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DE LUCA2020 Il contributo (ed. Mandalà)

Collana Matteo Ripa XXI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI L’ORIENTALE Centro Studi Matteo Ripa e Collegio dei Cinesi COLLANA MATTEO RIPA Direttore MICHELE BERNARDINI, Università di Napoli L’Orientale Comitato editoriale MICHELE BERNARDINI, PATRIZIA CARIOTI, DONATELLA GUIDA Comitato scientifico Prof. PATRIZIA CARIOTI, Università di Napoli L’Orientale Prof. DONATELLA GUIDA, Università di Napoli L’Orientale Prof. ALASTAIR HAMILTON, Warburg Institute, London Prof. RONNIE PO-CHIA HSIA, Pennsylvania State University Dr. FRANCIS RICHARD, Bibliothèque universitaire des langues et civilisations, CNRS « Mondes iranien et indien » Prof. RYUTO SHIMADA, University of Tokyo Bartolomeo e Giuseppe Lagumina e gli studi storici e orientali in Sicilia fra Otto e Novecento a cura di Giuseppe Mandalà e Anna Bellettini Collana Matteo Ripa, XXI UniorPress, Napoli 2020 ISBN 978-88-6719-208-3 © Creative Commons 4.0 Attribution International License Tutti gli articoli pubblicati in questo volume sono stati sottoposti al vaglio di due revisori anonimi UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI L’ORIENTALE COLLANA MATTEO RIPA XXI Bartolomeo e Giuseppe Lagumina e gli studi storici e orientali in Sicilia fra Otto e Novecento a cura di Giuseppe Mandalà e Anna Bellettini UniorPress Napoli 2020 Indice Ringraziamenti ........................................................................................................................................................... 7 All’ombra di Amari: gli studi orientali in Sicilia al tempo di Bartolomeo e Giuseppe Lagumina GIUSEPPE MANDALÀ ................................................................................................................................................. 9 Tavola cronologica della vita e delle opere di Bartolomeo e Giuseppe Lagumina GIUSEPPE MANDALÀ – ANNA BELLETTINI .................................................................................................. 61 I. LE OPERE E I GIORNI DI BARTOLOMEO E GIUSEPPE LAGUMINA Bartolomeo Lagumina, sacerdote e orientalista: note per una biografia intellettuale BRUNA SORAVIA .......................................................................................................................................................... 77 Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche del Regio Museo Nazionale di Palermo MARIA AMALIA DE LUCA ....................................................................................................................................... 97 Bartolomeo Lagumina e alcuni giudaisti del suo tempo: Umberto Cassuto e Marco Mortara, con una lettera di Moritz Steinschneider a Michele Amari MAURO PERANI ............................................................................................................................................................ 143 Bartolomeo Lagumina vescovo di Agrigento tra consenso e dissenso (1898-1931) SEBASTIANO PRIMOFIORE ...................................................................................................................................... 169 La defenestrazione di Agrigento. Lagumina, Sciascia, Il Consiglio d’Egitto PAOLO SQUILLACIOTI ................................................................................................................................................ 177 Il contributo di monsignor Giuseppe Lagumina alla ricostruzione della storia della Sicilia nei secoli XIV e XV PATRIZIA SARDINA ..................................................................................................................................................... 187 II. GLI STUDI STORICI E ORIENTALI SULLA SICILIA Rosario Gregorio editore di fonti PIETRO COLLETTA ....................................................................................................................................................... 213 La topografia storica della Sicilia bizantina nell’opera di Michele Amari FERDINANDO MAURICI ............................................................................................................................................. 245 Los estudios árabes en Italia y España (ss. XIX-XX): las líneas maestras de una comunicación científica FERNANDO RODRÍGUEZ MEDIANO .................................................................................................................... 269 6 Indice La Zisa e la Cuba nell’Ottocento: riscoperta, revival e soluzione di una «gran questione architettonica» GABRIELLA CIANCIOLO COSENTINO ................................................................................................................. 303 Gli scavi a Mozia di Giuseppe Whitaker e gli studi fenicio-punici in Sicilia MARIA PAMELA TOTI ............................................................................................................................................... 349 Ringraziamenti Il volume prende le mosse dalle giornate di studio dedicate a Bartolomeo e Giuseppe Lagumina e gli studi storici e orientali in Sicilia fra Otto e Novecento, organizzate da Giuseppe Mandalà, con l’apporto di Antonio Lagumina e Pietro Corrao, presso la Biblioteca centrale della Regione siciliana ‘Alberto Bombace’ di Palermo fra 29 e 30 novembre 2013. Desideriamo ringraziare Francesco Vergara Caffarelli, direttore della Biblioteca centrale della Regione siciliana, per aver accolto l’evento presso la Sala della Congregazione delle Missioni, e per aver facilitato l’accesso e lo studio del Carteggio Amari conservato presso la sezione Fondi antichi della medesima istituzione. Il convegno non avrebbe preso forma senza l’infaticabile sostegno di Antonio Lagumina, in primis, e di Mercedes García-Arenal, grazie al progetto Islam y disidencia religiosa en la Europa protestante y en la católica, Centro de Ciencias Humanas y Sociales – Consejo Superior de Investigaciones Científicas, 2010-2013 (FF 12010-17745). Nella revisione dei testi abbiamo fatto tesoro dei preziosi consigli di Adalgisa De Simone, Jeremy Johns, Marcello Moscone, Sebastiano Primofiore, Giovanni Purpura, Giovanni Scicolone e Bruna Soravia. Un particolare ringraziamento va a Giancarlo Lacerenza, Michele Bernardini, Donatella Guida e Roberto Tottoli che hanno accolto le stampe presso l’Università degli studi di Napoli L’Orientale. Ringraziamo altresì mons. Filippo Sarullo e mons. Salvatore Lo Monte per avere concesso la riproduzione dei ritratti di Bartolomeo e Giuseppe Lagumina conservati nella Cattedrale di Palermo, e anche don Giuseppe Pontillo e Domenica Brancato che hanno consentito e facilitato la riproduzione del ritratto e del ‘diploma’ di Bartolomeo Lagumina custoditi presso l’Arcidiocesi di Agrigento. Il volume è dedicato ad Antonio Lagumina, palermitano a Parigi, parigino a Palermo, con l’isola a tre punte sempre nel cuore. Giuseppe Mandalà e Anna Bellettini Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche del Regio Museo Nazionale di Palermo Maria Amalia De Luca L’apprendistato all’ombra del Salinas e dell’Amari Pei cataloghi del Museo mi tirai un mio antico scolare, il quale è così povero da restarmi gratissimo delle due lire al giorno che posso dargli. È un giovane prete, p. La Gumina [sic], cresciuto in casa Ugdulena e di un’attitudine filologica meravigliosa. Insegna ebraico al seminario arcivescovile e in lui c’è una speranza dell’orientalismo in Sicilia. Mi azzardo a dar giudizi di materie a me ignote, ma mi fondo su fatti che posso giudicare: si figuri che avendogli dato circa sei mesi di lezioni di tedesco, ora mi traduce opere scientifiche di vera difficoltà! Per parte mia non ho mai vista tanta attitudine alla filologia. Io cerco di spingerlo all’Arabo, perché son certo che il La Gumina, non distratto da altre cure, ci darebbe quello che il nostro egregio Starrabba non ci ha dato e non ci darebbe mai per le sue condizioni pubbliche e private. Con questa lusinghiera presentazione il nome di Bartolomeo Lagumina entra nella storia dell’arabistica siciliana. La citazione è tratta da una lettera, datata 10 novembre 1874, indirizzata dall’archeologo e numismatico siciliano Antonino Salinas (1841-1914) all’illustre arabista Michele Amari (1806-1889), storico della Sicilia islamica, professore di arabo presso l’Università di Firenze dal 1860 al 1873 e, al contempo, autorevole uomo politico, senatore del Regno d’Italia dal 1861 al 1889 e Ministro della Pubblica Istruzione dal 1862 al 18641. All’epoca della redazione della lettera Bartolomeo Lagumina aveva appena ventiquattro anni, essendo nato a Palermo nel 18502. Dal 1861, insieme al fratel- * La presente ricerca, illustrata per la prima volta nel corso del convegno Bartolomeo e Giuseppe Lagumina e gli studi storici e orientali in Sicilia fra Otto e Novecento (Palermo, 29-30 novembre 2013), è complementare a De Luca, Il medagliere Islamico, dedicato alla formazione del Medagliere Islamico dell’ex Museo Nazionale; tale ricerca è stata altresì diffusa attraverso il «Notiziario archeologico della Soprintendenza di Palermo. Raccolta di studi» 1 (2018), pp. 215-236. 1 La lettera originale è attualmente custodita presso la Biblioteca centrale della Regione siciliana ‘A. Bombace’ di Palermo e fa parte delle 225 missive inviate dal Salinas all’Amari tra il 1861 e il 1889, anno di morte dell’Amari edite in Salinas, Lettere. Per ulteriori informazioni sulla vita e le opere del Salinas si veda Salinas, Scritti scelti. 2 Ulteriori notizie biografiche sul Lagumina si trovano in Giudice, In memoria; Viola, Elogio funebre; Lagumina, Bartolomeo; De Simone, L’insegnamento, pp. 81-82; Soravia, Lagumina e, in questo medesimo volume, Soravia, Bartolomeo Lagumina. 98 Maria Amalia De Luca lo Giuseppe (1855-1931)3, aveva studiato al Seminario di Palermo, conseguendo una solida preparazione nella lingua ebraica sotto la guida di Domenico Turano (1814-1885)4. Conclusi gli studi in Seminario e ordinato sacerdote nel 1872, si era iscritto all’Ateneo palermitano dove aveva intrapreso lo studio della lingua araba, a quel tempo insegnata da Salvatore Cusa (1822-1893)5. Erano stati proprio l’incipiente interesse del giovane per la cultura islamica, i promettenti risultati ottenuti ed i benevoli apprezzamenti espressi nei suoi confronti da autorevoli semitisti che avevano attirato sul Lagumina l’attenzione del Salinas. A giustificare questa attenzione, piuttosto insolita da parte di un archeologo classico quale egli era, giova ricordare due importanti circostanze. Innanzi tutto il Salinas, al momento della stesura della lettera, ricopriva da un anno la carica di direttore del Regio Museo Nazionale di Palermo ed era alle prese con gli urgenti lavori di archiviazione, riordino ed esposizione del variegato patrimonio ad esso pertinente che spaziava dal periodo preistorico all’epoca medievale e moderna. Le collezioni del Museo includevano numerose e significative testimonianze islamiche di varia età e provenienza, la cui classificazione esigeva l’intervento di uno specialista in grado di effettuare una corretta collocazione tipologica, cronologica e geografica degli oggetti e, data la frequente presenza in essi di iscrizioni in caratteri arabi, in grado anche di fornirne la lettura e l’interpretazione. In secondo luogo la visione museografica del Salinas era decisamente in contrasto con quella allora imperante, piena di pregiudizi nei confronti della produzione artistica non riconducibile alla cultura classica greco-romana: L’antica predilezione pei così detti monumenti classici è stata grave cagione di danno alla Sicilia e al Museo Palermitano, sicché io stimo necessario il dichiarare più di proposito quali sieno le mie idee in ordine alle opere delle arti del MedioEvo. L’avere stabilito che il Museo di Palermo debba accogliere, intera, la storia delle arti siciliane, mostra che io non intenda farmi seguace di quella scuola che ancor oggi guarda con disprezzo tutto quanto non sia greco o romano… Io non comprendo come, a considerare le opere dell’arte medievale e moderna in Sicilia, non si provi diletto vedendo quanto parecchie altre civiltà operarono nelle no- 3 Anch’egli valente semitista, fu vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Palermo dal 1920 al 1929 allorché designato Arcivescovo dell’Arcidiocesi di Scarpanto. Morì a Palermo il 5 maggio 1931, sei mesi prima del fratello maggiore Bartolomeo. Per maggiori dettagli si veda il saggio di Patrizia Sardina in questo volume. 4 Dal Turano, il Lagumina erediterà, nel 1879, l’insegnamento di Ebraico presso il Seminario palermitano e poi, nel 1898, la carica di vescovo presso l’Arcidiocesi di Agrigento. 5 De Simone, L’insegnamento, pp. 76-81: il Cusa, già ordinario di Paleografia presso la Facoltà di Lettere, era subentrato a Giuseppe Caruso, morto nel 1863, come docente incaricato di Lingua Araba. Nel 1874 il Cusa venne nominato professore ordinario alla cattedra di Lingua Araba, incarico che resse fino alla morte. Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 99 stre fabbriche normanne, nella Cappella Palatina, nella Martorana, nel nostro Duomo6. Da una simile concezione estetica, scevra da preclusioni, discriminazioni e gerarchizzazioni, nasceva il coraggioso progetto di illustrare quanto più esaurientemente possibile, attraverso le sale del Museo, l’evoluzione delle arti e della vita culturale della Sicilia nel corso dei secoli, presentando al pubblico manufatti di diversa natura e valenza (dai più appariscenti ai più umili), e di differenti periodi e matrici culturali. In tale progetto erano destinate ad assumere un posto privilegiato le testimonianze arabo-musulmane in quanto esse costituivano una delle peculiarità più vistose ed esclusive del patrimonio culturale della Sicilia, di Palermo, e del suo Museo, rispetto alle altre regioni italiane. L’interesse del Salinas per la cultura islamica ci aiuta a spiegare anche l’intensa collaborazione instauratasi tra lui, poco più che ventenne, e l’ultracinquantenne Michele Amari7. La profonda stima dell’affermato arabista nei confronti del giovane conterraneo da una parte, la filiale gratitudine e la devota ammirazione di quest’ultimo per l’autore della Storia dei Musulmani di Sicilia dall’altra; le assonanze politiche e ideologiche (si pensi all’anticlericalismo di entrambi) e, più di tutto, il comune impegno per la tutela del patrimonio artistico siciliano, contribuirono a cementare il sodalizio intellettuale ed affettivo che li legò per trent’anni, alimentato, fin dal 1861, da un fitto e continuo rapporto epistolare, attraverso il quale l’archeologo siciliano era solito aggiornare il celebre storico (e talvolta spettegolare con lui) sui più significativi eventi della vita culturale palermitana e, in modo particolare, sui ritrovamenti (nel corso di campagne di scavo o di restauro) e sugli acquisti (nel mercato antiquario) di reperti islamici siciliani, ricevendone in cambio puntuali interpretazioni e valutazioni. La nomina di Salinas a direttore del Museo, cui del resto non era stata estranea l’influenza politica di Amari, aveva portato però con sé una improcrastinabile necessità. Al neo-direttore infatti l’autorevolissima e prestigiosa (fin troppo prestigiosa), consulenza postale del Senatore e cattedratico Amari ora non sarebbe bastata più. Era ormai tempo di individuare e reclutare un più modesto assistente locale, un arabista in erba, sveglio e volenteroso – proprio come il 6 Salinas, Del Museo Nazionale di Palermo, p. 59. In questa prolusione, pronunciata in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1873, il Salinas espone e chiarisce i suoi criteri museografici. 7 Il Salinas fu probabilmente presentato all’Amari verso la fine degli anni ‘50 dal nobile trapanese Vincenzo Fardella di Torrearsa, la cui moglie Giulietta aveva preso molto a cuore la formazione scientifica del giovane archeologo, Salinas, Lettere, p. XXIII e seguenti. L’Amari era quindi intervenuto più volte, in virtù della sua autorità politica, per procurargli borse di studio e di perfezionamento in Italia, in Europa e in Grecia e più tardi, nel 1865, la cattedra di Archeologia presso l’Università di Palermo, cui seguì la nomina a membro della Commissione di Antichità e Belle Arti della Sicilia (CABA) che il Salinas ricoprì dal 1867 al 1875, Salinas, Lettere, n. 3, p. 27. 100 Maria Amalia De Luca giovane Lagumina – da avviare, con il sostegno e la illuminata guida di M. Amari, allo studio dell’Islàm siciliano in genere e, più specificatamente, dell’epigrafia araba e della numismatica medievale. Se l’obiettivo a breve termine era di introdurre nei ranghi del Museo un fidato collaboratore a tempo pieno, capace di svolgere il certosino ed umile lavoro di schedatura del materiale islamico e, al contempo, capace di coadiuvare il Direttore nella complessa progettazione, realizzazione e gestione di una sezione destinata ad accogliere le collezioni islamiche già esistenti e le future acquisizioni, il traguardo finale e la ‘vera’ – più ambiziosa – speranza del Salinas e dell’Amari, erano in realtà, come si evince da altri brani del carteggio8, quella di fare del Lagumina un autentico arabista, dotato di una formazione e di una metodologia all’altezza degli standard scientifici europei, e definitivamente emancipato dal provincialismo che, fino ad allora, aveva purtroppo sottodimensionato, in Sicilia, le prestazioni dei pur valenti e meritevoli cultori locali dell’arabistica. Le collezioni islamiche: dal Regio Museo borbonico al Regio Museo Nazionale Per meglio apprezzare i brillanti risultati gradualmente conseguiti dal Salinas e dal Lagumina nel corso della loro collaborazione è opportuno fornire alcuni sommari ragguagli sulla natura e la consistenza della raccolta islamica del Museo e sulla sua eterogenea provenienza, strettamente correlata alle secolari vicende della museografia siciliana, essendo il suo patrimonio frutto della sedimentazione di svariate collezioni, in esso confluite nel corso del tempo, a seguito di confische, donazioni o acquisti. 8 Cfr. in Salinas, Lettere, n. 93 (31 marzo 1879), pp. 157-158: «Porgitore della presente è il Prof. Lagumina… Ella sa quanto assegnamento io faccia su questo giovane dotato di una vera attitudine filologica e l’esperienza mia personale mi fa sperare che Ella non vorrà negargli il valevole ajuto dei suoi consigli per fare opera benefica ad un giovane che lo merita per molti riguardi ed anche possiamo dire all’avvenire degli studj orientali in Sicilia»; n. 94 (11 agosto [sic, da correggersi in aprile] 1879), p. 159: «Il Lagumina mi scrive incantato di trovarsi in tanta atmosfera filologica. Egli non sa come ringraziare Lei e il Guidi vero fior di cortesia e di sapere. Spero che dopo tanti tentativi più o meno mancati, avremo davvero in Sicilia un giovane arabista»; n. 95 (12 aprile 1879), p. 159: «Sono lietissimo di quel che mi scrive del Lagumina e non La ringrazio di quanto ha fatto per lui perché spero che quel giovane saprà ringraziarla mostrandole il frutto che ricaverà dai suoi consigli»; n. 96 (16 giugno 1879), p. 162: «Godo de’ progressi del Lagumina e ne godo anche egoisticamente perché credo di aver fatto bene a lui e al paese istigandolo sempre a mettere un poco da parte i suoi amori biblici per rivolgersi piuttosto al Profeta. Io spero che egli mi ajuterà nella numismatica arabica»; n. 99 (29 luglio 1879), pp. 164-165: «Che egli [Lagumina] sia grato a Lei è superfluo il dirlo – egli è tornato entusiasta di quella perla di dotto che è il Guidi. Ella non può credere quanto bene faccia a questo paese abusato da letterati falsarj e disonesti e impostori l’acquisto di un giovane di mente dritta e lavoratore sincero. Per quanto dipenderà da me mi farò un dovere di continuare ad ajutarlo in tutti i modi». Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 101 Il Regio Museo Nazionale di Palermo, in cui operarono Salinas e Lagumina, era stato formalmente istituito nel 1866 nell’ex convento dei Padri Filippini all’Olivella9. Questo Museo Nazionale, a parte il cambio del nome, il trasferimento di sede e quello, assai più significativo, dalla corona borbonica a quella sabauda, altro non era che un nuovo allestimento dell’ex Museo borbonico, annesso alla Regia Università di Palermo e, al pari di quella, istituito nel 1805 e allocato nel convento dei Padri teatini di S. Giuseppe, in via Maqueda. Il Museo della Regia Università Le collezioni del Museo della Regia Università si erano formate agli inizi del XIX secolo e comprendevano una pinacoteca, un gabinetto numismatico10 e una prestigiosa sezione antiquaria della quale è lo stesso Salinas a fornirci, in un suo scritto, il graduale accrescimento11. 9 Uno dei numerosi edifici religiosi confiscati e assorbiti dal demanio statale, dopo la proclamazione del Regno d’Italia, in base al Regio Decreto 3036 del 7 luglio 1866 di soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose (in esecuzione della Legge del 28 giugno dello stesso anno). Il R.D. in questione, che tanto incise sul patrimonio museografico e monumentale siciliano ed italiano in genere, insieme alla Legge successiva, del 15 agosto 1867, condusse alla liquidazione dell’asse ecclesiastico, coronando così il successo della politica anticlericale inaugurata dal precedente Regno di Sardegna con la Legge n. 878 del 29 maggio 1855 (Legge Rattazzi) che abrogava il riconoscimento civile a numerosi ordini religiosi e ne affidava i beni patrimoniali ad una Cassa Ecclesiastica. Dopo l’Unità, con la Legge n. 794 del 21 agosto 1862, la Cassa Ecclesiastica venne abolita ed il possesso materiale dei beni incamerati, passò direttamente al Demanio di Stato. Il R.D. 3036, subì successivamente una modifica a seguito di un nuovo Progetto di Legge (firmato e inoltrato proprio dal Senatore Amari, su sollecitazione dalla Commissione siciliana di Antichità e Belle Arti), che chiedeva una deroga al suo art. 33. L’articolo contestato escludeva infatti dalla confisca il patrimonio di «alcuni stabilimenti ecclesiastici distinti per la monumentale importanza e pel complesso dei tesori artistici e letterari» tra i quali figurava il monastero siciliano di S. Martino delle Scale alla cui confisca e recupero da parte dello Stato era finalizzata (come si chiarirà meglio infra) l’interpellanza amariana. La deroga venne accolta ed il Progetto, una volta approvato, si trasformò nella Legge Speciale del 27/7/1869, cfr. Biondo, Dall’adattamento a Museo, pp. 9-12. 10 Il nucleo originale del gabinetto numismatico sembra sia stato costituito dal lascito di circa 300 monete aghlabite, fatimite e normanne collezionate in Sicilia dal tenente colonnello Giuseppe Saverio Poli, comandante della R. Accademia militare della Nunziatella (1746-1825, su cui: Catenacci, Il tenente; Nizzo, Collezioni numismatiche, p. 469, nota 98; Scinà, Del falso Codice arabico, p. 72, nota 58) catalogate da Salvatore Morso (1766-1828): vedi Mortillaro, Elogio, p. 11, nota 1. Nel gabinetto confluì in seguito la preziosa raccolta di monete antiche Gandolfo; nel 1848 il gabinetto venne saccheggiato (Salinas, Relazione, p. 274) e di esso rimasero pochi avanzi; fu in seguito rimpolpato dai lasciti del Salnitriano (1863), della collezione Valenza (1864) e del Martiniano (1869-70) ma il vero incremento avvenne, grazie al Salinas, tra la fine del XIX sec. e i primi del XX sec. 11 Salinas, Relazione. 102 Maria Amalia De Luca Tra il 1823 e il 1827 vi pervennero le celebri metope selinuntine ed altri reperti classici venuti alla luce a Solunto, Tindari ed Agrigento; a Francesco I e Ferdinando II di Borbone si dovette il dono di bronzi, ceramiche, vetri ed ori provenienti dai reali musei di Napoli mentre la Commissione siciliana alle Belle Arti (CABA) vi andava via via depositando la maggior parte dei materiali recuperati durante i lavori urbanistici ed i restauri dei monumenti nell’area cittadina. I reperti incamerati prima del 1860 risalivano per lo più all’età classica, ma non mancavano alcune eccezioni come le residue testimonianze architettoniche normanne della distrutta Chiesa di S. Pietro la Bagnara e, soprattutto, quelle islamiche provenienti dal Museo annesso alla Biblioteca Comunale di Palermo12. Riguardo la consistenza di questo piccolo Museo le notizie più dettagliate ci vengono fornite da Vincenzo Mortillaro (1806-1888) nel 1843, nel capitoletto riservato al Museo della libreria da lui così succintamente e sprezzantemente descritto: Data una cert’aria d’importanza alla palermitana biblioteca, sin dal principio [1775] si giudicò ornarla di un gabinetto di antichità, e lo zelante bibliotecario di que’ tempi can. Tommaso Angelini tutta la premura si dié di ripescare vetusti monumenti, e greci, romani, ed arabeschi rottami. Infruttuosi non pertanto riuscirono gli sforzi di lui, né altro si presenta addì d’oggi [1843] nella nostra libreria agli ricerchi degli antiquari, che un miserabile tritume di vasi greco-sicoli, e saracenici, ed alquante iscrizioni, cinque cioè in arabico, ed una greca13. All’impietoso commento l’autore fa seguire la sua lettura e traduzione in latino delle cinque iscrizioni [App. n. 10, n. 15, n. 16, n. 23, n. 26]14, tre delle quali 12 Da qui in poi da me citata come BCP. Si veda: Mortillaro, Breve ragguaglio, pp. 73-93; Palermo, Guida istruttiva, pp. 449-452; Villabianca, Il Palermo d’oggigiorno, pp. 70-71 ed in particolare le note a cura di Gioacchino Di Marzo. La Biblioteca Comunale o Senatoria di Palermo, precedentemente ospitata in altre sedi, fu pomposamente trasferita e inaugurata, nel 1775, nella attuale sede di Casa Professa, sottratta alla Compagnia di Gesù al tempo della sua espulsione nel 1767. Notevoli ampliamenti strutturali e librari la interessarono dal 1818 al 1826 grazie all’interessamento di Domenico Scinà (1765-1837). Dal 1850 la diresse il Marchese V. Mortillaro: De Luca, V. Mortillaro. Un ulteriore arricchimento, che portò il suo patrimonio librario a ben centocinquantamila volumi, le venne dall’accorpamento di altre collezioni librarie cittadine dopo la confisca delle biblioteche ecclesiastiche nel 1866, sicché si rese necessario ingrandirla con l’acquisizione, nel 1871, dei contigui locali della chiesa di S. Michele Arcangelo. 13 Mortillaro, Breve ragguaglio, p. 85. 14 Ibid. n. I, p. 85 [EAS II, n. XLIV: App. n. 26]; n. II, p. 86 [EAS II, n. VII: App. n. 10]; n. III, p. 87 [EAS II, n. XXII: App. n. 15. Per questa ed altre epigrafi citate infra rimandiamo il lettore all’esaustiva edizione Johns, Scheda VIII, 6, pp. 516-517]; n. IV, p. 87 [EAS II, XXVI: App. n. 16]; n. V, p. 88 [EAS II, n. XXXVIII: App. n. 23]. In nota il Mortillaro fornisce le seguenti notizie: 1) che la prima di esse era stata visionata dall’orientalista tedesco Oluf Gerhard Tychsen (17341815) e pubblicata da R. Gregorio, Rerum Arabicarum, n. XV, p. 154-155; 2) che le nn. I, II e III, nel 1792, erano state lette dal maltese M. Antonio Vassalli, professore di Arabo in quell’anno di passaggio a Palermo (del che darà conferma in EAS II, p.166, M. Amari il quale però sembra Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 103 erano state ritrovate in una casa del quartiere palermitano della ‘Bucceria’ (Vucciria), «sulla rampa di una scala a chiocciola la cui costruzione sembra saracena»15 come testimonia l’architetto francese Dufourny (1754-1818) che la visitò, durante il suo soggiorno palermitano, nell’ultima decade del sec. XVIII. Non siamo in grado di affermare esattamente quando, almeno tre delle epigrafi, furono trasferite al Regio Museo dell’Università ma ciò dovette verificarsi tra il 1843, anno in cui il Mortillaro le registra ancora presso la Biblioteca, ed il 1860, anno entro il quale Salinas data la loro acquisizione16. Dopo il 1861, il Regio Museo (ovviamente non più borbonico ma sabaudo) conobbe un nuovo input, grazie ai finanziamenti prodigatigli da Gregorio Ugdulena17, nominato ministro della Pubblica istruzione del governo provvisorio siciliano, e all’impegno profuso dal suo nuovo direttore Giovanni D’Ondes Reggio (1811-1885). A quegli anni risalgono due importantissimi traguardi: il perfezionamento dell’acquisizione della Collezione Astuto di Noto18 e l’assorbimento del ignorare, o far finta di ignorare, l’edizione del Mortillaro); 3) che le stesse n. I, n. II e n. III erano state donate alla biblioteca da un tal Magnasco (in EAS II, p. 166, citato invece come Antonio Bagnasco); 4) riguardo alla n. V, il Mortillaro precisa di averla già pubblicata nel 1827. Il Gregorio attribuisce alla BCP anche un’ulteriore lastra sepolcrale rettangolare da lui registrata al n. XXI, pp. 159-160 [App. n. 50], da cui è tratto il disegno riprodotto in appendice e della quale si è persa ogni traccia. 15 Dufourny, Diario, p. 467: la casa in questione dovrebbe essere verosimilmente quella del Bagnasco o Magnasco (vedi nota precedente). 16 Salinas, Relazione, p. 244, dove però il Salinas cita tre epigrafi e non cinque perché la quarta, ossia il cippo cilindrico [App. n. 23] fu in realtà ceduto dalla BCP al R. Museo Nazionale solo nel 1874, come si evince da Salinas, Lettere, lettera del 14-4-1874, p. 107. Non trovo invece alcuna notizia sulle date di acquisizione della quinta e di una ulteriore, quindi sesta, iscrizione proveniente dalla BCP [EAS II, XXXIV: App. n. 21] ma non registrata dal Mortillaro. 17 Giuseppe Ugdulena (Termini Imerese 1815 - Roma 1872) fu biblista, docente di ebraico all’università di Palermo dal 1843 al 1848, poi di greco nell’Istituto di studi superiori di Firenze dal 1865 al 1870 e infine di greco ed ebraico nell’università di Roma (dal 1870) e Palermo. Avendo preso parte all’insurrezione palermitana del 1848, subì il carcere; nel 1860 fu nominato ministro dell’Istruzione nel governo provvisorio di Sicilia e, in seguito, deputato al parlamento italiano. La sua opera principale è La Sacra Scrittura in volgare riscontrata con gli originali e illustrata (1859; 2 voll.). 18 Nella seconda metà del XVIII secolo, Antonio Astuto, discendente di una delle più aristocratiche famiglie di Noto, aveva allestito, nel suo palazzo, un gabinetto di storia naturale ed un museo privato di antichità classiche, monete e libri rari. Negli anni precedenti la rivoluzione del 1860 la collezione Astuto fu messa in vendita dagli eredi. I libri furono acquistati dalla Biblioteca Comunale di Palermo; il medagliere da un collezionista britannico di nome Stewart, ed il resto della collezione da un antiquario palermitano, Giuseppe La Barbera, che la depositò nelle scuderie di Palazzo Geraci in attesa che andassero a buon fine le trattative di acquisto che, già dal 1858, la Commissione alle Antichità aveva intrapreso e che furono definitivamente concluse solo nel 1861; Salinas, Relazione 1973, pp. 245-246; Leonardi, Alla ricerca. 104 Maria Amalia De Luca Museo Salnitriano, di gran lunga il più antico e prestigioso museo del capoluogo siciliano. Da un inventario degli oggetti del Museo Astuto redatto, alla vigilia della cessione, nel 185819 non si evidenziano oggetti islamici; sappiamo però che del suo Medagliere, finito nelle mani di un acquirente inglese, avevano fatto parte «medaglie d’oro, argento e pasta vitrea di epoca saracena»20. Se dunque la collezione Astuto non era valsa ad incrementare in alcun modo il patrimonio islamico del Regio Museo, un ben più decisivo ampliamento del settore si registrò invece con il successivo assorbimento del Museo Salnitriano. Il Museo Salnitriano Il Museo Salnitriano prendeva il nome dal suo fondatore, il gesuita Ignazio Salnitro (1682-1738) che, nel 1730, lo aveva concepito e strutturato come elemento di supporto alla formazione umanistica e scientifica impartita ai giovani rampolli della élite palermitana nel prestigioso Collegio Massimo, che la Compagnia di Gesù aveva istituito a Palermo fin dal lontano 1588, nel ‘Cassaro’, principale arteria cittadina. In ossequio al progetto didattico e, sotto certi aspetti, anticipatore dei moderni criteri museali, il museo dei Padri Gesuiti segnava il superamento dell’ormai obsoleta Wunderkammer secentesca. Esso si articolava infatti secondo una programmata sequenza di spazi destinati ad accogliere, in base ad una disposizione seriale, i vari oggetti e comprendeva una sezione antiquaria ed una sezione naturalistica alla quale si affiancavano un museo anatomico di cere ed un erbario21. Nel 1767, in conseguenza del decreto di espulsione dei Gesuiti, il Collegio palermitano – insieme all’annessa Biblioteca e all’annesso Museo – fu incamerato dal governo borbonico e, dopo un decennio di affidamento transitorio ad una Giunta di Educazione (1767-1778), venne assegnato ad una Deputazione degli Studi (1778-1805). Il Collegio fu allora riaperto, riformato e accresciuto di cattedre di insegnamento, diventando un Istituto pubblico di studi superiori sotto il nome di Regia Accademia degli Studi22. Nel 1785, nell’ambito degli insegnamenti filosofici, alle 19 Ibid. in appendice, pp. 111-115. Ibid., p. 104. 21 Le informazioni qui riportate sul Salnitriano sono tratte da Graditi, Il Museo ritrovato, p. 125 al quale si rimanda il lettore per una più approfondita conoscenza delle vicende relative a questo museo. Si veda pure Abbate, Wunderkammer, pp. 40-42. 22 Sotto la illuminata direzione della ‘Deputazione’, per la Biblioteca e, in misura minore, per il Museo si inaugurò una felice stagione. La biblioteca, che al tempo dei Gesuiti contava circa diecimila volumi, raggiunse entro il 1805, un patrimonio di ben trentamila volumi, grazie all’accorpamento delle altre biblioteche gesuitiche di Palermo e del Val di Mazara, nonché a quello della biblioteca degli Olivetani della Badia di S. Maria del Bosco, e grazie alle donazioni dei due viceré Domenico Caracciolo (1715-1798, in carica dal 1781 al 1786), e Francesco M. D’Aquino principe di Caramanico (1738-1795, in carica dal 1786 fino alla morte) e soprattutto di Gabriele Lancillotto 20 Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 105 cattedre di lingua greca ed ebraica, venne affiancata quella di lingua araba la cui inclusione nella offerta formativa rispondeva al crescente interesse degli intellettuali per il periodo storico siciliano contrassegnato dalla presenza politica e culturale dei Musulmani23. La gestione del Museo Salnitriano fu definitivamente scissa da quella della Accademia e della Biblioteca nel 1788 e affidata prima a Salvatore M. Di Blasi (dal 1788 al 1801) e poi a Rosario Gregorio (dal 1801 al 1805)24, sotto la cui direzione si procedette gradualmente e faticosamente, data la penuria di mezzi, al riordino sia della sezione antiquaria che di quella naturalistica, saccheggiata dai Gesuiti alla vigilia dell’esilio25. Già all’epoca il Museo vantava una interessante collezione di oggetti islamici, comprendente monete, ceramiche, iscrizioni e metalli, sia di produzione siciliana che d’importazione, fra cui un pregevole vassoio ageminato di manifattura mamelucca. Alcuni di questi pezzi furono illustrati dallo stesso Gregorio26. L’anno 1805 segnò la riabilitazione giuridica, per concessione borbonica, della Compagnia di Gesù e la conseguente reintegrazione del suo patrimonio immobiliare. La Deputazione degli Studi e l’Accademia dovettero perciò rinunciare alla sede del ‘Cassaro’ e trasferirsi nel convento dei Padri Teatini27, poiché il Castelli, principe di Torremuzza (1727-1794) il quale volle cederle per intero la sua prestigiosa raccolta libraria; Sampolo, La Regia Accademia, p. 110; Palermo, Guida istruttiva, pp. 604-611. 23 L’istituzione del nuovo insegnamento, incautamente affidato al falsario maltese Giuseppe Vella (1740-1814, su cui: De Luca, Le monete, Introduzione e De Luca, Le false monete, pp. 87-90), fu una iniziativa del nobile prelato monsignor Alfonso Airoldi (1729-1817) che della Deputazione degli Studi fu uno dei più prestigiosi, autorevoli ed intraprendenti componenti; Sampolo, La Regia Accademia, pp. 101 e seguenti. 24 Per maggiori dettagli sulla poliedrica personalità del Gregorio (1753-1809) si veda Giarrizzo, Rosario Gregorio. 25 Graditi, Il Museo ritrovato, p. 126. 26 Gregorio, Rerum Arabicarum, dove due stele sepolcrali appartenenti al Museo Salnitriano sono illustrate rispettivamente ai nn. XII-XIII (pars antica e pars postica), pp. 150-151 [EAS II, n. VIII: App. n. 11) e ai nn. XVIII-XIX (pars antica e pars postica), p. 185 [EAS II, n. XV: App. n. 13]. A queste due stele, in origine, se ne affiancavano altre due: Gregorio, Rerum Arabicarum, n. X, pp. 146-147 [EAS II, n. V: App. n. 9] e n. XI, pp. 148-149 e, per errore, pp. 169-170 [EAS II, n. IX: App. n. 12]. In EAS II, ‘aggiunta al n. IX’, pp. 262-268, sono riassunte le intricate vicende di queste due iscrizioni, secondo l’Amari, appartenute anch’esse al Collegio Massimo ma, già nella seconda decade del XVIII sec. (evidentemente prima dell’allestimento del Museo Salnitriano), requisite e donate da Annibale Maffei (1666-1735: viceré di Sicilia dal 1714 al 1719, per conto di Vittorio Amedeo di Savoia) a suo fratello, l’umanista Scipione Maffei (Verona 1675-1755) ed in seguito confluite nel Museo Lapidario Maffeiano di Verona dove sono tutt’oggi custodite. Per la prima delle due stele [App. n. 9] cfr. Johns, Scheda VIII, 5, p. 515. Per quanto concerne il vassoio mamelucco [App. n. 33], esso figura in Gregorio, Rerum Arabicarum, n. XXXVII, pp. 182-183, ed è riedito in Staacke, Cinque metalli islamici, pp. 288 e seguenti e, in seguito, in Staacke, I metalli mamelucchi, n. 8, pp. 80-83. 27 Sampolo, La Regia Accademia, doc. XXIX , pp. LXXIV-LXXVI. 106 Maria Amalia De Luca Collegio, la Biblioteca e il Museo Salnitriano furono restituiti ai Padri Gesuiti. A parziale indennizzo dell’estromissione tuttavia l’Accademia otteneva in quello stesso anno l’ambita promozione ad Università28. Con il ritorno degli antichi proprietari iniziava l’ultima fase della secolare storia del Salnitriano, contrassegnata da una crescente specializzazione delle sue sezioni e da una netta separazione tra il patrimonio naturalistico e quello antiquario, spostati entrambi, nel 1844, al piano superiore dell’edificio, nella sala sovrastante la Chiesa di S. Maria della Grotta. Nel 1860, in seguito all’annessione della Sicilia al Regno d’Italia e alla conseguente applicazione nell’isola della legge Rattazzi del 1855, per la seconda volta e definitivamente, i Gesuiti furono estromessi dal Collegio Massimo. In quella difficile fase di transizione amministrativa e di violenti scontri e disordini, il convento ed il museo rimasero incustoditi in balia dei saccheggi. L’anno successivo, il Salnitriano, ormai proprietà statale, subì un rovinoso furto all’indomani del quale l’allora Direttore del R. Museo Nazionale, G. D’Ondes Reggio stilò un elenco dei beni superstiti, dove figurano i seguenti riferimenti ad oggetti islamici: La quinta scanzia [sic] senza alcun marchio contiene N. 33 vasi e un piatto29 Arabo-Sicoli, tra i quali alcuni rotti, un cassetto per paste di vetro in cui esiste una pasta sana rossa ed altre due rotte oscure, più separatamente altre due paste di vetro con impronta una rossa e l’altra oscura … Un ornato in marmo con iscrizione Cufica lungo circa sei palmi con base di legno, altro idem lungo circa quattro palmi, sei frantumi di una lapide in marmo con iscrizione Cufiche e con base di legno, altro fregio in marmo con iscrizione Arabe lungo circa due palmi con base di legno … Terza scanzia con n. 6 cassonetti le prime due vuote, la terza contiene N. 86 monete di bronzo Arabe … la quinta n. 39 monete di bronzo Arabe30. In base all’elenco, le iscrizioni arabe a quel tempo sarebbero state ben quattro: le due edite dal Gregorio [App. n. 11 e n. 13], una terza che l’Amari incluse nel suo corpus31 [App. n. 14] e una quarta, già frammentaria, della quale invece egli non fa menzione, forse a causa del precario stato di conservazione o forse perché, nel frattempo, dispersa o irreparabilmente distrutta. In quanto alla generica definizione monete arabe di bronzo usata dal D’Ondes Reggio, a mio avviso, essa va piuttosto riferita a monete normanne iscritte in caratteri arabi o, tutt’al più, a monete islamiche non siciliane forse pervenute ai Gesuiti tramite il mercato antiquario. La circolazione di monete di rame (quasi esclusivamente aghlabite) dovette essere infatti in Sicilia scarsa, tant’è che la 28 Ibid., p. 197 e doc. XXX, pp. LXXVI-LXXIX. È quello descritto dal Gregorio [App. n. 33]. 30 L’elenco integrale è riportato in Graditi, Il Museo ritrovato, pp. 230-232. 31 EAS II, n. XIX. 29 Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 107 loro presenza nelle pubbliche collezioni siciliane è quasi nulla. Dall’elenco del D’Ondes Reggio risulta comunque evidente che nel Museo non era rimasta alcuna moneta d’oro o d’argento, né antica, né medievale né moderna. A riguardo il Salinas32, portavoce probabilmente di una diffusa diceria, insinua che il saccheggio delle monete di valore vada attribuito, più che agli anonimi ladri, agli stessi Gesuiti. In entrambi i casi, esso non ci consente oggi di ricostruire la fisionomia della sezione numismatica islamica ad esso pertinente. All’indomani del furto fu deciso di smantellare definitivamente il Museo Salnitriano33 e di trasferire alle facoltà universitarie le sue collezioni per garantire loro una maggiore sicurezza. In particolare i beni archeologici furono assegnati al Regio Museo dove al lascito islamico del Salnitriano si sarebbero, di lì a poco, aggiunte altre significative testimonianze epigrafiche in arabo di età normanna. Si tratta delle due celebri lapidi funerarie, provenienti dalla Chiesa di S. Michele Arcangelo, dedicate ad Anna e a Drogo e iscritte, la prima [App. n. 17], in caratteri arabi, greci, latini ed ebraici e, la seconda [App. n. 18], in caratteri arabi, greci e latini34 e della epigrafe edile in marmo policromo [App. n. 1] ritrovata nei sotterranei della Cappella Palatina del Palazzo Reale35, donata nel 1863 al R. Museo dal Re Vittorio Emanuele II. L’incremento del patrimonio museale, dovuto sia alle disposizioni del 1863, che imponevano il deposito nel R. Museo di tutti gli oggetti ritrovati durante le campagne di scavo nelle province di Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta, sia alla confisca dei beni ecclesiastici del 1866, sia all’acquisizione della pregevole collezione etrusca del Casuccini e sia alla donazione dei libri (circa quattromila volumi), delle monete antiche (circa ottocento), delle gemme e 32 Salinas, Relazione, p. 247. L’ex Collegio Massimo del resto, introitato dallo Stato italiano, si apprestava ad accogliere, da una parte la Biblioteca Nazionale (in seguito denominata Regionale ed ultimamente ribattezzata Biblioteca centrale della Regione siciliana ‘A. Bombace’) e, dall’altra, il Real Liceo e Ginnasio ‘Vittorio Emanuele II’, una scuola elementare, nonché l’ex Convitto Real Ferdinando convertito nel Convitto Nazionale ‘Vittorio Emanuele II’. 34 Per la quadrilingue si veda Morso, Memoria sulla Chiesa di S. Michele Arcangelo ed EAS II, n. XXVII (riesaminata, nel 1890, in Lagumina, Nota). Per la trilingue si veda EAS II, n. XXVIII. Entrambe sono state riedite recentemente da Johns, Scheda VIII, 7, b, c, pp. 518-523. La lapide quadrilingue è attualmente esposta al Museo islamico della Zisa mentre la trilingue risulta ancora alla Galleria regionale di Palazzo Abatellis. 35 EAS I, n. V. Un ulteriore frammento [App. n. 28] ed un’analoga lastra [App. n. 27] riferibili al medesimo contesto architettonico (forse una porta d’ingresso alla Cappella Palatina) vennero alla luce più tardi: il frammento fu rinvenuto casualmente nel 1874 da Salinas nei magazzini del Palazzo Reale, Salinas, Lettere, n. 66 p. 107; l’altra lunga lastra venne alla luce circa venti anni dopo, Lagumina, Iscrizione araba del re Ruggero e Johns, Scheda VIII, 1, pp. 498-501. 33 108 Maria Amalia De Luca delle stampe del termitano Girolamo Valenza36, rese del tutto insufficienti gli spazi espositivi dell’ex convento dei Teatini ed impose la ricerca di una nuova sede, indipendente dall’Università ed esclusivamente adibita a Museo37. La scelta cadde, come si è visto, sull’ex convento dei Padri Filippini all’Olivella dove il Regio Museo si trasferì ufficialmente nel 1866 e dove, per inciso, erano da tempo custoditi una iscrizione funeraria islamica [App. n. 25] rinvenuta «incastrata in un andito della biblioteca» ed illustrata dal Gregorio nel 179038 ed alcuni strumenti astronomici di manifattura orientale [App. n. 43 e nota 69]. Il Museo Martiniano Tre anni dopo il cambio di sede, nel R. Museo Nazionale confluirono le spoglie di un altro grande museo settecentesco del territorio palermitano: il museo Martiniano fondato nel 1744 dal benedettino Salvatore M. Di Blasi (1719-1814) nell’antica abbazia di S. Martino delle Scale affinché facesse da contraltare a quello gesuitico del Cassaro39. Il Di Blasi, grazie ad una spasmodica e appassionata ricerca sul mercato antiquario, iniziata in Sicilia e poi estesa all’Italia e all’Europa, era riuscito a riunire nelle sale del monastero benedettino una notevolissima collezione di oggetti antichi nella quale erano incluse interessanti e pregiate reliquie della civiltà islamica. La consistenza del patrimonio del museo di S. Martino ci è meglio nota di quella del Salnitriano dal momento che, già nel 1868, il Salinas fu incaricato di compilarne un catalogo minuzioso40 in previsione del suo imminente incameramento da parte dello stato italiano. Le collezioni dell’Abbazia infatti erano state, in un primo tempo, risparmiate dalla confisca statale ed erano rimaste in possesso dei monaci. La spregiudicata gestione dei Benedettini tuttavia aveva finito col destare non poche perplessità e preoccupazioni dovute al verificarsi di frequenti e gravi ammanchi41. Il timore di ulteriori perdite indusse M. Amari a fare approvare urgentemente in Senato, la citata deroga all’articolo 3342, consentendo così alla Corona, nel 1869, di intro- 36 Salinas, Relazione, pp. 248-249. Del lascito del Valenza (scomparso nel 1864) faceva parte un anello arabo che andò rubato insieme ad altre gemme e monete nell’1871: al furto accenna il Salinas in una lettera all’Amari del 6-1-1871, in Salinas, Lettere, n. 39, p. 59. Qualche anno dopo la refurtiva (tranne parte delle monete) fu recuperata, Salinas, Relazione, p. 254. 37 Ibid., pp. 250-251. 38 Gregorio, Rerum Arabicarum, n. XXIV, pp. 162-163; EAS II, n. XLIII. 39 Lapis, La collezione ed Equizzi, Palermo. 40 Salinas, Catalogo. 41 Si leggano in proposito i commenti del Salinas in Salinas, Lettere, n. 31 (del 27-1-1869), pp. 46-47. 42 Vedi nota 9. Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 109 itare in blocco il patrimonio museale del monastero che, di fatto, l’anno dopo fu trasferito nel R. Museo Nazionale. Dalla ricognizione del Salinas, pubblicata nel 1870, possiamo dunque farci una idea abbastanza precisa dei pezzi islamici appartenuti al Martiniano. Già nella ‘Introduzione’ il Salinas, passando in rassegna gli oggetti più pregiati del monastero, cita: 1) … il disco e i vasi di ottone, alcuno dei quali di considerevoli dimensioni, ricchi tutti di ornati e di iscrizioni arabe (204, 205, 1283, 1290, 1291)43. 2) Belli sono gli esemplari de’ vasi rossi o bianchi, de’ quali i primi (917-31), sono di creta rossa, talvolta lucidissimi e fregiati di qualche ornato a stampo. I secondi (932-946), quasi sconosciuti fuori di Sicilia, meritano per molti rispetti l’attenzione dell’artista e del filologo, benché non abbiano trovato ancora un illustratore. Le pareti del vaso spesso di tale leggerezza da parere fatte di carta più presto che di creta, sono esternamente adornate di dorature e lavori impressi per via meccanica e, quel che li rende più singolari, nell’interno, ordinariamente nel collo del vaso, è collocata una foglia della stessa creta, traforata con una fattura leggiadrissima; dalla quale disposizione si fa chiaro che quei vasi più che a contenere liquidi erano adoperati per profumerie o per altro simile. Ad imitazione delle antiche anfore, sui manichi con uno o due bolli iscritti è espressa la fabbrica onde sortirono44. 3) … sono da ricordare i grandi piatti di majolica (1248-9) di quella fabbrica, la quale detta da’ più ispano-araba, pure è forse siciliana de’ tempi svevi o aragonesi; gli oggetti d’osso e di avorio… una scatola della stessa materia (1264) con ornati e trafori e due righi d’iscrizione araba45. Nel ‘Catalogo’46 si rilevano le seguenti voci riferibili ad oggetti islamici nelle quali è lo stesso Salinas a inserire i rimandi all’edizione di R. Gregorio: Seconda stanza 1) n. 58 Marmo: h. 0,20; l. 0,52 stele rotta, con 2 righi di iscrizione cufica47 [App. n. 22] 2) n. 59 marmo: h. 0,72; 0,25 colonna segata. Nella superficie piana vi è scolpita un’iscrizione Araba di 14 righi. Gregorio [Rerum Arabicarum] XVII, p. 15648 [App. n. 24] 43 Salinas, Catalogo, Introduzione, p. VIII. Ibid., pp. X-XI. 45 Ibid., p. XII. 46 Ibid., pp. 1-91. 47 EAS II, n. XXXVII. 48 EAS II, n. XLII. 44 110 Maria Amalia De Luca Terza stanza 3) n. 204 Rame d.0,53 h con piede 0,48 Conca di lamina di rame… piede di forma cilindrica con 3 iscrizioni Arabe ... frammezzate da 3 rosoni. Mascheroni e manici sono un’aggiunzione di epoca posteriore. Gregorio [Rerum Arabicarum] n. XXXIX, p. 18549 [App. n. 32] 4) n. 205 ottone d. 0,07 Internamente … iscrizione Araba interrotta da rosoni e nel centro rosone cinto da una simile iscrizione. Gregorio [Rerum Arabicarum] n. XL, p. 18650 [App. n. 34] Quinta stanza Vasi fittili51 Scaffale VIII 5) 917-931 Vasi arabi di creta rossa di forme diverse 6) 932-946 Vasi arabi di creta bianca, di forma diverse, con lavori di traforo vaghissimi nell’interno, ornati a doratura nell’esterno e bollo con iscrizione nei manici52. [App. n. 38] 7) 947-952 Tazze dipinte dette volgarmente delle Baleari 8) 953-7 Vasi varj forse di fabbrica orientale 9) 958-986 Vasi di majolica dipinti. Scaffale III 10) 1248-9 Piatti di majolica con ornati color di oro. Nel secondo iscrizione ‘In principium erat verbum…’53 [App. n. 37] 11) 1264 Avorio: 0,09 d. 0,10 Scatola circolare con ornati a traforo e con 2 righi di iscrizione Araba54 [App. n. 36] 49 Bacino con piede: Staacke, I metalli mamelucchi, n. 6, pp. 72-75; Staacke, Le raccolte islamiche, II. 8, pp. 189-190. 50 Staacke, I metalli mamelucchi, n. 10, pp. 88-91; Staacke, Le raccolte islamiche, n. II, 7, pp. 188-189. 51 I pezzi elencati dal Salinas in questa sezione dal n. 5 al n. 15 si trovano in parte alla Galleria regionale di Palazzo Abatellis, esposti o conservati nei magazzini e in parte esposti al Museo della Zisa. 52 Alcuni di questi vasi sono stati pubblicati in Curatola, Il periodo ottomano, n. 235 a, b, c, p. 387 e Staacke, Le raccolte islamiche: II, 12, 13, 14, 15 a-b, 16, 17, pp. 192-195. Vedi pure Amari, Storia dei musulmani, III, p. 817 e p. 818, nota 1. 53 Il secondo figura in Staacke, Le raccolte islamiche, II, 5, p. 187. 54 Contadini, La Spagna, n. 32, pp. 115-6; Staacke, Le raccolte islamiche, n. II. 3, p. 186. Sicuramente la stessa scatola d’avorio che il Dufourny, alla fine del sec. XVIII, vide nella casa del falsario Vella (Dufourny, Diario, pp. 276-277 e p. 281: sono grata per questo prezioso dettaglio a Silvia Armando) e che, circa mezzo secolo dopo, su richiesta di Lorenzo Cottù marchese di Roccaforte, il Mortillaro interpretò, come attesta una sua lettera indirizzata all’orientalista Antoine-Isaac Silvestre, barone di de Sacy (Parigi, 1758-1838), vedi Mortillaro, Lettera VII , pp. 230-231. A quale titolo il falsario abbia detenuto il prezioso cimelio eburneo non è dato sapere, ma si può ragionevolmente supporre che questo, ed altri pezzi con iscrizioni arabe ancora più pregiati, come il celebre bauletto d’avorio incrostato appartenente al tesoro della Cappella Palatina (Armando, La cassetta incrostata, pp. 91-93), gli venissero affidati, per ottenerne la decifrazione, negli anni in cui la sua perizia e la sua onestà non erano state ancora messe in discussione. Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 111 12) 1283 coppa con ornati e dischi. Araba d.0,0955 13) 1286 incensiere 14) 1290 coppa araba con coperchio adorna di ornati d. 0,125 15) 1291 coppa con ornati e dischi. Araba 0,15 16) 1302 Cammeo in diaspro [App. n. 35] Scaffale VI 17) 1379-1453 Pietre incise e paste Monete: armadio 18) Tav. XXIV Arabe, Turche e Normanne Oro .................................... 2 Argento o biglione ....... 30 Rame ............................... 24 Paste vitree.................... 13 Sulla base dei dati forniti da Salinas, la collezione islamica di S. Martino risulta quantitativamente e qualitativamente più ricca della collezione dei Gesuiti poiché alle epigrafi sepolcrali ed ai metalli ageminati provenienti dall’area mamelucca, aggiungeva, tra l’altro, la preziosa scatola eburnea iscritta e una raccolta di ceramiche ben più raffinate. Inoltre il suo medagliere conservava gemme intagliate, una trentina di monete di metallo prezioso e gettoni in pasta vitrea, anche se, ancora una volta, dobbiamo rassegnarci all’impossibilità di identificarne l’esatta tipologia data la genericità della descrizione. La sezione islamica del Regio Museo Nazionale all’Olivella Passarono diversi anni prima che gli oggetti del Martiniano, come del resto quelli del Salnitriano, venissero esposti nel nuovo Museo dell’Olivella. La responsabilità del ritardo e i furti che ne derivarono56, sono addebitabili all’inefficienza del primo direttore della nuova sede, il cavaliere Giovanni Fraccia, cui spettò, tra il 1867 e il 1873, sovraintendere alla fase di trasformazione e di adattamento dell’edificio alla funzione museale57. La mediocre prestazione fornita ne determinò presto la destituzione e la sostituzione con Antonino Salinas allora docente di archeologia presso la Regia Università di Palermo. Il Salinas affrontò con passione, autorevolezza e dedizione assoluta il gravoso compito, proponendosi: a) Di rendere fruibile al pubblico in tempi brevissimi tutto il materiale che, ancora dopo sette anni dall’inaugurazione del Museo, giaceva immagazzinato in vari depositi cittadini. 55 La generica descrizione dei nn. 12, 13 e 15 non consente l’identificazione. Vedi supra nota 36. 57 Salinas, Relazione, p. 256. 56 112 Maria Amalia De Luca b) Di allestire una ‘sala araba’ dove esibire i manufatti islamici già in possesso del Museo e quelli che, instancabilmente e febbrilmente, si diede in seguito a reperire e, ove possibile, ad acquisire, perlustrando l’intero territorio siciliano58. c) Di pubblicare un corpus di tutte le iscrizioni in arabo presenti in Italia e risalenti al periodo della dominazione dei Musulmani e a quella successiva dei Normanni, affidandone la stesura al Prof. Amari. d) Di realizzare disegni, calchi e foto di tutto il materiale islamico censito, da utilizzare, in parte e nell’immediato, per la stampa e le illustrazioni del suddetto corpus, e da conservare in blocco, in una sezione del Museo appositamente creata, affinché rimanessero, in futuro, a disposizione di tutti gli studiosi della materia. Già nel 1875, a due anni dalla nomina, appaiono evidenti i primi concreti risultati conseguiti dal neo-Direttore, nella realizzazione dei suoi progetti. Una Breve guida del Museo da lui stesso redatta in quell’anno ci fornisce infatti dettagli minuziosi sulla collocazione delle testimonianze islamiche59, dai quali desumiamo come al piano terra, nel cortile con la fontana del Tritone, fossero esposti, sul lato destro, materiali lapidei iscritti in arabo cioè 1) i conci di tufo facenti un tempo parte del coronamento della Cuba [App. n. 2]60; 2) le due «colonne con epigrafe araba, dalla Chiesa demolita di S. Giacomo la Mazara» [App. n. 5 e n. 6]61; 3) le due iscrizioni di Anna e Drogo [App. n. 17 e n. 18]; 4) la lastra intarsiata con marmi policromi rinvenuta nel sotterraneo della Cappella Palatina [App. n. 1]62; 5) quella rinvenuta nello stesso convento dell’Olivella [App. n. 25]; 6) la stele inedita del Salnitriano [App. n. 14]63; 7) altre, non precisate, lastre di marmo, stele sepolcrali, con 58 Il 14 aprile del 1874 il Salinas scrive all’Amari: «… noi abbiamo diritto di avere nel Museo di Palermo una sala araba e l’avremo», Salinas, Lettere, n. 66, p. 107. 59 Salinas, Breve guida: piano terra, pp. 7-9; piano primo, pp. 21-23 e pp. 25-28, dove ho reperito le indicazioni e le citazioni seguenti. 60 Le cosiddette ‘pietre scompagne’ che un tempo avevano fatto parte dell’iscrizione posta a coronamento della Cuba, su cui Amari, Frammenti, pp. 333-339 ed EAS I, n. XI. Per una nuova interpretazione di questa iscrizione e per le complesse vicende dei suoi frammenti: De Luca, Una proposta. Riferimenti alla iscrizione e al suo calco ricorrono sovente nel carteggio SalinasAmari, soprattutto nelle lettere degli anni 1873 (Salinas, Lettere, nn. 53, 57 e allegato, 60, 62 e 63); 1874 (ibid., nn. 66, 67, 69, 72); 1875 (ibid., n. 74, 75) e 1876 (ibid. n. 80). Il calco dell’iscrizione della Cuba fatto eseguire dal Salinas, un tempo collocato in cima lungo le pareti della Sala Araba del R. Museo, attualmente è esposto nella sala attigua al monumento. 61 EAS I, n. XIV e n. XV: la prima è oggi alla Galleria regionale di Palazzo Abatellis (inv. 282-5101) mentre la seconda è stata, alquanto arbitrariamente, trasferita ed esposta nella sala, detta di S. Cecilia, presso la Chiesa della Magione. 62 Alla lastra si era aggiunto nel 1874, il frammento ritrovato nei magazzini del Palazzo dei Normanni [App. n. 28; vedi nota 35]. 63 EAS II, n. XIX. Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 113 iscrizioni cufiche sospese alla parete, presumibilmente quelle provenienti dalla BCP, dal Martiniano, le restanti del Salnitriano e una stele acquistata a Pantelleria [App. n. 20] da Saverio Cavallari nel 187464. Al piano primo, nella ‘Galleria del Medioevo’, Salinas aveva invece esposto, in alto, il calco integrale della «iscrizione arabica scolpita in cima al castello della Cuba, presso Palermo»65. Contigua alla galleria, vi era già una esclusiva ‘Stanza degli oggetti arabi’, al centro della quale troneggiavano i più pregevoli metalli mamelucchi provenienti dal Salnitriano e dal Martiniano («Grandi dischi, bracieri e tavole di ottone adorni di vaghissimi ornati e di iscrizioni arabiche»). In alto, su una parete, era visibile la «copia eseguita dal Prof. G. Patricolo66 dell’iscrizione arabica dipinta sopra tavole da lui scoverta all’interno della cupola della Chiesa della Martorana» [App. n. 8]67. Nelle vetrine degli armadi erano custoditi i «vasi di creta bianca di vaghissimo lavoro e di una leggerezza meravigliosa» [App. n. 38] già descritti nell’elenco degli oggetti ereditati dal Museo di S. Martino al n. 6, mentre sugli scaffali erano allineati «i vasi con iscrizioni fabbricati dal celebre falsificatore abate Vella»68 [App. n. 40]; le altre coppe di metallo mamelucche (elenco del Martiniano nn. 12-15) e la preziosa «profumiera di avorio con 64 Saverio Cavallari (1808-1896), al pari del Salinas, amico, corrispondente e ‘luogotenente’ dell’Amari in Sicilia, fu Direttore delle Antichità di Sicilia per venti anni, dal 1864 al 1884. Le lettere da lui scritte ad Amari sono state edite in Cianciolo Cosentino, L’architetto e l’arabista. Cavallari prese parte ad una ricognizione archeologica nell’isola di Pantelleria (vedi la lettera del 14 aprile 1874 in Salinas, Lettere, n. 66 p. 108 e nota 6). Frutto di tale ricognizione furono due epigrafi arabe. La prima, sepolcrale, riportata in appendice al n. 20, corrisponde ad EAS II, n. XXXIII. Riguardo alla seconda (la cui esistenza è attestata dalla lettera del 16 luglio 1874, in Salinas, Lettere, n. 67 p. 111, e dalla lettera del 4 settembre 1874, ibid., n. 69, p.115), essa fu da me, in un primo tempo ritenuta dispersa. Tuttavia, per merito della preziosissima segnalazione (fornitami da Agostino Giuliano, cui sono molto grata) di una stampa conservata nell’archivio del Museo Salinas di Palermo in cui, con didascalia «Iscrizioni arabiche di Pantelleria», sono raffigurate sia l’epigrafe sepolcrale [App. n. 20] sia un’altra presente attualmente tra quelle custodite a Palazzo Abatellis, la seconda epigrafe di Pantelleria potrebbe, oggi, identificarsi con quest’ultima. L’iscrizione, riporta la professione di fede musulmana e, presumibilmente, non fu inserita da Amari in EAS perché di difficile inquadramento tipologico e cronologico e pertanto di minore interesse storico. 65 Vedi nota 60. 66 Giuseppe Patricolo (Palermo 1834-1905), architetto al quale si deve il restauro, alla fine del XIX secolo, di importanti edifici normanni di Palermo quali le Chiese di S. Spirito, San Giovanni degli Eremiti, Santa Maria dell’Ammiraglio etc. Ricoprì inoltre, dal 1884 al 1905, la carica di ‘direttore artistico dei monumenti’ e ‘direttore degli uffici regii per la conservazione dei monumenti’ della Sicilia. 67 L’iscrizione, illustrata in EAS, I, n. XXIV, fu scoperta nel 1871; Salinas, Lettere, n. 42, p. 63; altri accenni ricorrono in quasi tutte le lettere scritte tra il 1871 e il 1872. L’originale è attualmente in situ, mentre della copia, seppure ancora esistente, non si conosce l’ubicazione. 68 Ibid., 1985, n. 76, p. 129 e Salinas, Notamento, p. 4. A detta del Salinas, il Vella avrebbe pasticciato due autentici vasi islamici, aggiungendovi iscrizioni lunghe e larghe e ne avrebbe fabbricato di sana pianta ben tre che avrebbe poi dipinto ispirandosi ai sottili vasi di creta bianca custoditi nell’abbazia di San Martino. 114 Maria Amalia De Luca lavori a traforo ed epigrafi» [App. n. 36; supra elenco martiniano n. 11] e vari «strumenti astronomici fra i quali un astrolabio col nome dell’autore Hâmid-ibn-Ali e l’anno 343 dell’egira (954-955)» [App. n. 41]69. Nella stanza figuravano anche «vasi di creta rossa» e «i due piatti a smalto dorato della fabbrica detta volgarmente ispanoaraba» [App. n. 37; elenco del Martiniano n. 5 e n. 10] e infine i «vasi ordinarj di argilla rinvenuti nelle volte della Chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio o della Martorana»70. Questa dunque era grosso modo la fisionomia della sezione islamica del R. Museo Nazionale all’epoca in cui il Lagumina iniziò la sua cooperazione con il Salinas; è facilmente intuibile che, da allora in poi, in virtù del suo incarico ufficiale di ispettore, egli abbia preso parte attiva nell’opera di catalogazione e di graduale accrescimento che interessò la sezione in questione. A distanza di sette anni, nel 1882, il Salinas pubblica una nuova guida del Museo dalla quale la composizione e la distribuzione degli oggetti islamici risulta sostanzialmente invariata da quella del 1875 anche se vi è esplicitamente annunciato che i locali dedicati al patrimonio musulmano sono in fase di ristrutturazione. In realtà la guida del 1882, forse data alle stampe frettolosamente, tralascia di menzionare alcune importantissime acquisizioni realizzatesi nel frattempo. Il carteggio con l’Amari infatti ci attesta l’ingresso al Museo, nel 1875, della colonna iscritta della facciata della Chiesa di S. Francesco [App. n. 7]71 e, nel 1876, di un gesso con pseudo-iscrizione araba venuto alla luce in un vano di finestra antica nella Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti, analogo a quello precedentemente ritrovato durante i restauri della Chiesa della Martorana72. 69 Mortillaro, Illustrazione di un astrolabio, pp. 110-135 e Amari, Storia dei musulmani, vol. I, p. 13, nota 2 e p. 24. L’astrolabio in questione, ai tempi in cui lo studiò Mortillaro ancora di proprietà del Sig. Camarrone, fu in seguito acquistato dal R. Museo Nazionale ed ivi custodito almeno fino al 1935 (n. inv. 2131) secondo quanto si attesta in Caldo, Astrolabi, pp. 406-410 (gentilmente segnalatomi da G. Truffa). Riguardo agli altri strumenti astronomici cui accenna genericamente Salinas potrebbero in parte identificarsi con quelli precedentemente posseduti dai Padri Filippini nel convento dell’Olivella e quindi confluiti, nel 1866 nel R. Museo Nazionale, ai quali fa esplicito riferimento lo stesso Mortillaro nella nota 5 di p. 133. 70 Questi vasi, come il Salinas aggiunge, «Hanno ornati e singole lettere imitanti forme dell’alfabeto arabico. Questi vasi, tutti difettosi da tempo antico, furono adoperati per riempire il vuoto fra le volte della Chiesa e il terrazzo soprastante il cortile». Per le vicende relative al rinvenimento del 1871 e a quello contemporaneo, pure alla Martorana, di una iscrizione in gesso: Salinas, Lettere, n. 40, p. 60. Parte dei vasi, insieme ad altri interessanti materiali relativi al monumento, sono stati recentemente (2014) collocati in una sala espositiva attigua alla Chiesa. 71 EAS II, n. XX. Questa colonna era stata ritrovata ai primi del ‘700 nella cucina del convento di San Francesco e in seguito arbitrariamente collocata a fianco del portale della sua chiesa; Salinas, Lettere, n. 75 del 26-4-1875, p. 127; Morso, Descrizione, p. 259 e Tav. 12. 72 Salinas, Lettere, n. 80 del 28-10-1976, p. 140 e post scriptum; Salinas, Notamento, p. 5 inserito nell’elenco degli oggetti orientali da inviare al IV Congresso internazionale degli orientalisti tenutosi nel settembre del 1878 a Firenze; Scerrato, Arte Islamica, p. 344-345. Gli stucchi sono custoditi alla Galleria regionale di Palazzo Abatellis e al Museo della Zisa. Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 115 Allo stesso periodo risalgono la esecuzione e la raccolta nel Museo di «buoni e durevoli calchi in gesso di tutte le iscrizioni arabiche sparse per la città o fuori anche di questa»73 come quelli delle epigrafi di Cefalù, Termini Imerese, Trapani, Marsala, Messina, Siracusa, Napoli, Verona, etc. Al 1883 si data l’acquisizione di parte della collezione appartenuta al Vella: «un certo numero di coppe di ottone» [App. n. 39] e perfino un ritratto dell’abile falsario che Salinas così definisce «È una testa che risponde bene alla sua storia e ne farò una delle curiosità biografiche del mio Museo»74. L’anno successivo il Museo Nazionale riportò un altro grande successo, assicurando alla ‘Sala Araba’ uno dei suoi pezzi più preziosi e sicuramente il più suggestivo, ossia il celebre vaso tipo Alhambra, alto ben m. 1,28, già proprietà del vescovo di Mazara [App. n. 42]75. Nello stesso anno venne acquistata, nei pressi di Selinunte, «una grandissima anfora, molto panciuta, con due manichi ricurvi» sui quali sono tracciati dei graffiti in arabo76 e numerosi vasi di ottone ageminato. In questo periodo il Lagumina concentra i suoi sforzi scientifici soprattutto sul settore paleografico e, al contempo, si accosta a quello numismatico, cimentandosi nella catalogazione delle monete islamiche che il Medagliere del Museo Nazionale introitava a pieno ritmo. Nel 1889, quando ormai la sezione islamica del R. Museo Nazionale di Palermo era una realtà consolidata ed in continua espansione77, improvvisamente, 73 Salinas, Lettere, n. 84, p. 147; n. 85, p. 149 e n. 86, p. 150. Ibid., n. 180, p. 253. Dai registri di carico del Museo risulta infatti l’acquisto di circa 18 metalli niellati nell’anno 1883 destinati alla ‘Sala Araba’ e alla ‘Sala dei Bronzi’. Questi oggetti dovrebbero rientrare tra quelli attualmente custoditi presso la Galleria regionale di Palazzo Abatellis o esposti al Museo della Zisa. La loro singola identificazione purtroppo non è oggi possibile, come si rileva da Staacke, I metalli mamelucchi, p. 12. La collezione di metalli del Vella, cui si fa diffusamente cenno in Dufourny, Diario, era stata custodita, durante la prigionia del maltese, al Museo Martiniano (Graditi, Il Museo ritrovato, p.67) per poi essergli restituita all’uscita dal carcere. 75 Salinas, Lettere, n. 189, p. 260 e n. 190, p. 262. Una precedente allusione al vaso è contenuta già in una lettera del 1879, n. 92, p. 157). Per le varie edizioni vedi Torre, La Spagna, n. 200, p. 341. Il vaso è attualmente esposto alla Galleria regionale di Palazzo Abatellis. 76 Salinas, Lettere, n. 190, p. 261. 77 Il Museo Nazionale tra la fine del XIX e i primi decenni del XX sec. continuò ad incamerare oggetti islamici ma, poiché essi non rientrano, fatta eccezione per le due colonne iscritte dalla Chiesa dell’ex monastero delle Vergini [App. n. 3 e n. 4], tra quelli catalogati o studiati dal Lagumina, mi limito qui alla sola menzione dei numerosi metalli ageminati e soprattutto degli eterogenei oggetti donati tra il 1901 e il 1903 dai fratelli Giuseppe e Nicola Iacovelli: «si va dalle lapidi funerarie in marmo, a un esemplare di Kilga – un supporto per giare comprensivo di sistema di filtraggio dell’acqua – da lampade in bronzo a vassoi di rame, da svariati esemplari di mattonelle decorate a una estesa varietà di mobilio in legno soprattutto qamriyyeh e mašrabiyyeh, gelosie e divisori in legno traforato», Paribeni, Dal Cairo, p. 51. In un elenco manoscritto conservato nel faldone n. 739 dell’Archivio Storico dell’attuale Museo archeologico ‘A. Salinas’, 74 116 Maria Amalia De Luca moriva M. Amari, colui che più di tutti, in quella collezione, aveva prodigato la sua competenza scientifica e la sua autorità politica. Alla morte del grande arabista, la ‘Sala Araba’ aveva probabilmente già assunto il pletorico ma fascinoso aspetto che ancora ci seduce attraverso le foto scattate tra la fine del XIX e i primi del XX secolo [fig. 1] ed erano ormai trascorsi tre lustri dalla stesura della lettera di presentazione del Salinas: in quel fruttuoso quindicennio, il povero scolare Lagumina si era trasformato in un valente paleografo e valente epigrafista, apprestandosi a diventare un ancor più valente numismatico78. Le collezioni islamiche. Edizione e riproduzione L’attività del Salinas e del Lagumina nel corso degli anni ’70 e ’80 non si limitò al recupero e al censimento delle testimonianze islamiche siciliane, ma ad essi affiancò un progetto – per nostra fortuna più duraturo – cioè lo studio, condotto da M. Amari, e la pubblicazione integrale delle iscrizioni arabe medievali reperite sul territorio nazionale. La pubblicazione del corpus prese l’avvio con le epigrafi edili per passare poi alle sepolcrali ed ebbe inizio nel 1869 attraverso i fascicoli della Rivista Sicula (Palermo, 18691872). Estintasi questa testata, l’incarico fu assunto dall’editore palermitano Pedone che, nel 1875, provvide a rieditare in un unico volume tutte le epigrafi edili (I-XXV). In seguito fu la Società Siciliana per la Storia Patria a prendersi carico del proseguimento dell’opera, «facendo ristampare i numeri della II parte [ossia le Sepolcrali] usciti nella Rivista e aggiungendovi il seguito (N. XXXII a LII)»79. La stampa fu incautamente affidata alla tipografia Virzì e procedette con esasperante lentezza. Il paziente contributo prestato dal Lagumina in questa fase è testimoniato dall’esplicita dichiarazione di gratitudine dell’Amari: «Debbo ancora ringraziare lui [Salinas] e il Professore B. Lagumina, assistente al Museo, che hanno per cortesia loro vegliato su la stampa l’uno dell’italiano e l’altro dello arabico»80 e dalle frequenti allusioni contenute nelle lettere spedite dal Salinas all’Amari81 e, in particolare, in una lettera del 7 marzo 1881, in cui il Salinas, lagnandosi dei ritardi accumulati dalla tipografia, specifica che: Il p. Lagumina si assunse la cura di educare un nuovo compositore e ordinare le casse del carattere e ora pare che il nuovo alunno… sia in grado di muoversi. Io si fa presumibilmente riferimento alla donazione Iacovelli. In quanto alle epigrafi funerarie citate dal Paribeni, esse sono quelle edite in Grassi, Iscrizioni [App. nn. 43-49]. 78 Per le opere del Lagumina di argomento epigrafico, qui non illustrate perché riguardanti oggetti di altre collezioni, si veda la bibliografia finale; per le opere di argomento numismatico si veda De Luca, Il Medagliere. 79 EAS II, ‘Avvertenza’ datata giugno 1881, p. 141. 80 Ibid., p. 142. 81 Salinas, Lettere, n. 87 (del 5-7-1878), p. 151; n. 91 (del 15-11-1878), p. 154; n. 104 (del 199-1879), p. 169; n. 110 (del 27-1-1880), p. 179; n. 129 (del 17-12-1880), p. 200. Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 117 da parte mia avevo rimesso ogni cosa alla Società [di Storia Patria], perché fosse provveduto in via giudiziaria a termine di contratto, ma il Lagumina mi ha fatto desistere assicurandomi che ne rispondesse egli stesso.82 In effetti nella seguente lettera del 18 marzo1881 si conferma il provvidenziale intervento del Lagumina nella correzione definitiva della bozza finale83. Già all’indomani della laboriosa pubblicazione della ‘Parte seconda’, si iniziò a programmare e a produrre la terza, consacrata alle epigrafi domestiche. A riguardo ci è pervenuta un’interessantissima testimonianza inedita dalla quale si evince come l’Amari abbia invitato il giovane Lagumina a farsene in parte carico al posto suo, ritenendolo evidentemente ormai perfettamente in grado di affrontare prove così impegnative. Si tratta di una lettera spedita ad Amari il 24 luglio 1883 in cui il Lagumina ricusa, con cortesia ed ammirevole modestia, la lusinghiera offerta: Debbo vivamente ringraziarla della proposta ch’Ella mi fa di addossarmi sulle spalle la pubblicazione della suppellettile del Museo da entrare nella terza parte delle sue Epigrafi. Per me sarebbe cosa impossibile, per la ragione semplicissima che non ho avuto mai occasione di studiare quella classe di Monumenti. Mi onori dunque solamente della correzione delle bozze di stampe e questo mi sarà di lezione, come mi è stato la correzione della stampa della seconda parte delle Epigrafi84. L’edizione della ‘Parte terza’ fu nuovamente promossa dalla Società Siciliana per la Storia Patria85 e condotta a termine nel 1885. Ancora una volta, l’apporto del Lagumina, nella revisione del testo e nella sorveglianza del processo di stampa, fu di fondamentale importanza, come ci attestano i continui riferimenti delle lettere scritte tra il 1883 e il 1884 dal Lagumina all’Amari. La realizzazione dell’apparato illustrativo del corpus epigrafico offrì contemporaneamente al Salinas l’opportunità di dotare il suo Museo di una esauriente serie di calchi in gesso, disegni e foto delle epigrafi arabe siciliane. Era infatti convinzione del Salinas che un museo dovesse disporre di riproduzioni utili a soddisfare le esigenze degli studiosi come, ripetutamente e con veemenza, ebbe ad affermare86. 82 Ibid., n. 133 (del 7-3-1881), p. 205. Ibid., n. 134, p. 207; a riguardo si vedano infine la n. 138, p. 211 e la n. 140, p. 213. 84 La lettera fa parte di un gruppo di 33 lettere inedite scritte da Lagumina ad Amari tra il 1879 e il 1889 – gentilmente segnalatemi da Giuseppe Mandalà che qui ringrazio vivamente – custodite presso la Biblioteca Centrale di Palermo (per la lettera citata: Palermo, Biblioteca centrale della Regione siciliana ‘A. Bombace’, sezione Fondi antichi, Carteggio Amari LVII n. 4405). In effetti in quasi tutte le successive lettere del gruppo, ho trovato preziosi riferimenti alla collaborazione prestata dal Lagumina nella fase di correzione e di stampa del testo amariano di EAS III, nonché alcune notizie di carattere numismatico riportate in De Luca, Il Medagliere. 85 Ibid., n. 180, p. 252. 86 Salinas, Del Museo Nazionale di Palermo, pp. 56-58 e, a titolo di esempio tra i tantissimi accenni sparsi nel carteggio, Lettere, n. 85 (del 31-12-1877), p. 149. 83 118 Maria Amalia De Luca Malauguratamente non tutte le riproduzioni di oggetti islamici eseguite dal Salinas sono pervenute sino a noi e quelle superstiti sono ormai disperse in varie sedi87. Il contributo di Lagumina dopo il 1889 Scomparso l’Amari nel 1889, toccò al Lagumina il compito di pubblicare i nuovi materiali epigrafici via, via confluiti nel Museo a seguito di fortuiti ritrovamenti o di perfezionare quanto precedentemente pubblicato. Ciò si verificò, ad esempio, nel 1890 quando al Lagumina riuscì di individuare l’esatta lettura del testo in caratteri ebraici della epigrafe sepolcrale quadrilingue di Anna [App. n. 17], sciogliendo definitivamente l’enigma di natura cronologica che a lungo aveva afflitto sia il Morso (1766-1828)88 che l’Ugdulena, costringendo l’Amari a formulare improbabili congetture89. I tre studiosi non erano riusciti a spiegare esaurientemente come mai nella lapide di una donna passata a miglior vita nel 1149, cioè all’epoca di Ruggero II, il figlio Grisanto si definisse invece, nella sezione scritta in caratteri ebraici, chierico di re Guglielmo, salito al trono solo nel 1151. La soluzione venne fornita, con l’usuale tatto e modestia, dal Lagumina «e se io posso affermare di essere riuscito a cavare la giusta lezione loro, deve attribuirsi alla circostanza che essendo io impiegato al Museo di Palermo, ho spesso sott’occhio la lapida originale e per conseguenza l’agio di studiarla molto più comodamente dei nostri prelodati orientalisti, il Morso e l’Ugdulena»90. Il Lagumina seppe infatti con argomenti convincenti sostituire la lezione precedente con: «prete del gran Re Signore (al posto di Guglielmo) d’Italia», dissipando così ogni perplessità. Nel 1893, il Lagumina, reduce dalla sua più importante fatica, il riordino e lo studio del Medagliere della BCP91 ritornò alla epigrafia con l’edizione di una iscrizione in marmo policromo [App. n. 27: m 1,90×0,32×0,06], assai simile a quella precedentemente donata al Museo dal Re Vittorio Emanuele II [vedi supra e App. n. 1], affiorata dietro uno zoccolo di marmo che bloccava l’accesso alla cripta dalla navata meridionale della Cappella Palatina92. Nel 1898, dopo cinque anni di ricerca, consacrati soprattutto ad argomenti di carattere numismatico, giunse la nomina a vescovo di Agrigento, dove il neo87 Buona parte si trova ancora nei magazzini del Palazzo Abatellis e qualcuna presso l’Accademia delle Belle Arti. Alcuni disegni si conservano nell’Archivio dell’attuale Museo archeologico ‘A. Salinas’ mentre nella Biblioteca Centrale ‘A. Bombace’ della Regione Siciliana è custodita una cassetta con le riproduzioni inviate in esame ad Amari. 88 Salvatore Morso (1766-1828), succeduto al Vella nel 1797 quale titolare della cattedra di Arabo; Bruno, Morso; De Luca, A proposito di un fanale, pp. 28-33. Per l’epigrafe in questione vedi Morso, Memoria sulla Chiesa di S. Michele Arcangelo. 89 EAS II, XXVII, pp. 201-212. 90 Lagumina, Nota, p. 108. 91 Lagumina, Catalogo. 92 Lagumina, Iscrizione araba del re Ruggero; Johns, Scheda VIII, 1, pp. 498-501. Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 119 presule si trasferì per assolvere ai doveri della sua carica ecclesiastica. L’avvenimento pose fine all’impiego di ispettore, ma non interruppe affatto la collaborazione con il R. Museo Nazionale e, meno che mai, la sua attività di studioso. All’anno seguente infatti risale la pubblicazione di quella che è da considerarsi la più antica iscrizione edile della Palermo araba a noi giunta [App. n. 29]. Si tratta di un grosso concio di tufo di cm 83×38 venuto alla luce nel settembre del 1897 a Palermo, in fondo al cortiletto di una abitazione sita al n. 34 di Via del Parlamento e contigua al portone del convento di S. Francesco. Esso faceva parte di un muro, costruito con conci simili ma senza tracce di iscrizioni, posto in direzione est-ovest. Il Lagumina, dopo avere esaminato il frammento, ne fornì la lettura, ipotizzando che esso potesse aver fatto parte di una delle quattro porte della muraglia settentrionale della cittadella fatimita della Ḫāliṣa, fondata nel 937-93893. Questa preziosa iscrizione, a detta del Lagumina subito acquistata dal Museo Nazionale, purtroppo risulta attualmente irreperibile. Nello stesso saggio del 1899 il Lagumina editò due iscrizioni sepolcrali. La prima [App. n. 30] era stata rinvenuta in un giardino di via Cuba sullo stradone tra Palermo e Monreale e donata dal proprietario, Nicolò Santonocito, al Museo. La stele, di forma prismatica (cm 40×24) denuncia una splendida fattura che il Lagumina, in mancanza di dati cronologici certi rilevabili dalla iscrizione, ipotizza ascrivibile al IV-V sec. dell’Egira (sec. XI-XII d.C.)94. La seconda [App. n. 31] invece proviene da Sciacca ed era stata offerta al Museo da tal Cesare De Stefani che l’aveva trovata nella propria casa: consiste in una mezza colonna di marmo (cm 29×12), in cattive condizioni e di grossolana fattura, secondo il Lagumina, risalente a tarda età normanna95. Negli anni seguenti la produzione scientifica del Lagumina si dirada a causa degli incalzanti impegni di vescovo: nel 1901 pubblica un peso arabo di piombo96, introitato dal Salinas nel Medagliere del Museo, rinvenuto ad Agrigento nell’area di S. Leone, corrispondente all’antico porto della città. Lo stesso luogo che, a distanza di due anni, restituirà il prezioso ripostiglio di monete islamiche97, il cui acquisto Lagumina curerà per la BCP. L’ultimo suo contributo, ancora una volta epigrafico, sarà dedicato ad una iscrizione graffita ritrovata a Linosa risalente al X secolo98. Trattandosi questi ultimi di ritrovamenti per lo più di carattere numismatico o non pertinenti al patrimonio del Museo Nazionale, li menziono solo per testimoniare che l’interesse del Lagumina per la ricerca e il suo impegno per la 93 Lagumina, Iscrizione edile araba, pp. 305-306. L’ipotesi del Lagumina mantiene ancor oggi una sua validità secondo Bagnera, The Urban Evolution, p. 81. 94 Lagumina, Iscrizione sepolcrale araba, pp. 306-308. 95 Ibid., pp. 308-309. 96 Lagumina, Un peso arabo. 97 Lagumina, Ripostiglio. 98 Lagumina, Iscrizione araba di Linosa. 120 Maria Amalia De Luca salvaguardia del patrimonio islamico siciliano non vennero mai meno, neanche negli anni della più intensa attività ecclesiastica, e lo accompagnarono fino alla morte. La dispersione della collezione islamica del R. Museo Nazionale La collezione islamica del Museo Nazionale oggi, di fatto, non esiste più perché è stata smembrata e distribuita in varie sedi. Dopo la seconda guerra mondiale, quando il patrimonio del museo, ricoverato temporaneamente all’interno dell’abbazia di S. Martino per essere sottratto ai bombardamenti su Palermo, fece rientro al Museo Nazionale, gli oggetti islamici rimasero imballati nelle loro casse. Si era infatti ormai deciso di destinare la sede dell’Olivella esclusivamente alle testimonianze dell’evo antico: la pinacoteca e gli oggetti medievali pertanto vennero trasferiti alla Galleria regionale di Palazzo Abatellis, inaugurata il 23 giugno del 1954. L’allestimento di questa nuova sede museale, curato con gran successo dall’architetto Carlo Scarpa (1906-1978), incluse pochissimi pezzi islamici, sicuramente i più appariscenti e i più scenografici. Del restante patrimonio afferente alla ‘Sala Araba’, parte venne riposta nei magazzini del Museo (i metalli mamelucchi e le ceramiche) e parte (le epigrafi, gli elementi edili e i gessi) fu trasferita nella chiesa di San Giovanni degli Eremiti e lì malamente esposta, in attesa della creazione di un museo riservato esclusivamente all’arte islamica: progetto accarezzato e caldeggiato, nella seconda metà del secolo scorso, da vari illustri uomini di cultura e in primis dal professore Umberto Rizzitano (19131980) allora ordinario di Lingua araba presso l’Università di Palermo. All’inizio degli anni ’90 finalmente, una volta restaurato il palazzo normanno della Zisa, alcuni oggetti della collezione del R. Museo (la quadrilingue, qualche metallo, molta ceramica e numerose finestre lignee tra quelle donate dagli Iacovelli) trovarono in esso una degna cornice seppure in una promiscuità di tipologie, epoche e provenienze che disorienta non poco il visitatore meno smaliziato. I reperti scartati e le riproduzioni in gesso vennero invece riportati alla Galleria regionale di Palazzo Abatellis e lì ‘provvisoriamente’ depositati: i calchi finirono nei magazzini, mentre le epigrafi furono confinate nella loggetta laterale a sinistra del grande portone di ingresso. Al momento in cui scrivo, a distanza di più di vent’anni, esse giacciono ancora là annerite dalle intemperie e confusamente ammassate sul pavimento senza ordine né adeguate didascalie, malgrado il loro valore storico-artistico e in spregio all’impegno e all’abnegazione con cui l’Amari, il Lagumina e il Salinas le raccolsero e le studiarono affinché raccontassero ai posteri il passato islamico della Sicilia. Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 121 Appendice Nella seguente tavola sinottica sono state riassunte le informazioni essenziali relative ai reperti islamici, appartenuti al R. Museo Nazionale, cui si fa riferimento nel testo. Avvertenze: 1) Per esigenze di spazio non tutte le edizioni sono state qui registrate. 2) Per le misure reali degli oggetti è necessario fare riferimento ai valori forniti nella casella ‘misure’, poiché le immagini non rispettano la medesima scala di valori. 3) Gli oggetti attualmente esposti o immagazzinati al Palazzo Abatellis si dividono in due gruppi: a) oggetti musealizzati ed inventariati in occasione dell’inaugurazione della Galleria. b) oggetti pertinenti alla Soprintendenza depositati in un primo tempo presso la Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti e, in seguito, trasferiti alla galleria di Palazzo Abatellis e solo parzialmente esposti. Questi oggetti figuravano in un apposito elenco la cui numerazione nella tavola è riportata fra parentesi e seguita dalla sigla SG. Più recentemente a tali oggetti si è provveduto ad attribuire un nuovo numero di inventario (gentilmente fornitomi dalla Dott. Maria Reginella, cui va la mia gratitudine) che viene riportato nella corrispondente casella. 122 Maria Amalia De Luca Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 123 124 Maria Amalia De Luca Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 125 126 Maria Amalia De Luca Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 127 128 Maria Amalia De Luca Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 129 130 Maria Amalia De Luca Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 131 132 Maria Amalia De Luca Il contributo di Bartolomeo Lagumina alla formazione e allo studio delle collezioni islamiche… 133 134 Maria Amalia De Luca Bibliografia Abbate, Ut mei gazophilacii = Vincenzo Abbate, ‘Ut mei gazophilacii… nova incrementa pernoscere’ S. 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