Una delle personalità più complesse e affascinanti del panorama filosofico del Rinascimento è sen... more Una delle personalità più complesse e affascinanti del panorama filosofico del Rinascimento è senz'altro quella di Teofrasto Paracelso. Nacque a Einsiedeln in Svizzera nel 1493 o 1494, forse il 10 novembre o forse il primo maggio. Figlio di un medico, Guglielmo di Hohenheim, Paracelso visse una vita all'insegna dell'irrequietezza e della critica aggressiva nei confronti della medicina tradizionale, quella galenica insegnata nelle università del suo tempo. Al di là delle scarse notizie che incontriamo negli scritti dello stesso Paracelso, nulla sappiamo della prima parte della sua vita e della sua educazione, sennonché ricevette i primi rudimenti della scienza medica dal proprio padre. Tra i numerosi maestri che contribuirono alla sua formazione, Paracelso ne ricorda per nome cinque: quattro vescovi e un abate, quest'ultimo il famoso arcimago Tritemio di Sponheim, chiamato il Pansophiae splendor magnus. L'abate di Sponhein, l'ideatore della steganografia per intenderci, mirava a raggiungere una «conoscenza universale» attraverso la decifrazione dei simboli che legavano assieme macro e micro cosmo, e la sua influenza riguardo alla riforma della medicina tentata da Teofrasto pare evidente; una riforma che, se da un lato gli procurò l'odio e le persecuzioni dei colleghi medici, dall'altro gli permise, a quanto si diceva, di operare miracolose guarigioni.
Il grande recupero della tradizione platonica, e con essa della prisca philosophia, iniziò signif... more Il grande recupero della tradizione platonica, e con essa della prisca philosophia, iniziò significativamente con la traduzione, sempre per merito del Ficino, dei testi relativi alla gnosi ermetica. Era stato Cosimo il Vecchio a chiedere al giovane Ficino di tradurre gli scritti attribuiti a Ermete Trismegisto, e di farlo prima di iniziare il lavoro su Platone. Da parte di Cosimo vi era certamente grande interesse per i testi ermetici greci, i quali, infatti, furono destinati subito alla traduzione, non appena arrivati in Italia, portati dalla Macedonia da un monaco, Leonardo da Pistoia detto anche Leonardo Macedone. Il manoscritto che il monaco aveva riportato conteneva i primi quattordici trattati del Corpus hermeticum, e il desiderio di conoscere l'antica sophia proveniente dal mitico Egitto doveva essere molto diffuso nell'ambiente fiorentino poiché, subito dopo la traduzione del Ficino, venne immediatamente reso in volgare da Tommaso Benci, nel settembre dello stesso anno, ossia il 1463. Dopo una vasta circolazione manoscritta finalmente nel 1471 si ebbe l'editio princeps del Corpus hermeticum tradotto dal Ficino, stampato per la prima volta a Treviso per i tipi di Van der Leye con il titolo: Pimander: liber de potestate et sapientia Dei, corpus hermeticum I-XIV. Il libro ebbe un'immensa diffusione e uno strepitoso successo: vi furono addirittura ventiquattro edizioni tra il 1471 e il 1641. Nel 1505 Jacques Lefèvre d'Etaples ristampò il Corpus hermeticum, raccogliendo in un solo volume il Poimandres ficiniano e la traduzione dell'Asclepius attribuita ad Apuleio. Erano, infatti, questi due testi ermetici a essere considerati "i più divini" e sarà in questa forma che circolerà in Europa per tutto il Cinquecento e oltre. L'ermetismo si conosceva già nel Medioevo tramite l'Asclepius, la cui traduzione latina veniva erroneamente attribuita ad Apuleio. Questo scritto, che era variamente circolato in Europa, doveva parte della sua fama alle citazioni di Agostino e di Lattanzio. Condannato e considerato testo magico, l'Asclepius fu poi presente massicciamente nella speculazione del XII e XIII secolo, quando cominciarono ad emergere l'interesse per le corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo e la curiosità per i fenomeni naturali. Il Cusano ne era stato un attento lettore, desumendo da quel testo il tema dell'uomo magnum miraculum e incuriosito da quanto il Trismegisto insegnava riguardo ai rapporti tra uomo e Dio. Nell'operetta De beryllo, scritta attorno al 1458, il cardinale di Cusa riportava un'affermazione di Ermete, secondo la quale l'uomo altro non era che un «secondo Dio». Comunque, nel Medioevo, si conoscevano alcuni testi magici riferiti al Trismegisto, in particolare il Picatrix, che a metà del Quattrocento iniziò a circolare in traduzione latina. Una grande attesa, dunque, circondava la riscoperta del Corpus hermeticum, la grande opera del Trismegisto, considerato, per la sua presunta antichità, come fosse una sorta di Bibbia non cristiana, una Genesi pagana dovuta alla rivelazione di colui che ormai tutti consideravano un Mosè Egizio. In effetti, ciò che si ricercava nella rivelazione di Ermete era la certezza che vi fosse una convergenza tra la teologia pagana e una certa visione del cristianesimo. Collocato nella più remota antichità, Trismegisto pareva confermare una visione del mondo e dell'uomo in piena armonia col messaggio di Cristo, come in effetti si leggeva nell'interpretazione che i Dottori della Chiesa, quelli di matrice neoplatonica ovviamente, ne avevano dato. Considerata come l'autentica e più antica rivelazione divina, la gnosi ermetica appariva, nel Quattrocento platonizzante, come una sorta di religione razionale del genere umano, l'origine stessa di tutte le fedi e le dottrine, capace di costituire la sorgente unificatrice di ogni teologia e di ogni filosofia. Era quella la fonte cui avevano attinto Platone e i neoplatonici, i saggi d'Oriente e d'Occidente, l'Egitto e la Grecia.
Una delle personalità più complesse e affascinanti del panorama filosofico del Rinascimento è sen... more Una delle personalità più complesse e affascinanti del panorama filosofico del Rinascimento è senz'altro quella di Teofrasto Paracelso. Nacque a Einsiedeln in Svizzera nel 1493 o 1494, forse il 10 novembre o forse il primo maggio. Figlio di un medico, Guglielmo di Hohenheim, Paracelso visse una vita all'insegna dell'irrequietezza e della critica aggressiva nei confronti della medicina tradizionale, quella galenica insegnata nelle università del suo tempo. Al di là delle scarse notizie che incontriamo negli scritti dello stesso Paracelso, nulla sappiamo della prima parte della sua vita e della sua educazione, sennonché ricevette i primi rudimenti della scienza medica dal proprio padre. Tra i numerosi maestri che contribuirono alla sua formazione, Paracelso ne ricorda per nome cinque: quattro vescovi e un abate, quest'ultimo il famoso arcimago Tritemio di Sponheim, chiamato il Pansophiae splendor magnus. L'abate di Sponhein, l'ideatore della steganografia per intenderci, mirava a raggiungere una «conoscenza universale» attraverso la decifrazione dei simboli che legavano assieme macro e micro cosmo, e la sua influenza riguardo alla riforma della medicina tentata da Teofrasto pare evidente; una riforma che, se da un lato gli procurò l'odio e le persecuzioni dei colleghi medici, dall'altro gli permise, a quanto si diceva, di operare miracolose guarigioni.
Il grande recupero della tradizione platonica, e con essa della prisca philosophia, iniziò signif... more Il grande recupero della tradizione platonica, e con essa della prisca philosophia, iniziò significativamente con la traduzione, sempre per merito del Ficino, dei testi relativi alla gnosi ermetica. Era stato Cosimo il Vecchio a chiedere al giovane Ficino di tradurre gli scritti attribuiti a Ermete Trismegisto, e di farlo prima di iniziare il lavoro su Platone. Da parte di Cosimo vi era certamente grande interesse per i testi ermetici greci, i quali, infatti, furono destinati subito alla traduzione, non appena arrivati in Italia, portati dalla Macedonia da un monaco, Leonardo da Pistoia detto anche Leonardo Macedone. Il manoscritto che il monaco aveva riportato conteneva i primi quattordici trattati del Corpus hermeticum, e il desiderio di conoscere l'antica sophia proveniente dal mitico Egitto doveva essere molto diffuso nell'ambiente fiorentino poiché, subito dopo la traduzione del Ficino, venne immediatamente reso in volgare da Tommaso Benci, nel settembre dello stesso anno, ossia il 1463. Dopo una vasta circolazione manoscritta finalmente nel 1471 si ebbe l'editio princeps del Corpus hermeticum tradotto dal Ficino, stampato per la prima volta a Treviso per i tipi di Van der Leye con il titolo: Pimander: liber de potestate et sapientia Dei, corpus hermeticum I-XIV. Il libro ebbe un'immensa diffusione e uno strepitoso successo: vi furono addirittura ventiquattro edizioni tra il 1471 e il 1641. Nel 1505 Jacques Lefèvre d'Etaples ristampò il Corpus hermeticum, raccogliendo in un solo volume il Poimandres ficiniano e la traduzione dell'Asclepius attribuita ad Apuleio. Erano, infatti, questi due testi ermetici a essere considerati "i più divini" e sarà in questa forma che circolerà in Europa per tutto il Cinquecento e oltre. L'ermetismo si conosceva già nel Medioevo tramite l'Asclepius, la cui traduzione latina veniva erroneamente attribuita ad Apuleio. Questo scritto, che era variamente circolato in Europa, doveva parte della sua fama alle citazioni di Agostino e di Lattanzio. Condannato e considerato testo magico, l'Asclepius fu poi presente massicciamente nella speculazione del XII e XIII secolo, quando cominciarono ad emergere l'interesse per le corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo e la curiosità per i fenomeni naturali. Il Cusano ne era stato un attento lettore, desumendo da quel testo il tema dell'uomo magnum miraculum e incuriosito da quanto il Trismegisto insegnava riguardo ai rapporti tra uomo e Dio. Nell'operetta De beryllo, scritta attorno al 1458, il cardinale di Cusa riportava un'affermazione di Ermete, secondo la quale l'uomo altro non era che un «secondo Dio». Comunque, nel Medioevo, si conoscevano alcuni testi magici riferiti al Trismegisto, in particolare il Picatrix, che a metà del Quattrocento iniziò a circolare in traduzione latina. Una grande attesa, dunque, circondava la riscoperta del Corpus hermeticum, la grande opera del Trismegisto, considerato, per la sua presunta antichità, come fosse una sorta di Bibbia non cristiana, una Genesi pagana dovuta alla rivelazione di colui che ormai tutti consideravano un Mosè Egizio. In effetti, ciò che si ricercava nella rivelazione di Ermete era la certezza che vi fosse una convergenza tra la teologia pagana e una certa visione del cristianesimo. Collocato nella più remota antichità, Trismegisto pareva confermare una visione del mondo e dell'uomo in piena armonia col messaggio di Cristo, come in effetti si leggeva nell'interpretazione che i Dottori della Chiesa, quelli di matrice neoplatonica ovviamente, ne avevano dato. Considerata come l'autentica e più antica rivelazione divina, la gnosi ermetica appariva, nel Quattrocento platonizzante, come una sorta di religione razionale del genere umano, l'origine stessa di tutte le fedi e le dottrine, capace di costituire la sorgente unificatrice di ogni teologia e di ogni filosofia. Era quella la fonte cui avevano attinto Platone e i neoplatonici, i saggi d'Oriente e d'Occidente, l'Egitto e la Grecia.
Il pensiero razionale ponendo la Verità al di sopra della vita contingente, la sottrae alla verif... more Il pensiero razionale ponendo la Verità al di sopra della vita contingente, la sottrae alla verifica esperienziale sottraendo se stesso al divenire. Così si generano degli «scarti» cui non si riesce a dar conto, ossia tutto ciò che di irrazionale irrompe nell'esistenza; scarti che divengono eresia, morbo, deviazione, follia, insomma quel «Male» che, pur non avendo una realtà ontologica, deve essere eliminato, combattuto, rinchiuso in quanto «altro da sé». Il soggetto che qui definiamo «gnostico», spinto a cercare nel mito e nell'utopia la risposta agli interrogativi tragici della propria esistenza, assunse come ineliminabile realtà proprio quel residuo estraniato dal pensiero razionale, cosa che lo portò a porsi la fatidica domanda: unde malum? In questo libro cercherò di definire la figura e il pensiero di questo soggetto, il quale seppe costruire coerenti sistemi di pensiero per rispondere all'angosciosa domanda che ancora oggi si presenta in tutto la sua complessità: Donde e perché il male?
Uploads
Papers by Marco Eggenter