ambito fallimentare siano governate dalle regole della law of restitution, ancora KULL, Restitution in Bankruptcy cit., pp. - e pp. -, in tema di restituzioni nei confronti del bankruptcy estate (come si è detto, grossomodo corrispondenti alle rivendiche fallimentari). Da ciò deriva che al giudice spetti, innanzitutto, definire il diritto come stabilito dalle regole di restitution, solo successivamente dovendo valutare le logiche distributive previste in sede fallimentare. Conformemente, per gentile concessione degli autori, D. BAIRD, Ponzi’s Legacy (testo dell’intervento presentato al L. P. King and C. Seligson Workshop presso New York University, ), p.  s. del dattiloscritto, e, avendo riguardo esclusivamente alla ricostituzione del patrimonio del fallito S. LEVMORE, Rethinking Ponzi-Scheme Remedies In and Out of Bankruptcy, p.  del dattiloscritto. Citando Baird «If a state legislature has made the decision that your right as the person who gave me this particuluar $ bill primes the rights of ordinary creditors, no bankruptcy policy justifies overturning this. If general creditors have no way of reaching an asset outside of bankruptcy, they should not be able to reach it inside of bankruptcy». Questo chiarimento mette ben in luce, invero, per un verso, un principio di logica giuridica universalmente valido, per cui le regole restitutorie non possano che valere all’interno delle diverse aree del diritto in via uniforme; per altro attinge ad un dibattito proprio dell’ordinamento statunitense, in cui l’assenza di regole precise sulla ricostituzione/ distribuzione dell’attivo fallimentare all’interno del Bankruptcy Code ha portato ad una giurisprudenza oscillante sul punto. Cfr. infra nt. successiva. 155 Si vedano la ricostruzione del diritto vigente fatta da KULL, Restitution in Bankruptcy cit., pp.  ss., in part. , in commento alla criticata sentenza XL/Datacomp, Inc. v Wilson (In re Omega Group, Inc.),  F. d , - (th Circ. ). Il Sesto Circuito, in tale pronunciamento, aveva escluso l’applicabilità del constructive trust in ambito fallimentare, poiché in     Nello spettro delle azioni restitutorie esperibili riguardo al denaro in caso di fallimento, vi è, azitutto, l’azione contro la procedura, volta a sottrarre il bene ai creditori del fallimento156. In questo caso la restituzione viene promossa contro il fallimento, ovvero il debitore insolvente e, alla luce di quanto appena detto, può essere spiegata in termini di un rapporto (de facto) di tipo trilaterale. L’aggettivo non deve fuorviare: esso non allude alla presenza di un terzo sub-acquirente, ma invece alla contrapposizione d’interessi che insorge, quando il patrimonio dell’accipiens (o del terzo sub-acquirente) sia insufficiente a soddisfare le obbligazioni, tra l’avente diritto alla restituzione e la generalità dei creditori. Sono essi, infatti, a costituire l’altro centro d’interessi che, sostanzialmente, si oppone alla pretesa restitutoria157. In questo contesto, il tracing funge da criterio dirimente nella restituzione nei confronti degli altri creditori del comune debitore, o viceversa158. Il criterio prescelto (quello basato sulla materiale tracciabilità del questo caso non avrebbe inciso sulla posizione del debitore (l’autore del comportamento illegittimo), ma di altri creditori concorrenti (si trattava della richiesta di constructive trust sulla somma pagata in anticipo per la fornitura di beni ad una società poi dichiarata fallita, e a causa delle ingannevoli rassicurazioni di quest’ultima). In tal modo – ritiene l’a. – il principio della par condicio creditorum viene in pratica ritenuto in grado di derogare anche ai proprietary remedies in restitution, così sovvertendosi l’ordine logico del ragionamento giuridico. In proposito, una più dettagliata indicazione del diffuso orientamento contrario nella giurisprudenza fallimentare, volto a riconoscere l’operatività del constructive trust è in C. SOTT PRYOR, Third Time is the Charm: The Coming Impact of the Restatement (Third) Restitution and Unjust Enrichment in Bankruptcy, disponibile al sito http://ssrn.com/abstract=, p.  ss., spec. p.  ss. e  156 Nei sistemi di common law, anche la pretesa restitutoria corrispondente alle c.d. rivendiche fallimentari assume la forma del constructive trust. 157 Parla di “second order”restitution KULL, Restitution in Bankruptcy cit., p.  s., chiarendo che mentre il pagamento non dovuto (l’a. si esprime nei termini di non consensual transfer) sia avvenuto tra il tradens (colui che poi agirà in restituzione – il proprietario) e l’accipiens, la restituzione poi si decide nel rapporto tra il primo e i creditori del secondo. Ciò giustifica, altresì, perché i criteri restitutori risultino, in questi casi, in parte alterati: la restituzione in ambito fallimentare non si estende, ad esempio, ai profitti del bene, ma al suo ragionevole valore, venendo altrimenti a pregiudicare soggetti non colpevoli. 158 Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment §  cmt. a, p. . Si segnala, tuttavia, anche un utilizzo del tracing da parte delle corti che si diparte dalle consuete e consolidate regole e tendenzialmente determinato da esigenze d’equità. Ad es. Goldberg v. Bank of Alex Brown (In re Goldberg),  B.R.  (B.A.P. th Circ. ), in cui è stato dichiarato un constructive trust anche su beni di cui era stato solo presunto – ma non dimostrato – l’acquisto effettuato con denaro ottenuto da un negozio affetto da errore (money paid by mistake). Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law bene) è chiaramente arbitrario e semplicistico, in quanto non corrispondente ad alcuna realistica interpretazione della realtà dei fatti, se applicato al denaro o ai beni fungibili. Tuttavia, una volta prescelto dall’ordinamento, esso opera quale presunzione assoluta (conclusive presumption)159. Vediamone un esempio per comprendere come esso concretamente operi. Se Tizio paga per errore $ a Caio, il correlativo incremento nel valore del suo patrimonio non comporta necessariamente che di esso traggano vantaggio, ma neppure subiscano pregiudizio, i suoi creditori generali. Potrebbe, infatti, darsi che, immediatamente, Caio dissipi quei $160. I sistemi giuridici adottano quindi la tendenziale posizione secondo cui tale comportamento non debba pregiudicare i creditori generali, ovvero in altri termini che i $ in oggetto non possano essere sottratti al patrimonio generale del debitore (o fallimento, nei paesi di common law). In questo caso, è evidente che è l’attore in restitutoria a sopportare il rischio della non tracciabilità del bene e che egli non avrà possibilità di recuperare alcun equivalente dell’iniziale somma versata. Di contro, al di fuori delle ipotesi in cui il denaro sia stato effettivamente dissipato, cioè non rintracciabile in nessun bene del patrimonio del debitore, i creditori tenderanno a trovarsi in una situazione di tendenziale svantaggio. È ben chiaro che in questo modo, la materiale tracciabilità del bene e le regole ad essa relative fungono da criterio per bilanciare l’interesse dell’avente diritto alla restituzione e quello dei creditori generali, rispetto al debitore che è nella materiale disponibilità del bene161. 159 Cfr. Restatement Third cit., § , h., p. , ove «The law of restitution resolves this question by subtituting a rule of thumb a s a conclusive presumption […] The tracing rules are rought but not altogether arbitrary in their operation, and they serve on balance to protect the creditor’s position». Con riguardo, ad es., alla marshaling rule, e contestando il ragionamento in Lakey v. Lakey,  So.d  (Miss. ) i commentatori del Restatement, rilevano come non si possa parlare di inversione dell’onere della prova a favore della vittima, poiché nel caso di fondi commisti, è impossibile per chiunque provare quale porzione del fondo è stata prelevata. Ed è proprio questa la ragione per cui si è ricorso a presunzioni, anzichè a regole sulla prova (Restatement Third cit., § , p. ). 160 Come già chiarito, con il termine dissipare si vuol far riferimento specificamente a tutti quegli atti che comportano una perdita nel patrimonio, non altrimenti recuperabile (o tracciabile). 161 Il testo originale si esprime secondo le logiche dell’ingiustificato arricchimento: «Supposing it is established that B was at one time unjustly enriched in the amount of $  at the expense of A, does it follow that B’s creditor C is unjustly enriched if B’s present assets are     Tuttavia, laddove i criteri arbitrari, ma consolidati, del tracing non risultino applicabili, la pretesa proprietario-restitutoria è destinata a trasformarsi essa stessa in un credito concorsuale. Ad esempio, ove il denaro dell’investitore truffato sia stato versato dall’autore della truffa in un conto comune (dove venga a confondersi con altro denaro), sul piano civilistico, la pretesa su di esso si spiegherà all’interno della par condicio creditorum, laddove non sia rinvenibile una tracciabilità giuridicamente rilevante. Sul piano operativo, le finzioni giuridiche elaborate per il caso di fondi commisti (commingled fund) ricercano un compromesso che pur non intaccando i diritti della generalità dei creditori chirografari, allo stesso tempo garantiscono una migliore tutela delle istanze “proprietarie”162. Vediamo, con riguardo al denaro, cosa ciò significa. .. Segue. Le regole del tracing: la recente ricostruzione ad opera del Restatement (Third) of Restitution and Unjust Enrichment Nel diritto americano le regole del tracing hanno – storicamente – avuto una maggiore evoluzione163. In verità, si è assistito ad un singolare percorso nella giurisprudenza e dottrina americana. A fronte di un iniziale impulso dato alla formazione di un’autonoma area del diritto delle restituzioni nel dibattito scientifico, gli ultimi decenni sono stati invece contrassegnati da un atteggiamento silente made available without restriction for the payment of B’s debt to C? C will presumably be enriched at A’s exprense if the $ unjustly obtained by B – or any part of it – persists in B’s assets to enlarge the assets reachable by B’s creditors; but whether this is in fact the case will often be unknowable. […] even if A could prove that B’s present assets are greater by $  in consequence of $  once taken from A, A is not entitled to a $ priority over C’s general creditors unless A can identify his $ or its traceable product in B’s present assets». Cfr. Restatement Third, op. loc. cit. 162 Per tale via, ad esempio, KULL, Restitution in Bankruptcy cit., pp.  e  s. pur affermando l’esperibilità in astratto del rimedio del constructive trust in ambito fallimentare, finisce con l’inferirne il probabile insuccesso con riguardo alle somme di denaro.«Omega Group rejected a restitution claim that probably deserved to fail anyway, but it did so on the ground that a restitution claim that takes the common form of a claim to constructive trust is not cognizable in bankurptcy at all». 163 DE FRANCHIS, voce Tracing, in Dizionario giuridico, I, Milano, . Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law sulla materia, e da incertezze nella giurisprudenza, che sembrano trovare una soluzione di continuità solo in epoca recente164. Quest’ultima è rappresentata dal Restatement (Third) of Restitution and Unjust Enrichment, di recentissima pubblicazione, che costituisce la principale e più aggiornata fonte per meglio comprendere quale sia l’evoluzione del diritto americano delle restituzioni165. Esso realizza un importante traguardo: quello di ripensare in maniera organica il diritto statunitense delle restituzioni e dell’arricchimento ingiustificato. Non può essere questa la sede per ripercorrere analiticamente le tappe e la portata di tale operazione. È opportuno, tuttavia, segnalare come essa, nonostante sia espressione di un lavoro di chiarificazione e riorganizzazione del diritto giurisprudenziale vigente, abbia meglio definito la concezione scientifica della materia, che poggia oggi definitivamente e unitariamente sul principio generale dell’unjust enrichment166. Questa rinnovata vi164 Va ricordato come, nonostante l’argomento sia divenuto piuttosto desueto nella letteratura giuridica statunitense, sia stato proprio il Restatement of Restitution del  ad introdurre l’idea di una coerente law of restituition governata dal principio dell’unjust enrichment, cui ha fatto poi rinvio lo stesso diritto inglese, dove ora il dibattito è più vivace. Cfr. G. VIRGO, What is the Law of Restituttion About?, in AA.VV., Restitution. Past, Present and Future, Oxford (Hart Publishing), , p.  ss., spec. , nonché GOFF e JONES, The Law of Restitution cit., in premessa. Sulle ragioni del declino della law of restitution nel diritto americano, dovuto, principalmente al dominio del realismo giuridico e dell’analisi economica del diritto, perché contrari a qualsiasi tipo di impostazione dottrinaria, si veda J. H. LANGBEIN, The Later History of Restitution, in AA.VV., Restitution. Past, Present and Future cit., p.  ss., in part. p.  s. 165 Nel maggio del , l’American Law Institute (ALI) ha finalmente pubblicato il terzo Restatement of Restitution and Unjust Enrichment, dopo più di dieci anni di elaborazione, sotto la guida di Andrew Kull, che è il principale esperto americano di law of restitution. Quest’opera di “codificazione” del case-law viene a sostituire il primo Restatement of Restitution: Quasi Contract and Constructive Trust del . Nonostante sostituisca immediatamente il primo, è stato indicato come “terzo” per adeguarlo ai Restatements attualmente redatti, ratione materiae, per le altre aree del diritto (i quali sono ormai alla loro terza edizione). 166 Il richiamo al principio uniformatore dell’unjust enrichment è stato interpretato come un chiaro esempio di moderno (e post-realista) concettualismo giuridico, poiché risponde all’istanza di sistematizzazione di un settore carente, certamente fino alla metà del XX sec., di una consapevole elaborazione scientifica, e che rimane tuttora relativamente silente anche comparandolo con la produzione scientifica Commonwealth inglese. Tale esempio di ritorno al pensiero giuridico classico viene giustificato per una certa tendenza della dottrina giuridica alla continuità, nonché per la maggiore attitudine di tale metodo al (mero) “riordino” complessivo del case law storico e contemporaneo, che rappresenta la missione del (e di ogni) Restatement. In tal modo, l’utilità di questo metodo è in grado di superare la critica realista al con-     sione consente non solo di sistematizzare il case law vigente, in maniera certamente più consapevole167; ma consente, altresì, di dare contenuto all’unità concettuale derivante dall’unjust enrichment nei termini di quantificazione della somma dovuta basata sulla perdita subita dall’attore, quale principio governante tutte le fattispecie restitutorie168. cettualismo, considerato un approccio che non riesce a garantire la certezza, la completezza o la coerenza degli ordinamenti giuridici, o a guidare l’uniformità del controllo giudiziale; come pure la concorrenza rispetto ad approcci di tipo post-realista o di analisi economica. Cfr. C. SAIMAN, Restating Restitution: a Case of Contemporary Common Law Conceptualism, in  Vill. L. Rev., p.  ss.,  s. e nt. , ,  ss. (). L’a. sviluppa, inoltre, un ulteriore argomento che spiega come l’utilizzo del metodo concettualista, quale strumento che vede nel principio dell’arricchimento ingiustificato un’istanza immanente l’intero panorama del sistema giuridico, sia in grado di rinvigorire un settore del diritto (chiarendo quali siano le liabilities in restitution), che, diversamente non troverebbe voce o legittimazione nel diritto positivo di fonte legislativa. L’argomento, come evidente, si ricollega ad una più ampia tematica, che riguarda la rilevanza del diritto privato, quale autonoma partizione scientifica, negli ordinamenti di civil e di common law. Su quest’ultimo punto si veda, D. CARUSO, Private Law and State-Making in the Age of Globalization, in  N.Y.U. J. Int’l L. & Pol., -, p.  ss. Un esempio di lettura del diritto delle restituzioni orientata alla law and economics è in S. LEVMORE, Explaining Restitution,  Va. L. Rev. cit. 167 C. SAIMAN, Restating Restitution cit., p.  s., con riguardo alla giurisprudenza in tema di trasferimenti elettronici di fondi e in particolare al caso Banque Worms v. BankAmerica Int’l,  N.E. d , - (N. Y. ), un caso di pagamento eseguito per errore dalla banca del debitore sul conto di un terzo creditore (che non era tuttavia quello indicato per il trasferimento di fondi), a seguito del fallimento del debitore. L’azione di ripetizione promossa dalla banca pagatrice viene rigettata dai giudici, i quali basandosi su un’interpretazione gius-economica, ritengono che tale banca, nella dinamica dell’operazione concreta, sia il soggetto economico maggiormente in grado di sopportare il rischio dell’insolvenza del debitore (ovvero, il soggetto in grado di prendere precauzioni – cheapest cost avoider). Si tratta, di un’interpretazione che risulta, tuttavia, contrastante con i principi della law of restitution, applicabili in caso di mistaken payments, come sottolineato da A. KULL, Rationalizing Restitution,  Cal. L. Rev. , spec.  (). 168 Il riferimento è alle restituzioni derivanti da contratto. Sul punto ancora C. SAIMAN, Restating Restitution cit., p.  ss., il quale, aderendo ad una più flessibile interpretazione che riconosce la possibile concorrenza di ulteriori principi unitamente a quello centrale dell’arricchimento ingiusto (D. LAYCOCK, The Scope and Significance of Restitution, in  Tex. L. Rev., , p.  ss.), riesce in tal modo a spiegare i criteri di quantificazione nei casi di quantum meruit (che comportano la restituzione di quanto versato), ovvero del ragionevole valore di mercato, ad esempio in caso di prestazioni di fare che non siano quantificabili in termini di beneficio del ricevente (l’ipotesi è quella della prestazione medica d’urgenza, pur eseguita con la normale perizia, cui sia seguita la morte del paziente, § ). Tale approccio risulta, altresì, conforme ad una più ortodossa lettura dei c.d. coronation cases. Più un generale, una chiara illustrazione delle differenze tra i modelli restitutori nei diversi sistemi giuridici è in F. GIGLIO, A Systematic Approach to ‘Unjust’ and ‘Unjustified’ enrichment cit., p.  ss. Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Su altro versante, il progetto iniziale è stato in parte ridimensionato. Esso mirava una esposizione del diritto vigente scevra da qualsiasi tributo alla differenza, ormai ritenuta superflua, perché derivante da un mero accidente storico, tra common law ed equity. Il risultato finale non va, tuttavia, così lontano169, sebbene, ad esempio, per quanto qui d’interesse, non residui più alcuna differenza tra le regole legali ed equitative del tracing170. Tale operazione ha ratificato un trattamento uniforme di tutte le ipotesi restitutorie ad oggetto monetario171, non solo nel caso esso sia stato sostituto con altro bene, ma anche nel caso in cui lo stesso sia andato a confondersi con un una massa limitata. In questo apprezziamo qual è il principale portato, al di là dell’origine storica e delle argomentazioni più o meno invalse nel discorso giuridico, dei principi del tracing. Ciò che, in definitiva, e in una prospettiva comparativa, esso può indicarci. Con riguardo al denaro, come in altre ipotesi assimilabili, non ha senso continuare a parlare di cambio di forma ovvero di sostituzione in senso materiale. Esse rivelano null’altro che un nesso di consenguenzialità tra una una diminuzione di un valore in capo ad un soggetto e un aumento in capo ad un altro. Ciò appare più che evidente nei pagamenti interbancari172. Allo stesso tempo, comprendiamo come la concezione materialistica costituisce l’ancora per un principio di certezza, che non trova espressione in altri meccanismi noti. 169 L. SMITH, Common law and Equity in RRUE, in  Washington Lee and law review, , attualmente disponibile sul sito http://ssrn.com/abstract=. L’a., partendo da una riflessione sull’esperienza del terzo Restatement, affronta poi in maniera più approfondita il problema della unificazione tra common law ed equity nel diritto inglese, dove il dibattito in materia è più vivace e fecondo. 170 Cfr. Ibid., nt. , l’autore rileva come, mentre altrove (§§ , , , , ) si faccia chiaro rinvio all’Equity, in materia di tracing e constructive trust (§ , -) il Restatement abbia adottato in via uniforme le regole di equity senza tuttavia fare rinvio alla loro origine. Come si è visto, nonostante i numerosi richiami all’uniformazione, la situazione si presenta diversa nella dottrina e nel case law inglese. 171 Nell’ambito di un’articolata proposta per il superamento del binomio common law / equity, rileva questa incongruenza in caso di misappropriation of money, nel diritto inglese, A. BURROWS, We Do This at Common Law but That in Equity, in  O.J.L.S. , , p.  ss., spec. p.  nt. . 172 SMITH, The Law of Tracing cit., passim. Come già visto per il diritto inglese, in un pur talvolta vago modo, tale idea tende a confluire nelle corti civili. La mancata adesione ad essa portò, invece, a risulati assurdi in ambito penale. Cfr. Regina v. Preddy [] AC .     La section  del Restatement (Third) of Restitution and Unjust Enrichment, che è dedicata proprio al tracing con riguardo al denaro, individua tre distinte fattispecie di confusione di beni, in cui trovano operatività le regole del tracing173. È da premettere che l’immagine che si ha in mente è proprio quella del denaro (o di altri beni fungibili) in quanto cosa fisica, che, risponde ad una precisa idea della priorities in bankruptcy governate dal modello proprietario, e in cui le singole proprietà non siano più identificabili. Le regole della tracciabilità sono determinate in funzione delle cause e delle modalità con cui si spiega l’avvenuta confusione174. Assumono rilievo, altresì, gli stati soggettivi rilevanti dell’accipiens dei beni. Le ipotesi considerate sono quattro: ) deposito in conto comune (o ipotesi analoga) di beni appartenenti a proprietari diversi, senza che vi siano operazioni successive sullo stesso; ) confusione di beni operata coscientemente (con dolo o in violazione di doveri fiduciari) da uno dei proprietari, in presenza di successivi prelievi e versamenti; ) confusione di beni causata, ma in buona fede, da uno dei proprietari, in presenza di successivi prelievi e versamenti; ) confusione di beni appartenenti a più proprietari (come nelle caso delle vittime di una truffa), con successivi prelievi e versamenti. 173 Come si è visto in precedenza (cfr. supra para.  di questo cap.) le regole del tracing si sono sviluppate nei settori del trust e della law of restitution, trovando particolare applicazione in casi di bankruptcy, ove la “scarsità” dei beni disponibili ne rende necessaria la sequela, al fine di sottrarre la propria posizione alla falcidia del concorso. Ciò tuttavia non esclude che esse trovino applicazione in ulteriori contesti, ove sorge analoga necessità di identificazione poiché sussistono interessi concorrenti su medesimi beni. Si tratta di un percorso in parte già riscontrato con riguardo all’ordinamento italiano e che riguarda le garanzie sul beni specifici (collateral, U.C.C. Article ), e la confisca civile e penale (forfeiture) quando interessa il prodotto del reato ( USCA § -). In quest’ultimo caso le disposizioni di legge tendono a riprodurre le regole giurisprudenziali. 174 L’espressione utilizzata in questo caso è commingled fund, unitamente al verbo to commingle, che è una variante, probabilmente influenzata dall’olandese mengelen, dei più comuni to mix/mixture, la cui radice, è da rinvenire, a sua volta, nel latino mixtio (da miscere). Si è scelto di tradurre questi termini alternativamente, come, commistione, che – come si è visto – è il termine giuridico utilizzato dal legislatore per indicare quando le cose unite non siano più distinguibili (art.  c.c.), e confusione (anche c.d. patrimoniale), che compare nella giurisprudenza, anche civile, comunemente per indicare, la mancata identificabilità delle medesime cose. Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law ) Nel primo caso, (a) il saldo del fondo comune, (b) o una sua parte), (c) ovvero il bene acquistato per mezzo del primo, ovvero una combinazione degli stessi [collettivamente definibili come “prodotto tracciabile”], verrà diviso proporzionalmente tra gli originari proprietari175. ) Ove, però, tale confusione sia da imputare ad un comportamento illecito o all’inadempimento di doveri fiduciari o a comportamenti assimilabili da parte dell’accipiens delle cose (scil. denaro) altrui, (a) i prelievi effettuati che si siano tradotti in un “prodotto tracciabile” e l’equivalente del denaro dissipato andranno attribuiti, per quanto possibile, a chi ha subíto le conseguenze di tale comportamento. (b) E tuttavia, successivi versamenti da parte dell’originario accipiens/autore dell’illecito non potranno reintegrare quanto sottratto alla vittima, salvo che il primo non lo abbia espressamente affermato. (c) Infine, in caso di uno o più prelievi dal fondo commisto, la porzione di questo che può essere tracciata come (“prodotto tracciabile”) appartenente alla vittima non può superare l’ammontare corrispondente al minimo bilancio intermedio del fondo (fund’s lowest intermediate balance)176. ) Se la confusione dipende dall’operato in buona fede di uno dei titolari dei beni del fondo, si seguono i medesimi criteri, ma con l’applicazione di un limite massimo. Fermo quanto previsto supra sub ), relativamente al calcolo dell’ammontare di spettanza per i titolari dei beni sul saldo ancora esistente, ma in questo caso tale ammontare non può essere superiore a quanto è dovuto dall’accipiens a titolo di responsabilità (rif. § , )177. 175 § . (): «If property of the claimant is deposited in a common account or otherwise commingled with other property so that it is no longer separately identifiable, the traceable product of the claimant’s property may be identified in (a) the balance of the commingled fund or a portion thereof, or (b) property acquired with withdrawals from the commingled fund, or a portion thereof, of (c) a combination of the foregoing, in accordance with the further rules stated in this section». 176 § . (): «If property of the claimant has been commingled by a recipient who is a conscious wrongdoer or a defaulting fiduciary or equally at fault in dealing with the claimant’s property: (a) Withdrawals that yield a traceable product and withdrawals that are dissipated are marshaled so far as possible in favor of the claimant. (b) Subsequent contributions by the recipient do not restore property previously misappropriated from the claimant, unless the recipient affirmatively intends such application. (c) After one or more withdrawals from a commingled fund, the portion of the remainder that may be identified as the traceable product of the claimant’s property may not exceed the fund’s lowest intermediate balance». 177 § . (): «If property of the claimant has been commingled by an innocent recipient (§ ), the claimant’s property may be traced into the remaining balance of the com-     ) È regolata in modo completamente diverso, invece, l’ipotesi in cui in un conto (o fondo) comune siano confluite somme appartenenti a più titolari, che generino multiple pretese restitutorie (come nel caso di vittime di truffe successive da parte dell’accipiens). In questi casi, viene scartato il ricorso alle presunzioni, tenendosi conto invece delle effettive operazioni avvenute sul conto, o, carente la prova di queste, si prescrive una divisione proporzionale del fondo rimanente, con limitazioni in caso di concorso con altri creditori del comune debitore (§). (a) Ciascun titolare ha diritto ad una parte del fondo o di un suo prodotto tracciabile in proporzione alla percentuale che ciascuno ha apportato sul saldo comune tenuto conto dell’apporto e del prelievo di ciascuno (ma solo se la contabilità necessaria per effettuare questo calcolo può essere ricavata non utilizzando presunzioni o tenendo conto di prelazioni – marshaling rule – di cui al §  (). (b) Se non è raggiunta la prova necessaria per distinguere i diritti dei diversi titolari facendo riferimento alle operazioni realmente avvenute, gli aventi diritto recuperano la propria quota stimabile dal fondo e di ogni suo frutto in proporzione alle rispettive perdite178. () Il saldo di volta in volta stimabile di un fondo commisto può essere determinato utilizzando il metodo contabile praticabile e appropriato alle circostanze del caso specifico179. Come può facilmente inferirsi, le regole fornite mirano ad estendere lo spettro dei beni aggredibili dall’avente diritto alla restituzione (c.d. traceable products) ai sostituti dei beni o della somma iniziale, o di parte di essa, conformemente ai principi generali in materia di tracing (cfr. § ). Ciò che premingled fund and any product thereof in the manner permitted by §  (), but restitution from property so identified may not exceed the amount for which the recipient is liable by the rules of §§  and ». 178 § . (): «If a fund contains the property of multiple restitution claimants (such as the victims of successive fraud by the recipient): (a) Each claimant’s interest in the fund and any product thereof is determined by the proportion that such claimant’s contributions bear to the balance of the fund upon each contribution and withdrawal, not only if the accounting necessary to this calulation can be established without using the presumptions or marshaling rules of §  (). (b) If the evidence does not permit the court to distinguish the interests of multiple restitution claimants by reference to actual transactions, such claimants recover ratably from the fund and any product thereof in proportion to their respective losses». 179 § . (): «The balance from time to time of a commingled fund may be determined by whatever method of accounting is practicable and appropriate to the circumstances of a particular case». Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law cipuamente caratterizza le tracing rules applicabili all’ipotesi del denaro è rappresentato dall’ipotesi in cui, come più comunemente avviene, vi siano stati prelievi intermedi dal fondo comune. In questo caso, assumendosi che non sia più possibile individuare in concreto le somme di quale dei titolari siano state prelevate o meno, si ricorre all’adozione di criteri fittizi (o se si vuole, presuntivi) per determinare l’ammontare spettante a ciascuno. Tali regole affondano le proprie radici in soluzioni equitative elaborate in progresso di tempo nel common law, ma per quanto presuntive o basate su finzioni giuridiche (si pensi a quella di corporeità), vengono difese dai relatori del Restatement (Third), come gli unici criteri possibili, nonché rispondenti a criteri di giustizia sostanziale180. Vediamo qualche esempio di concreta applicazione181. ..) Tizio s’impossessa illecitamente di $ appartenenti a Caio e li usa per aprire un conto presso una banca, in cui, successivamente deposita ulteriori, suoi, $. Non vengono effettuate successive operazioni sul conto. L’illecito di Tizio viene scoperto. Il credito restitutorio di Caio per $ è destinato ad essere soddisfatto, prevalendo anche nei confronti di eventuali altri creditori (ad esempio, la banca che intenda utilizzare la somma per compensare una posizione debitoria di Tizio nei suoi confronti). ..) Tizio, invece di depositare i  $ di Caio presso un conto corrente bancario decide di investirlo, unitamente ai suoi , nell’acquisto del fondo corneliano. Caio avrà diritto, a sua scelta, ad / del fondo stesso, a titolo di constructive trust, ovvero ad un lien sul fondo corneliano a garanzia del proprio credito di $. Tuttavia, le ipotesi più frequenti ricorrono allorquando vi siano state 180 Il commento a §  riporta: «The rules for tracing through a commingled fund are often called “tracing fictions”, and they are sometimes criticized as arbitray. The rules will indeed appear fictional if they are explained – as the sometimes have been – as presumptions about the intent of the person making withdrawals form the fund. […] however, the tracing rues have nothing to do with anyone’s intent. They are formal in operation, in that they employ presumptions to answer an otherwise unanswerable question: namely, the extent of the claimant’s ownership of the commingled fund or its product. But the answers supplied are not arbitray: they make a rough, practical compromise between the competing interests of the restitution claimant and of the other persons with an interest in the fund». 181 Gli esempi riprendono, con alcune varianti, il Restatement Third, sub § , p.  ss., al fine di rispecchiare la casistica giurisprudenziale rilevante, dalla quale, induttivamente, tali fattispecie sono state tratte.     operazioni sul conto in oggetto, da parte, normalmente di un fiduciario (trustee), che determinano la confusione del denaro di diversi titolari. La frequenza di tali fattispecie ha determinato la formazione di ipotesi tipo, che sono appunto confluite nella formazione di una “fattispecie astratta” nel Restatement (Third), particolarmente frequente nella casistica (§  ()). Con riguardo all’ipotesi di prelievi di somme, il diritto anglo-americano adotta, in proposito, una duplice presunzione, in favore della vittima dell’illecito (che potrà essere, ma non solo, il beneficiary di un trust), e a scapito del fiduciario. In tal modo, sempre nei limiti in cui questo sia consentito dall’effettivo saldo, i prelievi svantaggiosi o non tracciabili sono attributi alla parte di fondo spettante all’autore dell’illecito; mentre ogni prelievo che è possibile tracciare sarà considerato della vittima182. Vi è, comunque, un limite a queste presunzioni, ed è rappresentato dal criterio del lowest intermediate balance183. Passiamo all’applicazione concreta delle regole supra esplicitate in caso di illecito dell’accipiens. .a) Agendo in difetto di autorizzazione (potremmo, anche, ipotizzare che si tratti di un mandatario infedele), Tizio deposita $ di Caio in un suo conto che ne contiene già . Successivamente ne preleva , utilizzandoli per spese correnti. Caio potrà recuperare $ a titolo di constructive trust o lien, mentre per i restanti $ avrà un credito chirografario. .a.) Ricorrendo i fatti prima illustrati, si ipotizzi che solo $ vengano prelevati, e di questi solo la metà venga spesa per consumi correnti, mentre gli altri $ nell’acquisto di azioni. In questo caso, Caio avrà diritto alla restituzione, via constructive trust o lien, non solo sui $ ancora disponiSi tratta di una presunzione che evidentemente attinge al case law inglese: Knatchbull v. Hallet (In re Hallet’s Estate),  Ch. DN , che introduce la presunzione secondo cui, in caso di fondi commisti, i primi prelievi vadano imputati al denaro del colpevole; In re Oatway []  Ch. Div., , si introduce il correttivo secondo cui la presunzione trova applicazione solo nel caso in cui si tratti di denaro dissipato (non tracciabile). Esse sono state, poi riprese nella giurisprudenza federale (Pimeau v. Granfield,  F. ,  (C.C.S.D.N.Y.)) 183 Sostituisce la c.d. proportionality rule, prevista dal Restatement of Restitution § - (), la quale rappresentava una deviazione rispetto al tradizionale common law in materia (rappresentato dalla low intermediate balance rule). Essa mirava a ridurre l’ammontare della somma spettante alla vittima, contenendola ad una somma non superiore alla quota dell’intero fondo (alla proporzione) che gli competeva al momento del prelievo. Ciò, per evitare che la vittima potesse godere di guadagni inaspettati, alle spese dei creditori generali dell’autore dell’illecito (accipient-recipient). Il passaggio dalla proportionality alla marshaling rule rappresenta l’unica modifica in tema di rules of tracing apportata dal Restatement (Third). 182 Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law bili sul conto, ma altresì, e a medesimo titolo, sulle azioni acquistate, fino alla concorrenza del suo credito. In questo caso, se il valore delle azioni è, in progresso di tempo, divenuto $, Caio avrà diritto all’incremento di valore; se si è ridotto, ad esempio, a $, Caio diventerà equitable owner delle azioni, mentre avrà un credito chirografario pari a $184. La presunzione in materia di prelievi è, tuttavia, controbilanciata da un’opposta presunzione in favore dell’autore dell’illecito (recte dei propri creditori) per i versamenti da questi effettuati. Si presume, cioè, che i versamenti, successivi ad un prelievo, effettuati nel fondo comune da colui che ne ha la disponibilità (l’autore dell’illecito) non possano essere computati al fine di ricostituire la quota di fondo spettante alla vittima, a meno che il primo non abbia espressamente così inteso185. Appare evidente che grande rilievo assume in tal caso la possibilità di provare, direttamente ovvero indirettamente, la volontà di imputare il versamento alla quota di fondo della vittima, prova che è grandemente facilitata dalla tenuta di conti separati. .b.) Agendo in difetto di autorizzazione (ipotizziamo sempre che si tratti di un mandatario infedele), Tizio deposita $ del denaro di Caio in un conto che già contiene suoi $. Lunedì, Tizio preleva $, che utilizza per spese correnti. Mercoledì, riceve un bonifico bancario intestato a suo nome di $. Venerdì Caio viene a sapere del maltolto e, non avendo più fiducia nella correttezza di Tizio, chiede la restituzione dei propri $. A venerdì, il saldo disponibile sul conto ammonta a $. Pertanto va operata una distinzione, secondo che su quella somma concorrano o meno le pretese di altri creditori. Nel primo caso, Caio potrà vantare un constructive trust / lien (con riguardo al denaro vantare l’uno o l’altro titolo è indifferente) solo su $, mentre concorrerà come creditore chirografario sui restanti $. Nel secondo caso, essendovi somme sufficienti, potrà vantare il proprio credito restitutorio senza necessità di dimostrare un titolo di prelazione. .b.) Ricorrono le medesime circostanze del caso precedente, tranne La titolarità in equity dà diritto a dividendi, diritto di voto, etc. I commentatori del Restatement precisano in questo senso (cioè, a tutela dei creditori del malfattore) la presunzione relativa ai versamenti, escludendo che possa essere ricondotta, come tutte le tracing rules, ad una reale presunzione dell’effettiva volontà delle parti coinvolte (§ , p. ). In senso contrario, tuttavia, alcuni pronunciamenti, etichettati, tuttavia, come “relaxed tracing” o “liberal tracing”, ispirati ad una stretta tutela delle vittime della confusione (in questo senso Church v. Bailey,  Cal. App. d ,  P.d  ()). 184 185     che sul fatto che giovedì Tizio decide di investire $ in azioni, che risultano valere $ venerdì, giorno della scoperta del maltolto. A venerdì, il saldo disponibile sul conto è sempre di $. Pertanto, Caio decide di rivalersi (per i $ cui ha diritto), su ¼ delle azioni acquistate, anziché sul denaro depositato sul conto corrente. In questo caso, infatti, il prodotto tracciabile degli originari $ è rappresentato o dai $ del saldo disponibile, o in ¼ delle azioni, ma non entrambi perché non può essere identificato i contemporaneamente in più luoghi. Quando, tuttavia, vi siano stati più prelievi dal fondo (ed eventualmente successivi versamenti), che è l’ipotesi più frequente, il criterio applicabile diventa quello del lowest intermediate balance: l’ammontare della somma richiesta da un ipotetico Caio non può superare il saldo minimo raggiunto nel periodo compreso tra (x) il versamento della somma di Caio nel conto di Tizio e (y) il prelievo del suo denaro di Caio dal fondo o la distribuzione di questo186. .c.) Sempre agendo in eccesso di mandato, a luglio Tizio deposita $ di Caio sul proprio conto corrente, che già ne contiene . Vi sono vari versamenti e prelievi fino al  dicembre, quando Tizio fa richiesta di fallimento187. I movimenti sul conto risultano non tracciabili; si registra, tut- La lowest intermediate balance rule ha per effetto che l’attore che provi a “tracciare” il proprio denaro in fondi commisti perda la proprietà su ogni ammontare che ecceda il più basso saldo intermedio tra il momento del deposito e quello in cui è azionata la domanda. Tale regola importa un duplice livello di presunzioni: . Che il denaro dell’attore sia speso per ultimo; . che il denaro dell’attore, per l’ammontare prelevato dal debitore, sia stato dissipato. 187 Ricordiamo che negli Stati Uniti, come pure nel Regno Unito, è previsto, storicamente, il c.d. fallimento civile, ovvero il fallimento dell’insolvente civile (non imprenditore), ipotesi che nell’ordinamento italiano è stata esclusa per l’esistenza del binario alternativo di tutela giurisdizionale del credito (l’esecuzione forzata) in ipotesi di insolvenza ritenute non significative, per le quali lo strumento concorsuale, oneroso e complesso, è stato visto come mezzo di reazione sproporzionato rispetto all’entità dell’offesa (problema che, invero, si pone in maniera differente in un sistema come quello statunitense in cui la procedura dell’insolvenza non si svolge nelle forme del procedura giudiziale). In altri termini, questa scelta legislativa assume che, al di fuori dell’impresa, il dissesto rappresenti un fenomeno non rilevante in termini di costo sociale, e comunque facilmente fronteggiabile da un processo ordinario, dal momento che la rete di obbligazioni e relazioni con i terzi si fonda solo eccezionalmente sul ricorso al credito. Cfr., per l’essenziale bibliografia, S. AMBROSINI, G. CAVALLI e A. JORIO, Il fallimento, Wolter Kluwers, , pp. -. Non instaura una procedura concorsuale, né un’esecuzione collettiva, neppure il più recente d.l.  dicembre  n.  (convertito nella legge n.  186 Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law tavia, che il saldo del conto sia oscillato tra un minimo di $ ed un massimo di $. Ciò determina che il trustee in bankruptcy potrà tenere in constructive trust in favore di Caio solo $ mentre per i rimanenti $, Caio concorrerà come creditore da concorso188. .c.) Se ricorrono le condizioni sub .c.), salvo per il fatto che nel periodo tra luglio e dicembre il conto sia andato scoperto (almeno) una volta, Caio non potrà far valere alcuna pretesa su beni specifici, come già visto supra189. Come si è visto in precedenza, differenti criteri soccorrono nelle ipotesi in cui vi siano plurime pretese restitutorie sul medesimo fondo, distinguendosi, essenzialmente, se sia possibile o meno fornire, almeno in misura ragionevole, prova della sorte dei fondi di taluni dei soggetti conferenti (frequentemente, si tratta di vittime di truffe), residuando altrimenti criteri di ripartizione pro quota delle perdite. Ma né nell’uno, né nell’altro caso è lasciato spazio a criteri presuntivi (ad esempio la Clayton’s Case rule), i quali tendono a bilanciare le pretese dell’avente diritto alla restituzione con quelle dei creditori dell’accipiens, tendenzialmente fissando una preferenza per il primo. Di contro, nel caso di pluralità di conferenti in un fondo (in ogni caso divenuto) comune, la valutazione degli interessi in gioco deve tener conto di un ulteriore fattore, cioè dell’incidenza della restituzione al singolo conferente rispetto ai diritti degli altri contributors (molto spesso, vittime del comune truffatore). Il sistema delle presunzioni, che viene ritenuto operare equamente nel rapporto tra soggetto leso e creditori dell’autore dell’illecito, può risultare, invece, foriero di frequenti iniquità rispetto all’altro centro d’interessi (le restanti vittime del comune truffatore). Per tale motivo a partire dal caso Cunningham v. Brown190, si è posto del  febbraio ) che disciplina la crisi da sovraindebitamento del c.d. debitore civile, attraverso procedure ad hoc per la ristrutturazione del debito. 188 L’A.L.I. ha attinto nell’elaborazione di questo esempio, ex multis, a Connecticut General Life Ins. Co. v. Universal Ins. Co.,  F. d. , - (st Circ. ); In re Columbia Gas Systems Inc.,  F. d , - (rd Circ. ) . 189 L’esempio è supportato nella giurisprudenza americana, ex multis, In re Brown,  F.  (nd Cir. ). 190 Cunningham v. Brown,  U.S. ,  S. Ct. ,  L. Ed.  ().     l’accento sulla diversità di criteri da adottare nelle ipotesi in oggetto. Vediamone alcuni esempi. .a..) Si ipotizzi che il truffatore Tizio ottenga $ da Caio nel mese di Gennaio, $ da Sempronio nel mese di Febbraio,  $ da Mevio a Marzo. A metà Gennaio effettua prelievi per spese correnti che riducono il saldo a $. A seguito del versamento di Sempronio, il saldo di $ spetterebbe per $ a Caio e per $ a Sempronio (in ogni caso è questo il momento in cui stabilire la proporzione tra Caio e Sempronio, che risulta essere  a ). Successivamente, a fine febbraio, vi è un altro prelievo che riduce il saldo a $. A fine febbraio, fermo il rapporto di  a , a Caio spetteranno $, mentre a Sempronio $ (l’esatta metà rispetto al mese precedente). A seguito dell’ulteriore deposito nel mese di marzo, e non seguendo più alcun prelievo, Caio, Sempronio e Mevio avranno diritto rispettivamente a $, $, $ su un saldo totale di $. Secondo la proporzione :: sopporteranno le spese e beneficeranno dei versamenti che dovessero essere fatti successivamente. In questo esempio, sebbene le circostanze del caso comportino che l’ultimo investitore conferente nel fondo non subisca alcuna perdita, ciò non avviene in applicazione del Clayton’s Case, né la giurisprudenza americana prevede, per questa tipologia di casi, una proporzionale ripartizione delle perdite; bensì le differenze nel trattamento dei singoli aventi diritto alla restituzione è determinata dalla possibilità di tracciare o meno la sorte della somma conferita. .a.) Così accade che, ove vi siano casi in cui, pur essendovi una parziale e apparente tracciabilità di somme (per aver l’autore dell’illecito imputato, pur senza alcuna notifica agli interessati, su conti separati, beni genericamente acquistati con il fondo commisto), questa emerga dalle risultanze processuali come “interamente casuale e arbitraria”, spetterà ai clienti una proporzionale ripartizione del fondo commisto o dei suoi sostituti191. .b.) Tizio, mandatario di Caio, Sempronio e Mevio, si appropria parte del denaro che avrebbe l’obbligo di rimettere ai co-mandanti e li versa su un unico conto. Scoperto l’illecito, Caio agisce per ottenere la restituzione del denaro, risultando in grado di tracciare in beni specifici il denaro sottrattogli. Il giudizio instaurato, Caio, tuttavia, risulterà soccombente (per l’intero ammontare), dovendo il giudice considerare che il suo denaro si è 191 Murry v. Hale,  F. Supp.  (E.D. Ark. ). Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law inevitabilmente confuso con quello di Sempronio e Mevio e che una completa sua soddisfazione determinerebbe, di contro, una perdita corrispondente per due soggetti che si trovano nella sua stessa posizione192. .b.) Un truffatore riesce ad ottenere $. milioni da  vittime. Quando l’imbroglio viene scoperto,  delle vittime agiscono contro il truffatore, ottenendo un sequestro conservativo (prejudgment attachment liens) sui suoi beni193. Il valore dei beni recuperati nel corso di questi e di altri procedimenti equivale a $,, che rappresentano tutti prodotto del reato (cosa pertinente al reato), mentre il valore delle perdite subite nei procedimenti attivati (dai c.d. “creditori diligenti”) ammonta a $,. Tuttavia, la richiesta attorea di soddisfarsi in via preferenziale-esclusiva su tali beni (basata su una duplice prospettazione: l’esistenza di un privilegio – lien – sui $, o della restituzione come conseguenza dell’annullamento) è destinata a fallire in quanto il prodotto della truffa diventa automaticamente (ferma la necessità di una pronuncia dichiarativa da parte del giudice)194 oggetto di constructive trust a favore di tutte le vittime della truffa, non solo di alcune di esse. In questo caso, infatti, i beni in constructive trust non possono essere oggetto di sequestro conservativo195. Va precisato, a questo punto, come, nel caso di concorso di pretese restitutorie, al pari di quanto abbiamo visto per gli altri ordinamenti sinora analizzati, neppure il case law americano imponga una ripartizione pro-rata delle perdite tra gli aventi diritto, dipendendo, invece e spesso, tale distribuzione dalle circostanze del caso concreto. I relatori del Restatement ne sono consapevoli, laddove affermano che: «[…] claimants who are similarly situated – insofar as they are equally innocent victims of equivalent wrongdoing – may nevertheless obtain widely different relief in reCFTC v. Topworth Int’l, Ltd.,  F. d  (th Cir. ); In re Foster,  F.d  (th Cir. ); In re Heston Oil Co.,  B.R.  (Bankr. N.K. Okla. ). 193 Sulla equiparabilità del prejudgment attachment lien all’istituto del sequestro conservativo, si veda  C.J.S. Attachment §  (), ove «A lien acquired by attachment is a vested interest of the attaching creditor, which affords specific security for satisfaction of debt. Thus, an attachment constitutes a conditional “transfer” of property interest subject to the later acquired judgment. A prejudgment attachment does not affect title or prevent transfer of the property subject to the lien»; DE FRANCHIS, voce Attachment, Dizionario giuridico cit., p.  s. 194 Cfr. supra nt. . 195 United States v. Benitez,  F.d  (nd Circ. ); Stuhler v. State,  Misc. d ,  N.Y.S. d  (Sup. Ct. ). 192     stitution. The law of unjust enrichment does not impose a rule of contribution or losssharing between the victims of common or related injuries, and individual outcomes will frequently depend on the circumstances that determine whether a particular claimant’s assets (or their traceable product) may be identified in the property available for distribution». Le ipotesi più frequenti di tali disparità di trattamento si hanno, ad esempio, nel raffronto tra le pretese di colui il cui denaro sia stato utilizzato per l’acquisto di beni specifici (il quale avrà diritto ad un constructive trust su questi) e quelli il cui il denaro sia stato diversamente dissipato; o ancora, nel caso di vittime di Ponzi scheme, su cui infra, comparando le prime in ordine temporale, che fanno proprio il denaro pagato con i fondi delle vittime successive, e queste ultime, destinate a sopportare l’intera perdita (§ ). Tuttavia, in proposito, si registra, di recente e a fronte del moltiplicarsi delle ipotesi frodi perpetrate nei confronti di pluralità di vittime, un contrasto giurisprudenziale in relazione al margine di discrezionalità del giudice nel definire un’“equa ripartizione delle perdite”. Si è così sviluppato un orientamento giurisprudenziale che, in presenza di posizioni impari tra gli investitori, tende ad optare per una ripartizione dell’attivo tra tutte le vittime secondo un medesimo criterio, al fine di evitare che il vantaggio del singolo investitore truffato possa essere determinato dal mero caso. In verità, l’orientamento tradizionale continua a vedere questi tentativi, tecnicamente, come una distorsione delle regole del tracing, ovvero una non consentita disapplicazione delle stesse196, imponendosi, peraltro, in capo 196 Si veda Restatement (Third) cit., §  rep. note sub g, p. , nel criticare il caso Liberté Capital Group v. Capwill,  F. Supp. d ,  (N.D. Ohio ), ove male interpretando Cunningham v. Brown – si sostiene –, si sia fatto rinvio alla possibilità di disapplicare le regole del tracing, ove ciò determini un trattamento impari tra le vittime del comune truffatore. Secondo i redattori del Restatement, tuttavia, Cunningham v. Brown ha chiarito che le finzioni fissate (ora nella § , -) per il calcolo delle somme spettanti a favore della vittima e a scapito dell’autore dell’illecito, non possono essere applicate ove ciò comporti un vantaggio per una vittima a discapito di altre (ora in § , ); ma che ciò non si estenda all’ipotesi in cui una delle vittime risulti in grado di tracciare il denaro investito, poiché in tal caso troverebbero applicazioni le regole generali ex § . Un tale risultato comporterebbe una disapplicazione dei fondamentali principi di property law (ibid., p. ), che sorpassa la discrezionalità propria del giudice in materie di equity, la quale non può estendersi alla scelta se applicare o meno una regola di tracing (sull’obbligo per il giudice di concedere i rimedi ancheequitativi, nonostante offendano il personale senso di giustizia del giudice, si veda l’obiter in In re Grand Jury Proceedings,  F. d ,  (th Circ. ) (Posner, J.)). In senso contrario, l’orientamento liberale cui si Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law alle vittime “fortunate”, un obbligo di contribuzione, la cui fonte è la mera discrezionalità del giudice197. Il contrasto che qui appare evidente, è quello, che si è visto presente anche nel dibattito in Italia, tra un’istanza (pur condivisibile di giustizia distributiva), e che trova sostegno nel fatto che le differenti posizioni delle vittime siano dovute all’agire del truffatore, e l’applicazione dei tradizionali ed attestati principi di legge. Appare evidente, inoltre, che, proprio in presenza di una casistica e di una regolamentazione complessa, sulla composizione degli interessi in gioco, finiscano per incidere la rilevanza probatoria della documentazione prodotta in giudizio e i margini di rilevanza che il giudice decida di assegnarvi198. faceva cenno sopra, tra cui United States v. Durham,  Fd  (th Cir. ), ove a fronte dell’arbitraria divisione del denaro di alcune delle vittime in un conto separato, mai più utilizzato, e dello sperpero del restante denaro, i giudici in primo grado, e in appello, del th Circuit optano per la distribuzione pro rata del denaro rimanente tra tutte le vittime. In senso conforme, SEC v. Forex Asset Managment,  F. d  (th Cir. ), in cui, nonostante fossero stati tenuti in conti separati, i denari dell’attore vengono divisi tra tutte le vittime della truffa; SEC v. Elliott  F. d  (th Cir. ), in cui le azioni degli attori, pur identificabili, vengono distribuite pro rata tra tutte le vittime della frode SEC v. Forex Asset Managment,  F. d  (th Cir. ), in cui, nonostante fossero stati tenuti in conti separati, i denari dell’attore vengono divisi tra tutte le vittime della truffa; SEC v. Elliott  F. d  (th Cir. ), in cui le azioni degli attori, pur identificabili, vengono distribuite pro rata tra tutte le vittime della frode SEC v. Forex Asset Managment,  F. d  (th Cir. ), in cui, nonostante fossero stati tenuti in conti separati, i denari dell’attore vengono divisi tra tutte le vittime della truffa; SEC v. Elliott  F. d  (th Cir. ), in cui le azioni degli attori, pur identificabili, vengono distribuite pro rata tra tutte le vittime della frode. Si vedano, altresì, SEC v. Credit Bancorp, Ltd.,  F. d  (d Cir. ); SEC v. Infinity Group Co.,  Fed. Apx.  (rd Cir. ); United States v. Certain Real Property,  F. d  (th Cir. ). 197 Il fatto che nessuna delle sentenze citate, stabilisca, definisca i limiti, forniscano la ratio del principio della proporzionale divisione delle perdite tra le vittime del comune truffatore induce i redattori del Restatement (ibid., p. ), a qualificarle come «prodotto di errore e disattenzione». 198 Ad esempio, al fine del calcolo del lowest intermediate balance è il giudice a valutare se prendere in considerazione più di un conto corrente bancario, intestati al medesimo soggetto (l’autore dell’illecito), tali da essere considerati come costituenti, di fatto, un unico conto commisto. Ovviamente, ciò verrà a dipendere, ad esempio, dal materiale probatorio relativo alle movimentazioni effettuate sui diversi conti correnti, a seguito della sottrazione di denaro; se, in altri termini, esso possa supportare la conclusione che gli stessi siano stati utilizzati come funzionalmente equivalenti dall’autore dell’illecito (cfr. Restatement Third cit., Illust. , p. ).     . Questioni attuali e profili critici di tutela dell’investitore. Il caso Madoff e i Ponzi schemes Come abbiamo visto, le problematiche restitutorie aventi ad oggetto il denaro vanno analizzate, limitatamente alle ipotesi di bankruptcy, avendo riguardo non solo ai rapporti tra tradens ed accipiens, ma tenendo in debita considerazione un terzo centro d’interessi che si trova coinvolto nelle fattispecie nelle quali il denaro, divenuto bene scarso, è oggetto di pretese restitutorie. Ci riferiamo ai creditori del comune debitore – gestore, la cui presenza, come si è visto, non comporta tuttavia una deroga alla normativa in materia di restituzioni199. Si è altresì considerato come, per le caratteristiche proprie del bene denaro, questioni autonome sorgano in relazione alla individuabilità e quantificazione della somma restituenda. A questo punto, proviamo a complicare ulteriormente il quadro, al pari di quanto si è visto per il diritto italiano, analizzando un terzo aspetto cui si è già fatto cenno. Esso riguarda non tanto l’eventualità di un trattamento impari tra colui che agisce in rivendica/constructive trust, rispetto alla generalità di creditori, ma la formazione all’interno di questa, di una separata classe di creditori, aventi diritto, in astratto, ad un trattamento preferenziale rispetto agli altri, i quali, tuttavia, vengono a trovarsi in situazioni significativamente sperequate tra di loro. L’ipotesi cui facciamo riferimento è quella delle comuni vittime di un medesimo debitore-truffatore o, in ogni caso, gestore infedele, conformemente nell’ipotesi generale dalla quale muoviamo. In questi casi gli investitori normalmente non possono vantare un constructive trust sul denaro versato, poiché commisto200. Pertanto, una volta che Ancora D. G. BAIRD, Ponzi’s Legacy cit., p. . Ma possono comunque far salvo, in certo modo, il proprio investimento. Si prenda il caso di Tizio, che investe $ in quello che poi si rivelerà uno schema Ponzi. Ingannato sul fatto che, in progresso di tempo, il proprio investimento sia giunto a valere $, decide di prelevare $, che verranno utilizzati per pagare per una prestazione sanitaria (dissipazioen). Essendo il denaro in questo caso non tracciabile, l’investitore avrà fatto salvo il proprio prelievo e si troverà in una posizione migliore rispetto agli altri investitori che non abbiano fatto alcun prelievo. Cfr. LEVMORE, Rethinking Ponzi cit., p.  del dattiloscritto. 199 200 Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law l’eventuale denaro non commisto (o gli strumenti finanziari acquistati) viene restituito ai rispettivi proprietari (equitable owners), tutti gli altri (la maggior parte) vantano un diritto di credito sulla massa201. Uno dei problemi che si pongono, come già accennato al paragrafo precedente, concerne il trattamento di investitori che non si trovano nella medesima posizione per aver, alcuni, piuttosto che altri, ottenuto un parziale o totale rimborso dell’originario investimento. Questa problematica ha trovato vivo dibattito nella dottrina e giurisprudenza anglo-americana, principalmente per il clamore di casi recenti, che hanno comportato ingenti perdite per gli investitori202. Ci riferiamo ai ben noti Ponzi schemes203, di cui il più recente è il ben noto caso Madoff, probabilmente uno dei più grandi Ponzi scheme della storia204. 201 S. LEVMORE, Rethinking Ponzi-Scheme Remedies In and Out of Bankruptcy cit., p. ; BAIRD, op. ult. cit., p.  ss. 202 Prof. Baird (Ponzi’s Legacy cit., p. ) riporta come da una ricerca nella banca dati Westlaw risultino più di  casi nei quali compare la voce “Ponzi scheme”. 203 M. ZUCKOFF, Ponzi’s Scheme: the True Story of a Financial Legend, New York (Random House), . 204 I numeri della colossale truffa ideata da Bernard Madoff ammontano a  miliardi di dollari nei confronti di circa . clienti. Questi i dati salienti della vicenda: tramite la sua società (la Bernard L. Madoff Investment Securities-BLMIS) il broker americano (ex presidente del Nasdaq, noto e molto stimato nella comunità ebraica newyorkese), assicurava considerevoli ed eccezionalmente stabili rendimenti ai suoi numerosi clienti (principalmente, investitori istituzionali che utilizzavano le attività finanziarie di Madoff come feeder funds – tra questi anche gli italiani Unicredit e Banco Popolare, nonché Fortis o la Royal Bank of Scotland –, o personaggi famosi, anche tramite le loro fondazioni). La scoperta della truffa, che secondo il consueto schema Ponzi consisteva nel pagare gli interessi maturati dai vecchi investitori con il denaro dei nuovi, si è avuta quando nel  le richieste di riscatto hanno raggiunto un ammontare ( miliardi di dollari) superiore alle risorse finanziarie disponibili. La condanna di Madoff a  di reclusione non rappresenta, evidentemente, un’adeguata risposta del sistema a questo tipo di frode. Le maggiori problematiche che, invece, si pongono sono legate, per un verso, alle cause dello stesso, cioè al totale fallimento della funzione di vigilanza da parte della SEC, la quale, nonostante le verifiche effettuate nel corso degli anni e le segnalazioni ricevute sul carattere sospetto dei rendimenti o sul rapporto tra capitale gestito e quello effettivamente investito, non aveva rilevato alcuna violazione. L’altro aspetto che continua a rivestire un notevole interesse, tanto per le sorti delle vittime, quanto per la stessa dottrina giuridica, è la strategia legale adottata dal fallimento (come si vedrà infra nel testo), che nonostante l’inevitabile impossibilità di soddisfare le pretese delle vittime, ha preferito azionare azioni di responsabilità in luogo di pretese restitutorie. Una sintesi di una delle più grandi truffe della storia è alla pagina http://it.wikipedia.org/wiki/Bernard_Madoff. Per una analisi più completa, può consultarsi il     Vediamo più da vicino di cosa si tratta e quali sono i meccanismi operanti e la disciplina applicabile in questi tipi di truffe. In un c.d. schema Ponzi i lauti profitti assicurati vengono pagati, progressivamente, con le somme versate dai successivi sottoscrittori allo “schema” (successive fraud). Si tratta, peraltro, di ipotesi che sono destinate a seguire una comune e – relativamente breve – parabola la quale culmina con l’inevitabile scoperta del maltolto. Questa modalità di truffa risale agli inizi del Novecento e porta il nome di Charles Ponzi205. Secondo il meccanismo che si è sopra illustrato, nel caso che dà nome a questa tipologia di truffe, Ponzi prometteva, tramite l’emissione di pagherò cambiari e in  gg., profitti pari alla metà del capitale investito206. Ben presto, il sistema si rivelò di impossibile attuazione e Ponzi, per assicurare il pagamento dei pagherò, cominciò ad attingere alle somme versate dai successivi investitori. Nel giro di  mesi la truffa venne scoperta, generando il panico tra gli investitori. Alcuni tra questi, riuscirono nella settimana successiva alla notizia a riscuotere i propri pagherò, fino a quando il conto non risultò scoperto. Il Trustee cercò di recuperare le somme così riscosse, sulla base del fatto che esse avrebbero rappresentato una illegittima prelazione. Non vi riuscirà sulla base di un’argomentazione (successivamente sconfessata), per cui le somme ritirate erano dovute, in quanto derivanti dall’annullamento per dolo dell’operazione (rescission for fraud). Il più recente caso Madoff ha riproposto, con delle varianti, le medesime questioni: inevitabili ed ingenti perdite per gli investitori (anche istitusito del Soleore (www.ilsoleore.com ) che fornisce circa  risultati utilizzando il criterio più selettivo (parole chiave: madoff & truffa + “Bernard Madoff ”), ovvero quello del New York Times (sezione business – senza limitazione temporale –, parole chiave: Bernard & Madoff & fraud & Ponzi scheme ) che fornisce  risultati [Entrambi i siti sono stati consultati in data  Novembre ]. Per una lista completa di tutte le vittime dello schema, si veda: http://s.wsj.net/public/resources/documents/st_madoff_victims_.html (sito del Wall Street Journal). La situazione, aggiornata, delle azioni promosse e delle distribuzioni effettuate dal Fallimento Madoff è consultabile al sito http://www.madoff.com/. 205 Si tratta del già citato Cunningham v. Brown,  U.S. ,  S. Ct. ,  L. Ed.  (). 206 In verità, sebbene poi questo tipo di operazioni abbiano adottato il nome di Charles Ponzi, nell’originaria ipotesi si trattò di un goffo e insensato tentativo di coprire un errore di previsione. Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law zionali, che tende a riversarsi, comunque, sul comparto retail)207; tendenziale trattamento sperequato tra i vecchi investitori (che hanno guadagnato profitti-fantasma) e i nuovi (che sopportano perdite); infine, tecniche e difficoltà per la procedura nel ricostruire (rimpinguare) la massa fallimentare e garantire un equo trattamento dei creditori208. Quest’ultimo caso costituisce l’occasione per valutare come le restituzioni monetarie concretamente si atteggino, in presenza di fattispecie particolarmente complesse in cui si trovino ad essere coinvolti degli investitori. La policy interna al sistema è quella di una ripartizione delle perdite, in proporzione all’investimento iniziale, tra tutti gli investitori in buona fede (cioè, ignari della truffa), sebbene vi siano stati ritorni di utili sperequati209. Ciascun investitore ha diritto, infatti, ad una quota (in base alle disponibilità della massa) del capitale investito (diminuito dei pagamenti o prelievi eventualmente effettuati); tuttavia, chi abbia ricevuto pagamenti o effettuato prelievi, purché in buona fede, si viene a trovare in una posizione relativamente più comoda, poiché può trattenere quanto ricevuto. L’urgenza di fondo che si pone, dall’altro lato, è quella di assicurare al trustee il maggior recupero possibile. Vediamo ora come queste due direttrici si combinano nel sistema vigente, partendo dal definire qual è l’ammontare cui gli investitori, diventati creditori della massa, hanno diritto210. 207 Ciò è dovuto all’aumento esponenziale, in progresso di tempo, delle richieste di pagamento degli investitori, anche se ignari. 208 Gli schema Ponzi rappresentano una delle modalità di truffe più comuni e frequenti (anche perchè, come insegna BAIRD, Ponzi’s legacy cit., p.  …, gli schemi delle truffe sono come le fiabe: riproducono tendenzialmente poche, comuni trame). Situazioni analoghe, come noto, si sono riproposte di recente anche in Italia: si pensi ai sospetti Ponzi “Schemes” che sono stati utilizzati per coprire le perdite dei fondi Dynamic Decisions – D. D. – (inchiesta di recente avviata dalla procura di Milano) o al processo penale in corso a carico di G. Landi per una truffa di circa  mil. di euro. Si veda, su quest’ultimo, http://www.ilsoleore.com/art/notizie/--/rito-immediato-madoff-parioli-.shtml?uuid=AaOnD. Sul procedimento relativo ai fondi D.D., invece, http://www.ilsoleore.com/art/commenti-e-idee/--/sistema-madoffanche-milano-.shtml?uuid=AaCnfsLE . 209 Come vedremo, gli investitori tendono a trovarsi in una varietà di situazioni caratterizzate dal dato cronologico (l’essere relativamente nuovi o vecchi investitori), che tende poi a condizionare un altro elemento (l’aver o meno effettuato prelievi o ritirato guadagni), nonché lo stato soggettivo (sebbene valutato secondo criteri obiettivi) di buona o mala fede. 210 Questa attività costituisce uno dei primi passi che il trustee compie nel calcolo della massa passiva.     La procedura di liquidazione normalmente applicata in questi casi, che è alternativa a quella ordinaria (fissata dal Bankruptcy Code), è dettata dal Securities Investor Protection Act - SIPA. Ad essa si è fatto ricorso anche nel caso Madoff 211. La disciplina dettata dal SIPA definisce la prevalenza delle pretese avanzate dagli investitori, distinguendo, a seguito della restituzione degli strumenti nominativi, tra un fondo dei clienti e uno per la generalità dei creditori212. Gli investitori vantano le proprie pretese (net equity) innanzitutto sul primo fondo (customer property fund, costituito tanto da denaro quanto da strumenti finanziari)213, e fino a concorrenza, sul secondo214. La net equity viene definita come la «sum which would have been owed by the debtor to such customer if the debtor had liquidated … all securities positions of such customer»215. 211 Securities Investor Protection Act del  (SIPA) ( U.S.C. §§ aaa ss.) e  U.S.C.A. §§  ss. (Bankruptcy Code). Invero, il rapporto di specialità tra questi due atti normativi non corrisponde a quanto abbiamo visto, con riguardo al diritto italiano, tra legge fallimentare e T.U.B., potendo essere, secondo la scelta discrezionale del SIPC (Security Investor Protection Corporation, avente funzioni di fondo di garanzia, è società no-profit cui tutti i broker sono chiamati a far parte) o della Corte distrettuale, non necessaria l’applicazione della disciplina protettiva prevista dal SIPA. 212 Va chiarito che, a differenza del Bankruptcy Code, la distribuzione prevista dal SIPA tende a prediligere la restituzione “in natura” delle securities, ricorrendo a quella per equivalente, solo ove la prima non risulti possibile. Cfr.  U.S.C. § fff-(c)(), secondo cui il trustee (che ha, grossomodo, gli stessi poteri di un trustee in bankruptcy) «must deliver customer name securities to the customer if the customer is not indebted to the debtor. If indebted, the customer may, with the approval of the trustee, reclaim securities in his or her name upon payment to the trustee of all such indebtedness». Ed, inoltre, ex  U.S.C. § fff-(d): «the trustee may purchase securities in a fair and orderly market in order to deliver securities to customers in satisfaction of their claims». 213 Al fine di correttamente valutare l’ammontare delle restituzioni concretamente ottenibili, va detto che, prima di ricorrere al general estate, i clienti si soddisfano non solo sul complesso dei beni recuperati dal trustee, ma anche sull’ammontare delle anticipazioni fatte dal SIPC. Secondo  U.S.C. § fff-(a), tali anticipazioni sono finalizzate a soddisfare le pretese monetarie o all’acquisto degli strumenti finanziari secondo quanto previsto dai singoli net equity (e ai costi della procedura, nella misura in cui il general estate non risulti sufficiente). L’ammontare anticipato per soddisfare le pretese degli investitori non può superare i $, per ciascun cliente, e in caso di pretesa (o di parte di essa) all’equivalente, non superiore ai $,.  U.S.C. § fff-(a)(). 214  U.S.C. § fff-(c)(): To the extent customer property and the SIPC advances are not sufficient to pay or satisfy in full the net equity claims of customers, then customers are entitled to participate in the estate as unsecured creditors. 215 §lll(). Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Appare evidente che centrale è il metodo di calcolo utilizzato per determinare tale ammontare. Nell’alternativa, affermatasi nel case-law, tra la rilevanza dell’ultimo estratto in possesso del cliente (e quindi il valore di mercato degli strumenti finanziari) e il valore delle somme inizialmente depositate, diminuite della somma dei prelievi dal capitale e dei pagamenti effettuati al cliente, i giudici in Madoff, come in precedenti Ponzi scheme, hanno optato per il secondo, anche al fine di non assecondare l’evidente fittizietà di quanto riportato nella documentazione inviata alla clientela216. Una diversa determinazione del net equity comprensiva di eventuali profitti (sotto forma di dividendi et similia) sconterebbe, inoltre, il rischio che l’ammontare determinato venga annullato/dichiarato inefficace, per la parte eccedente il capitale inizialmente versato, perché in frode ai creditori o comunque non dovuto. Questa eventualità mette bene in luce come il problema della liquidazione e distribuzione dell’attivo fallimentare, via anche la determinazione del net equity, dipenda inevitabilmente da quanto dei pagamenti fatti prima dell’inizio della procedura d’insolvenza sia stato recuperato dal fallimento. Tale nesso si rivela particolarmente rilevante nel caso in cui le operazioni da aggredire siano state poste in essere a favore degli stessi creditori della massa. Invero, la politica di recupero adottata dal trustee della società facente capo a Madoff si è basata principalmente su azioni di responsabilità a carico di assunti conniventi truffatori, al fine di massimizzare la raccolta di liquidità Il primo (c.d. Last Statement Method-LSM) tende a proteggere l’aspettativa del cliente e risulta applicato raramente nei Ponzi scheme, perché – in un meccanismo interamente truffaldino – finirebbe con il dar rilevanza legale allo stesso e alle arbitrarie e fittizie assegnazioni di profitti (un caso viene citato da In re New Times Securities Services, Inc.  F. d ,  (nd Cir. ) ove il truffatore si era impegnato, senza darvi corso, all’acquisto di strumenti finanziari). Il secondo (c.d. Net Investment Method-NIM) viene a coincidere, in definitiva con le risultanze contabili ascrivibili a ciascun investitore ed è solitamente applicato negli Schemi Ponzi (In re Old Naples Securities Inc.,  Bank.  (M.D. Fla. ). Il contenuto dell’ordinanza che nel caso Madoff (BLMIS) approva l’utilizzo del NIM da parte del Trustee (sebbene contestato dagli investitori) è disponibile al seguente link: http://www.stblaw.com/content/Publications/ pub.pdf. Nel documento il Second Circuit espressamente afferma che non esiste un metodo di calcolo migliore di un altro, ma che la scelta dipende, invece, da «myriad circumstances that may arise in a SIPA liquidation», «[d]iffering fact patterns will inevitably call for differing approaches to ascertaining the fairest method for approximating ‘net equity’» (). 216     da poi distribuire tra investitori e creditori217. Tuttavia, essa sembra essere, in base a consolidati principi del bankruptcy law, un tentativo dal dubbio risultato218. Di tale scelta potranno valutarsi le effettive ricadute solo all’esito del processo. Vediamo, invece, quali sono gli strumenti a disposizione del trustee nella ricostruzione dell’attivo fallimentare219, tenendo a mente, ancora una 217 Il trustee del fallimento Madoff ha attivato una politica aggressiva di recupero basata su azioni di responsabilità (comprensive anche di danni punitivi) nei confronti degli istituti di credito e intermediari finanziari, ritenuti corresponsabili della truffa considerati complici, intenzionali o negligenti, consapevoli oppure inconsapevoli (secondo l’assunto per cui “non potevano non sapere”). Le istanze di risarcimento ammontano a  miliardi di dollari. 218 Secondo il diritto statunitense, il trustee in bankruptcy è carente di legittimazione all’esercizio di azioni di responsabilità extra-contrattuale per conto dei creditori, sia perchè successore (a titolo universale, inter vivos) del debitore, sia perché co-responsabile dei convenuti (in ossequio alla doctrine dell’in pari delicto). Si vedano Caplin v. Marine Midland Grace Trust Co.,  U.S.  (), per la legittimazione ad azioni di responsabilità extracontrattuale, e Nisselson v. Lernout,  F. d  (rst Cir. ). Sull’eccezione equitativa dell’in pari delicto A Am Jur d Equity § . Sul punto, BAIRD, Ponzi’s Legacy cit., p.  manoscritto. Conformemente, già i primi pronunciamenti in merito [Picard v. JPMorgan Chase& Co., No.  civ.  (S.D.N.Y. Nov. , ) (McMahon, J) e Picard v. HSBC Bank PLC,  B.R.  (S.D.N.Y. ) (Rakoff)], per le azioni esperite nei confronti di JP e Ubs. La prospettazione attorea che si basava sui più ampi poteri del trustee previsto dal SIPA rispetto a quello in bankruptcy, non ha trovato accoglimento. Sulla legittimazione attiva del curatore, ad es., in caso di concessione abusiva del credito da parte delle banche. Cfr. Corte di Cassazione del  marzo , n. , in Corr. Giur., , p.  ss., con nota di Fauceglia, Abusiva concessione di credito e legittimazione attiva del curatore: intervengono le Sezioni Unite. Da segnalarsi, in ogni caso, la legittimazione del curatore consentita dall’art.  l. fall. secondo cui «Il curatore, il commissario giuriziale ed il commissario liquidatore possono costituirsi parte civile nel procedimento penale per i reati preveduti nel presente titolo anche contro il fallito» prevedendo una sorta di sostituzione processuale sui generis in virtù del fatto che egli si costituisce iure proprio ma per far valere diritti ed interessi altrui. In ogni caso, trattandosi di una sostituzione processuale, come tale limitata ai casi espressamente previsti dalla legge (art.  c.p.c.), la costituzione di parte civile non può estendersi ai reati comuni (ad es. appropriazione indebita o truffa commessi dagli amministratori della società). Sulle caratteristiche e i limiti dell’azione della curatela, si veda R. CANTONE, Il danno nei reati di bancarotta e la legittimazione alla costituzione di parte civile nel procedimento penale per reati fallimentari, in Giust. Civ., , p. ; e G. M. ZAMPERETTI, L’azione di responsabilità nel fallimento tra sede civile e sede penale, in Giur. comm., , p.  ss., ove si valorizza il ricorso del curatore in quanto parte civile al sequestro conservativo in sede penale (art. - c.p.p.), piuttosto che in sede di giudizio civile, sottolineandosi come al primo non solo si estendano i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento dei tributi, privilegi che sopravvivono anche alla conversione del sequestro in pignoramento a seguito della esecutività della condanna. 219 Al fine di soddisfare i creditori generali del fallito, il trustee in bankruptcy ha a dispo- Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law volta, che oggetto di queste azioni sono, tra l’altro, i profitti corrisposti a precedenti investitori a titolo di guadagni (second-best cost avoiders), che si sono dimostrati essere fittizi perché, in realtà, null’altro che denaro versato da successivi investitori220. Per colpire i trasferimenti effettuati nel periodo sospetto, cioè immediatamente a ridosso del fallimento o dei quali può esser dimostrata la preordinazione in danno dei creditori, il diritto fallimentare statunitense prevede due tipologie di azioni specifiche: le preferences e le fraudulent conveyances221. Nel primo caso (preferences), possono essere colpiti tutti i pagamenti sizione azioni revocatorie/di inefficacia (avoiding powers) dei pagamenti eseguiti nel periodo sospetto anteriore all’istanza di fallimento. 220 Le Avoidance Actions esperite dal Trustee del BLMIS si riferiscono ai pagamenti di somme in eccesso rispetto al capitale depositato (assunti profitti degli investimenti) nei  anni anteriori il fallimento. Sul punto, la situazione aggiornata è al link http://www.madoff.com/AvoidanceAction.aspx. Si ricordi che il SIPA §fff-(c)() prevede per il trustee le medesime regole previste dal Code, in tema di avoiding powers. Inoltre, conformemente a quanto previsto dal Bankruptcy code (§ (b)), in aggiunta alle azioni previste dalla legge federale possono essere esperite quelle previste dalle leggi statali (in questo caso dallo Stato di New York- New York Fraudolent Conveniance Statute ora in New York’s Debtor/Creditor law). È sulla base della normativa statale, infatti, che le azioni di claw back possono così riguardare anche le operazioni anteriori fino a sei anni l’esperimento dell’azione – cioè, la durata dello schema, in questo caso – (in aggiunta a quelle fino a due anni dalla scoperta, come previsto dal §). Non deve, infine, dimenticarsi che accanto al fallimento di BLMIS, procedure separate sono state aperte per la liquidazioni di alcuni fondi (ad esempio, Fairfield e Kingate, che vedono coinvolti anche numerosi investitori italiani), nei confronti dei quali pure il fallimento Madoff ha avviato delle azioni legali. Con riguardo a questi ultimi, le azioni revocatorie (claw backs, ma si veda infra per ulteriori dettagli) e di restituzione (via l’annullamento delle relative operazioni) rappresentano la principale voce per la formazione dell’attivo. In particolare, i liquidatori dei Fondi Kingate non hanno avviato azioni di tipo revocatorio (claw back), ma di restituzione per ingiustificato arrichimento avente la sua causa nell’errore. Si vedano, in proposito: http://www.diritto.ilsoleore.com/avvocatoAffari/mercatiImpresa///caso-madoff-ebanche-svizzere-conspiracy-e-claw-back-.html; http://www.kingateglobal-liquidation.vg/. 221 Si tratta ovviamente di un equivalente funzionale dell’actio pauliana nel fallimento. Si vedano §  ss. del Bankruptcy Code ( U.S.C.A.), che rappresenta la legge applicabile, oltre a quelle statali o ai codici uniformi (Uniform Fraudulent Transfer Act – UFTA – che sostituisce l’Uniform Fraudulent Conveyance Act-UFCA) ratificati da quasi tutti gli stati (cfr. nt. precedente supra). Sul punto… manuale, nonché, con specifico riguardo al loro utilizzo negli Schemi Ponzi, MARK A. MCDERMOTT, Ponzi Schemes and the Law of Fraudulent and Preferential Transfers, in  Am. Bankr. L. J., , p.  ss., in part. p.  ss., ove altresì si evidenzia come le discipline supplementari al Code abbiano regole analoghe.     che si dimostri esorbitino il normale corso degli affari (ordinary course), se compiuti nei novanta giorni anteriori la richiesta di fallimento222. Nel caso di “trasferimenti fraudolenti” l’articolato regolamentare, e quindi l’oggetto della prova si presenta più complesso, come pure il sistema delle eccezioni223. Esistono, secondo la legge federale, due tipi di azioni volte a porre nel nulla i trasferimenti fraudolenti. Si tratta delle c.d. constructive e delle actual fraudolent conveyances. Nel primo caso, possono colpirsi i trasferimenti fatti dall’individuo, già insolvente, in cambio di un ammontare inferiore ad un reasonably equivalent value224; nel secondo, quelli caratterizzati dalla volontà di ritardare, ostacolare, o defraudare i pagamento ai creditori (tale, requisito, in caso di Ponzi scheme, risulta di facile prova per il trustee, per il fatto di desumersi generalmente in via presuntiva)225. In entrambi i casi, da parte dell’investitore vi è la possibilità di opporre l’esistenza di un constructive trust sul denaro trasferito, perché mai entrato nella proprietà piena dell’intermediario226. Inoltre, non essendo in questi casi immediata, per ragioni temporali come nel caso delle preferences, la 222 L’investitore può quindi sottrarsi alla restituzione, solo riuscendo a dimostrare che il pagamento fatto rientra tra quelli “ordinari”, ovvero che non di pagamento si tratta, per essere invece il denaro detenuto dall’intermediario solo in constructive trust in suo favore. 223  U.S.C.A. § . Si tratta di rimedi che colpiscono, secondo la legge federale, i trasferimenti effettuati entro i due anni dalla istanza di fallimento ex § (b). 224 In questi casi, è necessaria, inoltre, la prova che il pagamento abbia lasciato il debitore con fondi insufficienti (perché era insolvente al tempo del pagamento, o perché era consapevole del danno causato nei confronti dei propri creditori, ovvero perché il pagamento era sproporzionato rispetto all’attività condotta). 225 «Actual intent to hinder, delay, or defraud», § (a)()(A). In entrambi i casi, operano presunzioni, per cui il trustee è sollevato dall’onere di dimostrare tanto la volontà di frodare quanto un ragionevole corrispettivo. E.g. In re Manhattan Inv. Fund, Ltd.,  B.R. (SDNY ). Spetta, invece, all’investitore dimostrare di aver operato in buona fede. 226 Nell’ipotesi in cui sia in grado di tracciare i propri fondi. Si applicheranno regole generali della law of restitution analizzate supra al paragrafo precedente e che coincidono, più frequentemente, con il lowest intermediate balance method. Riconoscere la presenza di un equitable title in capo all’investitore, posizione che è di per sé prevalente rispetto al diritto del debitore e quindi dei suoi creditori, determina, inoltre, che quest’ultimo difetti del requisito dell’interest sul bene trasferito, richiesto dalla §  per l’esperimento delle azioni di claw back. Cfr. MARK A. MCDERMOTT, Ponzi Schemes cit., pp. -, spec. nt. , il quale tuttavia aderisce alla opinione spesso manifestata da parte della giurisprudenza e della dottrina, contraria all’utilizzo del constructive trust come strumento per affermare un titolo di proprietà (prelazione) su beni, e in particolare denaro (come già visto supra paragrafo , ntt.  e ). Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law funzione dell’atto in frode ai creditori, esso può essere fatto salvo dando prova della buona fede e dell’esistenza di una controprestazione della controparte (investitore)227. Pertanto, la prova, da parte della vittima di uno schema Ponzi, della mancata conoscenza (o conoscibilità) della frode, consente alla stessa di far salvo il pagamento ricevuto dallo Schema228. Ma, ciò è possibile esclusivamente per un ammontare pari al capitale inizialmente investito (secondo una logica uguale e contraria a quella sottostante la determinazione del net equity). Nello schema dell’eccezione prevista alla §  (c), la dimostrazione del requisito dalla buona fede, a parere della giurisprudenza, non autorizza la vittima a ritenere il profitto sul capitale, perché con riguardo a quest’ultimo ammontare vi sarebbe un difetto di consideration (value). Infatti, mentre il ritorno del capitale investito è connesso all’iniziale versamento dello stesso, il profitto riconosciuto e corrisposto non risulta contro-bilanciato da alcun beneficio apportato all’estate229. 227  U.S.C.A. §  (c). L’onere della prova della mala/buona fede incombe, tuttavia, sul trustee in caso di constructive fraud; sull’investitore, nel caso di actual fraud. LEVMORE, Rethinking cit., p. . 228 La prova della buona fede si ritiene debba variare in ragione della categoria di investitore coinvolto. Si rinvierà a criteri obiettivi della conoscibilità della frode da parte dell’uomo medio e alla comparazione rispetto allo standard dei rendimenti medi (l’idea più volte ripetuta nella giurisprudenza corrisponde al criterio del “troppo bello per essere vero”); ovvero, nel caso di Feeder Fund (come per gli istituti bancari coinvolti nel caso Madoff) a livelli più elevati. Cfr. BAIRD, Ponzi’s Legacy cit., p.  s., il quale rileva altresì che, come è avvenuto nel caso di specie, la presumibile affidabilità dell’investimento (venivano promessi guadagni costanti ma non eccessivi) dovrebbe indurre a non porre nel dubbio la buona fede dei singoli investitori retail, ma soltanto di investitori più esperti (i feeder funds, nonché coloro che in ragione del loro ufficio potessero sollevare dubbi ragionevoli sulla bontà dell’investimento). Tale criterio di valutazione della buona fede (come standard oggettivo della conoscibilità) rilevante ai fini dell’eccezione prevista dal § (c), differisce dall’analoga prova della buona fede (standard soggettivo della conoscenza storica) che pure la giurisprudenza ha riconosciuto rilevare nella dimostrazione del reasonably equivalent value richiesto per la constructive fraud, MCDERMOTT, Ponzi Schemes cit., p.  ss. e  e ss. 229 A tal fine, non si considera il pagamento effettuato all’investitore nella sua interezza (questo potrebbe indurre a considerare il profitto come frutto civile, ad esempio), ma fittiziamente, lo si divide nel debito da restituzione (value è ovviamente anche il pagamento di un debito pre-esistente) e in un altro versamento (privo di corrispettivo) relativo al guadagno ottenuto. Sul diritto al capitale a titolo di pagamento di un debito restitutorio, In re United Energy Corp.,  F.   (th Circ. ); non è stato invece riconosciuto alcun diritto dell’investitore     Si tratta, di un’applicazione dei principi generali in materia di restitution, la quale – come già visto – governa anche la law of bankruptcy230-231. Proviamo, a questo punto, a riassumere la ricaduta delle regole finora illustrate, adottando, non più la prospettiva temporale (formazione della massa-liquidazione), ma il punto di vista dell’investitore. Vi sono, grossomodo, tre categorie di investitori che l’applicazione del diritto vigente induce a considerare in uno schema Ponzi, una volta fallito: a) i vecchi investitori (quelli che per primi, o, in ogni caso in tempo molto anteriore al fallimento hanno ottenuto profitti dallo schema); b) gli investitori che hanno, in tempi più prossimi al fallimento, guadagnato con lo schema. Questa categoria può distinguersi a sua volta: in coloro che hanno guadagnato essendo a conoscenza della truffa o che, colpevolmente, non si sono interrogati sulle ragioni dei rendimenti assicurati (i.e. in mala fede) (b..); e coloro che erano, invece, del tutto ignari e che in ogni caso non avrebbero potuto ipotizzare l’esistenza di una truffa (i.e. in buona fede) (b.); c) gli investitori (normalmente quelli che più di recente sono caduti nella trappola) i quali non hanno ritirato i guadagni maturati (per comodità espositiva, vanno identificati con gli investitori nei confronti dei quali non sia stata esperita alcuna claim back da parte del trustee). su somme a titolo di expectation damages (In re Hedged-Investments Assoc., Inc.,  F. d  (th Cir. )). Quanto all’ammontare della somma che l’investitore può trattenere, è dubbio se al valore nominale vadano applicati gli interessi previsti in generale per le restituzioni di somme di denaro: l’applicazione degli interessi maturati fino al giorno della domanda giudiziale (si noti che i pre-judgement interests hanno valore superiore all’interesse legale, nei diversi Stati) [In re Bayou Group, LLC,  B.R. ,  (Bankr. SDNY ) non sono stati riconosciuti, richiamandosi tuttavia un precedente in materia non fallimentare]; l’interesse legale quale adeguamento del valore nominale all’inflazione (BAIRD, Ponzi’s Legacy cit., p.  ss. – l’ultimo spunto viene spiegato non come un’applicazione della regola dell’interesse legale, ma come direttamente derivante da una coerente applicazione del termine value ex §  (c)). Un articolata illustrazione di questi aspetti è in E. M. MORRISON, Fraudulent Transfer after Madoff (testo dell’intervento presentato L. P. King and C. Seligson Workshop presso New York University, ) 230 Restatement (Third) Restitution and Unjust Enrichment § : «the rule …. allows defraduded investor without notice to retain payment received from the commingled fund, but only to the extent that such payments reduce the amount of the investor’s inchoate restitution claim against the wrongdoer. The effect of this rule is that an innocent payee may retain (corsivo nostro) withdrawals or distributions up to the amount of his investment, but is liable in restitution for anything more». 231 S. LEVMORE, Rethinking Ponzi-Scheme Remedies cit., pp. -. Gestione e circolazione del denaro nell’esperienza del Common Law Vediamo ora quale trattamento subisce ciascuna di queste categorie. a) I vecchi investitori. Essi, di regola, fanno salvi i guadagni ottenuti. Ciò in ragione della decadenza delle azioni contro le fraudulent conveyances. b..) Gli investitori che hanno, più di recente, ottenuto pagamenti dallo schema, come visto, si distinguono secondo lo stato soggettivo rilevante (buona/mala fede)232. Nei confronti dei secondi, l’azione da parte del trustee può colpire anche il capitale investito (principal). b..) Se, invece, è provata la buona fede dell’investitore, costui sarà tenuto a restituire solo quanto sorpassa il capitale investito. c) Coloro che non hanno ritirato nessuno dei guadagni-fantasma dal fondo hanno diritto alla restituzione del capitale versato, secondo il metodo del net equity (il quale imputa ogni prelievo al capitale e non a assunti profitti) e ovviamente nei limiti della disponibilità del fallimento e del SIPC. Ciò che risulta evidente è che un tale quadro, per quanto si tenti di uniformare proporzionalmente il trattamento degli investitori, non si può evitare che persista un’endemica differenziazione tra questi ultimi, e che essa, pur volutamente non rispecchiando le arbitrarie concessioni del truffatore, sia definita dal caso (secondo chi, ad esempio abbia effettuato prelievi o meno). L’azzeramento delle condizioni di privilegio per alcuni investitori piuttosto che per altri appare, così, non realizzabile. 232 È evidente che, secondo questa prospettiva, il principale discrimine è dato dal criterio adottato nel valutare la buona o la mala fede dell’investitore. Per un verso, infatti, appare evidente che «only a very foolish, a very naive, very greedy, or very Machiavellian investor would jump at a chance to obtain a return on his passive investment of  to  percent a month…It should be obvious that such returns are not available to passive investors in any know market save from the operation of luck» (Scholes v. Lehmann,  F. d ,  (th Circ. )). D’altro canto, può altresì opporsi come «[…] every failed scheme will seem absurd after the fact. […]» ma «if there are many investors in a scheme, and especially if sophisticated and large investors are among them, it is easy for an investor to think that it is rational and prudent to invest because so many others are doing so. This might be described as a bandwagon effect or as herd bias» (LEVMORE, Rethinking… cit., ).  Capitolo quinto Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili . Appartenenza, denaro e scelte degli ordinamenti. – . Prospettive di analisi economica. L’equitable tracing e il modello di agenzia. – . La prospettiva della garanzia patrimoniale, la prospettiva restitutoria e le strategie di salvaguardia dell’appartenenza del denaro. . Appartenenza, denaro e scelte degli ordinamenti Ci avviamo alla conclusione e a tirare le somme delle varie tappe di questa analisi, provando a ripercorrerne i passaggi fondamentali. I diritti sul denaro, ovvero le pretese aventi ad oggetto una somma di denaro, trovano la più variegata giustificazione o titolo. Per un verso, essendo il denaro l’equivalente universale, tramite esso è possibile soddisfare interessi originariamente indirizzati ad altri beni (come nei rimedi per equivalente)1. Per altro, quando l’interesse è originariamente indirizzato ad una somma di denaro (come nel caso delle obbligazioni pecuniarie), la sua soddisfazione è particolarmente facile, per il principio della responsabilità generale del debitore, e della possibilità di trasformare in denaro ogni suo cespite. Questo quadro, secondo l’usuale collocazione nella letteratura giuridica italiana, sembrerebbe esaurire la rilevanza del denaro per il diritto privato. Nelle pagine che precedono ci siamo, tuttavia, interessati a questioni ulteriori rispetto a questo panorama. Sul rapporto tra tutela specifica o per equivalente L. NIVARRA, I rimedi specifici, in Eur. dir. priv., , p.  ss., che propone di sovvertire la “visione eugenetica” dei diritti, in cui un’assunta debolezza strutturale dei diritti di credito (rispetto ai diritti reali) si rifletterebbe anche in uno scarso coefficiente di effettività dei correlativi rimedi in punto di tutela giurisdizionale, come nel caso del risarcimento per equivalente in caso di inadempimento. 1    Esse riguardano le ipotesi in cui l’essere il cespite patrimoniale oggetto di operazioni economiche costituito dal denaro rappresenti un fattore di rischio per il titolare, per effetto della fungibilità. Si è, pertanto, anche attraverso il ricorso alla comparazione con altri ordinamenti, provato a vedere come sia possibile dare consistenza, in vario modo, all’interesse recuperatorio sul valore monetario. Questa istanza si specifica in pluralità di fattispecie in cui, tuttavia, sono presenti logiche comuni, pur nella diversità degli interessi in gioco. Da un punto di vista meramente oggettivo, ricordiamo che la specificità del denaro si chiarisce, innanzitutto, come ipotesi del recupero di un valore monetario inizialmente conferito2. Tuttavia, nella prospettiva – ad esso connaturata – della sua circolazione, una tale pretesa può prestare a caratterizzarsi come pretesa al bene che è stato acquistato con il denaro scambiato. Da un punto di vista meramente oggettivo, una pretesa al denaro come bene specifico (cosa determinata) può astrattamente essere classificata come recupero del valore inizialmente prestato (o sottratto); ovvero, del bene acquistato con quel valore3. Il profilo oggettivo va combinato con quello funzionale e a tal proposito viene in emersione la individuazione delle pretese, ovvero degli interessi nei quali tale oggettività emerge. Parliamo di valore monetario, finanziario o di somma, essendo ormai chiaro, come, in conseguenza della fungibilità, non interessi allo stesso attore che agisce per la restituzione, la riconsegna dell’esatta specie di quanto conferito. Ipotesi che, tra l’altro, sarebbe impraticabile in un’era in cui i trasferimenti di denaro contante interessano soltanto una minima percentuale dei trasferimenti monetari. 3 In una prospettiva che guarda al denaro come bene specifico (cosa determinata) deve inevitabilmente presupporne un certo grado di mutevolezza, nel senso di mutamento di una prospettiva puramente corporale (cfr. nt. precedente). Tale mutevolezza coinciderà, innanzitutto, con un cambio della qualificazione giuridica (da diritto sul bene a credito verso la banca); il che significa che il denaro viene a coincidere con il credito derivante da un aggiustamento di posizioni debitorie/creditorie in un conto corrente bancario, o altro rapporto ad esso assimilabile. Ma può estendersi, altresì, ad ipotizzare la sostituzione con altri beni. Come abbiamo visto, questa prospettiva comporta l’amplificazione della pretesa restitutoria in duplice senso (prospettiva recuperatoria). Innanzitutto, perché ammette la creazione di una pretesa restitutoria e prevalente rispetto a terzi anche su denaro che sia stato trasferito da un conto ad un altro. In secondo luogo, poiché si estende, alternativamente, anche ai beni oggetto dello scambio, diffondendo gli effetti della pretesa anche nei confronti dei terzi, che non siano acquirenti in buona fede. 2 Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili Come visto, si tratta di ipotesi variegate, le quali, in altri ordinamenti, vengono piuttosto ricondotte ad un principio di arricchimento ingiustificato (o ingiusto) e che, con varietà di accenti, sono informate ad un principio proprietario, ovvero alla compensazione di un comportamento colpevole4. Tale profilo funzionale, tuttavia, può, in una prospettiva non localistica, meglio comprendersi solo ove lo si contestualizzi all’interno di un più ampio quadro degli interessi in gioco (variabile soggettiva della vicenda giuridica)5. Può trattarsi di un rapporto – bilaterale – tra l’avente diritto al recupero e il suo detentore (sia esso o meno l’autore del comportamento che dà origine alla pretesa), e in questo caso acquista rilevanza la comparazione di tali interessi, nonché la loro collocazione all’interno dei modelli di ogni sistema. Ma, può insorgere altresì un conflitto – trilaterale – in cui siano coin4 Ricordiamo, come l’idea del recupero volutamente intesa in senso generico possa poi qualificarsi in vario modo, a seconda dei sistemi giuridici e delle fattispecie coinvolte. Il “recupero” del quale ci siamo principalmente interessati nel corso delle precedenti pagine è quello prevalente rispetto alle pretese di terzi creditori, potendo qualificarsi, alternativamente, come diritto di credito insistente su un patrimonio separato (come nel caso del mandato e delle ipotesi ad esso assimilabili nel diritto italiano); credito senza ulteriore caratterizzazione (in ipotesi di restituzione contrattuale, nel diritto italiano); pretesa proprietaria (in caso di rivendicazione, nel diritto italiano); pretesa “restitutorio – proprietaria” nel diritto anglo-americano (categoria nella quale rientrano le fattispecie sia del breach of trust che delle altre ipotesi restitutorie dipendenti da, ad esempio, vizio del contratto ovvero, furto). Appare abbastanza chiaro, infatti, come lo spettro delle aree di diritto interessate vari da sistema a sistema. Abbiamo constatato come il diritto delle restituzioni, quando si ammette l’atto di trasferimento astratto, venga a bilanciare l’arricchimento ingiustificato, ad esempio di un contraente a scapito dell’altro, comprendendo una serie di problemi che negli ordinamenti di derivazione francese appartengono alle aree del contratto e della responsabilità civile. Ciò giustifica l’esistenza di una categoria unitaria e ampia per gli ordinamenti di common law e per altro la funzione residuale che di contro, nel nostro ordinamento uniformato al principio del consenso traslativo e della causalità delle attribuzioni patrimoniali, rivestito dall’azione di ripetizione a favore delle pretese restitutorie aventi di natura reale. Cfr. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., p. , nonché MOSCATI, Caducazione degli effetti del contratto e pretese di restituzione cit., p.  s. 5 Il passaggio, che completa la più puntuale affermazione delle fattispecie in esame, è fondamentale. «Il contenuto di una vicenda […] ci dice poco sulla ragione per cui quella vicenda è prevista dalla legge. La ragione incomincia a emergere quando si consideri la correlazione tra la vicenda, e la fattispecie a cui la vicenda è ricollegata; o meglio, quando si consideri l’interesse che presiede a questa correlazione». Cfr. R. SACCO, voce Circolazione giuridica, in Enc. dir., VII, Milano, , p.  ss., spec. p. .     volti, in veste di portatori del reale interesse antagonista rispetto al recupero, i creditori dell’attuale detentore del bene. Il primo caso – in negativo – si caratterizza per non essere interesse ad un bene “specifico” – sebbene in senso non corporale – alla somma di denaro. Se così fosse, sarebbe quantomeno superfluo tentare l’esperimento di una sicuramente più incerta pretesa di tipo proprietario sul denaro, anziché, semplicemente, l’esercizio di un diritto di credito (sebbene comunque restitutorio) per un equivalente ammontare. Nel secondo caso, invece, l’interesse sorge poiché sulla somma (ovvero sul bene acquistato con tale somma) vi è la concorrenza tra più pretese: si tratta dell’ipotesi di concorso in caso di insolvenza, o, comunque, del concorso di più creditori sui beni di un comune debitore. Qui, come abbiamo più volte detto, la moneta diventa singolarmente bene scarso, non diversamente riproducibile; qui può sorgere un puro interesse opponibile ai terzi su una somma e, allo stesso tempo, qui le resistenze a perseguire la rilevanza giuridica di tale interesse si fanno più forti perché, in punto di principio, vengono poste a presidio della tutela della par condicio creditorum. Tanto nell’uno quanto nell’altro caso (rilevanza bilaterale – trilaterale), uno dei maggiori ostacoli al riconoscimento di una pretesa, si voglia creditoria o proprietaria ovvero creditoria qualificata, è rappresentata dalle vicende confusorie del denaro. Vi è infatti una linea rossa che unisce queste ipotesi ed è rappresentata dal margine concesso alla tracciabilità del denaro, per un verso, ovvero, quale faccia di una medesima medaglia, alla possibilità che il valore del denaro transiti, per effetto di uno scambio storicamente avvenuto, su “altro” denaro o su un altro bene6. Si tratta di principi che informano trasversal6 La giurisprudenza in materia conferma, in svariati ambiti, come vi siano forti resistenze ad ammettere, fuori dalle secche dell’alternativa tra un diritto di credito sull’equivalente e il diritto sul bene esattamente conferito, un diritto, pur di credito, sul denaro inteso come bene determinato che prevalga rispetto alle pretese di terzi. Tuttavia, espressioni significative di una diversa tendenza si possono riscontrare in ambito penale (cfr. supra cap. III, nt. ), ove si afferma l’“altruità” del denaro detenuto in fondi separati e, come abbiamo visto, nella legislazione speciale in materia finanziaria. Nel corso delle pagine che precedono si è, tuttavia, sottolineato come il generale principio di surrogazione sia implicito, anche dal punto di vista civilistico, in ogni patrimonio separato. Un procedimento che ben evidenzia l’operatività della tracciabilità (come meccanismo operativo della surrogazione) all’interno dell’ordinamento italiano si trova, ancora, in ambito penale. Il procedimento ablativo della confisca per equivalente Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili mente le pretese su indicate, che – come il lettore avrà notato e per fini di auspicata chiarezza espositiva – ci siamo riservati di inserire da ultimo. Un dato abbiamo, anzitutto, rilevato ed è rappresentato dalle scelte degli ordinamenti nella soluzione dei conflitti tra aventi diritto alla restituzione del denaro, o di suoi sostituti7. (previsto, tuttavia, solo nelle ipotesi tipiche di reati di usura, reati contro la pubblica amministrazione e gli interessi Comunità Europee, alcune ipotesi di truffa, a carico di enti collettivi e per finalità prettamente sanzionatorie) mira propriamente a colpire le somme di denaro, i beni o, genericamente le utilità di cui il reo abbia la disponibilità e che siano individuabili e geneticamente riconducibili, per un valore corrispondente, al prezzo, prodotto o profitto del reato. La giurisprudenza, in proposito, tende, per un verso, ad ampliare ulteriormente la portata dei beni confiscabili, ritenendo legittima l’ablazione dei beni acquisiti da terzi per donazione o compravendita dall’imputato, accedendo ad una nozione di “disponibilità” come comportamento uti dominus del soggetto, in contrasto con l‘apparente titolarità del terzo. Sotto altri profili, essa ne limita la portata all’effettivo vantaggio conseguito dal reo, e sottraendone pertanto l’utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, per effetto, ad esempio, di rapporti sinallagmatici con il reo. In tal senso, Cass., SS. UU.,  marzo , n. , in Guida al dir., , p.  ss., nonché in Riv. it. dir. proc. pen., , p.  ss. seguita da Cass.,  maggio , n. , in www.ilsoleore.com. 7 Sotto questa prospettiva si disvela come le logiche della circolazione giuridica non riguardino soltanto le scelte degli ordinamenti circa le variabili degli interessi che vengono privilegiati nelle vicende giuridiche (l’affidamento piuttosto che l’intento delle parti, possano o meno poi rivelarsi espressione di particolari categorie economiche – l’imprenditore rispetto al proprietario – e così via). Essa comprende e si specifica, altresì, la scelta dei beni che vengono compresi nella vicenda circolatoria (bene in sé o suoi sostituti). Questo quadro è ben espresso da SMITH, The Law of Tracing cit., p.  ss. , ove, a proposito del trasferimento dei diritti di proprietà per mezzo del tracing, si dà rilevanza a quanto affermato supra (cap. IV), quando si è affermato che il tracing in quanto procedimento probatorio non appartiene, esclusivamente, al diritto processuale e ai mezzi di prova. Esso, che pur si sostanzia in una serie di regole probatorie, è espressione – a monte – di una precisa scelta dell’ordinamento, di consentire la propagazione di una pretesa a carattere proprietario (si voglia qualificare come proprietaria pura, ovvero proprietario-restitutoria) sui sostituti, ovvero su beni che possono essere ricondotti al primo attraverso un certo nesso di conseguenzialità. L’a. inglese, rifacendosi a S. WALT e E. L. SHERWIN, Contribution Arguments in Commercial Law, in  Emroy LJ,  p.  ss. i quali tuttavia esprimono una posizione nettamente contraria all’idea sottostante le regole del tracing, rintraccia come la possibilità di affermare un diritto sui sostituti (come visto tipicamente previsto nei sistemi di civil law), che sia prevalente rispetto a terzi creditori del comune debitore, rappresenti un principio che, ovviamente, rafforza il diritto del “proprietario”, con potenziale pregiudizio o sofferenza per i creditori. Al polo opposto si colloca uno scenario ispirato ad un forte principio del possesso vale titolo, che non consentirebbe utilmente alcuna pretesa restitutoria (che sembra, secondo la communis opinio, essere quello dei sistemi di civil law – ma si precisa che i due meccanismi non sono, in astratto, incompatibili). La soluzione mediana che, pur nelle variazioni interne, è esplicitamente accolta nei sistemi di common law, attraverso     Può dirsi che, in via di principio, i diritti sui sostituti (utilizzando la terminologia anglosassone, in cui va incluso anche ogni cambiamento nella consistenza del denaro) non siano in via generale espressamente riconosciuti negli ordinamenti di civil law, tra cui quello italiano, mentre ricevono, sebbene in maniera diversificata, una sostanziale accettazione negli ordinamenti di common law 8. Ciò significa che, ad esempio, se subisco un furto dei miei €, e il ladro fallisce il giorno successivo, ovvero, è insolvente, potrò riottenerli, solo se riesco ad individuare la mia banconota. Sebbene sembri condivisibile che dall’ottica del proprietario spossessato è indifferente che venga restituita esattamente la medesima banconota ovvero altre comunque corrispondenti al medesimo ammontare, la necessità di evitare il pregiudizio di terze parti, in questi casi, può incidere sul mio diritto. In proposito, mentre l’interpretazione del diritto italiano non sembra attualmente e in via generale distaccarsi da una stretta concezione di identificazione (che in altri termini, protegge massimamente il diritto delle terze parti), come si è visto, il diritto anglosassone, opta per un atteggiamento già dichiaratamente più liberale. Ipotizziamo, in alternativa, che i € siano stati utilizzati per l’acquisto di un orologio. In questo secondo caso, purché riesca dimostrare che i miei € (da individuarsi secondo i medesimi criteri di cui sopra) sono stati utilizzati per quell’acquisto dell’orologio, potrò chiedere, nel diritto angloamericano, la consegna di quest’ultimo. La soluzione nel caso del diritto italiano sarà, implicitamente, a favore della collettività dei creditori del ladro (entrando l’orologio a far parte della massa fallimentare) e a scapito mio (che concorrerò come creditore sul tutto)9. la limitazione delle pretese sui sostituti tramite il procedimento del tracing (ove, al minimo vi dev’essere un “transactional link” rispetto al bene originario) sembra costituire – come vedremo – un buon compromesso. 8 GOODE, Proprietary Restitutionary Claims, in AA. VV., Restitution. Past, Present and Future, a cura di W. R. Cornish, R. Nolan, J. O’ Sullivan e G. Virgo, Oxford (Hart Publishing) , p.  ss., spec. p.  nt. ; e, soprattutto, SMITH, The Law of Tracing cit., p.  ss. e p. : «As a matter of empirical observation, it appears that most systems do allow for such a transmission of statut, although the scope of this possibility is generally substantially narrower in civilian systems than in common law systems», e nt.  per riferimenti alle fonti di diritto romano, francese, tedesco. 9 A parte l’analisi dei profili comparativi, l’esempio ricalca SMITH, The Law of Tracing cit., p. . Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili Facciamo riferimento, ora, al titolo della pretesa. Quando il denaro è oggetto di gestione, si scontrano due interessi. Uno è quello del gerito o beneficiario, interesse che è rivolto non al bene in sé, ma al suo valore economico. Volendo parafrasare quanto si è andato sviluppando con riguardo alle ipotesi di pegno rotativo, può dirsi che, il denaro quale oggetto di un contratto di gestione va considerato non come res ma come “valore”10: le parti deducono quale oggetto del contratto non il bene inteso in senso corporale ma il valore che quello stesso bene ha. Il diritto asseconda questo interesse attraverso l’operatività di meccanismi surrogatori, che consentono di considerare la cosa non più nella sua individualità, ma per la sua componente di valore. L’altro interesse è quello dei terzi, creditori del gestore o aventi causa, i quali chiedono una certa conoscibilità, anche ex post, della limitazione del patrimonio del proprio debitore. Tale concorso di situazioni viene risolto nell’ordinamento italiano in base all’opponibilità del titolo, e quindi, nel caso di beni fungibili, attraverso un procedimento di tracciamento del bene che dovrebbe assistere l’interesse al valore monetario oggetto della gestione. Ciò comporta che le ipotesi in cui vi sia stata una disposizione non autorizzata da parte di un intermediario ricevono tendenzialmente un comune trattamento nei diversi sistemi, rispetto ad altre ipotesi in cui il denaro viene utilizzato come mezzo di scambio al di fuori di un rapporto di gestione. Vi è una differenza fondamentale tra le ipotesi di gestione intermediata (in cui i diritti sui sostituti vengono garantiti attraverso l’operatività di un meccanismo surrogatorio) e tutte le altre, in cui, invece, al di fuori del ricorrere al principio dell’arricchimento ingiustificato – che come si sa – nel nostro ordinamento è sussidiario, non v’è possibilità di far valere diritti sui beni surrogati. Nelle prime, nei diversi sistemi, vi sono esigenze comuni derivanti dall’esistenza di un patrimonio separato/fondo mutevole al suo interno e alcune soluzioni tendo ad essere equivalenti11. In questo ambito non si avvertono, peraltro, le differenze di sistema In dottrina, cfr. principalmente E. GABRIELLI, Sulle garanzie rotative cit., pp.  e ss. M. GRAZIADEI, U. MATTEI e L. SMITH, Commercial Trusts in European Private Law cit., p.  ss., nonché supra cap. III, ntt.  e . Cfr., inoltre, Restatement Third, Restitution and Unjust Enrichment § , p.  per la differenza tra two parties e three parties contest. 10 11     che possono invece registrarsi, allorquando il discorso viene più ampiamente esteso all’ambito generale delle restituzioni, in virtù del fatto che determinate soluzioni del diritto delle restituzioni negli ordinamenti anglosassoni sono fortemente radicate nel rapporto con le regole della circolazione dei diritti, e sistema di forze che anima i rapporti di queste con i rimedi risarcitori. Il sistema delle gestioni intermediate, al suo interno di quelle che avvengono nei mercati finanziari, invece, è un micro-sistema autonomo che consente una maggiore flessibilità interpretativa. Quanto al diritto italiano, la principale questione che si pone con riguardo alle gestioni monetarie non si colloca sulla proclamazione del diritto sostanziale (cioè dei diritti spettanti al gerito / beneficiario sul patrimonio separato); bensì, sull’affermazione della sua applicabilità al denaro in quanto bene in sé, nonché su quello probatorio12. Un punto centrale riguarda l’ipotesi della insolvenza. Si assiste ad un’evoluzione legislativa, secondo la quale in ipotesi qualificate, quelle – ad esempio – delle intermediazioni finanziarie, si registra la tendenza a garantire determinate categorie di soggetti per cui il livello di tutela deriva all’appartenenza ad una determinata categoria soggettiva (quella dell’investitore). Ciò comporta di regolare più specificamente la fase della liquidazione introducendo un criterio soggettivo (class-based distribution), ovvero basato sulle caratteristiche del creditore13. Ciò comporta, altresì, che quelle istanze che possono stentare a trovare voce in base meramente ad un criterio proprietario (asset-based), vengano assorbite come pretese creditorie sulla massa, all’interno di queste regolate non quali meri crediti chirografari ma attraverso i meccanismi di prevalenza derivanti dalla qualificazione soggettiva del creditore – investitore, unitamente ad un criterio d’identificabilità del bene sul quale far valere il diritto. Partendo da queste considerazioni può facilmente disvelarsi come il Con riguardo esclusivo all’insolvenza: «All priority systems are arbitrary; none can avoid unfairness. The most one can hope to achieve is a tolerably rational, structured set of rule producing results thant in the typical case will commend themselves as fair and giving a suffiecient measure of certainty to enable them to be utilised with some confidence by the business community». GOODE, The Right to Trace in Commercial Transactions, I cit., p. . 13 Sulla distinzione tra le due possibili policies di creditor priorities, si veda J. BOWERS, Security Interests, Creditors’ Priorities and Bankruptcy, in AA.VV., Encyclopedia of Law and Economics, a cura di B. Bouckaert e G. DeGeest, vol. II, Edward Elgar, , p.  ss., in part.  s. 12 Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili titolo stesso della pretesa vantata nei confronti della massa fallimentare assuma una diversa valenza, come nel caso di credito restitutorio avente ad oggetto un bene (qualsiasi bene) conferito in gestione (credito restitutorio da gestione). In questa ipotesi, la surrogabilità dei beni che rappresentano variazione della provvista iniziale consente, sussistendo la prova della sequela, cioè che si tratti appunto di beni riconducibili a quello inizialmente conferito, di estendere la pretesa restitutoria anche beni ulteriori. L’analisi fin qui condotta ha consentito di verificare come il diritto anglo-americano, basato storicamente su una concezione lata di appartenenza, abbia poi sviluppato sul piano degli istituti di diritto sostanziale una serie di presunzioni che consentono una più immediata soluzione ai conflitti su beni fungibili; mentre l’ordinamento italiano sembra, come conferma la tradizionale posizione sul tema, mancare di tale supporto, pur in presenza dell’analogo riconoscimento di posizioni sostanziali. Come si è, tuttavia, visto, non è, una volta delineata la questione e le sue implicazioni problematiche, assolutamente non prospettabile un’analoga soluzione dei problemi per il diritto italiano. . Prospettive di analisi economica. L’ equitable tracing e il modello di agenzia Il risultato dell’analisi giuridica è quello di disvelare quale sia la collocazione dell’oggetto dell’indagine all’interno dell’ordinamento giuridico, e di comprenderne la funzione e i rapporti con il sistema14. Ciò da cui prende le mosse l’analisi giuridica (più in generale delle scienze sociali) e corrisponde alla idea di diritto e agli scopi che a questo si assegna di perseguire ed è fortemente condizionato dalle componenti culturali (anche ideologiche) che operano in un determinato contesto15. 14 Sul ruolo, spettante alla scienza giuridica, di razionalizzazione del prodotto normativo e della volontà del legislatore, quale sia il prodotto e chiunque sia il legislatore cfr. S. COTTA, Il giurista e la società in trasformazione, in Jus, , p.  ss., spec. p. , nonché F. VIOLA, Nuovi percorsi dell’identità del giurista, in AA.VV., Filosofia del diritto: identità scientifica e didattica, oggi, a cura di B. Montanari, Milano, , p.  ss. 15 Cfr. R. GUASTINI, Diritto, filosofia e teoria generale del, in Enc. Treccani delle scienze sociali, III, Roma, , p.  ss.     Tra le varie concezioni giuridiche, assume rilievo, anche se in via ancora marginale nella dottrina giuridica italiana, l’analisi economica del diritto16. Essa può informare un’interpretazione di tipo positivo, la quale miri ad una migliore interpretazione/applicazione del diritto vigente, come pure una di tipo normativo, che inspiri una prospettiva de iure condendo. Per una migliore intelligenza delle questioni via via poste, al fine di ricontrollare talune delle nostre affermazioni, ci sembra utile suggerire un’ulteriore prospettiva di analisi funzionale, questa volta avvalendoci proprio dell’ausilio dell’analisi economica. In un suo più volte già citato scritto, uno dei più attenti e giovani studiosi del diritto dei trust nella dottrina americana, intraprende per primo un’analisi dei costi di agenzia in uno schema di trust (che abbiamo rivelato essere corrispondente all’ipotesi gestoria del mandato senza rappresentanza), che come si è visto egli include nella classe degli enti giuridici non personificati, per questa via avvicinandosi alla teoria del nexus of contracts17. L’avvicinamento al diritto degli enti, consente, tuttavia, di tenere in considerazione gli aspetti sia della relazione interna settlor-trustee, sia di quella esterna del conflitto trustee-terzi, vedendo quest’ultima come funzionale a ridurre i costi della relazione agent-principal 18. 16 Una ricostruzione dello sviluppo dell’EAL nella dottrina statunitense, e gli spunti per un suo utilizzo dall’ottica del giurista italiano è in A. ARCURI e R. PARDOLESI, voce Analisi economica del diritto, in Enc. dir., Aggiornamento, VI, Milano, , p.  ss.. Si veda altresì, F. MENGARONI, voce Analisi economica del diritto, in Enc. giur., I, Roma, , p. ss. Questo modo di interpretare il diritto in verità risulta poco utilizzato nel contesto europeo e massimamente in Italia. Numerose sono le obiezioni che vengono poste ad un suo utilizzo e quindi, anche, ad una diversa formazione del giurista. Tra queste vi è, anche, l’accusa di un diritto studiato e pensato solo nel prisma dell’efficienza e sordo ad istanze di giustizia o equità sociale. Critico su questo punto, R. HARDIN, The Morality of Law and Economics, in  Law and Philosophy, , p.  ss. 17 SITKOFF, An Agency Costs Theory of Trust Law cit. Sul nexus of contracts, si veda C. JENSEN e W. H. MECKLING, Theory of the Firm: Managerial Behavior, Agency Costs and Ownership Structure, in  J. Fin. Econ., , p.  ss. Come noto tale teoria ha avuto il merito di dimostrare la rilevanza dello schema principal-agent nello studio degli enti. Una ricostruzione storica dello sviluppo dell’agency theory è in A. PUGLIESE, L’evoluzione degli studi sulla “Corporate Governance”. Dall’ “Agency Theory” ad una prospettiva “Contingency”, Napoli, , p.  ss. 18 Secondo le categorie domestiche, l’ipotesi del trust/separazione patrimoniale, pur limitrofa a questa, non rientra nella teoria degli enti, accedendo la prima, al patrimonio personale e singolo di un soggetto (differenza con associazioni non riconosciute, fondazioni). Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili Come noto, la teoria economica dell’agenzia ipotizza, nella sua versione più semplice, un rapporto in cui vi sia una delega di potere e per cui un individuo (agent) si obblighi nei riguardi di un principal a ricoprire per suo conto una data mansione, con il conferimento di una delega di potere e secondo un certo grado di diligenza19. Il contratto di agenzia presenta alcuni rischi, dovuti al comportamento opportunistico delle parti (principalmente dell’agent), che tendono a massimizzare la propria utilità. L’agent, per il mero fatto di essere stato delegato, avrà accesso ad informazioni che il principal non conosce (c.d. hidden information o adverse selection, che è un problema di opportunismo ex ante). Inoltre al principal risulterà impossibile, non possedendo le conoscenze necessarie, monitorare e valutare la condotta dell’agent (c.d. hidden action o moral hazard). In quest’ultimo caso, l’asimmetria informativa è relativa a vicende post-contrattuali (opportunismo ex post)20. La teoria dell’agenzia riconosce che i comportamenti opportunistici dell’agente non siano eliminabili, e che è praticamente impossibile che esso operi esclusivamente nell’interesse del principal. Ciò significa in altri termini che è inevitabile in questo caso un contratto incompleto21. Questa situazione genera dei costi detti “costi di agenzia”, che sono dati dal disallineamento degli interessi del principal e dell’agent. Tra questi si annoverano: i costi di sorveglianza ed incentivazione necessari per orientare il comportamento dell’agente; costi di obbligazione che l’agente deve sostenere per assicurare il principale che non adotterà comportamenti opportunistici che lo possano danneggiare, ed eventualmente indennizzarlo; parte residua che è rappresentata dalla differenza tra l’utilità derivante dal comportamento effettivo dell’agente e l’utilità derivante dal comportamento che avrebbe dovuto tenere l’agente22. Sul punto, cfr. E. POSNER, Agency models in Law and Economics, in University of Chicago Working Paper series, n. , disponibile all’indirizzo http://www.law.uchicago.edu/Publications/Working/index.html. 20 Cfr. nonché H. R. VARIAN, Microeconomia, Venezia, , cap.  21 Sul contratto incompleto, si veda A. NICITA e V. SCOPPA, Economia dei contratti, Roma, . Qui l’incompletezza è dovuta alla impossibilità per il principal di sorvegliare la condotta dell’agent, né tramite rimedi ex post né tramite un accordo ex ante. 22 F. SARTORI, La teoria economica dell’agency e il diritto: prime riflessioni, in Riv. crit. dir. 19     La chiave di lettura dell’agency risiede negli incentivi. Il principal, infatti, deve avere la capacità e disporre dei mezzi idonei per munire di incentivi adeguati l’agent, il quale, altrimenti, si comporterà egoisticamente ogniqualvolta si trovi a scegliere tra la massimizzazione della propria funzione di utilità e quella del principal. Per l’economista tale sistema è rappresentato dall’«optimal contract», cioè quell’accordo che preveda un compenso strutturato in modo tale da incentivare l’agent ad agire (il più possibile) nell’esclusivo interesse del principal. Ritornando alla nostra analisi funzionale, un’analisi del trust basata sul modello dell’agenzia, innanzitutto, vede un rapporto di agenzia, sia tra settlor e trustee, sia tra trustee e beneficiary23. Quindi il problema della fedeltà del trustee si complica in certo modo poiché aggravata dalla tensione tra l’interesse del settlor e del beneficiary24. La proposta interpretativa è quella di conferire prevalenza alla posizione e alle istruzioni del settlor come primary principal, di modo che il trustee, il quale è investito del potere di gestione, massimizzi il benessere dei beneficiaries, ma in osservanza dei limiti ex ante imposti dal settlor. In questo contesto, si inseriscono anche i rapporti c.d. esterni, ovvero con i terzi (creditori o terzi aventi causa), la cui disciplina rappresenta uno degli incentivi previsti dall’ordinamento per indurre il comportamento dell’agent/trustee verso l’efficienza nei rapporti interni25. In tal modo anche i priv., , p.  ss.; S. SHAVELL, Risk Sharing and Incentives in the Principal and Agent Relationship, in  Bell Jour. Of Economics, , p. ; E. POSNER, Agency models in Law and Economics cit., p.  s. 23 SITKOFF, op. ult. cit., p.  24 Come abbiamo visto, risolto in maniera tendenzialmente diversa dal diritto inglese e statunitense, dando prevalenza alle istruzioni, rispettivamente, del beneficiary o del trustee. Cfr. cap. IV, nt. . In ogni caso, salve le variabili, appare evidente che si assiste ad una scissione nella tradizionale figura del principal. Da un lato, infatti, troviamo il settlor, che impartisce le istruzioni, dall’altro il beneficiary che (in caso di violazione di queste, o, in ogni caso del proprio interesse anche se confliggente con le prime) che è l’unico in grado di farle valere, nell’ipotesi di violazione dei doveri del trustee. 25 L’idea di vedere la struttura del trust alla stregua di un impresa (firm) assolve proprio questa funzione di saldare il profilo “proprietario” e “contrattuale” presentandoli come interrelati. «The agency cost considerations relevant to the substantive content of the rules of internal trust governance are a funcion of the scope of the authourity of the principal parties to transact with outsiders. Similarly, the extent to which the trust insiders might safely be granted authority to transact over trust assets with outsiders is function of the effectiveness of the Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili contratti del trustee con i terzi vengono ad essere inclusi nella rete del nexus of contracts 26. In questo quadro, l’equitable tracing rappresenta uno dei migliori esempi di tale interrelazione, consentendo, al di fuori degli – e in aggiunta agli – strumenti tradizioniali27, al creditore di agire nei confronti delle terze parti. L’ipotesi è, in particolare, quella del breach of trust e del trattamento riservato ai terzi che invece hanno beneficiato dello stesso. internal governance structure. […] Any change in one set of rules will have a ripple effect on the terms to which the relevant parties would have agreed concenring the other» (SITKOFF, op. ult. cit., p.  s.). 26 L’idea che un rimedio restitutorio assolva in modo più incisivo alle finalità di prevenzione intimamente connesse ad esigenze pubbliche, ad esempio, dell’integrità dei mercati, già è stata rilevata, in una prospettiva gius-economica, con riguardo ai casi di inadempimento dell’intermediario per comportamento scorretto nei confronti dell’investitore (cfr. G. LA ROCCA, Il contratto di intermediazione mobiliare tra teoria economica e categorie civilistiche, in Riv. crit. dir. priv., , p.  ss.). È stato sostenuto, ma nella prospettiva del rapporto interno tra clienteintermediario, come la ripetizione dell’indebito che si accompagna all’invalidità del contratto di borsa comporti una completa internalizzazione dei costi in capo all’impresa di investimento che ha causato il pregiudizio (al mercato) costituendo un robusto deterrente contro future azioni infedeli. In altri termini, la responsabilità attesa di siffatto rimedio sembra più idonea a indurre l’intermediario a rispettare il modello di diligenza previsto dalla normativa di settore, rispetto al rimedio risarcitorio connesso a una responsabilità per colpa. Le difficoltà legate alla prova (questa a carico dell’investitore) della causalità giuridicamente rilevante, del dolo dell’intermediario ai fini del superamento del limite della prevedibilità del danno, nonché i limiti connessi alla quantificazione del danno in materia (pre)contrattuale, e quindi, la maggiore discrezionalità del giudice, in astratto, impedirebbero un adeguato risarcimento a favore dell’investitore danneggiato. Anche queste verrebbero superate attraverso un uso ottimale del private e public enforcement (art.  T.U.F., che prevede una sanzione amministrativa a carico degli intermediari che non rispettano l’art.  da . a . euro) nella più adeguata tutela degli interessi del mercato. 27 Ci riferiamo in questo caso non all’ipotesi del riverbero delle vicende del contratto su eventuali terzi acquirenti (che viene diversamente risolto dal legislatore, ad esempio, nelle ipotesi di invalidità, rescissione, risoluzione, simulazione del contratto). Sul punto, si ricorda, V. SCALISI, voce Inefficacia (dir. priv.), in Enc. giur., XXI, cit., p.  ss., e F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, I cit., p.  ss. Il caso è, invece, quello dell’influenza sui terzi in caso di un’operazione non autorizzata (un atto extra-funzione, ovvero un inadempimento contrattuale). Figure solo simili, per via dell’efficacia – giuridicamente rilevante – su terze parti, dell’agire di un soggetto o del debitore, potrebbero intravedersi nella fattispecie della lesione del credito (o induzione all’inadempimento) e dell’azione revocatoria, ugualmente riconosciute negli ordimenti di common law. Per l’ordinamento statunitense, la qualificazione di fraudulent conveyances è nell’Uniform Fraudulent Conveyance Act, A ULA  (); per la tortious interference with a contract, Speakers of Sport, Inc. v. Proser., Inc.,  F. d , - (th Cir. ).     All’interno di un rapporto di agenzia, in senso economico, il rischio posto a carico dei terzi, di vedersi privati del valore acquisito contrattando con il trustee li rende vigili controllori del comportamento di quest’ultimo. In questo senso, essi vengono a partecipare dei costi di agenzia che sono associati dal potenziale inadempimento del trustee. Le regole del tracing nel diritto anglo-americano, in altre parole, rappresentano norme efficienti, poiché tali da rendere il terzo (sia esso creditore o terzo acquirente) un controllore dell’inadempimento del trustee-mandatario, in tal modo colmando quell’incompletezza endemica del contratto principal-agent (settlor-trustee/trustee-beneficiary)28. Se, infatti, il deterrente principale per il trustee, cui pure dev’essere garantito un ampio grado di discrezionalità per eseguire i compiti che rientrano nella funzione naturale del trust (Prudent Investor Rule), sarà la sua responsabilità personale, le regole sulla tracciabilità possono svolgere in via indiretta una funzione di deterrenza per i comportamenti opportunistici dell’agent 29. Uno schema sintetico di quanto sinora detto è nella tabella costi-benefici posta al termine del capitolo30. Se ora poniamo queste considerazioni in un quadro comparatistico tra ordinamenti di derivazione anglosassone e quello italiano, potrebbe dirsi che il maggiore sviluppo di regole che, pur attingendo ad una concezione proprietaria, consentono una più facile tracciabilità dei fondi impiegati dal gestore, potrebbe rappresentare una regola maggiormente efficiente. Un tale risultato non è inficiato dall’operatività di ulteriori variabili, cioè criteri limitativi della regola restitutoria o di prevalenza rispetto a terzi, 28 Recuperando, anche in questa parte, il fondamentale contributo di HANNSMANN e MATTEI, The Functions of Trust Law etc., cit., p. : Quando «the rule [of equitable tracing] operates, the third party tranferee is almost by definition a lower-cost monitor ot the [trustee’s] breach of duty than is the [beneficiary]»; e SITKOFF, An Agency costs Theory of Trust Law cit., p. : «In the absence of a contrary agreement, efficiency militates toward allocating this risk to the outsider rather than increasing the burden on the trust’s internal governance devices». Più in generale, sull’attitudine delle parti a prevedere, sopportare e assicurare i rischi dell’impossibilità della prestazione: R. A. POSNER e A. M. ROSENFIELD, Impossibility and Related Doctrines in Contract Law: An Economic Analysis, in  J. Leg. Studies, , p. , spec., pp.  – , che individuano la scelta più efficiente nella parte che è maggiormente in grado di prevedere il rischio (superior risk bearer). 29 SITKOFF R. H., The Economic Structure of Fiduciary law cit., p. . 30 Cfr. infra Table , spec. al punto contrassegnato dal num. . Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili come avviene se all’equitable tracing si accompagnino regole che impongono particolari obblighi di condotta – ad esempio informarsi – in capo al terzo che entra in contatto con il trustee, possibili eccezioni alla regola del good faith purchaser, limitazioni all’attività negoziale del trustee 31. Si tratta, infatti, di fattori, astrattamente ostativi dei risultati derivanti dall’applicazione delle regole del tracing, che tendono, peraltro, ad essere superati, ad esempio nell’ordinamento statunitense. Come si è detto, tuttavia, nel raffronto comparativo, la sussistenza di tali regole non altera il bilancio di un maggior favore verso la posizione del gerito negli ordinamenti di common law. La prevalenza di quest’ultimo rispetto ai creditori del gestore non incide sulla certezza dei traffici, considerato che, ai fini dell’esecuzione, il possesso non è generalmente criterio discretivo32. Cade, in questo modo, la possibile obiezione della non conoscibilità da parte dei terzi della posizione del31 Si iscrivono in questo ambito, le regole che prevedono la responsabilità del trustee per l’ipotesi di insufficienza del fondo, anche se l’obbligazione contratta rientrava nella diligente esecuzione dell’ufficio di trust, ovvero il principio del Prudent Man Rule (improntata ad una gestione eminentemente conservativa del fondo). Si tratta di regole che sono state ormai superate nello sviluppo del diritto statunitense, rispettivamente dall’Uniform Trust Code, §, secondo cui il trustee non può essere considerato responsabile per le obbligazioni contratte, manifestando la funzione di trustee, e dal § , secondo cui i terzi, per loro conto, non hanno alcun onere di accertare la qualità della controparte (contrariamente a quanto affermato da una parte della giurisprudenza) e fanno salvo il proprio acquisto secondo le regole del bona fide purchase; infine nell’Uniform Prudent Investor Act e nel Restatement (Third) of Trust, prevedendosi la possibilità di una gestione dinamica del portafoglio da parte del trustee. In tal modo il diritto statunitense si è mosso nella direzione di uniformare il trattamento degli acquisti dei terzi che contrattano, secondo il criterio ordinario di buona fede, con il trustee. Cfr., D. M. ENGLISH, The Uniform Trust Code (): Significant Provisions and Policy Issues, in  Mo. L. Rev., , p.  ss., spec. a  ss. (sulla protezione dei terzi contraenti); in senso parzialmente critico sulla Prudent Investor Rule, S. E. STERK, Rethinking Trust Law Reform: How Prudent is Modern Prudent Investment Doctrine?, in  Cornell Law Rev., , p.  ss. 32 GOODE, Ownership and Obligation in Commercial Transactions cit., p.  «It is true that equitable proprietary right arising otherwise than by way of security are usually invisible to creditors, who may be led by the debtor’s possession into thinking that he is the beneficial owner of the asset. But the doctrine of reputed ownership, which never applied to companies in liquidation, has now been abolished for personal bankruptcy, in recognition of the fact that possession without title is nowadays so common that no significance should be attached to it». Si ricorda, comunque, che la posizione dell’a. è quella di una stretta applicazione del principio della tracciabilità in bankruptcy alle sole pretese in cui vi sia una “forte” regola proprietaria (ipotesi di institutional constructive trust).     l’agire per conto, secondo cui i creditori vengano ingiustamente ingannati da una regola che favorisca il beneficiary. Il problema, dal punto di vista economico-giuridico rimane quello della distribuzione degli assets tra l’iniziale proprietario del denaro e i restanti creditori generali. Una pur elementare analisi costi-benefici, che valuti gli incentivi e i costi in conseguenza di un determinato tipo di regolazione normativa, può rivelare le categorie soggettive interessate dagli effetti della regolazione33. Nel caso delle regole del tracing o di criteri analoghi, queste possono svolgere la funzione di favorire gli investimenti o il ricorso alla cooperazione gestoria, poiché l’investitore/mandante è in grado di sapere, ex ante, prima della stipulazione del contratto, di avere maggiori chances di recuperare il proprio denaro e non subire, in caso di fallimento o insolvenza dell’intermediario, la falcidia concorsuale, quanto meno per intero34. Un tale sistema, peraltro, non sembra condizionare il livello di protezione del ceto creditorio in caso di procedura concorsuale, considerati anche i risultati di recenti studi empirici, che hanno rivelato le percentuali di recupero dei creditori su imprese insolventi, che sarebbero, in generale, superiori negli ordinamenti di common law35. . La prospettiva della garanzia patrimoniale, la prospettiva restitutoria e le strategie di salvaguardia dell’appartenenza del denaro Quello che abbiamo definito interesse al recupero del denaro si specifica come l’interesse a sottrarre, al minimo, l’ammontare di denaro conferito in gestione dal concorso con gli altri creditori del gestore. Cfr. infra Table . V’è da considerare, tuttavia, che pure la presenza di regole presuntive non assicura in assoluto la prevalenza rispetto ai creditori chirografari, mentre tende a superare il criterio della verità storica. Un tale assetto riduce i costi della decisione del giudice, mentre non ci sembra assicuri una maggiore certezza ove si consideri che anche l’operatività delle presunzioni previste dipende, in ultima istanza, dall’agire del gestore (trustee). 35 DJANOV, SIMON, O. D. HART, C. MCLIESH e A. SHLEIFER, Debt Enforcement around the World, in  Journ. Pol. Econ., , p.  ss. Si ricorda, tuttavia, che la posizione espressa dagli aa. succitati si inserisce nel controverso filone di legal origin, per il quale valgono le considerazioni espresse supra cap. IV, nt. . 33 34 Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili Le situazioni cui abbiamo fatto finora riferimento in capo al mandante sono assistite, sul terreno della responsabilità patrimoniale, da specifiche ipotesi specializzazione della responsabilità patrimoniale del mandatario in cui criterio regolatore dei conflitti tra diritti sostanziali è rappresentato dalla data certa del titolo (artt. , ,  c.c.), cioè in ispecie dell’atto di mandato ex art.  c.c.36. Le norme indicate considerano, infatti, la data certa dell’atto (del mandato, dell’atto di alienazione, degli atti che importano vincoli di indisponibilità), se anteriore al pignoramento, come elemento opponibile ai creditori pignoranti il bene mobile acquistato, alienato, vincolato dal debitore esecutato (mandatario senza rappresentanza, debitore alienante o disponente il vincolo d’indisponibilità). Le medesime considerazioni valgono in sede di procedura concorsuale (espropriazione forzata collettiva)37. Ma questi rilievi non sono definitivamente tranquillanti quanto a tutela dei diritti del mandante. In questo caso, come già rilevato, il problema è complicato dalla necessità di ricostruire le eventuali variazioni quantitative determinatesi per effetto di attività, anche abusiva, svolta dal gestore e di rendere opponibile ai terzi creditori l’afferenza della quantità di beni interessata al vincolo di destinazione cui sono sottoposti. Il che significa, ancora una volta, sottolineare i problemi posti dalla identificazione della somma, che vanno affidati a criteri di maggiore elasticità, al fine di assecondare l’assetto degli interessi stabilito dalla normativa sulle gestioni38. Si veda in proposito GAMBARO, Segregazione e unità del patrimonio cit., che interpreta la norma come regola proprietaria; ID., voce Trust, in Digesto IV, Disc. Priv., sez. civ., XIX, Torino, , p.  ss., in part. p. . Contra SALAMONE, La c.d. proprietà del mandatario, in Riv. dir. civ., , I, p. , spec. p.  ss. e p.  ss. e R. MESSINETTI, voce Acquisto a non domino cit., p.  ss. che parla della norma come termine di riferimento dell’attività gestoria. Cfr. supra cap. III, nt.  e passim. 37 Anche in sede fallimentare, l’utile proposizione delle azioni di cui all’art.  l.f. rimane subordinata alla circostanza che il soggetto in bonis disponga di un atto di acquisto dei beni rivendicati munito di data certa anteriore all’apertura della procedura fallimentare, che nel caso di contratto di mandato è rappresentato dalla data certa dell’atto di incarico del mandato ex art.  c.c., essendo ininfluente l’eventuale data certa dell’atto di acquisto compiuto dal mandatario. 38 L’identificazione del denaro e principalmente della moneta bancaria (o in ogni caso 36     L’altra ipotesi che abbiamo definito “recuperatoria” con riguardo al denaro è quella che non si ricollega alla responsabilità patrimoniale, ma alla restituzione del bene (anche denaro) trasferito in assenza di legittimazione a disporre dal gestore. La pretesa, in questi casi, può riguardare il bene acquistato, ovvero il denaro stesso che il gestore abbia a sua volta recuperato dal terzo, e acquista una sua precisa rilevanza pratica nel caso di acquisto eccedente la funzione, ma vantaggioso per il mandante (quando, ad esempio, tale acquisto abbia un valore di mercato più alto rispetto al prezzo pagato – con il denaro del mandante). Abbiamo visto come, ove sussistano chiari criteri di identificabilità, il gerito potrebbe anche recuperare l’ammontare versato a terzi dal gestore, non necessariamente presso il gestore (secondo i criteri dell’art.  c.c.39). Ora se si guarda alle regole applicate, o applicabili, in fattispecie di recupero di beni fungibili (o di beni confluiti nel patrimonio separato e dei beni scambiati con i primi), si noterà che, anche nelle ipotesi più favorevoli al recupero (art.  T.U.F. e  T.U.B.), il legislatore richiede comunque un seppur minimo requisito di identificabilità delle somme. Si tratta di un requisito comune nei sistemi giuridici analizzati nel presente lavoro. Ciò significa che esiste una base epistemologica comune, che è rappresentata dall’idea della identificabilità (e, nella fase dinamica, della tracciabilità) di un bene perché di esso possa predicarsi la proprietà, la prevalenza rispetto a terzi, una pretesa restitutoria qualificata su un suo sostituto40. smaterializzata), a differenza degli altri beni fungibili, si affida esclusivamente all’indicazione numerica e alla tracciabilità dello stesso. 39 Cfr. Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del  aprile , n. . 40 L’idea di un complesso essenziale di conoscenze comuni (epistème, dal greco episthvmh: epi- su e histamai, stare, porre, stabilire) quale presupposto per il dialogo tra gli uomini e le culture e come, nello scritto cui ci riferiamo, fondamento per la comunità morale è in B. LEITER, The Expanding of Moral and (Legal) Community, University of Chicago Institute for Law & Economics Olin Research, Paper n. , disponibile all’indirizzo http://papers.ssrn.com/sol/papers.cfm?abstract_id=. Esempi che l’illustre a. utilizza sono, come esempio di sapere condiviso, l’idea del uguaglianza di tutti gli uomini, una nozione comune già agli inizi del ‘, sebbene si discutesse sul fatto che gli ebrei fossero propriamente esseri umani; mentre, all’opposto, esempio di assenza di un criterio epistemologico comune, il conflitto tra Galileo e la Chiesa Cattolica, sul riferirsi all’esperienza scientifica ovvero alle sacre scritture. Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili Ciò che varia da sistema a sistema sono i limiti della identificabilità/ tracciabilità, che sono, a loro volta, frutto di un complesso di fattori, tra cui il ruolo svolto dal diritto delle restituzioni nel quadro del diritto privato, nonché – probabilmente – dalle caratteristiche della law of bankruptcy negli ordinamenti anglo-americani41. Non sembra, invece, che gli ordinamenti abbiano elaborato, rispetto a questo epistème comune, criteri alternativi, che potrebbero consistere nel mero richiamo al dato numerico/quantitativo, ovvero al mero valore, senza necessità di far riferimento a beni più o meno determinati. Questo significherebbe, secondo una posizione totalmente opposta a quella limitativa che è attualmente nella interpretazione del diritto italiano, la possibilità, per chi assume di vantare un diritto (normalmente credito restitutorio qualificato) prevalente su terzi, di “quantificare” l’ammontare che assuma gli spetti, e soddisfarsi su qualsiasi somma di denaro reperibile nel patrimonio del debitore. Una tale configurazione non appare presente nei sistemi giuridici, i 41 Lo sviluppo delle regole del tracing ha trovato il proprio terreno di coltura (come dimostrano le fattispecie su cui si è pronunciata la giurisprudenza) proprio nei procedimenti dell’insolvenza, che pongono, analiticamente, dal punto di vista dei creditori, gli stessi problemi distributivi della comproprietà terriera. R.A. POSNER, Economic Analysis cit., p. . In questo senso, potrebbe prospettarsi come lo sviluppo della giurisprudenza, nel trattamento delle pretese restitutorie nonché del trattamento degli atti inefficaci rispetto alla procedura, sia stato in certo modo condizionato dalla presenza, nei sistemi di common law, del c.d. fallimento civile (personal bankruptcy). In questi procedimenti, se per un verso le regole di formazione della massa e distribuzione dell’attivo sono le medesime rispetto a quelle della corporate bankruptcy, per altro, appare evidente che vi possa essere una politica differente nelle istanze di tutela del ceto creditorio. R.A. POSNER, Economic Analysis of Law cit., p.  s. La suggestione proposta non può essere ulteriormente sviluppata. Indagare le differenze tra sistemi che ammettono o meno il fallimento civile condurrebbe troppo lontano e dovrebbe tenere conto di una molteplicità di fattori, quali, per citarne solo alcuni, i costi e i tempi delle procedure o i meccanismi del ricorso al credito, le abitudini o i bisogni di una società, la funzione dello Stato sociale. Si consideri che, ad esempio, è stato riportato come più della metà dei fallimenti personali negli Stati Uniti non siano in capo ad avventati debitori, ma a gente che normalmente deve fronteggiare spese mediche inattese. Inoltre, il ricorso al fallimento da parte di un privato sia ancora circondato da un certo discredito sociale, non rappresentando pertanto una troppo facile scorciatoia. In termini più generali può, inoltre, sottolinearsi come la law and economics vede, in pratica, le procedure concorsuali come una forma di assicurazione contro l’insolvenza (financial distress), «contrary that one might think, a liberal bankruptcy does not redistribute wealth from creditor as a class to debtors as a class. It just cause creditors to raise their interest rates to offset the added risk of default that such a law creates». R.A. POSNER, ult. op. loc. cit.     quali, per uscire dalle secche di un’alternativa tra gli estremi del requisito di una specificità troppo mortificante se applicata a beni fungibili e l’idea del mero valore, hanno invece concepito diritti opponibili a terzi su parte del denaro (e altri beni metaforicamente ancora definiti come beni fungibili) registrato su un conto comune e destinato42. Oltre non sembra sia possibile spingersi anche in virtù di una considerazione di politica economica: un complesso disciplinare il quale agevola la massima circolazione del denaro43 sarebbe contraddittorio con la possibilità di recuperare il denaro conferito in assenza di ogni indice di riconoscibilità (recte di determinabilità). Configurare in tal modo il diritto del gerito aumenterebbe il rischio di insoddisfazione per i creditori dell’intermediario che eviterebbero di contrattare con questi. In proposito, si è, invece, sostenuto a favore di uno stretto criterio di specificità (come principio di proprietà), che esso rappresenti l’unico canone utilizzabile, sufficientemente chiaro e semplice, per sottrare un bene dall’esecuzione o dal concorso con altri creditori44; che, di contro, l’assenza di ogni criterio discretivo renderebbe incerto lo stesso principio della par condicio creditorum (pari passu distribution)45, oltre a favorire manovre fraudolente46. 42 Questa tesi è stata elegantemente interpretata dalla dottrina anglosassone, nel senso di una rivisitazione del concetto di fungibilità, e sostituendo a questo quello di indivisibilità. Ne deriva che il denaro detenuto in un conto corrente non è un bene fungibile, ma un bene indivisibile, in relazione al quale non sorge un problema di identificazione dell’oggetto del diritto (la quota). Cfr. supra cap. IV, nt.  e testo corrispondente. Non ci sembra tuttavia che la tesi sia idonea a dirimere i conflitti tra creditori e a fornire un criterio per fissare la prevalenza nelle ipotesi di c.d. confusione patrimoniale. 43 Cfr. supra cap. II. 44 E. JOHANSSON, Property Rights in Investment Securities and the Doctrine of Specificity cit., p.  ss., secondo cui, sebbene con riguardo a criteri strettamente proprietari, sarebbe difficile rintracciare regole alternative altrettanto chiare e semplici. 45 JOHANSSON, Property Rights in Investment Securities and the Doctrine of Specificity cit., p. , nt. , la quale chiarisce come la doctrine del pari passu sia posta a presidio di un atteggiamento di cooperazione dei creditori nell’insolvenza, evitando la razzia dal patrimonio del fallimento. 46 JOHANSSON, Property Rights in Investment Securities and the Doctrine of Specificity cit., p. , ove si fa principalmente riferimento ai rischi connessi alla prestazione di garanzie rotative (e finanziarie) su beni indeterminati, ad esempio, a ridosso dell’insolvenza del debitore. Va, tuttavia, precisato come in questi casi primario strumento di tutela sia rappresentato dall’azione revocatoria. Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili La necessità, tuttavia, di adeguare i principi di identificazione con riguardo ai beni fungibili fa propendere anche questa tesi, che pur si propone come di stretta applicazione dei principi proprietari, per un’interpretazione che sostiene la rilevanza meramente probatoria delle iscrizioni in conto, così ampliando lo spettro dei mezzi di prova volti a dimostrare l’appartenenza al fondo47. Non va, infine, dimenticato come i criteri della identificazione, riferiti ad un patrimonio separato (o fondo) si giovino di un più ampio ambito di riferimento oggettivo, per effetto della surrogabilità interna al fondo. La sostituibilità del bene all’interno di un patrimonio separato o fondo rappresenta una previsione comune nei vari ordinamenti, nonché una regola tale da evitare la distruzione del valore economico e favorire il commercio (in quanto non comporta, a valle, l’impoverimento di nessun patrimonio e quindi un indiretto vantaggio anche per i creditori di questi)48. Abbiamo finora visto, quindi, come, anche rispetto al denaro, sia prospettabile una tutela di tipo reale in ipotesi nelle quali si presenti come bene scarso, ovvero, nei casi in cui sia presente una regola di surrogazione reale (le ipotesi dei patrimoni separati, ovvero il principio surrogatorio previsto nel caso di restituzione di cosa determinata) anche sui beni acquistati. È stato, inoltre, proposto, relativamente agli strumenti di protezione del beneficiario di un trust nel diritto italiano, e quindi, secondo la nostra prospettazione, in ogni ipotesi gestoria, l’utilizzo dello strumento dell’azione revocatoria ordinaria (art.  c.c.), a fini di recupero di beni impropriamente alienati dal gestore. La funzione che tuttavia può svolgere l’azione pauliana va, tuttavia, precisata49. JOHANSSON, Property Rights in Investment Securities and the Doctrine of Specificity cit., p.  ss., spec. p. . L’a., tuttavia, applica questa libertà nella prova ad un criterio di specificità proprietario, sostenendo che un diverso, meno stringente, parametro potrebbe condurre ad un’incertezza nella prova. 48 JOHANSSON, Property Rights in Investment Securities and the Doctrine of Specificity cit., p.  s. Sulle implicazioni economiche del right to follow (o droit de suite) riferito, però, a beni mobili, ed in particolare alle opere d’arte – da intendersi come diritto ad una quota (o all’intero) prezzo di rivendita di un bene – cfr. G. DARI-MATTIACCI, D. ONDERSTAL e F. PARISI, Inverse Adverse Selection: The Market fo Gems, (testo del Seminario tenuto presso la University of Chicago Law School, Law and Economics Workshop),  febbraio , p.  ss., in part. p.  s. e nt.  del dattiloscritto, ove si sottolineano le implicazioni di condivisione del rischio (risk-sharing) connesse al droit de suite. 49 Conformemente a quanto sostenuto in A. NERI, Il trust e la tutela del beneficiario cit., 47     Non può escludersi in principio, invero, che l’azione possa riguardare la dichiarazione di inefficacia di un atto di disposizione del patrimonio separato (e non del patrimonio generale del debitore), sebbene in tema di denaro la questione viene ad essere condizionata proprio dalla convinzione che esso necessariamente faccia parte del patrimonio generale del gestore, quando non è possibile ascriverlo al patrimonio separato. Al riguardo, occorre distinguere i possibili soggetti legittimati attivi all’esperimento dell’azione. Potrebbe trattarsi, anzitutto dello stesso gerito. Ammettendo, quindi, che egli sia creditore rispetto alla restituzione delle somme di denaro dovutegli, costui potrebbe, a fronte dell’esperimento da parte del gestore di un atto pregiudizievole per le ragioni del suo credito, esperire un’azione revocatoria ordinaria. L’azione può riguardare qualsiasi atto dispositivo relativo al patrimonio separato, non avendo l’azione alcun effetto recuperatorio50. Ma soggetti legittimati possono essere altresì i creditori del gerito, sebbene in questo caso l’azione non abbia ad oggetto un atto compiuto dal proprio debitore, ma da un terzo (il gestore)51. Per completezza di analisi, va, infine, verificato se sia revocabile, anche ai sensi dell’art.  c.c., l’atto che comporti il trasferimento di una somma di denaro. Ci sembra che, in proposito, alla fattispecie di cui all’art. , co. , c.c., che consente la revocatoria del pagamento del debito non scaduto, sia ascrivibile anche il pagamento di somma di denaro relativa a debito non scaduto52; ovvero possono ricorrere altre ipotesi che consentono l’esercizio dell’azione revocatoria quali l’utilizzo del ricavato di una vendita, o altro atto dispositivo, per la parte eccedente il soddisfacimento dei creditori, ove tale p.  ss., ove correttamente si sottolinea dell’azione revocatoria la funzione meramente conservativa ma vertente sul valore economico del bene che si va a colpire, non quella di recupero del bene stesso. Ove, tuttavia, l’azione abbia ad oggetto una somma di denaro, la distinzione sembra non rivestire un ruolo significativo. 50 BREGOLI, Effetti e natura della revocatoria, Milano, , p. . 51 M. BIANCA, La fiducia attributiva cit., p.  ss., la quale desume un elemento di inconfutabilità a tale posizione la costante revocabilità del fondo patrimoniale accordata dalla giurisprudenza. 52 C. M. BIANCA, Diritto civile, , La responsabilità cit., p. . Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili utilizzo abbia leso l’interesse di altri creditori alla conservazione della responsabilità patrimoniale53. In questo senso sarebbe ipotizzabile, ad esempio, in caso di una qualsiasi disposizione avente ad oggetto denaro (il caso, invero infrequente, di una donazione di denaro, ovvero, quello più ricorrente di un atto qualificabile come liberalità non donativa54)55. Anche in questi casi, tuttavia, l’esecuzione forzata dovrebbe avere per oggetto il bene individuo, che ha formato oggetto dell’atto impugnato (art. , co. , c.c.). Va, infine, chiarito il possibile ruolo che può essere svolto, a fini di recupero del denaro pagato dall’imprenditore-intermediario decotto, dalla dichiarazione di inefficacia dei trasferimenti di denaro ottenuta in sede di revocatoria fallimentare56. In questo caso, è pacifico che la restituzione all’attivo fallimentare di quanto ottenuto dal terzo avvenga per equivalente, e non sia necessario “tracciare” la somma corrisposta. Le fattispecie che vengono in emersione in questo caso sono, princi- La giurisprudenza ritiene in tal caso di poter revocare solo gli atti con i quali il debitore abbia disposto del denaro rimanente dopo l’adempimento dei debiti scaduti. Cfr. Cass.,  marzo , n. , in Rep. Foro it., , voce Azione revocatoria, n. , nonché A. D’AGNOLO, L’azione revocatoria ordinaria nella recente evoluzione giurisprudenziale, in Nuova giur. civ., , II, p.  ss., in part. p. . 54 Sulla nozione, ampia, di liberalità non donativa secondo la più avanzata dottrina, si veda L. GATT, La liberalità, I, Torino,  ed EAD., La liberalità, II, Torino, . 55 Non è chiaro, invece, se tale esperibilità possa estendersi anche ai trasferimenti di denaro del debitore che vengano fatti a titolo di prezzo, per un valore di molto eccedente il valore del bene acquistato, potendosi in questi atti prospettarsi una effettiva conseguenza pregiudizievole per i creditori. Come noto, al di là della ricorrenza di istituti specifici (ad es. simulazione, rescissione) la convenienza dell’affare, ovvero l’adeguatezza del corrispettivo, non è rilevante ai fini della valutazione della liceità dell’atto, ma ciò non dev’essere necessariamente vero in tema di dichiarazione di inefficacia nella revocatoria, in cui – dimostrato l’intento fraudolento delle parti – il pregiudizio va valutato anche alla stregua di criteri economici, non solo giuridici. Peraltro i confini dell’azione revocatoria ordinaria sono interpretati in senso molto estensivo dalla giurisprudenza, che li dilata fino a coprire l’atto dispositivo che renda anche solo più difficile l’esecuzione forzata. In questo senso, ex multis, Cass.,  luglio , n.  in Rep. Foro it., , voce Revocatoria (azione), n. ; Cass.  febbraio , n. , in Rep. Foro it. , voce Revocatoria (azione), n. . 56 Sulla revocatoria fallimentare, e la sintesi delle innovazioni apportate dalla nuova disciplina (d. lgs. /) è in G. PRESTI, La nuova disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare, a cura di G. Olivieri e P. Piscitello, Napoli, , p.  ss., spec. pp.  ss., e  ss. per ricca nota bibliografica. 53     palmente, quelle dell’intermediazione finanziaria, ove la qualità d’imprenditore in capo al gestore rende a questi applicabile la procedura concorsuale. Qui, come si è visto, la tutela di una classe di creditori (gli investitori), iscritti in apposita sezione separata del passivo, si alimenta attraverso i canali delle attività volte alla composizione e liquidazione dell’attivo. In questo settore, la casistica statunitense degli schemi Ponzi, cui si è fatto cenno in precedenza57, ha rivelato come uno degli strumenti cui si sia fatto principalmente ricorso per rimpinguare la massa attiva e perequare la condizione dei diversi investitori coinvolti nelle truffe sia rappresentato proprio dall’esercizio delle azioni revocatorie (avoidance powers) nei confronti di quelle categorie di investitori che avevano ottenuto guadagni (fittizi) dagli investimenti fatti58. In tali fattispecie, infatti, tendono a presentarsi irregolarità tali, accompagnate dalle “genetiche” sperequazioni tra vecchi (che hanno fatto propri spesso lauti profitti) e più recenti investitori (che hanno, di fatto, pagato quei profitti), che non può procedersi ad alcuna ricostruzione contabile delle posizioni dei singoli investitori, che vengono pertanto iscritti in “sezioni separate” del passivo, secondo l’ammontare dell’investimento iniziale, in modo da equipararne la condizione rispetto alla procedura. Il problema che si è posto in proposito ha, invero, riguardato i limiti entro cui il trustee in bankruptcy può rivalersi nei confronti degli investitori vittoriosi (net winners), cioè di coloro che hanno ottenuto profitti nel corso degli anni. L’esercizio delle azioni revocatorie, come in generale numerosi aspetti della law of bankruptcy, varia da stato a stato negli Stati Uniti59 quanto alla durata del “periodo sospetto” (look back period), che può arrivare fino a sei anni60. E di tali differenze i singoli trustee in bankruptcy possono avvalersi61. Ora, se proviamo a comparare l’esperienza statunitense in tema di Cfr. supra cap. IV. , nonché cap. III, nt. . Cfr. supra cap. IV, testo successivo a nt. . 59 Cfr. D. G. BAIRD, Elements of Bankruptcy, a ed., . 60 Come nel caso del New York Debtor and Creditor Law (DCL), o di  come nel caso dell’ Uniform Fraudulent Transfer Act (UFTA). Si vedano in proposito, 61 Come nel caso del trustee SIPA Mr. Picard nel fallimento Madoff che, ove possibile si è avvalso del più lungo periodo consentitogli dalla legge statale, nei più di  procedimenti intrapresi. Tutta l’attività della procedura è consultabile al sito http://www.madoff.com 57 58 Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili esercizio della revocatoria fallimentare con la disciplina italiana, ci appare un quadro fortemente diversificato, soprattutto per effetto della drastica riduzione che il sistema delle revocatorie ha ricevuto nell’ordinamento italiano62. Allora una più concreta possibilità di soddisfazione degli investitori truffati potrebbe risiedere nelle restituzioni derivanti dall’esercizio di azioni di annullamento (mistaken payments) nei confronti di tutti gli investitori (per l’ordinamento statunitense)63, ovvero della nullità (come sembra invece più prospettabile per l’ordinamento italiano), sulla base della considerazione che l’intero schema è illecito (anche perché contrario all’ordine pubblico economico), come pure ogni suo singolo atto. Ma si tratta, per il momento, di proposte interpretative, che meritano un più attento approfondimento. L’analisi condotta ha consentito di verificare i diversi piani dell’appartenenza sul denaro, intesa come categoria del patrimonio, ma anche degli obblighi restitutori. Ciò che al termine di questo percorso ci sembra opportuno sottolineare è l’idea intorno alla quale hanno ruotato questi diversi piani dell’appartenenza e che s’identifica nel recupero di una logica di giustizia commutativa relativamente ai trasferimenti di denaro, anche nelle ipotesi in cui essa apparirebbe non applicabile. Questa lettura, anche del diritto privato, ispirata a criteri che provino a riconoscere una veste di realità (nel senso di opponibilità) alle restituzioni di denaro, potrebbe convergere nel quadro ben più complesso ed incisivo degli incentivi volti a contrastare i fenomeni del disancoramento dell’economia finanziaria da quella reale, ovvero il distacco, su molteplici livelli, dei soggetti fruitori da quelli pagatori, come avviene, ad esempio, con riguardo alle scelte pubbliche, nell’assetto del sistema pensionistico64. 62 Cfr., in particolare, art. , co. , lett. , e co. , l. fall. In senso critico rispetto alla riforma è G. PRESTI, La nuova disciplina dell’azione revocatoria fallimentare cit., pp.  e  ss. 63 S. LEVMORE, Rethinking Ponzi-Scheme Remedies In and Out of Bankruptcy cit., pp.  ss.,  ss. e passim, il quale, tuttavia, a questa soluzione preferisce espressamente l’alternativa volta ad incentivare la fuoriuscita dallo schema da parte degli investitori, consentendo agli stessi di trattenere quanto guadagnato (una delle possibili politiche adottate potrebbe essere proprio il mancato accoglimento delle “azioni revocatorie” esperite). 64 Cfr. S. LEVMORE, Ponzi Schemes and Law’s Domain, testo della lezione tenuta il  ottobre , presso la University of Chicago – Law School – e disponibile all’indirizzo http://www. law.uchicago.edu/audio/levmore .     Il discorso, a questo punto, si spingerebbe troppo lontano. Di questo scenario generale possono, tuttavia, esser tratti ulteriori aspetti di rilevanza e il senso del fenomeno monetario come problema collettivo, di cui il trattamento privatistico è parte. Tutela dell’interesse recuperatorio: prospettive possibili Table 1 TRACE YOUR MONEY RULE MISAPPROPRIATION IN INTERMEDIATE TRANSACTIONS COSTS BENEFITS 1. Costs of rule change (low) 1. Increase in fiduciary relations, and in transactions 2. Administrative costs of reverting misappropriation (e.g. calculation) (low, compared to real property) 2. Deterrence against unauthorized transactions 3. Monitoring costs sustained by the creditors 3. Reduction in agency costs  Il mio grazie va a tutti coloro che hanno accompagnato gli anni della mia ricerca. In particolare, il mio ricordo è per Mr. Tony Weir del Trinity College di Cambridge, che per primo supportò la scelta del tema e che ha guidato i miei primi passi nella comparazione in campo giuridico. Alla lucidità dei suoi consigli e alla schiettezza del rapporto umano va il mio pensiero. Ringrazio il prof. Eric Posner della University of Chicago. I suoi consigli e il frequente dialogo che ha voluto concedermi hanno costituito fonte di grande arricchimento, per i contenuti e le metodologie della ricerca. Della University of Chicago ringrazio, altresì, i Professori Douglas Baird e Saul Levmore, per gli illuminanti incontri avuti. Sono grata, altresì, a tutto lo staff bibliotecario della University of Chicago, in particolare Mrs. Sheri Lewis e Mr. James Patterson, e della University of Cambridge, dove si sono principalmente concentrati i miei soggiorni di ricerca all’estero. Bibliografia AA.VV., The Worlds of the Trust, a cura di L. Smith, Cambridge (CUP), . AA.VV., La nuova disciplina dei servizi di pagamento, a cura di Mancini, Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi e O. Troiano, Torino, . AA.VV., New approaches to monetary theory. Intedisciplinary perspective, a cura di H. Ganssmann, Abingdon-New York, . AA.VV., Scott and Ascher on Trusts, I, a ed., Aspen, . 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