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Giovanni Sartori

politologo italiano (1924-2017)

Giovanni Sartori (1924 – 2017), politologo italiano.

Giovanni Sartori

Citazioni di Giovanni Sartori

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  • Allora, quale sarebbe il terribile, vergognoso sbaglio di Oriana Fallaci? Forse sta nell'aver detto «forse». Invece avrebbe dovuto dire: qui è in atto una guerra di religione «anche se» voluta e dichiarata soltanto da una frangia di quella religione.[1]
  • Dacia Maraini è una bravissima scrittrice di romanzi che leggo sempre con piacere; ma nel suo discettare etico-politico ritrovo soltanto gli stanchi luoghi comuni del terzomondismo politicamente corretto. Tiziano Terzani ci ha raccontato con finezza e bravura dell'Asia; ma quando cita – come ricette di salvezza – San Francesco d'Assisi, Gandhi e poi, scendendo di parecchi chilometri, padre Balducci e il mio collega (alla Columbia University) Edward Said, allora cita a sproposito. Personalmente io preferisco i Domenicani ai Francescani. Concedo che Il Cantico di Frate Sole è un testo di un candore commovente. Ma quel candore non può essere trasferito da una età davvero primitiva all'età ultracomplicata del terzo millennio. Quanto a Gandhi, lui aveva a che fare con gli inglesi, e noi non abbiamo a che fare con dei Gandhi. E padre Balducci? Pochi sanno chi fosse. Ma a Firenze negli anni nei quali padre Balducci affascinava il colto e l'inclita (e anche, a quanto pare, Terzani) c'ero anch'io; e ricordo un dibattito nel quale lui attaccò così smodatamente il Papa da costringere il sottoscritto, laico abbastanza catafratto, a fare il papalino, il papofilo. Bel personaggio quel padre Balducci! Ma sempre più bello del cupissimo Edward Said, che scrive bene ma razzola malissimo. Il fatto che Said sia palestinese lo legittima nel suo essere pro palestinesi. Ma non mi risulta che Said abbia mai condannato i suoi uomini-bomba, ed esiste una fotografia che lo coglie, in zona Gaza, che lancia un sasso «intifadico» contro gli israeliani. Lui sarebbe un fautore di «campi di comprensione invece di campi di battaglia»? On aura tout vu, se ne vedono (e sentono) proprio di tutte.[1]
  • Il Nostro [Tiziano Terzani] prosegue così: «Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi ma eliminando le ragioni che li rendono tali». Sante parole, ma soltanto parole. Asserire che il problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi è come asserire che il problema della criminalità non si risolve arrestando e condannando i criminali. Vero; ma quale sarebbe l'alternativa? Eliminare le prigioni e rinviare i criminali a uno «studio Terzani» nel quale possono essere studiati e compresi? Se Terzani ci sta, io ci sto. Mi fornisca l'indirizzo e io proporrò (alla Basaglia) che le prigioni vengano abolite e che i loro inquilini lo vadano a trovare nella sua baita nell'Himalaya. Poi veda lui.[1]
  • L'azzeramento dei partiti, di questo tipo di partiti, evocato da Grillo nel V-day, è sacrosanto. La situazione dei partiti in Italia è putrefatta, non è curabile, non può andare avanti. I partiti sono pure macchine di potere clientelare, niente di più. E non si riformano: o muoiono o continuano così, perché non c'è nessuna capacità di rimetterli in ordine. (da Annozero, 20 settembre 2007)
  • Nessuno in Italia vuole correre rischi. È un paese conformista. Che si è oramai seduto sulle poltrone che occupa. Non ha grandi visioni né del futuro né del presente. Diciamo che sostanzialmente è un paese che tira a non perdere il posto. (ibidem)
  • Nel caso di Beppe Grillo, anti sta solo per dire «basta» con questi politici, con questi partiti e con questa politica. E, se così, il grillismo non ha sottintesi o implicazioni antidemocratiche.[2]
  • Demagogia è l'arte di trascinare e incantare le masse che, secondo Aristotile, porta alla oligarchia o alla tirannide. In ogni caso, il termine indica un agire e un «mobilitare» dall'alto che non ha nulla da spartire con la democrazia come potere attivato dal basso. Il termine populismo è molto più recente e ci arriva dalla Russia, dove fu coniato alla metà dell'Ottocento per indicare una rivoluzione dei contadini (fermo restando che la parola narod sta, in russo, per popolo). Un significato che poi riemerge all'inizio del secolo scorso negli Stati Uniti. Il primo movimento fu represso, e il secondo fallì. Il che fece anche sparire la parola.[2]
  • Grillo è, ad oggi, un populista, non un demagogo. La demagogia, in Italia, sta al governo.[2]
  • Berlusconi le azzecca. Perché le dice tutte, perciò a volte ci prende. (da Porta a Porta, 4 dicembre 2007)
  • Insegnavo alla Columbia quando Obama era studente. Da giovane, da "più giovane", era un lavativo. […] Dai miei corsi, che erano corsi temuti, ha girato alla larga, non l'ho mai visto. Sul fronte di questo candidato siamo nel buio perché il nuovo, il giovane ed il fresco sono contenitori vuoti, non vogliono dire nulla.[3]
  • È che il voto malavitoso condiziona e inquina la politica e le elezioni di metà del Paese. Nel 2001 Berlusconi vinse in Sicilia 61 collegi su 61. È comunque opinione che quel trionfo fu dovuto anche ai voti controllati dalla mafia. E ora il Cavaliere ritenta il colpo rilanciando il ponte di Messina, che sarebbe inevitabilmente una colossale pacchia per l'onorata società. Come insegna l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, fatturata metro per metro dalle cosche. (da Democrazia al verde, Corriere della sera, 13 marzo 2008, p. 1)
  • Silvio Berlusconi possiede metà della televisione italiana, controlla l'altra metà (le reti statali) […] Inoltre condiziona gran parte della stampa. (dalla trasmissione WideAngle)
  • [Su Papa Francesco] È un bel furbacchione. Ha detto solo parole tardive e fumose sulla strage dei cristiani in Africa. E la Chiesa è la trincea di chi si oppone al controllo delle nascite. Ma il sovrappopolamento è la più drammatica crisi del nostro tempo. […] È un furbo in primis, e poi è argentino. Tutti gli italiani cattivi li abbiamo spediti in Argentina.[4]
  • In nessuna teoria democratica si mette in dubbio il fatto che una delle caratteristiche di una dittatura sia il monopolio dell'informazione. (dalla trasmissione WideAngle)
  • Eccezion fatta per pochi solitari eroi, chi teme di dire quello che pensa finisce per non pensare quel che non può dire. (da Opinione pubblica, Enciclopedia del Novecento, 1979; in Treccani.it)

Corriere.it, 17 luglio 2013

  • Ho già avuto occasione di scrivere che il governo Letta è il più scombinato, in fatto di competenze e di incompetenze, della nostra storia. Nullità che diventano ministri, brave persone messe al posto sbagliato. Eppure Letta è del mestiere, conosce bene il mondo politico nel quale vive. Chi gli ha imposto, allora, una donna (nera, bianca o gialla non fa nessunissima differenza) specializzata in oculistica all'Università di Modena per il delicatissimo dicastero della «integrazione»?
  • In Inghilterra, in Francia, e anche nelle democrazie nordiche vi sono figli di immigrati addirittura di seconda generazione (tutti debitamente promossi a «cittadini» da tempo) che non si sentono per niente francesi o inglesi. Anzi. Allora a chi deve la sua immeritata posizione la nostra brava Kyenge Kashetu? Tra i tanti misteriosi misteri della politica italiana questo sarebbe davvero da scoprire. Un'altra raccomandata a quanto pare anch'essa di ferro (da chi?) è la presidente della Camera Boldrini. In questo caso le credenziali sono davvero irrisorie. Molta sicumera, molto presenzialismo femminista ma scarsa correttezza e anche presenza nel mestiere che dovrebbe fare.
  • L'Italia si trova in una situazione economica gravissima con una disoccupazione giovanile senza precedenti. Non si può permettere governi combinati (o meglio scombinati) da misteriose raccomandazioni di misteriosissimi poteri. Siamo forse arrivati alla P3?

Citazioni tratte da interviste

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Da Il pacifismo arcobaleno farà perdere l'Ulivo

Intervista a Il Messaggero, 29 marzo 2003.

  • L'equilibrismo non è nella mia natura. Io mi comprometto sempre. [...] Quindi non sono e non posso essere un "né-né". Ma c'è anche di peggio: quelli che preferiscono l'anti-americanismo all'anti-saddamismo.
  • Non sventolo nessuna bandiera. Questo pacifismo è cieco e non lo approvo. Anzi, lo sa come lo chiamo? [...] Cieco-pacismo. Chi è "senza se e senza ma" non vede niente.
  • Quando una guerra è cominciata, ci si deve schierare, senza furbizie elettorali. Io ho detto e stradetto, fino a un minuto prima che scoppiasse, che si trattava di un conflitto sbagliato e controproducente e non ho cambiato opinione. Ma adesso che si combatte, spero che vincano gli anglo-americani. Al più presto e senza troppo spargimento di sangue.
  • [Alla domanda «Gli occhi devono restare aperti?»] Su questi problemi, non mi lascio trasportare dall'utero, anche perché non ce l'ho. Sono un pacifista razionale.
  • [Alla domanda «Insomma Bush non è uguale a Hitler?»] Basta con queste stupidaggini alla Gino Strada. Critico Bush infinite volte e su un'infinità di temi. Ma preferisco che vinca lui e non Saddam. E mi sembra che anche la Chiesa stia esagerando.
  • [La Sinistra italiana] È appiattita sulle posizioni di Cofferati e di Bertinotti. Alle prossime elezioni politiche fra tre anni, e non alle amministrative che ci sono fra poco, questo estremismo costerà caro all'Ulivo. Rischiano di perdere il voto dei moderati.

Dall'intervista di Claudio Sabelli Fioretti, Sette, 8 luglio 2004.

  • Vespa è uno che sa il fatto suo. Ma quelle trasmissione non mi piacciono, gong che squillano, ballerine che entrano.
  • [La guerra in Iraq] Sapevo che sarebbe stato un boomerang che avrebbe prodotto un'ulteriore esplosione del fondamentalismo. Ma se adesso tutti scappano nell'Iraq, nasce uno Stato terrorista.
  • Chi non fa branco non piglia premi.
  • [«Qualcuno voleva farla senatore a vita»] In fondo dopo Bobbio chi c'è? Ma io, non ho claque di sostegno. Sono soltanto un battitore libero.
  • Nel nuovo Senato non ci vorrei proprio andare. Guardi questo volume. Sessanta costituzionalisti, di destra, di sinistra, di centro, dicono tutti che questa proposta di riforma costituzionale è una schifezza.
  • Sono sempre stato anticomunista. Morto il comunismo, non lo sono più.
  • Uno dei miei bersagli preferiti è stato Marco Pannella. Un grande esibizionista, con l'Ego sempre in erezione. Avrebbe fatto bene al circo. Con quei finti scioperi della sete.
  • [I contestatori] Hanno aiutato a distruggere l'università come strumento di trasmissione del sapere. Loro sapevano già tutto. Si consideravano l'inizio della storia. Ridicolo. Ho avuto scontri durissimi quando ero preside di Scienze Politiche a Firenze. Andavo alle assemblee e combattevo.
  • [I contestatori] Mi hanno sempre rispettato. Avevo avvertito: "Se uno di voi dice che sono un fascista gli tiro il più grande ceffone della mia vita". Quando Capanna disse: "Formidabili quegli anni", io commentai: "Formidabili sicuramente per lui".
  • I sessantottini falliti sono diventati radicali e verdi. Quelli in gamba sono diventati direttori di giornali, grandi scrittori.
  • [Silvio Berlusconi] Lo criticavo spesso. E lui, incauto, mi rispondeva. Io ci andavo a nozze perché me lo mangiavo facilmente, senza eccesso di orgoglio o intenzione di offesa.
  • Se si intende per regime un sistema democratico reso anomalo da una personalizzazione eccessiva del potere allora il nostro è un regime. È curioso che chi mi ha contraddetto più di altri, su questo tema, è stato D'Alema. Che cosa gliene importa? A cosa gli serve dire che non è un regime quello di Berlusconi?
  • [Alla domanda «Chi è che non le piace a sinistra?»] Oltre Bertinotti e Pannella? I verdi alla Pecoraro Scanio. Non piangerei se scomparissero. E l'assurda coppia Occhetto-Di Pietro.
  • Nei limiti che si impone, Mentana ha intelligenza e autonomia. Mimun è completamente appiattito.
  • [Su Adriano Sofri] Secondo me la sua forza è stare in prigione. [...] Se esce ha meno tempo di scrivere. [...] Non vuole chiedere la grazia. In prigione fa quello che vuole, è trattato con guanti bianchi, scrive quanto vuole quello che vuole, guadagna un sacco di soldi e vive gratis. Mi pare una situazione accettabile.

Dall'intervista a La Stampa, 12 giugno 2008

  • In passato il dittatore rovesciava la democrazia, il passaggio all'autocrazia era manifesto, rivoluzionario. Oggi questo processo avviene senza alcuna rivoluzione, senza neppure bisogno di riforme. Il caso più patente è la Russia di Putin: formalmente resta un sistema semipresidenziale, ma di fatto un uomo solo si è impadronito del potere e di tutti i contropoteri previsti per contrastarlo.
  • La Democrazia non è esportabile, soprattutto, nei Paesi islamici, perché sono teocrazie fondate sulla volontà di Allah, non sulla volontà del popolo. Dio e popolo sono due principi di legittimità opposti e inconciliabili.
  • Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita. Perché non c'è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall'interno. Se si impacchetta la Corte costituzionale, se si paralizza la magistratura. La mia è soltanto una ipotesi di dottrina: si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e contrappesi, e di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere "transitivo" che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo
  • Se la scuola non funziona, se è al collasso, come da noi, il cittadino maturo e consapevole non nasce. Poi c'è la crisi etica, che produce il capitalismo selvaggio, il supercapitalismo di cui parla Guido Rossi. E c'è una crisi di capacità cognitiva che ci fa perdere il controllo sulla realtà politico-sociale. Il mondo è diventato così complicato che sfugge alla comprensione anche degli esperti. Non siamo più in grado di fare l'ingegneria della storia – di dominare la storia – perché non abbiamo un sapere politico-sociale fondato sul "saper fare", sul know how. Nelle discipline scientifiche è diverso, per esempio abbiamo una fisica pura e una fisica applicata; ma nelle discipline sociali la scienza applicata che "sa fare" non c'è. Tanto è vero che quasi tutte le riforme, in generale, falliscono. Falliscono perché non riusciamo a prevederne gli effetti. Insomma, soffriamo di sottoconoscenza
  • La televisione crea cattivi cittadini. Non tanto per una questione di suoi contenuti. L'Homo videns è incapace di astrazione, sa solo di quello che vede alla tv. Ma lo Stato, la giustizia, la libertà, i diritti sono concetti astratti: come faccio a rappresentarli in immagini?

Intervista di Paolo Conti, Corriere della Sera, 12 maggio 2014, p. 29.

  • [Su Giovanni Spadolini] Essendo precoce, e grafomane, aveva collaborato, proprio da ragazzo, a "Italia e civiltà" di Giovanni Gentile. Toccò a me, a fascismo caduto (allora ero presidente dell'organizzazione degli studenti), difenderlo da chi lo voleva epurare. Dissi: scriveva anzitempo non perché fosse fascista, ma perché era più bravo di noi. Mi dettero ragione, e Spadolini non fu toccato.
  • [Su Jimmy Carter] Rammento una riunione della Trilaterale a Tokyo. Lui non era ancora presidente. Ma ho il ricordo netto di un uomo sempre pronto a impartire una lezioncina. Il che lo rendeva antipatico a tutti. In albergo, a colazione tutti lo fuggivano. Era anche poco intelligente, come dimostrò il fallimento dell'operazione per la liberazione dei 52 ostaggi americani nell'ambasciata di Teheran. "Non voglio nemmeno un morto", disse. Ma come si può immaginare che una operazione del genere possa essere indolore? Suvvia...
  • [Su Richard Nixon] Soffriva di grandi complessi. E aveva una mania paranoide di persecuzione, che lo portò allo scandalo Watergate. Ma era intelligente, preparato, rapido nelle analisi. E aveva il senso dello Stato. Durante gli scrutini del 1960 Nixon sembrava che stesse vincendo (a detta dei sondaggi). Ma Joseph Kennedy, il padre di John, telefonò al suo amico sindaco di Chicago Richard J. Daley, che gli procurò i voti necessari. Nixon lo seppe. Ma non volle sollevare uno scandalo. Subì in silenzio una sconfitta immeritata.
  • [Su Ronald Reagan] Nella sua California era imbattibile, dominava persino i dibattiti (accesi) con gli studenti progressisti della Stanford University. Ma si perdeva, dicevo allora, se appena entrava in Nevada. Mi sembrò, conoscendolo e parlandoci spesso alla Hoover Institution di Stanford, che fosse già un po' arteriosclerotico. Eppure conquistò la Casa Bianca per due mandati. Reagan fu anche il presidente che vinse a tavolino la guerra fredda credendo alla tesi delle Guerre stellari di Edward Teller, padre della bomba termonucleare. Reagan gli diede retta e fece partire un riarmo. L'Unione Sovietica fece i suoi conti e capì che tecnologicamente non avrebbe retto alla corsa. Ma in verità le Guerre stellari erano un'invenzione di Teller! Me lo ha detto proprio lui. In confidenza, s'intende.
  • [Su Henry Kissinger] Ci siamo conosciuti ad Harvard, quando ebbi un primo incarico negli Stati Uniti. Faceva sorridere quel suo fortissimo accento tedesco, che ha conservato per tutta la vita. In ogni intervista televisiva rispondeva a qualsiasi domanda: "This is a big problem" con quell'intonazione germanica. Finita la presidenza Nixon, si ritirò nel silenzio. Fui io a riportarlo alla ribalta nel 1977, quando organizzai a Washington, con l'American Enterprise Institute, un grande convegno per discutere dell'eurocomunismo, dopo che i fatti cileni avevano spaventato persino Enrico Berlinguer e il Pci di allora. Accettò il mio invito, parlò davanti ad un'aula gremitissima. Da allora non si fermò più.
  • [Alla domanda «Vede talenti politici, nell'Italia di oggi?»] Purtroppo no. C'è solo stata una politica che ha sempre riprodotto se stessa e che ha lasciato che la mafia la infiltrasse. Conosco bene l'Europa occidentale e posso dire che abbiamo il peggior metodo di reclutamento del personale politico del continente.

Intervista di Luigi Mascheroni, il Giornale, 17 gennaio 2016.

  • Sto dicendo che dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l'integrazione di islamici all'interno di società non-islamiche sia riuscita. Pensi all'India o all'Indonesia.
  • Cos'è il multiculturalismo? Cosa significa? Il multiculturalismo non esiste. La sinistra che brandisce la parola multiculturalismo non sa cosa sia l'Islam, fa discorsi da ignoranti. Ci pensi. I cinesi continuano a essere cinesi anche dopo duemila anni, e convivono tranquillamente con le loro tradizioni e usanze nelle nostre città. Così gli ebrei. Ma i musulmani no. Nel privato possono e devono continuare a professare la propria religione, ma politicamente devono accettare la nostra regola della sovranità popolare, altrimenti devono andarsene.
  • [«Se la sente un benpensante di sinistra le dà dello xenofobo»] La sinistra è vergognosa. Non ha il coraggio di affrontare il problema. Ha perso la sua ideologia e per fare la sua bella figura progressista si aggrappa alla causa deleteria delle porte aperte a tutti. La solidarietà va bene. Ma non basta.
  • [Alla domanda «E gli sbarchi massicci di immigrati sulle nostre coste?»] Ogni emergenza ha diversi stadi di crisi. Ora siamo all'ultimo, lo stadio della guerra – noi siamo gli aggrediti, sia chiaro – e in guerra ci si difende con tutte le armi a disposizione, dai droni ai siluramenti.
  • [«Se la sente uno di quegli intellettuali per i quali la colpa è sempre dell'Occidente...»] Intellettuali stupidi e autolesionisti. Lo so anch'io che l'Inquisizione è stata un orrore. Ma quella fase di fanatismo l'Occidente l'ha superata da secoli. L'Islam no. L'Islam non ha capacità di evoluzione. È, e sarà sempre, ciò che era dieci secoli fa. È un mondo immobile, che non è mai entrato nella società industriale. Neppure i Paesi più ricchi, come l'Arabia Saudita. Hanno il petrolio e tantissimi soldi, ma non fabbricano nulla, acquistano da fuori qualsiasi prodotto finito. Il simbolo della loro civiltà, infatti, non è l'industria, ma il mercato, il suq.
  • [Alla domanda «Qual è la sua Europa?»] Un'Europa confederale, composta solo dai primi sei/sette stati membri, il cui presidente dev'essere anche capo della Banca Europea così da avere sia il potere politico sia quello economico-finanziario, e una sola Suprema corte come negli USA. L'Europa di Bruxelles con 28 Paesi e 28 lingue diverse è un'entità morta. Un'Europa che vuole estendersi fino all'Ucraina... Ridicolo. Non sa neanche difenderci dal fanatismo islamico.

Democrazia: cosa è

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Definire la democrazia è importante perché stabilisce cosa ci aspettiamo dalla democrazia. Al limite, se andiamo a definire la democrazia «irrealmente» non troveremo mai «realtà democratiche». E quando dichiariamo, di volta in volta, «questa è democrazia», oppure che non lo è, è chiaro che il giudizio dipende dalla definizione, o comunque dalla nostra idea di cosa la democrazia sia, possa essere o debba essere.

Se definire la democrazia è spiegare che cosa vuol dire il vocabolo, il problema è presto risolto: basta sapere un po' di greco. La parola significa, alla lettera, potere (kratos) del popolo (demos). Ma così abbiamo solo risolto un problema verbale: si è soltanto spiegato un nome. Il problema di definire la democrazia è assai più complesso.

Citazioni

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  • L'unico modo di risolvere i problemi è di conoscerli, di sapere che ci sono. Il semplicismo li cancella e così li aggrava.
  • Vox populi, vox dei […] ma il punto è, qui, di fondare la democrazia. E un fondamento di legittimità non attribuisce verità: attribuisce un diritto. Il popolo non ha sempre ragione nel senso che non sbaglia mai, ma nel senso che ha diritto di sbagliare, e che il diritto di sbagliare compete a chi sbaglia per sé, a danno proprio.
  • Se c'è un modo di rendere inevitabile anche l'evitabile è dichiararne l'inevitabilità.
  • La storia è il mito di Sisifo, ogni generazione ricomincia daccapo. Nessuno di noi nasce civilizzato: il nostro certificato di nascita porta l'anno zero. La nostra età storica, la nostra maturità di uomini del proprio tempo, deve essere sempre riconquistata, la si deve sempre ricuperare: e ogni volta il tragitto si allunga, ogni volta c'è da risalire un poco di più. Talvolta sembra che non reggiamo lo sforzo, che la linea della tradizione occidentale sia diventata troppo lunga, che non riusciamo più a ripercorrerla. Talvolta coglie il sospetto che l'habitat storico sia più civile di quanto siano civilizzati i suoi abitanti, e che le civiltà si disintegrano proprio perché finiscono per sopravanzare i loro protagonisti. Siamo gravidi di futuro, oppure stiamo perdendo il passo?

Nel mondo modernizzato chi oggi governa senza democrazia gioca senza legittimità. Ma anche il gioco democratico può essere giocato male. Saprà la democrazia resistere alla democrazia? Sì, ma a patto di giocare con più intelligenza e soprattutto con più responsabilità di quanta io oggi ne veda a giro. Sì perché il pessimismo dell'intelligenza va combattuto da un ottimismo della volontà. Ma se ci culleremo nella illusione (irresponsabile) di un futuro «sicuro», allora è sicuro che tale non sarà. Nota benissimo Kolakowski: «L'euforia è sempre breve. L'euforia del postcomunismo è già passata e le premonizioni di pericoli imminenti sono crescenti». Tra questi le teste di bambagia piene di aria fritta allevate via etere.

Mala costituzione e altri malanni

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  • L'Onu è un baraccone di piccole virtù. Chi lo magnifica come una mirabile entità salvifica è un illuso e probabilmente un ipocrita. (da Bush e Zapatero, chi sbaglia di più: p. 102)
  • Il centro di cui si parla in dottrina è una autocollocazione che gli elettori si assegnano su un cartoncino che raffigura una dimensione destra-sinistra. Tutto il resto è orpello. (da È una favola il centro che fa vincere?: p. 124)
  • Il pessimismo è pericoloso solo se induce alla resa; ma altrimenti il male lo fa l'ottimismo e il tranquillismo che inducono a non far niente. (da La democrazia rischia lo svuotamento: p. 145)
  • La scienza è sottoposta, nel suo argomentare, alle regole della logica. E per la logica io uccido esattamente quel che uccido. Non posso uccidere un futuro, qualcosa che ancora non esiste. Se uccido un girino non uccido una rana. Se bevo un uovo di gallina non uccido una gallina. Se mangio una tazza di caviale non mangio cento storioni. (da La vita umana secondo ragione: p. 154)
  • [...] la vita umana è tale proprio perché intessuta di valori che perseguiamo e disvalori che rifiutiamo, e che questo "tessuto di valore" ci viene fornito dal linguaggio. (da Illusionisti pericolosi: p. 180)
  1. a b c Da Uditi i critici ha ragione Oriana, Corriere della Sera, 15 ottobre 2001.
  2. a b c Da Il revival del populismo, Corriere.it, 2 ottobre 2007.
  3. Dal programma televisivo Markette, La7, 5 febbraio 2008.
  4. Citato in Antonello Caporale, Sartori: "Renzi bipede implume. E Obama tipo da quattro soldi", il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2015; citato in Giovanni Sartori boccia tutti: "Obama è un incapace, Papa Francesco un furbacchione e Renzi un furbetto", HuffingtonPost.it, 30 giugno 2015.

Bibliografia

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  • Giovanni Sartori, Democrazia: cosa è, Rizzoli, Milano, 1993.
  • Giovanni Sartori, Mala costituzione e altri malanni, Gius. Laterza & figli, Roma-Bari 2006.

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