Sprezzatura
Sprezzatura è un termine in voga durante il XVI secolo italiano in ambito musicale, relativamente sia alla composizione che all'esecuzione; non è altro che una declinazione in accezione musicale del significato comportamentale del termine: una condotta di estremo rigore e autocontrollo, al limite del sussiego.
Nella musicologia
modificaIl termine è stato inizialmente utilizzato, in senso musicale, per connotare taluni aspetti del recitar cantando teorizzato in seno alla Camerata de' Bardi. Un esempio è nella presentazione delle Nuove Musiche di Giulio Caccini:
«Bisogna cantare senza misura, quasi favellando in armonia con sprezzatura, togliendosi al canto una certa terminata angustia e secchezza, si rende piacevole licenzioso e arioso, siccome nel parlar comune la eloquenzia e la fecondia rende agevoli e dolci le cose di cui si favella...»
Nell'ambito musicale questo termine indica la condotta del canto monodico sul basso continuo che si piega con grazia, agio e quindi sprezzatura alle inflessioni ed alle tensioni del testo.
In seguito, "nella musica, in un’idea di grazia secondo modelli leziosi del gusto rococò, si afferma uno «stile galante»; le sue caratteristiche sono leggerezza e decorativismo. Tra i suoi maggiori esponenti troviamo Telemann, Galuppi, Rutini, nonché Haydn e Mozart nel periodo giovanile. Ma questo tema, nella musica, implica tutta una riflessione sul segreto del ritmo e della composizione, sulla quiete e il movimento, come hanno esposto Stéphane Mallarmé, Hans von Balthasar, Giovanni Guanti, Jankelevitch, con un’ampia riflessione da Bach fino a Debussy e Ravel. Per quanto riguarda il linguaggio musicale, la grazia segna soprattutto un abbellimento nell’esecuzione, nell’interpretazione; è insomma una nota di bravura nel tocco tutto speciale derivante dal termine «sprezzatura», mentre nella critica musicale affiora questo termine anche in profondità perché viene giudicato il corrispettivo di una specie d’invasamento"[1].
Nel comportamento
modificaIl termine sprezzatura ha però origine non musicale, e riguarda alcuni aspetti della condotta del perfetto uomo di corte. Il termine viene utilizzato e spiegato ne Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione:
«Trovo una regula universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che alcun altra: e cioè fuggir quanto più si po, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò, che si fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi…
Da questo credo io che derivi assai la grazia: perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario il sforzare e, come si dice, tirar per i capegli dà somma disgrazia e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch’ella si sia. Però si po dire quella essere vera arte, che non pare essere arte; né più in altro si ha da poner studio che nella nasconderla: perché, se è scoperta, leva in tutto il credito e fa l’omo poco estimato»
In questo caso quindi, la sprezzatura altro non è che la disinvoltura dell'uomo di corte che affronta le difficoltà: 'equilibrio, il controllo di sé e il sano distacco che ne fanno un perfetto cortigiano.
Utile anche la ripresa di Giacomo Leopardi nello Zibaldone:
«[2682] Grazia dal contrasto. Conte Baldessar Castiglione, Il Libro del Cortegiano. lib.1. Milano, dalla Società tipogr. de' Classici italiani, 1803. vol.1. p.43-4. Ma avendo io già più volte pensato meco, onde nasca questa grazia, lasciando quegli che dalle stelle l'hanno, trovo una regola universalissima; la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane, che si facciano, o dicano, più che alcuna altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e pericoloso scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte, e dimostri, ciò che si fa, e dice, venir fatto senza fatica, e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia: perché delle cose rare, e ben fatte ognun sa (p. 44 dell'ediz.) la DIFFICULTÀ, onde in esse la FACILITÀ genera grandissima maraviglia; e per lo contrario, lo sforzare, e, come si dice, tirar per i capegli, dà somma disgrazia, e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si sia.»
Il codice linguistico della sprezzatura è individuato dalla critica anche in alcuni personaggi letterari, dalla Ricerca del tempo perduto di Marcel Proust[2] al Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa[3].
Il termine, inoltre, ha assunto un ulteriore significato nel campo della moda, dove sta ad indicare la capacità di vestirsi bene infrangendo le regole classiche con un'apparenza di spontanea (ma in realtà finemente calcolata) nonchalance.
Note
modifica- ^ R. Milani, I volti della grazia. Filosofia, arte e natura, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 186.
- ^ Carnevali Barbara, Il fascino discreto dell'aristocrazia in un episodio della "Recherche", Giornale di storia costituzionale. I semestre, 2004, Macerata : EUM-Edizioni Università di Macerata, 2004.
- ^ Giuseppe Civile, Ritorno al Gattopardo, Meridiana : rivista di storia e scienze sociali : 69, 3, 2010 (Roma: Viella, 2010).
Bibliografia
modifica- Abis Simona, Cristina Campo e l'etica della sprezzatura, Studi novecenteschi : 81, 1, 2011
- Domenichelli Mario, Lo spazio della corte nei cultural studies, Cheiron: materiali e strumenti di aggiornamento storiografico, 55 56, 1 2, 2011
- Padoan Maurizio, Il tema della 'sprezzatura' nelle concezioni estetiche italiane tra Rinascimento e Barocco : un'indagine intertestuale, in Complexus effectum musicologiae : studia Miroslao Perz septuagenario dedicata, po redakcja Tomasza Jeża, Widawnictwo Rabid, Kraków, 2003, pp. 491-502, https://hdl.handle.net/10807/32668
- Snyder John R., Appunti sulla politica e l'estetica della dissimulazione tra Cinque e Seicento, Cheiron : materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. A.11, 1994
Voci correlate
modificaAltri progetti
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