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Internati Militari Italiani

internati militari italiani

Internati Militari Italiani (in tedesco Italienische Militärinternierte - IMI) è la definizione attribuita dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori della Germania nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell'armistizio dell'Italia, l'8 settembre 1943.

Campo di internamento per militari italiani catturati dai tedeschi dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943. Foto di propaganda di guerra nazista proveniente dal Deutsches Bundesarchiv, firmata "Schwahn".

«Vedi quelle sentinelle dietro i reticolati? Sono loro i prigionieri di Hitler, non noi. Noi a Hitler e Mussolini diciamo no, anche quando ci vogliono prendere per fame.»

Dopo il disarmo, soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell'esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Circa 197.000 militari catturati scelsero, per convinzione o semplicemente per evitare la deportazione, di continuare la guerra a fianco delle potenze dell'Asse.[1][2] Gli altri vennero considerati prigionieri di guerra. In seguito cambiarono status divenendo “internati militari” (per non riconoscere loro le garanzie delle Convenzioni di Ginevra), e infine, dall'autunno del 1944 alla fine della guerra, lavoratori civili, in modo da essere utilizzati come manodopera coatta senza godere delle tutele della Croce Rossa loro spettanti.

I 600.000 Internati Militari Italiani non furono i soli italiani a popolare i campi di concentramento e di lavoro nazisti. La condizione peggiore fu riservata agli 8.564 deportati per motivi razziali (quasi tutti ebrei), che furono condotti a morire ad Auschwitz e di cui solo in piccola parte furono selezionati per il lavoro coatto (ne moriranno 7.555, quasi il 90%).[3] Ad essi si aggiungono almeno altri 23.826 deportati politici italiani (22.204 uomini e 1.514 donne) i quali non erano condotti direttamente nelle camere a gas, ma erano condannati a morire di sfinimento attraverso le durissime condizioni di lavoro (ne morranno 10.129, circa la metà).[4]

L'atteggiamento tedesco

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Nei documenti tedeschi, il proposito di catturare tutti i militari italiani in caso di defezione dell'alleato si manifesta almeno fin dal 28 luglio 1943. Il proposito è di farne "prigionieri di guerra". Il 20 settembre è proprio Hitler a intervenire d'arbitrio affinché la condizione giuridica degli italiani sia ridotta da "prigioniero" a "internato"[5], e questo nonostante l'avvenuta liberazione di Mussolini dalla prigionia su Gran Sasso e la conseguente immediata proclamazione di uno Stato fascista nei territori italiani occupati dalla Wehrmacht.

La derubricazione da "prigionieri" a "internati" implicava la sottomissione dei deportati a un regime giuridico non convenzionale secondo gli accordi di Ginevra del 1929, e - sebbene formalmente riconosciuti da altre convenzioni - gli "internati" in realtà venivano a trovarsi in un limbo giuridico legato all'arbitrio totale di Berlino. Il 20 novembre 1943, infatti, il responsabile tedesco respinge le richieste della Croce Rossa Internazionale di poter assistere gli internati perché essi "non erano considerati prigionieri di guerra"[6]

I tedeschi infatti consideravano gli italiani "traditori" poiché il governo italiano aveva siglato un armistizio con gli anglo-americani (l'armistizio di Cassibile, annunciato dal proclama Badoglio dell'8 settembre 1943). Le truppe internate furono spregiativamente definite Badoglio-truppen[7] dai tedeschi e reputate infide[8]. Inoltre non era estraneo alle decisioni tedesche anche un fondo di razzismo anti-italiano, come testimonia il diario di Goebbels[9]. Infine Hitler, nonostante la personale amicizia con Mussolini, non intendeva rinunciare a quella che - nei fatti - si rivelava un'ulteriore arma di ricatto verso l'Italia mussoliniana[10]: sostanzialmente si trattava di avere in mano 800.000 ostaggi.

Al momento della proclamazione dell'Armistizio, l'Italia e la Germania non si potevano considerare formalmente in guerra, cosicché i soldati italiani, definiti giuridicamente dai tedeschi "franchi tiratori", furono catturati e internati sotto un regime legale non convenzionale. Dopo la creazione della RSI - non intendendo riconoscere al Regno d'Italia legittimità nel dichiarare guerra alla Germania, il 70% degli ufficiali e il 78% dei soldati internati non prestarono giuramento alla Repubblica Sociale, rimanendo fedeli al giuramento fatto al Re - furono lasciati dalle autorità naziste in campi e installazioni "punitive". In particolare, gli ufficiali superiori e i generali furono sottoposti a durissime vessazioni e crudeltà, fra le quali si ricorda particolarmente la marcia dei generali, una "marcia della morte", mentre ripiegavano dalla prigionia in Polonia, costellata di vittime.[11]

Le autorità del Terzo Reich, inoltre, vedevano nella cattura di centinaia di migliaia di italiani una preziosa risorsa di manodopera sfruttabile a piacere. Per questo motivo ostacolarono ogni tentativo da parte della Repubblica Sociale di riportare in Italia grossi contingenti di internati e sabotarono anche il reclutamento dei volontari, cosicché il loro numero fra gli internati rimase estremamente basso. In tutto, vennero formate quattro divisioni: 1ª Divisione Bersaglieri Italia, 2ª Divisione Granatieri Littorio, 3ª Divisione fanteria di marina San Marco, 4ª Divisione Alpina Monterosa, per circa 62.500 effettivi tra truppa e ufficiali[12][13].

Tuttavia si nota che - con una delle tante improvvise resipiscenze di Hitler - già il 15 ottobre 1943 il führer ordinava di reclutare battaglioni di "milizia" fra gli internati italiani, prima ancora dell'arrivo della missione militare della RSI a Berlino, contemporaneamente disponendo di "isolare" e "mettere al sicuro" coloro i quali facessero propaganda contraria all'arruolamento nelle nuove formazioni[14]

Gli internati furono così impiegati nei campi e nelle fattorie, nelle industrie belliche (alcuni anche nella produzione di V2, incarico nel quale moltissimi persero la vita in condizioni disumane di lavoro), nei servizi antincendio delle città bombardate[7].

Secondo Lutz Klinkhammer il rifiuto di accettare l'aiuto della Croce rossa internazionale per i militari italiani internati in Germania fu basato sul pretesto che la Repubblica Sociale Italiana si era autodichiarata loro "potenza tutelatrice", il che portò a un netto peggioramento delle loro condizioni. Tale situazione diplomatico-istituzionale condizionò negativamente la vita di centinaia di migliaia di italiani, molti dei quali morirono in prigionia. Secondo Klinkhammer questo episodio, come altri, testimonia la natura collaborazionista e persecutoria della RSI.[15]

I rapporti con la RSI

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Nonostante poi la creazione della RSI, legata a doppio filo con il Terzo Reich, l'atteggiamento tedesco nei confronti degli internati si mantenne rigido, e ben pochi miglioramenti vennero apportati alle condizioni di vita di questi soldati. Secondo lo Schreiber le condizioni giuridiche e reali degli internati furono tali che essi meriterebbero meglio l'appellativo di "schiavi militari"[5].

Nei fatti, l'azione personale di Mussolini, di suo figlio Vittorio e dell'ambasciatore repubblicano a Berlino Filippo Anfuso, si risolse in un mezzo fallimento[16]: la missione militare di Rodolfo Graziani, tesa a convincere la Germania a favorire la costituzione di 25 divisioni italiane coi militari internati riuscì a ottenere solo il permesso di reclutamento fra gli ufficiali, con criteri insindacabili di scelta. Il 26 ottobre, in uno sfogo telefonico, il generale Canevari, comandante della missione militare RSI in Germania, aveva risposto all'ennesimo rifiuto da parte di Keitel di voler concedere alla RSI di procedere ad arruolamenti volontari, "mi sentirei disonorato se fra tanti internati non si trovassero cinquantamila volontari"[17].

Finalmente, nell'estate del 1944, con l'incontro fra il dittatore tedesco e quello italiano in Germania, Mussolini riuscì a ottenere da Hitler la conversione degli IMI in "lavoratori civili", mitigandone le condizioni di vita. Agli ex-IMI tuttavia non fu concesso di rientrare in Italia.[18] La memorialistica dei reduci e le carte dell'ambasciata italiana a Berlino conservate presso la National Archives and Records Administration di College Park (Stati Uniti) dimostrano come stenti, vessazioni e abusi fossero pane quotidiano anche per i soldati che ottennero lo status di "lavoratore militarizzato".

Condizioni di vita e di lavoro

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I soldati italiani vennero avviati al lavoro coatto nell'industria bellica (35,6%), nell'industria pesante (7,1%), nell'industria mineraria (28,5%), nell'edilizia (5,9%) e nel settore alimentare (14,3%).

Le condizioni di lavoro degli IMI erano estremamente disagevoli. L'orario settimanale nell'industria pesante era in media di 57,4 ore, nelle miniere di 52,1 (circa nove ore giornaliere), ma spesso si aggiungevano turni lavorativi domenicali. Le professionalità più richieste erano gli operai specializzati, gli elettricisti, gli artigiani e i meccanici, mentre molti dei non specializzati erano utilizzati nei lavori agricoli. Il luogo di lavoro poteva distare dal campo di internamento dai due ai sei chilometri, sovente da percorrersi a piedi.

A fronte di un intenso impegno lavorativo non corrispondeva un'alimentazione adeguata. Dai racconti dei reduci si apprende che era prassi comune cercare bucce di patate e rape nelle immondizie, o cacciare piccoli animali come topi, rane e lumache per integrare le magre razioni. Gli internati, secondo le testimonianze, avrebbero dovuto ricevere un salario spettante ai prigionieri di guerra sottoposti a lavoro coatto secondo le Convenzioni internazionali, ma quel salario veniva indicato solo sulla carta e mai corrisposto. Era quasi impossibile procurarsi prodotti per l'igiene personale oppure tabacco da usare a fini personali o come merce di scambio con le guardie.[18]

La vita quotidiana era scandita da numerosi controlli e ispezioni e frequenti erano le punizioni anche di carattere corporale con percosse che in alcuni casi provocavano lesioni mortali. Non infrequenti erano le punizioni collettive benché ufficialmente vietate come anche l'inasprimento delle condizioni lavorative o la riduzione del vitto. Gli alloggi consistevano in baracche prive di servizi igienici che ospitavano brande di due o tre piani. A ogni internato veniva assegnato un pagliericcio e due coperte corte.

Anche l'abbigliamento era insufficiente, gli internati disponevano perlopiù della divisa con la quale erano stati catturati. Cosicché quelli che provenivano dal fronte greco o balcanico indossavano divise estive, inadatte all'inverno tedesco. La malattia era spesso una conseguenza delle dure condizioni di vita. Le patologie principali erano la tubercolosi, polmonite, pleurite e disturbi gastro-intestinali. In alcuni lager scoppiarono anche epidemie di tifo.

L'unico canale di comunicazione tra il mondo esterno e gli IMI era rappresentato dal settimanale La Voce della Patria, pubblicato a Berlino dall'ottobre 1943 al settembre 1944.[19] Il periodico cercava di mobilitare il sostegno alla RSI tra gli internati italiani, sostenendo che le azioni tedesche nei confronti dei soldati italiani fossero giustificate.[19]

Fra gli IMI si articolò ben presto anche una rete di resistenza, anche solo in modo "passivo" vista la situazione coercitiva, contro il nazismo e il fascismo. Furono organizzate cellule e perfino delle radio clandestine[20].

Numero degli internati e perdite

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Lo storico tedesco Gerhard Schreiber calcola il numero degli internati militari italiani in circa 800 000[21]. Marco Palmieri e Mario Avagliano forniscono dati più dettagliati:[22]

«In pochi giorni i tedeschi disarmarono e catturarono 1.007.000 militari italiani, su un totale approssimativo di circa 2.000.000 effettivamente sotto le armi. Di questi, 196.000 scamparono alla deportazione dandosi alla fuga o grazie agli accordi presi al momento della capitolazione di Roma. Dei rimanenti 810.000 circa (di cui 58.000 catturati in Francia, 321.000 in Italia e 430.000 nei Balcani), oltre 13.000 persero la vita causa azioni di siluramento inglesi durante il trasporto dalle isole greche alla terraferma. Altri 94.000, tra cui la quasi totalità delle Camicie Nere della MVSN, decisero immediatamente di accettare l’offerta di passare con i tedeschi.

Al netto delle vittime, dei fuggiaschi e degli aderenti della prima ora, nei campi di concentramento del Terzo Reich vennero dunque deportati circa 710.000 militari italiani con lo status di IMI e 20.000 con quello di prigionieri di guerra. Entro la primavera del 1944, altri 103.000 si dichiararono disponibili a prestare servizio per la Germania o la RSI, come combattenti o come ausiliari lavoratori. In totale, quindi 600.000 militari rifiutarono di continuare la guerra al fianco dei tedeschi»

Non è stato stabilito ufficialmente il numero degli IMI deceduti durante la prigionia. Gli studi in proposito stimano cifre che oscillano tra 37 000 e 50 000. Fra le cause dei decessi vi furono:

  • la durezza e pericolosità del lavoro coatto nei lager (circa 10.000 deceduti);
  • le malattie e la malnutrizione, specialmente negli ultimi mesi di guerra (circa 23.000);
  • le esecuzioni capitali all'interno dei campi (circa 4.600);
  • i bombardamenti alleati sulle installazioni dove gli internati lavoravano e sulle città dove prestavano servizio antincendio (2.700);
  • altri 5-7000 perirono sul fronte orientale.
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  • Gaetano Donizetti, 23 settembre 1943, Rodi, 1.796 vittime[23], affondato dal cacciatorpediniere britannico HMS Eclipse.
  • Ardena, 27 settembre 1943, Argostoli, 779 vittime, affondato da una mina.
  • Mario Roselli, 11 ottobre 1943, Corfù, 1.302 vittime, attacco aereo britannico.
  • Maria Amalia, 13 ottobre 1943, Cefalonia, 544 vittime, affondato da una mina o silurato da un sommergibile britannico (HMS Unruly o HMS Trooper).
  • Sinfra, 20 ottobre 1943, Creta, 2.098 vittime, attacco aereo britannico e statunitense.
  • Aghios Antonios - Kal 89, 19 novembre 1943, Scarpanto, 110 vittime, silurato dal sommergibile polacco ORP Sokół.
  • Leda, 2 febbraio 1944, Amorgos, 780 vittime, attacco aereo britannico.
  • Petrella, 8 Febbraio 1944, Suda, 2.670 vittime, silurato dal sommergibile britannico HMS Sportsman.
  • Oria, 12 febbraio 1944, Capo Sounion, 4.074 vittime, naufragato in una tempesta.
  • Sifnos, 4 marzo 1944, Milo, 70 vittime, attacco aereo britannico.
  • Tanais, 9 giugno 1944, Santorini, 213 vittime, silurato dal sommergibile britannico HMS Vivid.

Fonti:

  1. Con la pelle appesa a un chiodo, su conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com. URL consultato il 4 novembre 2019.
  2. Navi affondate in Grecia con prigionieri italiani imbarcati (DOCX), su difesa.it. URL consultato il 4 novembre 2019.

Fatti di eroismo

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Molti internati militari italiani furono protagonisti di fatti o episodi eroici verso altri compagni, nella fede verso la Patria, sempre rifiutando la collaborazione con il nazismo, la R.S.I. e i tedeschi.

Tra questi si ricordano:

Il ritorno in Italia

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Alla fine della guerra risultavano 700.000 gli IMI in Germania e in Austria, oltre a 380.000 prigionieri in mano all'esercito britannico.

La maggior parte di essi ritornò in patria tra l'estate del 1945 e il 1946. Almeno 40 centri d'accoglienza furono creati nell'Italia settentrionale.

Furono le stazioni ferroviarie, e i centri d'accoglienza a esse collegati, di Modena, Bologna e Firenze, a smistare la gran massa dei rientranti. Il rientro avvenne su treni merci sovraccarichi. Il 6 giugno fu riaperta la ferrovia del Brennero, da cui cominciarono a defluire 3.000 italiani al giorno, numero che aumentò a 4.500 a partire da agosto. Nello stesso periodo furono riaperti i varchi svizzeri del San Gottardo e del Sempione, da cui defluirono molti altri ex internati.

Nel complesso, tra maggio e settembre 1945 furono rimpatriati 850.000 ex prigionieri italiani. Le autorità considerarono completo il rimpatrio di massa degli internati italiani alla fine di settembre 1945. A quella data circa l'80% degli IMI erano rientrati in Italia[25].

Alcune migliaia di ex IMI finirono nelle mani degli eserciti russo e iugoslavo e, anziché essere liberati, continuarono la prigionia per alcuni mesi dopo la fine della guerra. Le autorità sovietiche, in particolare, rilasciarono i prigionieri italiani solo a partire da settembre 1945. In quel mese ritornarono in patria 10.000 italiani, cui si aggiunsero altri 52.000 che partirono nel mese di ottobre.

Onorificenze

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«Militari deportati nei « lager » nazisti, i quali, dal settembre-ottobre 1943 all'aprile 1945, privati arbitrariamente della qualifica di prigionieri di guerra, e delle relative garanzie di tutela, umiliati con il nome di « internati », rinunziarono ripetutamente alla liberazione loro offerta per non servire le dittature nazista e fascista.»
— 3 maggio 1945
«Militare fatto prigioniero o civile perseguitato per ragioni politiche o razziali, internato in campi di concentramento in condizioni di vita inumane, sottoposto a torture di ogni sorta, a lusinghe per convincerlo a collaborare con il nemico, non cedette mai, non ebbe incertezze, non scese a compromesso alcuno; per rimanere fedele all'onore di militare e di uomo, scelse eroicamente la terribile lenta agonia di fame, di stenti, di inenarrabili sofferenze fisiche e soprattutto morali. Mai vinto e sempre coraggiosamente determinato, non venne meno ai suoi doveri nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di nazione libera. A memoria di tutti gli internati il cui nome si è dissolto, ma il cui valore ancora oggi è esempio di redenzione per l'Italia.»
— 19 novembre 1997
«Medaglia d'onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l'economia di guerra, ai quali, se militari, è stato negato lo status di prigionieri di guerra, e ai familiari dei deceduti, che abbiano titolo per presentare l'istanza di riconoscimento dello status di lavoratore coatto.»
— istituita con legge n. 296 del 27 dicembre 2006

Rinvenimenti di salme

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In un cimitero di guerra a Dresda sono state trovate le salme di 300 soldati italiani, che si presume siano stati internati nel campo di concentramento di Zeithain, in una zona militare in passato destinata all'addestramento di reparti corazzati sovietici; i corpi di altri internati militari italiani, che erano stati destinati a un lager i cui prigionieri venivano utilizzati in una fabbrica di armi, sono stati rinvenuti nelle fosse di Koselitz e Gröditz.[26] Fra essi il tenente colonnello Michele Toldo, matricola di prigioniero 28195.

Ex internati diventati personaggi noti

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Tonino Guerra, detenuto nel campo d'internamento in Germania.
 
Giovannino Guareschi al tempo in cui era internato militare in Germania.

Tra gli IMI si annoverano alcune tra le maggiori personalità della cultura e della politica italiana del dopoguerra:

  1. ^ Rapporto della Commissione storica italo-tedesca insediata dai Ministri degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e della Repubblica Federale di Germania il 28 marzo 2009 (PDF), su italien.diplo.de, p. 123. URL consultato il 7 giugno 2024.
  2. ^ Marco Palmieri e Mario Avagliano, Atlante stragi nazifasciste: episodio di Opicina Trieste 3 aprile 1944 (PDF), su anrp.it, p. 37. URL consultato il 7 giugno 2024 (archiviato dall'url originale il 22 luglio 2011).
  3. ^ Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria: gli ebrei deportati dall'Italia, 1943-1945, Milano: Mursia, 2011.
  4. ^ Ministero dei Beni Culturali Archiviato il 23 febbraio 2018 in Internet Archive..
  5. ^ a b Documenti
  6. ^ Ibidem
  7. ^ a b Renzo De Felice, Mussolini l'alleato II, Einaudi, pag. 443.
  8. ^ Secondo Ermanno Amicucci, Kaitel pronunciò la seguente frase: "L'unico esercito italiano che non ci potrà tradire è un esercito che non esiste". Cfr. E. Amicucci, I 600 giorni di Mussolini, Faro, 1949 pag. 69.
  9. ^ Renzo De Felice, Mussolini l'alleato II, Einaudi, pag. 441.
  10. ^ Ibidem
  11. ^ Copia archiviata (PDF), su anpi.it. URL consultato il 16 settembre 2014 (archiviato dall'url originale l'8 dicembre 2015).
  12. ^ Vita e morte del soldato italiano nella guerra senza fortuna, Edizioni Ferni, Ginevra, 1974, vol. XVI, pagg. 107-165.
  13. ^ Giorgio Pisanò, 'Gli ultimi in grigioverde', C.D.L. Edizioni.
  14. ^ Gerhard Schreiber, I militari italiani internati, USSME. Roma, 1992, pag. 481.
  15. ^ Giornale di Storia, intervista a Lutz Klikhammer Archiviato il 21 settembre 2011 in Internet Archive..
  16. ^ R. De Felice, op. cit., pp 441 e ss.
  17. ^ Emilio Canevari, Graziani mi ha detto, Magi Spinetti, 1949, pag. 298.
  18. ^ a b Elvio Carnaghi e Andrea Balzarotti, L'inferno nascosto, ed. Zeisciu, Magenta 2022, ISBN 9788887405644
  19. ^ a b Silvia Pascale, Una candela illumina il Lager, CIESSE Edizioni di SANTI Carlo, 19 Agosto 2018, ISBN 9788866602699.
  20. ^ Ugo Dragoni, La scelta degli I.M.I. Militari italiani prigionieri in Germania (1943-1945), Le Lettere, Firenze 1996, p. 288.
  21. ^ G. Schreiber, I militari italiani internati, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio storico. Roma, 1992, pag. 791
  22. ^ Copia archiviata (PDF), su anrp.it. URL consultato il 4 febbraio 2011 (archiviato dall'url originale il 22 luglio 2011).
  23. ^ Secondo altre fonti le vittime furono 1835
  24. ^ L. Baratter - F. Rasera, Censimento delle fonti edite e inedite sugli IMI 1943-1945 della provincia di Trento, Rovereto, 2007
  25. ^ C. De Maria, P. Dogliani, Romagna 1946. Bologna, Clueb, 2007. Pagg. 17-18.
  26. ^ http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/09/23/il-ministro-rognoni-conferma-dresda-sepolti-soldati.htmlIL MINISTRO ROGNONI CONFERMA A DRESDA SEPOLTI SOLDATI ITALIANI
  27. ^ Lino Manocchia, l'incredibile storia del decano dei giornalisti, su paeseitaliapress.it. URL consultato il 13 febbraio 2023.

Bibliografia

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Opere generali
  • Mario Avagliano-Marco Palmieri, Gli internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-45, Einaudi, Torino 2009
  • Mario Avagliano-Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una Resistenza senz'armi 1943-45, Il Mulino, Bologna 2020
  • Ugo Dragoni, La scelta degli I.M.I. Militari italiani prigionieri in Germania (1943-1945), Le Lettere, Firenze 1996
  • Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, Il Mulino, Bologna 2004
  • Alessandro Natta, L'altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania, Einaudi, Torino 1996
  • Gerhard Schreiber, I militari italiani internati, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio storico. Roma, 1992
  • Marcello Galli, La resistenza dietro il filo spinato, Juarez Impresores, Elche, Spagna 2020, ISBN 978-84-09-22789-1
Diari e testimonianze
  • Giovannino Guareschi, Diario clandestino 1943-1945
  • Lorenzo Bertucelli-Giovanna Procacci, Deportazione e internamento militare in Germania. La provincia di Modena, Unicopli, Milano, 2001
  • Natale Borsetti, La mia Resistenza non armata. Appunti e disegni di un militare italiano prigioniero nei lager della Germania dal 1943 al 1945. A cura di Alessandra Borsetti Venier, Morgana Edizioni, Firenze, 2005
  • Dall'Albania al Lager di Fullen. Storia di un pittore internato. Ferruccio Francesco Frisone, a cura di Giovanni R. Frisone e Deborah Smith Frisone, D-Papenburg 2010, ISBN 978-3-926277-19-0
  • Giuseppe Ferraro, Dai campi di prigionia nazisti a Salò. Il diario di Antonio Bruni, Pellegrini, Cosenza, 2015
  • Joseph Fumagalli, Diario di una Prigionia, Bama, Vaprio d'Adda, 2010
  • Cesare Furlanetto, Diario sulla mia prigionia, Tracciati Editore, Padova, 2021, ISBN 978-88-32134-10-0
  • Marcello Galli, La Resistenza dietro il filo spinato, Restellistoria, 2019
  • Angelo Gregori, A scuola se piove - Memorie dal lager di un Internato Militare Italiano, 2013
  • Beniamino Mencattini, Eravamo Nessuno, Edizioni Fruska, Stia (AR), 1989
  • Deborah Paci, Militari Italiani Internati dopo l'8 settembre 1943: testimonianze di siciliani nei campi nazisti, in «Diacronie. Studi di Storia Contemporanea», N. (1) 2, 2010 (versione digitalizzata)
  • Salvatore Porelli, Il lungo ritorno da Cefalonia, Istituto Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali, 2012
  • Lamberto Prete, "Dal fronte ai lager di Leopoli e Wietzendorf"
  • (DE) Paolo Toldo, Italienische Militärinternierte im nationalsozialistischen Deutschland. In: Spurensuche: Stalag 304 Zeithein bei Riesa. Eine Tagung der Stiftung Sächsische Gedenkstätten. 25-28.4.1996, Riesa, Dresden, pp. 62–69
  • Paolo Toldo, L'organizzazione del lavoro e le condizioni di vita in una fabbrica della Germania nazista dagli atti di un processo del dopoguerra In: Storia contemporanea in Friuli, anno 26, n. 27 (1996) pp 199–228 [1] http://www.ifsml.it/pubblica2.htm[collegamento interrotto]
  • Paolo Toldo, Militari italiani deportati nella Germania nazista : Una ricerca nel territorio dell'ex D.D.R. In: Storia contemporanea in Friuli, anno 23, n. 24 (1993) pp 161–200 [2], http://www.ifsml.it/pubblica2.htm[collegamento interrotto]
  • Anna Maria Trepaoli, Reticolati. Viaggio sulle tracce degli internati militari italiani 1943-1945, Perugia, Futura, 2013 ISBN 9788897720300
  • Luca Frigerio, Noi nei lager: testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti (1943-1945), Paoline, 2008, ISBN 9788831533553.
  • Laura Maggi, L'altra prigionia. Memorie dai POW camp inglesi, Pitigliano, Laurum, 2014
  • Elvio Carnaghi e Andrea Balzarotti, L'inferno nascosto, ed. Zeisciu, Magenta 2022, ISBN 9788887405644
  • Antonella Bartolo Colaleo, Matite sbriciolate I militari italiani nei lager nazisti: un testimone, un album, una storia comune, Rubbettino, 2019, ISBN 978-8849856958.
Elenchi
dal nº 1 (30 settembre 1944) al nº 87 (20 marzo 1947 ?): uscita ogni 10 giorni;
dal nº 88 (31 marzo 1947 ?) al nº ? (??.??.1947): uscita ogni mese.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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