[go: up one dir, main page]

Vai al contenuto

Asia centrale

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Asia centrale
Yurta sul lago Songköl in Kirghizistan
StatiKazakistan (bandiera) Kazakistan
Kirghizistan (bandiera) Kirghizistan
Tagikistan (bandiera) Tagikistan
Turkmenistan (bandiera) Turkmenistan
Uzbekistan (bandiera) Uzbekistan
Superficie4 002 000 km²
Abitanti73 813 330
Densità18 ab./km²

     Asia centrale (Macroregione ONU)

L'Asia centrale è una regione interna dell'Asia, che convenzionalmente va dalla sponda asiatica del mar Caspio alla Cina nord-occidentale. Conosciuta dai Romani con il nome di Transoxiana e chiamata attualmente anche Turkestan Occidentale, la regione comprende cinque Stati, un tempo facenti parte dell'Unione Sovietica e indipendenti dal 1991, di cultura e lingua turca, ad eccezione del Tagikistan, di lingua e cultura persiana. Parte della popolazione pratica ancora oggi il nomadismo e la religione più diffusa è l'islam sunnita.[1]

L'area è caratterizzata da una variegata realtà etnica, geografica e culturale dovuta al susseguirsi di invasioni, migrazioni, stanziamenti di tribù, formazione di città-Stato e vasti imperi: in tempi e geografie diverse la regione venne dominata da Ciro il Grande, dall'Impero macedone di Alessandro Magno, conquistata dalle orde mongole di Gengis Khan e dalla dinastia timuride di Tamerlano, per poi passare infine al dominio russo e poi sovietico. Posta al crocevia dell'antica Via della Seta, l'Asia centrale è stata nei secoli attraversata da mercanti, artisti, scienziati e intellettuali che ne fecero una regione culturalmente ricca e stimolante, una grandezza che si può ancora percepire nelle storiche città di Samarcanda, Khiva e Bukhara.[2]

Recentemente la regione è oggetto di un grande piano strategico di sviluppo cinese, chiamato Nuova via della seta, che mira ad implementare e a creare infrastrutture di trasporto e logistica che colleghino Asia, Europa e Africa.[3]

Dal neolitico al Medioevo

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Tamerlano e Invasione mongola della Corasmia.

Il neolitico in Asia centrale risale a periodi lontanissimi, dopodiché si trovano segni della presenza di agricoltori sedentari dal VII millennio a.C. nella regione del Kopet Dag, la cultura di Geitun. Ad essa succede la cultura di Namazga a partire dal VI millennio a.C. L'Asia centrale ha costituito un vero crocevia di civiltà. I suoi più antichi abitanti identificati con chiarezza sono popoli indoeuropei venuti da ovest. Si tratta dei Tocari, che vissero nel bacino del Tarim dal 2000 a.C., e degli Iranici, che occuparono a partire dal I millennio a.C., tutta la regione tranne il bacino del Tarim e la Mongolia. Si possono citare anche gli Indoari, affini agli Iranici, che vissero in Battriana attorno al 2000 a.C. prima di spostarsi in India settentrionale alcuni secoli più tardi. Più a nord, in Siberia meridionale, fioriva la cultura di Andronovo.

Carovana lungo la Via della seta, Abraham Cresques, 1375

Le regioni note ai Greci erano la Battriana, tra Uzbekistan e Afghanistan, la Sogdiana, attorno a Samarcanda, e la Corasmia, a sud del lago d'Aral. I loro nomi sono tutti di origine iranica. In queste tre regioni esistettero delle avanzate civiltà sedentarie i cui popoli fondatori non sono ancora stati identificati con chiarezza. Installandosi qui, gli iranici e gli indo-ariani assunsero almeno in parte i costumi degli autoctoni, che erano sedentari e si dedicavano all'agricoltura e al commercio. Un popolo iranico, i Sogdiani, fondò Samarcanda la cui bellezza fu esaltata anche da Alessandro Magno. Più a nord, gli iranici rimasero nomadi e occuparono il Kazakistan e il nord dell'Uzbekistan, lasciando delle tombe che datano al I millennio a.C.

Il conflitto tra nomadi e sedentari è una costante della storia dell'Asia centrale. I nomadi, di carattere guerriero, effettuavano delle razzie che obbligavano i sedentari a rifugiarsi dentro centri fortificati. A volte si riunivano per formare dei vasti imperi capaci di terribili distruzioni. I Tocari divennero sedentari e adottarono l'agricoltura d'irrigazione. Una parte di loro restò tuttavia nomade, visse nel Gansu e fondò il primo impero dell'Asia centrale. Furono chiamati Yuezhi dai cinesi. L'Asia centrale era attraversata dalla via della seta, la cui apertura risale a tempi molto antichi: la presenza di seta cinese è attestata in Battriana dal 1500 a.C. Nel 1918, fu ritrovata in Zungaria una moneta datata III secolo a.C. e proveniente da Panticapeo, una città greca a est della Crimea.

A partire dagli ultimi secoli a.C. la storia dell'Asia centrale è segnata dall'avanzata dei popoli turchici e mongoli, originari della Siberia e della Mongolia orientale, che assimilarono a poco a poco gli indoeuropei o li costrinsero a migrare. È in questo periodo che gli Xiongnu obbligano i Yuezhi a lasciare il Gansu, e mezzo millennio più tardi sorgerà l'impero dei Turchi Celesti (Göktürk) che sottomettono tutta l'Asia centrale fino alla Battriana e alla Sogdiana.

I Turchi Blu sono seguiti dagli Uiguri nel 744, anch'essi turchi, che furono costretti dai Kirghizi a lasciare la Mongolia. Si diressero verso il Gansu e il bacino del Tarim, dove assimilarono i Tocari. A ovest intanto avanzavano gli Arabi, portatori dell'islam. Questo fece scomparire l'antica religione iranica (nata probabilmente in Battriana), lo zoroastrismo, così come il buddhismo, arrivato in Asia centrale all'inizio dell'era cristiana. Più dei Sogdiani e dei Battriani, i Tocari erano divenuti dei ferventi buddhisti.

Al loro arrivo nel bacino del Tarim, gli Uigur si convertirono anch'essi al buddhismo, ma poi divennero musulmani come quasi tutti i popoli turchi in seguito alla conquista, prima da parte dello Stato turco islamico Qarluq karakhanide e poi da parte del Khanato Chagatai, anch'esso musulmano, che islamizzarono del tutto il bacino del Tarim.

Decorazioni al mausoleo Shah-i-Zinda, Samarcanda

Anche il manicheismo e il cristianesimo nestoriano ebbero diffusione in Asia centrale durante il Medioevo: il khan degli Uiguri si convertì al manicheismo dopo aver conquistato Chang'an (Xi'an) nel 762, e preziosi manoscritti risalenti alla fine del I millennio sono stati ritrovati nello Xinjiang e nel Gansu, nel nordovest della Cina; il nestorianesimo raggiunse la Mongolia e la Cina e diverse principesse della famiglia di Gengis Khan furono nestoriane.

Dall'inizio del II millennio l'Asia centrale fu centro di vasti imperi formati da conquistatori, Gengis Khan e Tamerlano, che però vissero ben poco oltre la morte dei loro fondatori. I popoli turchi (Kirghizi, Uzbeki, Kazaki, Turkmeni, Uiguri) che abitano la gran parte dell'odierna Asia centrale non vi sono arrivati che in epoca abbastanza recente. Gli Uzbeki per esempio s'installarono in Uzbekistan a partire dal XIV secolo, dopo aver sconfitto i discendenti di Tamerlano. Gli Uiguri attuali non parlano la lingua dei loro antenati arrivati nello Xinjiang dopo l'840, ma una lingua Karluk apparentata strettamente alla uzbeka, e ad essa molto simile.

Della lingua sogdiana, non resta che un dialetto parlato in qualche villaggio sulle rive del fiume Yaghnob. Comunque, molto del suo vocabolario è stato assorbito dal persiano moderno, di cui il tagiko è una variante. Un'altra lingua iranica, il pashto, è parlata in una parte dell'Afghanistan. Il pashto è oltretutto l'unica lingua iranica orientale attuale ad avere un notevole numero di parlanti (dai 50 ai 60 milioni, mentre l'osseto, la seconda lingua iranica orientale per numero di parlanti, non ne ha nemmeno un milione). Nello specifico il pashto appartiene al ramo sudorientale delle lingue iraniche.[4]

Espansione russa

[modifica | modifica wikitesto]

L’espansione russa in Asia centrale inizia con la sconfitta dei Tatari e la conquista di Kazan nel 1552 da parte di Ivan il Terribile per terminare quattro secoli dopo con l’assoggettamento delle regioni centroasiatiche come repubbliche dell’Unione Sovietica.

Alim Khan (1880-1944), ultimo emiro di Bukhara, nel 1911

Dopo la caduta di Kazan, numerose spedizioni russe si inoltrarono in Asia centrale a danno dei turchi, fino alla definitiva conquista russa della regione tra il 1864 e il 1876: sottomesso il Caucaso nel 1859, l’impero zarista completò infatti l’espansione ad est con rapide vittorie; nel 1865 venne catturata Tashkent, ora capitale della nuova provincia del Turkestan, tre anni dopo cadde Samarcanda (1868), l'emirato di Bukhara divenne un protettorato russo nel 1868, mentre Khiva, che rigettò le proposte russe, si sottomise solo nel 1873.[5]

Le motivazioni che spinsero la Russia a cercare il dominio della regione furono di varia natura: imperativi economici, primo fra tutti il rifornimento di materie prime, soprattutto cotone, e l’accesso a nuovi mercati per un’economia in espansione;[6] motivi di carattere strategico, miranti a creare una zona cuscinetto a sud così da bloccare la penetrazione britannica e guadagnare una posizione di vantaggio dalla quale minacciarli nel sub-continente indiano nel caso di una nuova guerra di Crimea;[7] e infine una giustificazione di tipo morale: la superiorità dei Russi e la loro conseguente missione civilizzatrice in Asia.[8]

La rapida espansione zarista preoccupò tuttavia le altre potenze che avevano interessi nell’area, in primis la Gran Bretagna, che temeva per i suoi territori nel subcontinente indiano in quello che venne definito il “Grande Gioco”, ovvero la competizione anglo-russa nell’area e che terminò nel 1907, quando Russia e Gran Bretagna firmarono un’intesa che definiva le reciproche sfere d’influenza.[9]

I territori conquistati dai Russi furono amministrati in stile coloniale, attraverso la forma del protettorato e coloniale fu anche la politica zarista verso la popolazione musulmana della regione: essi non vennero infatti considerati cittadini dell’impero, preservarono il proprio stato giuridico basato sulla legge islamica e vennero sollevati dal servizio militare.[10]

Allo scoppio della prima guerra mondiale i protettorati centroasiatici si dichiararono inizialmente fedeli allo zar, ma al rifiuto dei musulmani di arruolarsi nell’esercito venne messa in atto una dura repressione[11] che rese evidente il fallimento del governo nel stabilire un legame fiduciario con le popolazioni dell’Asia centrale.[12]

Le richieste di autodeterminazione dei popoli musulmani dell’Asia centrale, che avevano vissuto durante il colonialismo zarista un periodo di fermento culturale con movimenti riformisti islamici come lo jadidismo e stavano ora scoprendo un sentimento di nazionalismo pan-turco,[13] saranno ignorate dal nuovo governo provvisorio come pure da quello rivoluzionario: l’appello di Lenin “A tutte le popolazioni musulmane di Russia e dell’Est” prometteva infatti l’autonomia alle minoranze, ma non l’indipendenza, favorendo così la nascita di movimenti ribelli che, seppur non organizzati in un movimento indipendentista a causa della mancanza di una leadership organizzata, avranno comunque un forte rilievo nelle rivolte contro il governo, portando molti ad aderire alla guerriglia basmacia[14] o ad arruolarsi con le truppe Bianche.[15]

Terminata la guerra civile, le elites tradizionali furono cooptate nel sistema comunista e si procedette ad una “bolscevizzazione” delle masse musulmane, affrontando al contempo la “questione nazionale” nel quadro del modello marxista, cioè l’autodeterminazione dei popoli senza la disgregazione dello stato.[16] Portavoce delle istanze dei comunisti dell’Asia centrale fu Mirsaid Sultan Galiev, il quale chiese di dar vita ad un partito comunista musulmano e di creare un’Armata Rossa islamica indipendente: entrambe le richieste furono rifiutate.[17]

Periodo sovietico

[modifica | modifica wikitesto]
Minareto Kalyan dopo il bombardamento sovietico di Bukhara nel 1920

A guerra civile ancora in corso e con la guerriglia dei basmaci ancora attiva, in Asia centrale venne creata nel 1921 la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma del Turkestan (RSST), ma sarà tra il 1924 e il 1936 che la regione assumerà la forma con la quale, negli anni novanta, accederà all'indipendenza: nel 1924 la RSS del Turkestan sarà divisa in cinque repubbliche, non ancora definitive, facenti parte dell'URSS, unione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa e delle altre Repubbliche Socialiste Sovietiche, creando, nel caso dell'Asia centrale, nazioni mai esistite prima, in classico stile coloniale e con le stesse conseguenze in termini di frammentazione etnica che sono presenti nelle regioni ex coloniali dell'Africa.[18]

La divisione territoriale, che comporterà una rottura dell'integrità culturale e sociale della regione e dei sogni dei movimenti pan-islamici e pan-turchi, rispondeva ad una politica delle nazionalità che si basava su una logica politico-strategica del divide et impera, auspicando la fragilità delle nuove repubbliche.[19]

L'influenza turca nella regione, con l'idea di una lingua franca per unire le popolazioni turcofone dell'Asia centrale, fu ostacolata dalla divisione sovietica dei territori in stati ognuno con una propria lingua nazionale; altri elementi unificanti, rappresentati dalla scrittura comune che preservava il legame delle popolazioni con l'islam, spaventavano ancora Mosca: nel 1926 si passò all'alfabeto latino e di lì a poco a quello cirillico, visto che l'insegnamento del russo divenne obbligatorio nel 1938 in tutta l'Unione.

Rimaneva ad unire i popoli centroasiatici il comune riconoscimento nella religione islamica, l'allontanamento dalla quale risultava più difficile poiché legata ad ogni aspetto della vita quotidiana. La destrutturazione della società tradizionale avvenne tramite una serie di leggi: nel 1921 fu emanata la legge contro i costumi (in particolare contro l'uso del velo), la fine delle attività dei tribunali canonici islamici (1927) e la perdita dei diritti di proprietà dei waqf e fu infine modificato il Codice Penale (1928) che puniva ora molte pratiche musulmane (ad esempio la poligamia). Queste iniziative furono completate dall’epurazione, durante il periodo del Grande Terrore (1934-1938), dell'intellighentsija locale da poco creata, accusata di promuovere gli interessi nazionali anziché quelli dell'Unione e da campagne anti-islamiche.

Poster sui kolchoz, Tashkent - Uzbekistan, 1933

La collettivizzazione forzata, infine, porrà termine alle forme di nomadismo e semi nomadismo, ma i vecchi legami e strutture di solidarietà si ricomporranno all’interno dei kolchoz.[20]

Con la seconda guerra mondiale gli equilibri tra le popolazioni saranno nuovamente sconvolti: da una parte alcuni gruppi etnici saranno spostati ad est nel sospetto che potessero fraternizzare con i tedeschi che avanzavano, dall'altra si intensificherà la migrazione di russi nelle repubbliche centroasiatiche, in seguito all'invasione nazista che costrinse a trasferire molte industrie in Asia centrale ed in Siberia e in un secondo tempo per alleggerire la pressione demografica in Russia: l'industrializzazione sarà guidata dai russi, più preparati e competenti al riguardo, che arriveranno così a monopolizzare il potere economico e politico nella regione.[21]

Terminato il secondo conflitto mondiale, durante il quale si era cercato di mobilizzare la popolazione contro i tedeschi, si assistette ad un intensificarsi delle politiche contro l'islam, in particolare durante l’era di Khruščёv, durante la quale vennero chiuse molte scuole islamiche e moschee, i matrimoni e funerali secondo il rito islamico vennero banditi e il velo definitivamente proibito; solo negli anni sessanta si assistette a una rinascita dei sentimenti nazionalisti e islamici.

Il riformismo di Gorbaciov, salito al potere nel 1985, non influenzò in maniera evidente l'Asia centrale; i presidenti dei partiti comunisti delle cinque repubbliche si ritirarono dai propri incarichi in quegli anni e vennero rimpiazzati da politici russi: questo aumentò i risentimenti della popolazione in un periodo di fermento nazionalistico, influenzato anche da ciò che stava accadendo nel vicino Afghanistan con la lotta dei mujaheddin.

La questione afgana del resto influirà fortemente sui sentimenti delle repubbliche centroasiatiche verso Mosca; l'invasione sovietica del 1979 aveva infatti portato alla regione, grazie alla sua posizione strategica, molti benefici economici, mentre ora saliva la preoccupazione per l’imminente ritiro delle truppe, deciso senza consultare i leader degli stati dell'Asia centrale e dimostrando in questo modo di trattare la regione ancora come una colonia.

La paura per la crescente diffusione del fondamentalismo islamico e del nazionalismo impedì la via del riformismo, mentre rivolte e repressioni si susseguiranno negli ultimi anni di vita dell'impero.[22]

Le cinque repubbliche centroasiatiche ottennero l'indipendenza nel 1991, all'interno di un avvenimento che sconvolgerà un assetto internazionale che durava dal secondo dopoguerra, ovvero la dissoluzione dell'Unione Sovietica, dando vita a Stati che non erano mai esistiti prima, almeno sotto questa forma. Si tratta di un’indipendenza particolare perché avviene per implosione del centro piuttosto che per una volontà delle periferie; mancava infatti un reale coinvolgimento sia dal basso, non essendoci un movimento popolare a rivendicarla, sia dalle élite, formate per la maggior parte da quadri filosovietici che ancora nel referendum del marzo del 1991 avevano votato perché si mantenesse l'Unione Sovietica.[23]

In questo modo il passaggio all'indipendenza avvenne senza spargimento di sangue, ad eccezione del Tagikistan dove nel 1992 scoppiò una guerra civile tra le forze governative, appoggiate dalla Russia, e l'opposizione islamica che causò quasi 100.000 morti.[24]

I leader delle neo repubbliche hanno dovuto però fare subito i conti con i problemi economici: la fine dei sussidi da parte di Mosca e dei legami privilegiati tra le repubbliche dell’era sovietica, assieme alle difficoltà dovute ad una transizione economica verso un'economia di mercato di un sistema che per sessant'anni si era basato sulla pianificazione centrale, hanno avuto come prima conseguenza la caduta degli standard di vita per il deterioramento dei servizi di base, dovuto all'indebolimento del sistema di welfare.

La transizione politica verso una democrazia di tipo occidentale, come sperato da molti, sull'esempio di quanto avvenuto in Europa centrale, non si è realizzata nell’Asia post-sovietica, dove si è osservato invece un crescente accentramento del potere nelle mani presidenziali, caratterizzato da ripetute modifiche costituzionali, referendum con conferme plebiscitarie e corruzione.[25]

Registan, Samarcanda, 2011

Infine, il vuoto lasciato dal crollo del sistema retto dai principi del marxismo-leninismo ha messo in moto una transizione sociale e ideologica che ha provocato un forte spaesamento, portando alla ricerca di una legittimazione estranea alle relazioni con il periodo sovietico, in parte attraverso una spinta verso l'islam quale nuova base morale e culturale per la popolazione e la creazione di un forte culto della personalità per i presidenti delle repubbliche, garanzia simbolica dell’integrità nazionale.[26]

In tale panorama si inseriscono i problematici rapporti tra il gruppo titolare e le etnie minoritarie, danneggiate dall'instaurarsi di politiche che, esaltando i caratteri dell'etnia maggioritaria hanno finito per escludere alcuni gruppi dalla vita politica, economica e sociale del paese, creando così motivi di instabilità che spesso in Asia centrale sono sfociati in scontri di matrice etnica.[27][28] Il sistema tribale clanico, mai del tutto annullato nel periodo sovietico, è tornato così ad essere un elemento chiave nelle dinamiche politiche e sociali, grazie al quale sussistono forti reti di legami tramite cui l'individuo trova una propria collocazione.[29]

Il risultato di questa complessa transizione sono dei “regimi ibridi mescolanti qualche elemento (per lo più formale) di democrazia con un solido impianto autoritario”,[25] anche se con gradazioni più o meno forti, dalla relativa tolleranza del Kazakistan all’impostazione totalitaria del Turkmenistan.

Altri fattori tuttavia hanno contribuito all'instabilità della regione soprattutto dopo l'11 settembre 2001, in particolare le questioni legate alla sicurezza, a causa ad esempio delle incursioni della guerriglia dell'Islamic Movement of Uzbekistan (IMU) o la crescente popolarità del gruppo radicale islamico Hizb ut-Tahrir.[30]

In alcuni casi il dissenso ha seguito la strada percorsa da altri Stati ex sovietici, quello cioè delle rivoluzioni colorate,[31] come nel caso della “rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan nel 2005, mentre in Uzbekistan, a maggio dello stesso anno, le proteste sono state duramente represse con massacri di civili, come quello avvenuto nella città di Andijan.[32][33]

Carta geografica fisica dell'Asia centrale
Asia Centrale:

     definizione dell'Unione Sovietica

     definizione della Federazione Russa

     definizione dell'UNESCO

I confini geografici dell'Asia centrale sono stati soggetti nel tempo a varie definizioni, anche se l'accezione più diffusa rimane quella che include le cinque repubbliche ex-sovietiche, ora indipendenti:

La definizione ufficiale di Asia centrale data dall'Unione Sovietica limitava la regione a soli Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan, senza includere il Kazakistan. La nuova definizione data dalla Federazione Russa include ora anche il Kazakistan.

L'UNESCO definisce invece i confini della regione in base a criteri storico-culturali includendo così anche altri Stati: la Mongolia, la Cina occidentale (incluso il Tibet), il nord-est dell'Iran, l'Afghanistan, parte della Russia e le parti settentrionali di India e Pakistan.[34] L'Asia centrale è delimitata a nord e nord-ovest dalla Russia, ad est dalla Cina, in particolare dalla Regione autonoma dello Xinjiang, a sud dall'Afghanistan e dall'Iran e ad ovest dal Mar Caspio. L'area, per le sue dimensioni, presenta una grande varietà di territori, prevalentemente pianeggianti ad esclusione delle catene montuose ad est. Nella sua parte settentrionale, dal Volga alla Mongolia passando per il Kazakistan, si stende una vasta steppa dove il nomadismo pastorale è stato sempre il sistema di vita più diffuso, anche se oggi in declino.

La zona meridionale è caratterizzata da un paesaggio desertico, in particolare in Turkmenistan e in Uzbekistan, dove si trovano i deserti del Karakum (le Sabbie Nere) e del Kizilkum (le Sabbie Rosse). Nell'area che va dal Mar Caspio al Lago d'Aral si trova invece il bassopiano turanico.

Montagne del Pamir e cima Lenin

A sud-est dell'Asia centrale, in particolare nei territori del Tagikistan e Kirghizistan, si ergono le alte catene montuose del Pamir, dello Tien Shan e dell'Hindu Kush: le vette principali sono il picco Ismail Samani (7495 m) e il Picco Ibn Sina (7134 m), rispettivamente noti come Picco del Comunismo e Picco di Lenin nella topografia sovietica.

La provincia cinese dello Xinjiang, regione autonoma abitata dagli uiguri, popolazione di origine turcofona, e spesso inglobata nella definizione di Asia centrale, è formata da due bacini idrografici separati da una catena di monti, il bacino del Tarim, in gran parte occupato dal deserto di Taklamakan, a sud e la Zungaria a nord. Più a est si estende il deserto di Gobi.[35]

Lago artificiale di Toktogul, Kirghizistan.

Tre grandi fiumi attraversano la regione: ad est il fiume Ural, che sfocia nel Mar Caspio e i fiumi, ora in parte prosciugati, Syr Darya e Amu Darya che si immettono nel lago d’Aral, anch'esso vittima di una catastrofe ambientale che sta portando alla sua scomparsa. Altri laghi della regione sono il mar Caspio, il lago Balqaš (Kazakhistan), il lago Issyk-Kul' (Kirghizistan) nonché vari bacini artificiali come il Toktogul, creato da una diga idroelettrica o il lago Chagan, nato da un test nucleare nel 1965.[36]

Lontana dai mari, l'Asia centrale ha un clima continentale, con elevate escursioni termiche annue e scarse precipitazioni che hanno reso necessario un forte prelievo di acqua dai bacini idrici ai fini dell'agricoltura: a questo scopo e per la produzione di energia idroelettrica, a partire dagli anni 1960 si costruirono numerose dighe che, drenando le acque dei fiumi Syr Darya e Amu Darya, causarono un forte prosciugamento del lago d'Aral,[37] una vera catastrofe ecologica.[38] Il lago d'Aral, infatti, è un lago salato formatosi dopo lo scontro delle placche euro-asiatiche che hanno causato l'intrappolamento dell'acqua dell'oceano in questa conca. Con la riduzione dell'affluenza d'acqua dolce al lago la concentrazione di salinità è aumenta e il sale trasportato dai venti si è depositato nelle pianure circostanti rendendo improduttivo il terreno.[39]

Flora e fauna

[modifica | modifica wikitesto]
Il leopardo delle nevi (Uncia uncia) ha sulle montagne dell'Asia centrale la sua roccaforte.

Le montagne del Kirghizistan, del Kazakistan, del Tagikistan, dell'Uzbekistan e dello Xinjiang sono l'ambiente ideale per le alte distese erbose chiamate jailoo. In estate i fiori di campo (tra cui gli iris e le stelle alpine) sono un tripudio di colori. Le trote si nascondono nei torrenti impetuosi; le marmotte e i pika sono cibo per le aquile e per i gipeti; lo schivo leopardo delle nevi caccia gli stambecchi con i quali divide la passione per i picchi rocciosi e i dirupi; qui troviamo anche la pecora svertsov che prende il nome dal padre russo della zoologia dell'Asia centrale. Le foreste di abete rosso, di larice e di ginepro del Tian Shan danno riparo alla lince, al lupo, al cinghiale e all'orso bruno.

Ad altitudini più elevate, nelle praterie della tundra, la pecora di Marco Polo vaga in gregge e nei pressi dei laghi di pianura e degli acquitrini si possono vedere i fenicotteri. I Kirghisi delle valli del Pamir, tra i 3 000 e i 4000 m di quota, pascolano mandrie di yak domestici. I pastori delle alte quote e gli scalatori raccontano storie di avvistamento dello yeti. Le cime del Pamir sono assolutamente prive di alberi.[40]

Più in basso, sui monti del Kirghizistan meridionale, dell'Uzbekistan, del Tagikistan e del Turkmenistan ci sono foreste di noci selvatici, pistacchi e ginepri, albicocchi e meli.

Le steppe - che sono rimaste dopo l'avvio delle coltivazioni intensive - sono ricoperte da erba e da arbusti bassi come il saxaul. Nelle zone in cui si innalzano fino alle pendici dei monti, le steppe producono grandi distese di papaveri selvatici (compresi quelli da oppio) e di tulipani. Il chiy, un'erba comune con steli biancastri simili a canne, è usata dai nomadi per fare tramezzi decorativi per le loro yurte. A volte i nomadi, oltre i cavalli e le pecore, allevano i cammelli a due gobbe, detti "battriani" dal nome con cui era conosciuta un tempo la regione.

La saiga (Saiga tatarica) è diventata ormai rarissima a causa della caccia indiscriminata.

I caprioli, i lupi, le volpi e i tassi dimorano nella steppa, così come la saiga, una specie di antilope. Il fagiano, ampiamente diffuso nell'America del nord e in Italia, è originario delle steppe dell'Asia centrale, e qui si incontrano molte specie di pernici, il gallo forcello, le otarde e i loro predatori, i falconi e gli sparvieri. Spesso il primo contatto con la natura da parte dei bambini avviene con le onnipresenti tartarughe e i porcospini.

In pianura i fiumi e le coste dei laghi propongono un mondo diverso, con folti boschi di olmo, di pioppo, i canneti e le macchie arbustive. In queste fasce di densa vegetazione dimorano il cinghiale, lo sciacallo e il cervo - l'Amu-Darya è l'habitat di una sottospecie endemica di cervo. Oche, anatre e numerose specie di uccelli acquatici migrano verso gli acquitrini. Un pesce simile alla carpa chiamato sazan è la preda più ambita.

Nel Karakum, nel Kyzylkum, e nel Taklamakan, come in tutti i deserti, ci sono molte cose da vedere. La gazzella gozzuta (detta anche jieran, djeran e jeran) abita i deserti dell'Uzbekistan occidentale e del Turkmenistan. Tartarughe, topi del deserto e topi delle piramidi (piccoli roditori saltatori con lunghe zampe posteriori) abbondano ovunque sia possibile fare una buca nel terreno. Essi sono cibo per le volpi, le lucertole e le varie specie di serpenti. Il Turkmenistan è famoso per i grandi serpenti velenosi, tra cui vipere e cobra.

La natura del Turkmenistan comprende numerose specie tipiche del Medio Oriente, il che è comprensibile se considerate che la distanza da Baghdad di alcune località del paese è uguale a quella che le separa da Tashkent. I leopardi e i porcospini abitano le colline aride. Il varano o «coccodrillo di terra» è di fatto un tipo di grande lucertola della regione.

I monti Altaj sono ricchi di foreste di pino siberiano, betulle, larici e abeti. Il lago Hanas nello Xinjiang offre un raro esempio di taiga (foresta di conifere).[41]

L'Asia centrale ha una popolazione di circa 74 milioni di abitanti, con una densità di quasi 18 abitanti per km quadrato.[42] La zona più popolata è la valle di Fergana, mentre le aree montuose e desertiche sono scarsamente o per nulla abitate.

Carta politica delle repubbliche dell'Asia centrale
Nome Superficie
(km2)
Popolazione
(2023)
Capitale
(abitanti; 2019)
Kazakistan (bandiera) Kazakistan 2 724 900 19 543 464 Astana (1 029 556 ab.)
Kirghizistan (bandiera) Kirghizistan 199 951 6 122 781 Biškek (976 734 ab.)
Tagikistan (bandiera) Tagikistan 144 100 9 245 937 Dušanbe (778 500 ab.)
Turkmenistan (bandiera) Turkmenistan 488 100 5 690 818 Aşgabat (860 000 ab.)
Uzbekistan (bandiera) Uzbekistan 447 400 31 360 836 Tashkent (2 509 969 ab.)
Asia centrale 4 004 451 71 963 836
Mappa etnica della regione.

Le cinque repubbliche dell'Asia centrale sono multietniche: si contano infatti presenti nella regione più di 40 gruppi distinti, alcuni dei quali contano solamente un centinaio di individui.[43]

Le etnie principali sono quelle relative ai cinque gruppi nazionali titolari, ovvero kazachi, uzbeki, turkmeni, kirghisi e tagichi, maggioritari nei relativi stati e distribuiti anche negli stati vicini: si tratta infatti perlopiù di popolazioni un tempo nomadi, mentre la divisione territoriale in stati-nazione non ha seguito le linee etniche, creando una distribuzione molto frammentata soprattutto nelle regioni più ricche, come la valle di Fergana, e la creazione di parecchie enclavi. La presenza di molti altri gruppi fa sì che in alcuni casi l'etnia titolare superi di poco la metà degli abitanti, come ad esempio in Kazakhistan, dove i kazachi contano soltanto per circa il 53% del totale della popolazione. Gli uzbeki, maggioritari in patria, sono invece la seconda minoranza nazionale nei vicini Kazakhistan, Kirghizistan e Turkmenistan.[44]

Un'importante minoranza è quella russa che conta per il 20% della popolazione totale della regione: l'etnia è presente soprattutto in Kazakhistan dove i russi sono quasi 4 milioni, anche se in continua diminuzione.[45]

Dagli anni '20, quando Stalin ricopriva il ruolo di Commissario del Popolo per le Nazionalità, vennero organizzate deportazioni di tutte le minoranze percepite come pericolose ed ostili da varie parti dell'Unione Sovietica verso la Siberia e l'Asia centrale; in particolare con la seconda guerra mondiale le minoranze situate ai confini, come tedeschi o coreani, vennero spostate in altre regioni per impedire che fraternizzassero con il nemico tedesco e giapponese.[46]

I principali gruppi etnici presenti come minoranza nella regione sono quindi, oltre ai russi, gli uiguri, i mongoli, gli ucraini, i coreani, i tedeschi del Volga, i tatari, gli ingusci, i ceceni, i ciuvasci, i baschiri, i caracalpachi, i dungani, i polacchi, gli armeni e gli azeri.[47]

Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua kazaka, Lingua uzbeca, Lingue turche e Lingua kirghisa.

Le principali lingue parlate in Asia centrale sono quelle nazionali dei cinque stati sovrani, quindi il kazako, l'uzbeco, il turkmeno, il kirghiso e il tagico: solo quest'ultima è una lingua di origine persiana, mentre le altre appartengono alla famiglia delle lingue turche.[48]

Anche il russo resta largamente diffuso ed è lingua co-ufficiale assieme a quella nazionale in Kazakhistan e Kirghizistan. Nel Karakalpakstan, repubblica autonoma situata nella zona occidentale dell'Uzbekistan, il karakalpako è lingua ufficiale assieme all'uzbeco.

Altre lingue minoritarie, in molti casi frutto dello spostamento forzato di in epoca staliniana o semplicemente dovute a secoli di movimento delle tribù nomadi, sono il coreano, il tedesco, l'ucraino, il tataro, il parya, il pashtu e il dungano, nonché varie lingue diffuse nella zona del Pamir.[49]

La diffusione delle lingue difficilmente ricalca i confini politici degli Stati e sono diffuse, a volte in modo consistente, anche nei paesi limitrofi, come ad esempio il tagico, che ha un numero maggiore di parlanti nel vicino Afghanistan.[50]

La religione più diffusa in Asia centrale è l'islam sunnita, in particolare la scuola hanafita; gruppi sciiti sono presenti in scarso numero in tutte le repubbliche, in particolare tra la minoranza azera.[51] Il cristianesimo è la seconda religione più diffusa, perlopiù con la Chiesa ortodossa russa.

Prima dell'arrivo dell'islam erano religioni diffuse lo zoroastrismo, culto monoteista nato in Iran e largamente presente in Asia centrale,[52] praticato oggi da un'esigua minoranza, soprattutto in Tagikistan,[53] e il buddismo, diffusosi nella regione grazie agli scambi e ai movimenti di persone, beni e idee lungo la Via della Seta.[54] Il Tengrismo è una religione sciamanica nata in Asia centrale e praticata dalle tribù turco-mongole che recentemente ha visto una rinascita soprattutto in chiave identitaria in particolare in Kirghizistan, dove si contano circa 50.000 fedeli (il lago Issyk-kul è considerato sacro da questa religione) e in misura minore in Kazakhistan.[55][56]

Un tempo presenti con comunità numerose in Uzbekistan e Tagikistan, gli ebrei bukhariani contano ad oggi poche centinaia di persone, concentrate a Bukhara, Samarcanda e Tashkent, mentre a migliaia sono emigrati in Israele e negli Stati Uniti.[57][58]

  1. ^ Asia centrale, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^ Frederick Starr, L'illuminismo perduto. L'età d'oro dell'Asia centrale dalla conquista araba a Tamerlano, Torino, Einaudi, 2017.
  3. ^ Giuseppe Gabusi, La Nuova via della seta porta anche in Italia, in Internazionale, 19 marzo 2019. URL consultato il 3 giugno 2021 (archiviato il 3 giugno 2021).
  4. ^ Christoph Baumer, The history of Central Asia, London, I. B. Tauris, 2018.
  5. ^ Richard Pierce, Russian in Central Asia: 1867-1917. A study in colonial rule, Berkeley, University of California Press, 1960, pp. 51-58.
  6. ^ Hugh Seton-Watson, The russian empire 1801-1917, Oxford, Oxford University Press, 1967, p. 441.
  7. ^ M. R. Djalili e T., Kellner, Geopolitique de la nouvelle Asie centrale. De la fin de l’Urss à l’apres-11 septembre, Parigi, Presses universitaires de France, 2003, p. 43.
  8. ^ Seymour Becker, Russia’s protectorates in Central Asia: Bukhara and Khiva, 1865-1924, Cambridge, Harvard University Press, 1968, p. 18.
  9. ^ Peter Hopkirk, Il grande gioco. I servizi segreti in Asia centrale, Milano, Adelphi, 2004, p. 27.
  10. ^ Olivier Roy, La nouvelle Asie centrale, ou la fabrication des nations, Parigi, Seuil, 1997, pp. 62-64.
  11. ^ Marco Buttino, La rivoluzione capovolta. L’Asia centrale tra il crollo dell’impero zarista e la formazione dell’Urss, Napoli, L’Ancora, 2003, p. 80.
  12. ^ Richard Pierce, Russian in Central Asia: 1867-1917. A study in colonial rule, p. 296.
  13. ^ Ahmed Rashid, The rise of militant Islam in Central Asia, New Haven-London, Yale University Press, 2002, pp. 30-31.
  14. ^ Martha Brill Olcott, The Basmachi or Freemen's Revolt in Turkestan 1918-24, in Soviet Studies, vol. 33, n. 3, 1981, pp. 352-369. URL consultato il 4 giugno 2021 (archiviato il 4 giugno 2021).
  15. ^ Ivan Spector, The Soviet Union and the muslim world, 1917-1958, Seattle, University of Washington Press, 1959, p. 39.
  16. ^ Marco Buttino, La rivoluzione capovolta, p. 415.
  17. ^ Marco Buttino, La rivoluzione capovolta, p. 30.
  18. ^ La Repubblica socialista sovietica (RSS) del Turkmenistan, la RSS dell'Uzbekistan, la Repubblica autonoma del Kirghizistan (l'attuale Kazakistan) e quella del Kara-Kirghizistan (l'attuale Kirghizistan), il Tagikistan, prima compreso nella Repubblica uzbeka, diventerà RSS nel 1929, perdendo Samarcanda (che ancora oggi è una città prevalentemente tagika); nello stesso anno il Kirghizistan cambierà nome in Kazakhstan e il Kara-Kirghizistan in Kirghizistan. Entrambe otterranno lo statuto di RSS nel 1936.
  19. ^ Ahmed Rashid, The resurgence of Central Asia: Islam or nationalism?, p. 32.
  20. ^ Olivier Roy, La nouvelle Asie centrale, ou la fabrication des nations, pp. 131–144.
  21. ^ Aleksandr Nekrich, The punished people. The deportation and fate of Soviet minorities at the end of the Second World War, New York, Norton & Co., 1978, p. 104.
  22. ^ Ahmed Rashid, The resurgence of Central Asia: Islam or nationalism?, pp. 35–38
  23. ^ Martha Brill Olcott, Central Asia’s new States. Independence, foreign policy and regional security, Washington D.C., U.S. Institute of Peace Press, 1996, p. 9.
  24. ^ Ahmed Mutahir, Civil War in Tajikistan: Internal Strife and External Response, in Pakistan Horizon, vol. 47, n. 4, Pakistan Institute of International Affairs, ottobre 1994, pp. 87–95. URL consultato il 24 maggio 2021 (archiviato il 24 maggio 2021).
  25. ^ a b Fabrizio Vielmini, Continuità post-sovietica, autoritarismo politico e diritti umani in Asia centrale (PDF), in ISPI Working Paper, n. 19, settembre 2007, p. 6. URL consultato il 24 maggio 2021 (archiviato il 24 maggio 2021).
  26. ^ Igor Jelen, Repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale, p. 143.
  27. ^ Kirghizistan, come si è arrivati a tanto, su ilpost.it, 14 giugno 2010. URL consultato il 1º giugno 2021 (archiviato il 1º giugno 2021).
  28. ^ Yurii Colombo, Scontri tra kazaki e minoranza dungana: 11 morti, in Il Manifesto, 9 febbraio 2020. URL consultato il 1º giugno 2021 (archiviato il 1º giugno 2021).
  29. ^ Igor Jelen, Repubbliche ex sovietiche dell'Asia Centrale, p. 135.
  30. ^ International Crisis Group, Radical Islam in Central Asia: Responding to Hizb ut-Tahrir, in ICG Asia Report, n. 58, 30 giugno 2003. URL consultato il 24 maggio 2021 (archiviato il 24 maggio 2021).
  31. ^ Vicken Cheterian, Révolutions en trompe-l'œil à l'Est, in Le Monde Diplomatique, maggio 2005. URL consultato il 24 maggio 2021 (archiviato il 24 maggio 2021).
  32. ^ Giampaolo Visetti, Uzbekistan, un popolo in fuga. L'orrore lungo la Via della seta, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 24 maggio 2021 (archiviato il 24 maggio 2021).
  33. ^ International Crisis Group, Uzbekistan: the Andijon Uprising, in ICG Asia Briefing, n. 38, 25 maggio 2005. URL consultato il 24 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 24 maggio 2021).
  34. ^ Dani, Ahmad Hasan e V. M., Masson, History of civilizations of Central Asia, Parigi, Unesco, 1992, p. 10.
  35. ^ Central Asia, su britannica.com. URL consultato il 17 maggio 2021 (archiviato il 1º giugno 2021).
  36. ^ Alessandro Ronga, La lotta per l’energia lacera l’Asia centrale, su affarinternazionali.it, 24 settembre 2010. URL consultato il 18 maggio 2021 (archiviato il 18 settembre 2020).
  37. ^ FILIPPO MENGA, POWER AND WATER IN CENTRAL ASIA., ROUTLEDGE, 2020, ISBN 0-367-66735-5, OCLC 1178641872. URL consultato l'11 aprile 2023.
  38. ^ Rama Sampath Kumar, Aral Sea: Environmental Tragedy in Central Asia, in Economic and Political Weekly, vol. 37, settembre 2002, pp. 3797-3802. URL consultato il 17 maggio 2021 (archiviato il 4 giugno 2021).
  39. ^ James MacDonald, The Agonizing Death of the Aral Sea, su daily.jstor.org, 2 marzo 2017. URL consultato il 17 maggio 2021 (archiviato il 2 marzo 2017).
  40. ^ Mountains of Central Asia - Species, su cepf.net. URL consultato il 26 maggio 2021 (archiviato il 26 maggio 2021).
  41. ^ Central Asia: Kyrgyzstan, Tajikistan, and Uzbekistan, su worldwildlife.org. URL consultato il 26 maggio 2021 (archiviato il 26 maggio 2021).
  42. ^ World Bank Data Population - 2019, su data.worldbank.org. URL consultato il 13 maggio 2021 (archiviato il 28 maggio 2019).
  43. ^ Shabir Ahmad Mugloo e G. N. Khaki, Ethnic Composition in Central Asia: An Interreligious Perspective (PDF), in The Journal of Central Asian Studies, vol. 24, n. 1, Srinagar, 2017, pp. 129-152. URL consultato il 4 giugno 2021 (archiviato il 4 giugno 2021).
  44. ^ Fabrizio Vielmini, Uzbek Communities in Central Asia as Human Connectivity Factor: Elements for a Kin-State Policy, su ispionline.it, 3 febbraio 2021. URL consultato il 26 maggio 2021 (archiviato il 26 maggio 2021).
  45. ^ Sebastien Peyrouse, The Russian Minority in Central Asia: Migration, Politics, and Language, in Kennan Institute Occasional Papers, vol. 297, Washington, DC, Woodrow Wilson International Center for Scholars, 2008. URL consultato il 26 maggio 2021 (archiviato il 26 maggio 2021).
  46. ^ Michael Gelb, An Early Soviet Ethnic Deportation: The Far-Eastern Koreans, in The Russian Review, vol. 53, n. 3, 1995, pp. 389–412. URL consultato il 27 maggio 2021 (archiviato il 27 maggio 2021).
  47. ^ Georgy Manaev, Alexandra Guzeva, Why Stalin ordered the forced relocation of ethnic groups, su rbth.com, 8 dicembre 2020. URL consultato il 27 maggio 2021 (archiviato il 27 maggio 2021).
  48. ^ Lars Johanson, Turkic languages, su britannica.com. URL consultato il 20 maggio 2021 (archiviato il 20 maggio 2021).
  49. ^ Omniglot, su omniglot.com. URL consultato il 20 maggio 2021 (archiviato il 2 maggio 2021).
  50. ^ Marcello Garzaniti, Le lingue dai Balcani all’Asia centrale, su treccani.it. URL consultato il 20 maggio 2021 (archiviato il 20 maggio 2021).
  51. ^ Sebastien Peyrouse, Shiism in Central Asia: the religious, political and geopolitical factors, su cacianalyst.org, 20 maggio 2009. URL consultato il 25 maggio 2021 (archiviato il 25 maggio 2021).
  52. ^ Grenet Frantz, Zoroastrianism in Central Asia, in Michael Stausberg e Yuhan Sohrab-Dinshaw Vevaina (a cura di), The Wiley Blackwell Companion to Zoroastrianism, Oxford, John Wiley & Sons, 2015, pp. 129-146.
  53. ^ Why Do the Zoroastrians in Tajikistan Hide Their Religious Identity?, su cabar.asia. URL consultato il 26 maggio 2021 (archiviato il 26 maggio 2021).
  54. ^ Richard Foltz, Religions of the Silk Road, New York, Palgrave Macmillan, 2010, p. 38.
  55. ^ Marlène Laruelle, Religious revival, nationalism and the ‘invention of tradition’: political Tengrism in Central Asia and Tatarstan, in Central Asian Survey, vol. 26, n. 2, 2007, pp. 203-216, DOI:10.1080/02634930701517433.
  56. ^ Bakyt Ibraimov, Kyrgyzstan's Sky Worshippers Seek Recognition, su eurasianet.org, 8 maggio 2014. URL consultato il 26 maggio 2021 (archiviato il 26 maggio 2021).
  57. ^ Andrew Roth, Last Jews of Bukhara fear their community will fade away, in The Guardian, 24 dicembre 2019. URL consultato il 25 maggio 2021 (archiviato il 25 maggio 2021).
  58. ^ Virtual Jewish World: Bukharan Jews, su jewishvirtuallibrary.org. URL consultato il 25 maggio 2021 (archiviato il 25 maggio 2021).
  • (EN) Seton-Watson Hugh, The russian empire 1801-1917, Oxford, Oxford University Press, 1967.
  • Marco Buttino, La rivoluzione capovolta. L’Asia centrale tra il crollo dell’impero zarista e la formazione dell’Urss, Napoli, L'Ancora, 2003, ISBN 8883251016.
  • (FR) Olivier Roy, La nouvelle Asie centrale, ou la fabrication des nations, Paris, Seuil, 1997, ISBN 2020287323.
  • Luce Boulnois, La via della seta. Dei, guerrieri, mercanti, Milano, Bompiani, 2005, ISBN 8845234479.
  • Franco Cardini e Alessandro Vanoli, La via della seta. Una storia millenaria tra Oriente e Occidente, Bologna, Il Mulino, 2017, ISBN 8815273662.
  • Igor Jelen, Repubbliche ex sovietiche dell'Asia Centrale. Nuovi centri, nuove periferie, nuove frontiere, Torino, UTET, 2000, ISBN 8877506504.
  • (EN) Rashid, Ahmed, The resurgence of Central Asia: Islam or nationalism?, Karachi, Oxford University Press, 1994, ISBN 1856491315.
  • (EN) Pierce Richard, Russian in Central Asia: 1867-1917. A study in colonial rule, Berkeley, University of California Press, 1960.
  • Frederick Starr, L’illuminismo perduto. L’età d’oro dell’Asia centrale dalla conquista araba a Tamerlano, Torino, Einaudi, 2017, ISBN 8806232223.
  • Peter Frankopan, Le vie della seta. Una nuova storia del mondo, Milano, Mondadori, 2019, ISBN 8804707437.
  • Peter Hopkirk, Il grande gioco. I servizi segreti in Asia centrale, Milano, Adelphi, 2010, ISBN 8845924750.
  • Peter Hopkirk, Avanzando nell’oriente in fiamme, Milano, Mimesis, 2021, ISBN 8857575276.
  • Ella Maillart, Vagabonda nel Turkestan, Torino, EDT, 2002 [1934], ISBN 8870636127.
  • Erika Fatland, Sovietistan. Un viaggio in Asia centrale, Venezia, Marsilio, 2017, ISBN 978-88-317-2783-9.

Voci correlate

[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti

[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

[modifica | modifica wikitesto]
Controllo di autoritàVIAF (EN315125460 · LCCN (ENsh85008625 · GND (DE4079487-8 · J9U (ENHE987007295765705171 · NDL (ENJA00573918
  Portale Asia: accedi alle voci di Wikipedia che parlano dell'Asia