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Harlan Ellison

scrittore statunitense

Harlan Jay Ellison (1934 – 2018), scrittore statunitense.

Ellison ad una convention di fantascienza nel 2006

Idrogeno e idiozia

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Introduzione: Terrori mortali

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  • Non so come vedete voi la mia missione di scrittore, ma per me non significa essere tenuto a riconfermare i vostri miti consolidati e i vostri pregiudizi provinciali. Il mio lavoro non è cullarvi con una falsa sensazione di bontà dell'universo. Questa meravigliosa e terribile occupazione che consiste nel ricreare il mondo in un altro modo, ogni volta nuovo e straniero, è un atto di guerriglia rivoluzionaria. Smuovo le acque. Vi do fastidio. Vi faccio colare il naso e lacrimare gli occhi. Consumo la mia vita e chilometri di materiale viscerale in una gloriosa e dolorosa serie di raid notturni contro l'autocompiacimento. Il mio destino è svegliarmi con rabbia ogni mattina, e andare a dormire alla sera ancor più arrabbiato. Tutto questo per cercare l'unica verità che sta al centro di ogni pagina di narrativa mai scritta: siamo tutti nella stessa pelle... ma per il tempo che ci vuole a leggere questi racconti ho solo la bocca. (pp. 10-11)
  • Così cerco di codificare in modo nobile l'ossessione per l'Arte e l'incapacità da parte di uno scrittore di smettere di scrivere, di rapportarsi con gli altri, di vedere senza rancore il mondo come una gemma, al tempo stesso pura e perfetta. Ma queste sono scemenze. Scrivo perché scrivo. Non so fare altro.
    È l'amore della conversazione.
    Io sono l'anti-entropia. Il mio lavoro è totalmente dedicato al caos. Consumo personalmente la mia vita, e professionalmente il mio lavoro, per far bollire quella minestra. (p. 11)
  • È questo il mio lavoro. Smuovere le acque, mordervi la coscia, farvi arrabbiare in modo che la conversazione prosegua. Non invitatemi a una festa per fare una piacevole chiacchierata. Voglio ascoltare il suono della vostra anima. Così poi lo posso tradurre nei terrori mortali che tutti condividiamo e spararvelo addosso trasformato magicamente, rimodellato sotto forma di favola divertente o spaventosa. (p. 12)
  • Non siete soli. Siamo tutti la stessa cosa, tutti in questa fragile pelle, e patiamo tutti la bruttezza dell'essere semplicemente umani, tutti prede degli stessi terrori mortali. (p. 15)
  • Siamo creature minuscole in un universo che non è né benigno né maligno... è solo enorme e indifferente a noi, se non come anelli della catena della vita.
    E tutto ciò che abbiamo da interporre tra noi e l'irrazionale terrore di polli che corrono starnazzando qua e là, sono la saggezza e il coraggio.
    Ecco perché vi dico tutto questo, e perché scrivo per scioccarvi e farvi infuriare e terrorizzarvi. Per dirvi con amore e partecipazione che non siete soli. (p. 16)

Jeffty ha cinque anni

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  • Gli scrittori fanno viaggi nella vita degli altri.
    Uno scrittore cannibalizza la propria vita, è vero: tutto ciò che abbiamo da raccontare sono le percezioni di noi stessi e le nostre esperienze, che corrono in parallelo alle percezioni e delle esperienze degli altri. Ma non siete soli; dove siete stati, ci sono andato anch'io; quel che avete sentito, l'ho sentito anch'io. Il dolore e la gioia e tutto ciò che sta in mezzo sono universali.
    Ho preso ciò che mi avete dato (anche se non sapevate che stavo guardando) e l'ho passato attraverso il filtro della mia immaginazione, al solo scopo di restituirvelo, spero, con una certa chiarezza. Se volete usare al meglio questi bocconi e queste scintille delle vostre vite, vi esorto a tenere davanti allo specchio del fantastico le realtà qui ritratte. Le cose sembrano spesso più chiare nella luce argentea dello straordinario. Certi la chiamano magia. (nota introduttiva, p. 17)

Com'è la vita notturna su Sissalda?

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  • Chiamatemi come vi pare. È un problema vostro, amici, non mio. Anarchico, libertino, stronzo, mostro, piromane, pedofilo, assassino, amante della musica caramellosa di Lawrence Welk... le cose più spaventose che voi o io possiamo pensare. Cosa volete che me ne freghi? Resto sempre io quello che è in grado di scrivere questi racconti.
    E nessuno ha mai detto che Dostoevskij era un modello di virtù; ma penso che si sia ampiamente guadagnato il paradiso scrivendo L'idiota. (nota introduttiva, p. 48)

Sudore da flop

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  • Gli scrittori non sono creature mitologiche che vivono su montagne di cristallo. Sono lavoratori che operano con materiali inesplicabili e invisibili, ma né più né meno nobili di un ebanista orgoglioso della sua capacità artigianale, che si accerta che le rivettature siano lisce e strette; non meno avvicinabile di un muratore di classe che si rallegra dell'aspetto di una fila di mattoni posati come si deve; non più misterioso od onorabile di un insegnante che sa far rivivere la Guerra delle Due Rose per i ragazzi. (nota introduttiva, p. 69)
  • Quando te ne stai lì da solo, davanti alla macchina da scrivere, e ogni nuovo racconto che scrivi è un'opportunità per il mondo di valutare se ce la fai ancora o no, tutto quello che hai sono l'arroganza, la stima di te e una respirazione profonda.
    Sembra spesso egocentrismo estremo. Vi assicuro che è l'ardita copertura di chi in realtà è assolutamente terrorizzato.
    [...] Il successo, non importa quanto completo, non importa quanto persistente e continuato, non ci può proteggere completamente dai terrori mortali. (nota introduttiva, p. 227)

Nel quarto anno della guerra

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  • Ciascuno di noi si muove nella vita sotto l'ombra dei ricordi d'infanzia. Non dimentichiamo mai. Siamo piegati e influenzati e cambiati da quelle antiche paure e quegli odi. Sono i terrori mortali che in un milione di modi appena percettibili ci modellano e ci guidano verso il nostro destino.
    È davvero impossibile capire che quei ricordi sono solo il passato morto, vano; che non necessariamente ci devono incatenare?
    [...] Tutti portiamo il passato dentro di noi, come il nautilo rinchiuso; e dobbiamo trovare modi per esorcizzarlo, perché non metta a repentaglio il nostro destino. (nota introduttiva, pp. 262-263)

Vivo e vegeto in un viaggio solitario

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  • Dodici minuti [...] corrispondono all'effettiva durata verificata del dolore genuino. Qualsiasi cosa oltre i dodici minuti è autocommiserazione, e tentativi inutili di far sembrare più importanti i primi dodici minuti. Siamo una specie vanagloriosa, e se fossimo capaci di afferrare il fatto che anche la più sauvage di quelle che i francesi chiamano la grand passion provoca solo dodici minuti reali di dolore intenso, prima di cominciare ad attenuarsi, correremmo tutti sulle scogliere per buttarci come tanti lemming. Così lo giustifichiamo intensificandolo, facendolo sembrare importante, più logorante. Andiamo in giro per vent'anni dopo che la relazione s'è rotta, battendoci il petto e alzando lamenti al cielo. (nota introduttiva, p. 278)

Tutti gli uccelli tornano a posarsi al nido

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  • Non scrivo un diario. Uno scrittore cannibalizza la sua vita e i suoi ricordi, sì, è vero. Ma niente è più noioso che lamentarsi con insistenza nella narrativa. I ricordi personali appena appena travestiti non sono narrativa. Quelli che, in passato, mi hanno identificato con qualsiasi cosa metto giù nelle mie storie, hanno postulato che io sia un assassino, un travestito, un cannibale, un sessista, un femminista, un razzista, un egualitario, uno snob, un vegetariano, un esteta, una persona qualunque, uno psicopatico, un pacifista, un pederasta, un donnaiolo, uno che colpisce a casaccio e un lavoro-dipendente. Nonostante non abbia mai usato stupefacenti, c'è un vasto segmento del mio pubblico che giura che sono uno che si fa. (nota introduttiva, p. 294)

Spezzabato

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  • C'è una maledizione sulla porta che conduce alla mia tomba. Dice, in guardia, o voi che entrate – perché qui giacciono le prove empiriche che siamo tutt'uno, viviamo nella stessa pelle, ognuno di noi condannato a fare i conti con la responsabilità per il nostro passato, i nostri ricordi, il nostro destino, tutti quanti elementi nella grande congerie della vita. E se trovate angoscianti questi sogni oscuri, forse è perché sono i vostri sogni.
    È stato bello farvi visita.
    E quando sorgerà la prossima luna piena, e i suoni dal buio oltre il fuoco dell'accampamento saranno minacciosamente semi-umani, ci raccoglieremo ancora e ascolterò le tue storie, e poi le scriverò a modo mio, e te le restituirò. (nota introduttiva, p. 349)

Incipit di alcune opere

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Il basilisco

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Tornando da un pattugliamento notturno oltre il perimetro delle postazioni di artiglieria, il caporale dei lancieri Vernon Lestig cadde in una trappola messa sul sentiero dai nemici. Lui stava alla retroguardia a coprire la ritirata della pattuglia dal settore otto recentemente invaso, e, attardatosi troppo, smarrì il camminamento nella boscaglia. Non aveva modo di sapere che stava camminando parallelo alla pattuglia, a una trentina di metri sulla sinistra, ma continuò a camminare diritto, sperando d'incrociarla. E non vide gli aculei dello sbarramento, disposti in modo insidioso, imbevuti di veleno, inclinati per colpire con efficienza, incredibilmente appuntiti.

Prova con un coltello smussato

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Era la sera della festa pachanga alla taverna. C'erano tre nuovi complessi che suonavano contemporaneamente, ciascuno con una grossa cantante di colore che dimenava la sua ciccia urlando: ¡Vaya! Il suono era qualcosa di visibile, un'aggressione vestita di lamée d'argento e una tromba impazzita. Il suono ristagnava come una nuvola di nebbia puzzolente per l'odore di migliaia di mozziconi della migliore erba senza semi o gambi. L'oscurità era interrotta dal rapido balenio dei denti d'oro nelle bocche che di tanto in tanto si aprivano e lasciavano uscire parole sconce.

Un ragazzo e il suo cane

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Ero fuori con Blood, il mio cane. Quella settimana aveva deciso di farmi impazzire; continuava a chiamarmi Albert. Pensava che fosse maledettamente divertente. Payson Terhune: ah ah. Gli avevo procurato un paio di topi d'acqua, di quelli grandi, verdi e ocra, e un barboncino ben curato, scappato al guinzaglio di qualcuno dei sotterranei; aveva mangiato bene, ma era irritato. — Avanti, figlio di una cagna — gli ordinai, — trovamene qualcuna, ho voglia di fottere. — Un riso soffocato uscì dalla sua gola di cane. — Sei divertente quando ti viene voglia — disse.

Citazioni presenti in alcune opere

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Non ho bocca, e devo urlare

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  • Odio. Lasciami dire quanto ho finito per odiarvi da quando ho cominciato a vivere. Vi sono 387, 44 milioni di miglia di circuiti stampati in strati sottili come ostie che riempiono il mio complesso. Se la parola odio fosse impressa su ogni nanoangstrom di quelle centinaia di milioni di miglia, non eguaglierebbe un miliardesimo dell'odio che io provo per gli umani in questo microistante. Per te, odio. Odio. (AM)

Bibliografia

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  • Harlan Ellison, Idrogeno e idiozia, traduzione di Umberto Rossi, Fanucci Editore, 1999. ISBN 88-347-0685-4
  • Harlan Ellison, Il basilisco, traduzione di Rosella Sanità, Mondadori, 1975.
  • Harlan Ellison, Prova con un coltello smussato, traduzione di Corinna Agustoni, in "Inverno Horror 1992. Vampiri", a cura di Ellen Datlow, Mondadori, 1992.
  • Harlan Ellison, Un ragazzo e il suo cane, traduzione di M. Cristina Pietri, in "Storie del Pianeta Azzurro", a cura di Sandro Pergameno, Ed. Nord, 1987.

Altri progetti

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