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Vittorio Amedeo Ghilini

nobile e politico italiano, marchese di Maranzana

Vittorio Amedeo Ghilini, marchese di Maranzana, Gamalero e Sezzè (Alessandria, 13 maggio 1714[b 1]Alessandria, 5 dicembre 1766[b 1]), è stato un nobile e politico italiano, appartenente all'antica famiglia nobile alessandrina dei Ghilini.

Vittorio Amedeo Ghilini
Marchese di Maranzana
Stemma
Stemma
In carica17481766
PredecessoreTommaso Ottaviano II Ghilini
SuccessoreAmbrogio Maria Ghilini
Nome completoVittorio Amedeo Giacomo Ottaviano Ghilini
Altri titoliMarchese di Gamalero e Sezzè, Conte di Rivalta
NascitaAlessandria, 13 maggio 1714
MorteAlessandria, 5 dicembre 1766
Luogo di sepolturaChiesa di San Bernardino
DinastiaGhilini
PadreTommaso Ottaviano II Ghilini
MadreFrancesca Maria Botta Adorno
ConsorteGabriella Dal Pozzo
FigliBarbara Francesca
Enrica Isabella
Angela Giovanna
Tomaso
Cesare Ambrogio
Lodovico Giuseppe
Tomaso
Ambrogio Maria
Religionecattolica

Biografia

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Vittorio Amedeo nacque il 13 maggio 1714 ad Alessandria, fu il primogenito maschio dei marchesi Tommaso Ottaviano II (1667-1748) e Francesca Botta Adorno (1683-1743), che ebbero in totale otto figli[b 1]. La sua nascita coincise con un periodo storico significativo per la regione dell'alessandrino, annessa al Ducato di Savoia l'anno precedente, in seguito al trattato di Utrecht. Il nome scelto per il neonato, che rifletteva quello del re Vittorio Amedeo II di Savoia, testimoniava il legame della famiglia con la casa regnante; lo stesso monarca, in una lettera datata 15 luglio 1716, espresse soddisfazione per l'omaggio dei Ghilini, che avevano esposto le insegne sabaude sulla loro residenza alessandrina. Il re di Sardegna fu inoltre padrino di battesimo del piccolo Vittorio Amedeo[b 2], battesimo celebrato il 2 giugno 1716[b 3]. Completò il suo ciclo di studi presso il Collegio dei nobili a Milano, dal quale fece ritorno ad Alessandria nel 1744[b 3].

Erede di un considerevole patrimonio familiare ma afflitto da una salute fragile, il marchese assunse incarichi pubblici di livello intermedio. Ricoprì la carica di capitano di fiera, un ruolo precedentemente detenuto da suo padre. Forte della fiducia dei Savoia, nel 1746 fu selezionato, insieme ad altri nobili di spicco di Alessandria, per entrare a far parte della "Ragioneria", un nuovo organo di governo creato in quell'anno e destinato a restare in funzione fino al 1775. Il periodo è quello della guerra di successione austriaca, Alessandria, assediata dalle forze franco-spagnole, fu liberata dall'intervento dei rinforzi piemontesi, alleati con l'Austria. In questo contesto, Carlo Emanuele III approfittò per riformare l'amministrazione comunale come punizione per l'accoglienza favorevole data dalla città agli spagnoli nel 1745. Fu dunque con le Regie Patenti del 3 maggio 1746 che vennero aboliti gli antichi enti comunali e articolato un "Consiglio" composto da quattordici membri selezionati direttamente dal sovrano. All'interno di questo organismo, un gruppo di cinque consiglieri costituiva la "Ragioneria", un ente che, per le sue funzioni, può essere paragonato ad una giunta comunale. Di questi cinque membri della Ragioneria, due ricoprivano la carica di "Sindaco"[b 4]. Il marchese fu così coinvolto nell'apparato esecutivo della città.

Nel 1754, il marchese fu nominato giudice delle vettovaglie, succedendo a Giacomo Francesco Guasco dei Signori San Michele e San Paolo (1700-1772), che aveva rinunciato alla carica. In aggiunta, un decreto del 21 novembre 1748 lo designò a un incarico precedentemente occupato da suo padre presso il Santo Uffizio di Alessandria. Tuttavia, il suo maggiore contributo all'ascesa della sua famiglia fu la consolidazione dei titoli e delle rendite feudali. I proventi dei feudi di Maranzana, Rivalta, Sezzadio e Gamalero, unitamente all'eredità di circa un milione di monete d'oro ricevute dal padre, gli permisero non solo di mantenere il lusso del palazzo di famiglia ad Alessandria, ma anche di impegnarsi in numerose opere di beneficenza. A tal proposito, finanziò decorazioni in marmo per la cappella di Sant'Antonio presso i padri osservanti di San Francesco e donò 6000 lire per l'abbellimento della cappella della Madonna della Salve nell'antico duomo di Alessandria[b 5]. Prestò particolare attenzione anche alle chiese del Carmine e di San Bernardino, quest'ultima demolita nel 1842 per far posto a un carcere, luoghi in cui si trovavano la cappella gentilizia e le tombe di famiglia. A Gamalero, inoltre, istituì la cappellania della Beata Vergine del Carmine e di Santa Caterina da Genova, nella chiesa di San Lorenzo, onorando così le disposizioni testamentarie di Francesco Passaggio, ex maggiordomo dell'ospedale dei Santi Antonio e Biagio.

Nel palazzo Ghilini divennero frequenti, come nelle altre principali residenze nobiliari di Alessandria, pranzi e banchetti, riunioni di gioco e conversazione. Le feste di carnevale organizzate dal marchese divennero un appuntamento significativo per la società cittadina, così come le visite di ospiti illustri, tra cui Edoardo di York, fratello di Giorgio III del Regno Unito, che nel febbraio del 1764 compì una visita ufficiale ad Alessandria[b 3].

Affidando l'amministrazione dei suoi beni e la generale rappresentanza dei suoi interessi a Ignazio Vimercati, originario di Bassignana, il marchese agì come mediatore in varie dispute tra famiglie rivali. Stimato nelle comunità di cui era signore, fu chiamato a rappresentare il Comune di Sezzadio in una disputa contro i Borromeo, che si rifiutavano di versare i tributi comunali sui boschi ereditati dai Visconti, un conflitto che risaliva al 1644 e che il marchese risolse con abilità, grazie alla sua vasta rete di relazioni.

Fu anche figura controversa, è stata oggetto di diverse interpretazioni storiche, alcune favorevoli, come quelle di Francesco Gasparolo[b 6] (1858-1930), altre critiche e polemiche, come quelle espresse da Emilio Guasco[b 1] (1878-1976) nell'opera, fondata dal padre Francesco Guasco (1847-1926), Tavole genealogiche di famiglie nobili alessandrine e monferrine dal secolo IX al XX[1].

Il marchese si spense ad Alessandria il 5 dicembre 1766, venendo sepolto nella chiesa di San Bernardino, destinataria di alcune delle sue più significative donazioni.

Matrimonio e discendenza

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All'età di trent'anni, sposa Gabriella Dal Pozzo (*17231781), secondogenita del principe della Cisterna Alfonso Dal Pozzo (*16871761) e di Barbara Benedetta Roero (*16871753), figlia di Ercole Tomaso Roero (*16611747). L'unione rafforzò i legami dei Ghilini con una delle famiglie più influenti della capitale piemontese, arricchendo il loro patrimonio con una dote di 60.000 lire, oltre ad un corredo di valore e numerosi gioielli. La coppia ebbe otto figli:

Ascendenza

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Genitori Nonni Bisnonni Trisnonni
Giovanni Ambrogio Ghilini Giovanni Giacomo III Ghilini  
 
Vittoria Omati  
Giacomo Ottaviano Ghilini  
Vittoria Trotti Bentivoglio Luigi Trotti Bentivolgio  
 
Cintia Fara  
Tommaso Ottaviano II Ghilini  
Carlo Ambrogio Arborio Ferdinando Arborio  
 
Camilla Lomellini  
Angela Arborio  
Isabella Guasco Francesco Guasco  
 
Lucrezia Guasco  
Vittorio Amedeo Ghilini  
Alessandro Botta Adorno Luigi Botta  
 
Maddalena Adorno  
Luigi Botta Adorno  
Maddalena Squarciafico -  
 
-  
Francesca Maria Botta Adorno  
Giambattista Meli Lupi Diofebo Meli Lupi  
 
Isabella Sanvitale  
Maria Matilde Meli Lupi  
Felicita Vimercati Sozzi Marco Antonio Vimercati Sozzi  
 
Anna Vaghi  
 

Esplicative

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  1. ^ Così il Guasco lo descrive: «[...] La sua educazione fu deficiente e tutte le azioni della sua vita si risentirono del modo ristretto con il quale egli era stato allevato. Temendo suo padre che dissipasse i beni immensi da lui e dal nonno accumulati gli faceva sempre lezioni di economia, e così non volle mai che egli avesse una carrozza a sua disposizione e se gli dava del denaro era sempre a condizione che lo conservasse. Alla morte però del padre egli dimenticò tosto le sue lezioni. Egli si era sposato tre anni prima, e i due sposi si erano risentiti dell'economia e delle severità del padre, ma, appena liberi del suo giogo, diedero libero sfogo al loro desideri, migliorando il loro tenore di vita per quanto riguardava i domestici, la tavola, il loro vestiario, gli equipaggi. Fece ammobiliare un magnifico appartamento, ne costruì uno nuovo, e fece specialmente spese frivole che assorbirono più denaro che quelli utili, di guisa che l'anno prima di morire dovette farsi imprestare denaro per dare la dote alla sua seconda figlia, benché avesse trovato nella cassaforte del padre alla sua morte più di un milione in oro. [...] Si alzava prima del sole, dormiva poco di notte, ma era pronto a dormire in tutte le ore del giorno; attivo nelle piccole cose, i grandi affari lo preoccupavano. Tutti potevano raggirarlo, e ordinariamente i suoi giudizi dipendevano da quelli di sua moglie o dei suol domestici; il sarto e il falegname erano i suoi consiglieri intimi negli affari più importanti. Il parrucchiere e la cameriera decisero della sorte della sua primogenita, che fu sacrificata al marchese Pallavicino, giovane molto stordito, perché questi seppe usarli al suo partito. [...]». (Cfr. Francesco Guasco, tav. VII).

Bibliografiche

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Bibliografia

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Genealogica, araldica

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  • Francesco Guasco di Bisio, Famiglie Ghilini, Lanzavecchia, Gavigliani, Straneo, in Tavole genealogiche di famiglie nobili alessandrine e monferrine dal secolo IX al XX, vol. 6, opera postuma riveduta e pubblicata dal figlio Emilio, Casale, Tipografia Cooperativa Bellatore, Bosco & C., 1930.

Storica, annalistica, trattatistica

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Biografica

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Paola Bianchi, Vittorio Amedeo Ghilini, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 53, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000.

Pubblicazioni, Riviste, Studi, Ricerche

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Risorse di rete

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Voci correlate

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Altri progetti

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