Marco Trainito
Marco Trainito è nato a Gela nel 1969. Dopo la laurea in Filosofia (tesi su Nietzsche, 1994), ha conseguito i titoli di Dottore di ricerca in Filosofia e Storia delle Idee (tesi su Wittgenstein e Popper, 1998) e in Scienze Cognitive (tesi sulla Memetica tra filosofia e scienze cognitive, 2016) rispettivamente presso le Università di Catania e Messina. È docente di Filosofia e scienze umane all’I.I.S.S. “Eschilo” di Gela e dall’a.a. 2002-2003 all’a.a. 2009-2010 è stato tutor di Linguistica generale, Filosofia teoretica e Filosofia del linguaggio nel corso di laurea in Scienze della comunicazione dell’Università di Catania. Autore di numerosi saggi e articoli apparsi su giornali e riviste, ha pubblicato i seguenti volumi di filosofia e critica letteraria: "Popper e il Wittgenstein antropologo" (Gela, 2000); "I bambini, la televisione e la scuola nel pensiero di Karl Popper" (Gela, 2002, con G. TArabbi); "Il mare immane del male. Saggio su “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo" (Gela, 2004); "Andrea Camilleri. Ritratto dello scrittore" (Treviso, 2008); "Il codice D’Arrigo. Dall’Orca ad Hatshepsut" (Treviso, 2010); "Umberto Eco. Odissea nella biblioteca di Babele" (Padova, 2011).
Address: Gela, Sicily, Italy
Address: Gela, Sicily, Italy
less
InterestsView All (11)
Uploads
Papers by Marco Trainito
La teoria degli agenti di Minsky può fornire a quella dei memi alcuni sostegni concettuali in grado di metterla nelle condizioni di difendersi meglio da talune obiezioni classiche (in particolare Sperber 1996 e 2000). In particolare, prendendo le mosse da una precisa sotto-teoria che Minsky enuncia nel § 22.10 e chiama "Re-duplication theory of speech", si può sostenere che la contaminazione della Memetica con la teoria di Minsky abbia almeno un duplice effetto: mentre la prima può sfruttare la potente strumentazione concettuale che sta alla base dell’idea della società degli agenti cognitivi, la seconda può sopravvivere e continuare a funzionare in un contesto che ne semplifica in modo notevolissimo il lessico piuttosto farraginoso e non sempre perspicuo (in tal senso si può mostrare che i nemi, i polinemi, i prenomi, i paranomi, i frames, i trans-frames ecc. di Minsky possono essere ritradotti nel lessico più snello della Memetica, per esempio quello di Brodie 1996).
L'Epidemiologia di Sperber, con la connessa teoria delle rappresentazioni, può essere vista come una variante consistente della Memetica e le critiche di Sperber ai memi non reggono alla luce di una analisi più dettagliata. In particolare, si può mostrare che: 1) Sperber fraintende il ruolo dell'imitazione in ambito memetico e 2) si basa su una nozione di imitazione resa obsoleta dagli studi neuroscientifici più recenti sviluppatisi nell’ambito della riflessione sui neuroni specchio.
Drafts by Marco Trainito
The memetic framework describes how cultural information spreads and evolves similarly to biological genes. In the novel, the misinterpreted words and actions of Higgs become cultural memes, adapting and propagating within Erewhon’s society. These memes undergo variation and selection, leading to the development of a complex and entrenched religious system.
Butler's satire critiques organized religion and the human tendency to mythologize misunderstood events, suggesting that religious beliefs often arise from psychological and social needs rather than factual truths. Through Erewhon, Butler explores the construction of truth and belief, offering a critical reflection on religious and cultural dynamics both in his time and ours.
Il libro pone in discussione il concetto tradizionale di linguaggio e pensiero umano, sottolineando come ChatGPT, nonostante il suo sofisticato funzionamento, non abbia una coscienza o una comprensione autentica di ciò che produce. Questo solleva preoccupazioni e paure riguardo al destino umano, poiché il linguaggio è considerato la casa dell'essere umano e della sua essenza.
I due autori, un filosofo della mente e un neuroscienziato, presentano diverse prospettive nel libro, con il filosofo che propone la teoria MOI, sostenendo che non ci sia nulla di speciale nel cervello e che il pensiero e la coscienza sono solo concetti linguistici senza una realtà di qualsiasi tipo all'interno della mente umana, risolvendosi nell’identità con la cosa stessa esperita.
Il libro si articola in sette capitoli, inclusi un dialogo tra i due autori e l'intelligenza artificiale ChatGPT, una descrizione tecnica di come funziona l'algoritmo Transformer e una riflessione sulla specificità delle prestazioni del cervello umano rispetto alle intelligenze artificiali.
Tuttavia, nella recensione ci sono alcune critiche riguardo alla chiarezza delle voci dei narratori e all'uso dei riferimenti a Wittgenstein e Pirandello nel contesto del libro. Nonostante ciò, il libro offre una riflessione critica sulle implicazioni filosofiche e cognitive dell'intelligenza artificiale linguistica e spinge il lettore a ripensare ai concetti tradizionali riguardo al linguaggio, il pensiero e la coscienza umana.
(Abstract realizzato da ChatGPT-4)
La teoria degli agenti di Minsky può fornire a quella dei memi alcuni sostegni concettuali in grado di metterla nelle condizioni di difendersi meglio da talune obiezioni classiche (in particolare Sperber 1996 e 2000). In particolare, prendendo le mosse da una precisa sotto-teoria che Minsky enuncia nel § 22.10 e chiama "Re-duplication theory of speech", si può sostenere che la contaminazione della Memetica con la teoria di Minsky abbia almeno un duplice effetto: mentre la prima può sfruttare la potente strumentazione concettuale che sta alla base dell’idea della società degli agenti cognitivi, la seconda può sopravvivere e continuare a funzionare in un contesto che ne semplifica in modo notevolissimo il lessico piuttosto farraginoso e non sempre perspicuo (in tal senso si può mostrare che i nemi, i polinemi, i prenomi, i paranomi, i frames, i trans-frames ecc. di Minsky possono essere ritradotti nel lessico più snello della Memetica, per esempio quello di Brodie 1996).
L'Epidemiologia di Sperber, con la connessa teoria delle rappresentazioni, può essere vista come una variante consistente della Memetica e le critiche di Sperber ai memi non reggono alla luce di una analisi più dettagliata. In particolare, si può mostrare che: 1) Sperber fraintende il ruolo dell'imitazione in ambito memetico e 2) si basa su una nozione di imitazione resa obsoleta dagli studi neuroscientifici più recenti sviluppatisi nell’ambito della riflessione sui neuroni specchio.
The memetic framework describes how cultural information spreads and evolves similarly to biological genes. In the novel, the misinterpreted words and actions of Higgs become cultural memes, adapting and propagating within Erewhon’s society. These memes undergo variation and selection, leading to the development of a complex and entrenched religious system.
Butler's satire critiques organized religion and the human tendency to mythologize misunderstood events, suggesting that religious beliefs often arise from psychological and social needs rather than factual truths. Through Erewhon, Butler explores the construction of truth and belief, offering a critical reflection on religious and cultural dynamics both in his time and ours.
Il libro pone in discussione il concetto tradizionale di linguaggio e pensiero umano, sottolineando come ChatGPT, nonostante il suo sofisticato funzionamento, non abbia una coscienza o una comprensione autentica di ciò che produce. Questo solleva preoccupazioni e paure riguardo al destino umano, poiché il linguaggio è considerato la casa dell'essere umano e della sua essenza.
I due autori, un filosofo della mente e un neuroscienziato, presentano diverse prospettive nel libro, con il filosofo che propone la teoria MOI, sostenendo che non ci sia nulla di speciale nel cervello e che il pensiero e la coscienza sono solo concetti linguistici senza una realtà di qualsiasi tipo all'interno della mente umana, risolvendosi nell’identità con la cosa stessa esperita.
Il libro si articola in sette capitoli, inclusi un dialogo tra i due autori e l'intelligenza artificiale ChatGPT, una descrizione tecnica di come funziona l'algoritmo Transformer e una riflessione sulla specificità delle prestazioni del cervello umano rispetto alle intelligenze artificiali.
Tuttavia, nella recensione ci sono alcune critiche riguardo alla chiarezza delle voci dei narratori e all'uso dei riferimenti a Wittgenstein e Pirandello nel contesto del libro. Nonostante ciò, il libro offre una riflessione critica sulle implicazioni filosofiche e cognitive dell'intelligenza artificiale linguistica e spinge il lettore a ripensare ai concetti tradizionali riguardo al linguaggio, il pensiero e la coscienza umana.
(Abstract realizzato da ChatGPT-4)
The result of such an interpretative approach shows that the panlinguistic ontology of Wittgenstein's "Tractatus" can be reduced to the following two fundamental theses:
1) the building blocks of the world of language are no longer isolated and isomorphic to noumenic states of affairs elementary propositions (belonging to a Reality "an sich"), according to the general interpretation, but classes of deductible from each other elementary propositions establishing, in their common semantic horizon, a fact of the world of language.
2) the relationship of isomorphism is to exist no more among elements of language and elements of reality, but between propositional elements of isolated classes together forming the world of language.
-------------
Lo studio consiste nel complesso in una proposta di analisi del tormentoso e articolato problema del nesso tra linguaggio e realtà nelle prime due fasi del pensiero di Wittgenstein, condotta prevalentemente alla luce di quegli aspetti dell’epistemologia e della metafisica di Popper relativi alla stessa famiglia di questioni filosofiche.
Il nucleo teorico di fondo è costituito da un tentativo di rilettura del "Tractatus logico-philosophicus" in una chiave decisamente panlinguistica che da un lato elimina, o perlomeno ridimensiona fortemente, la troppo ingenua metafisica parallelistica emergente dalla consueta lettura in termini di isomorfismo tra ordine noetico-linguistico e ordine ontologico, e dall’altro porta alle estreme conseguenze l’idea (tipica del "Tractatus" ma sempre ribadita da Wittgenstein nei testi successivi) della perfetta sovrapponibilità tra limiti del linguaggio e limiti del mondo. Come si cercherà di mostrare sulla base di un confronto con un ‘frammento ontologico’ di Popper (risalente al 1932), e in riferimento anche al fisicalismo di Neurath e alle nozioni di “linguaggio come mezzo universale” (Hintikka-Hintikka) e di “realismo interno” (Putnam), quest’idea sarebbe già di per sé in grado di condurre alla relatività ontologica dei giochi linguistici, cui il cosiddetto ‘secondo’ Wittgenstein perverrà ugualmente, anche se sulla base di un diverso approccio metodologico e gnoseologico ai fenomeni linguistici.
Il risultato di un siffatto approccio interpretativo mostra che l’ontologia panlinguista del "Tractatus" si può ridurre alle due seguenti tesi fondamentali:
i) Gli elementi costitutivi del mondo del linguaggio, o linguaggio-mondo, vengono ad essere non più proposizioni elementari isolate e isomorfe a stati di cose noumenici (appartenenti a una Realtà "an sich"), come vuole l’interpretazione comune, ma classi di proposizioni elementari interderivabili che istituiscono, nel loro comune orizzonte semantico, un fatto del linguaggio-mondo.
ii) Il rapporto di isomorfismo viene a sussistere non tra elementi del Linguaggio ed elementi della Realtà, ma tra gli elementi proposizionali di cia- scuna delle classi isolate che nel loro insieme costituiscono il linguaggio-mondo.
L'idea, per quanto concerne l'oggetto di ricerca, è che la memetica possa fornire intuizioni scientificamente controllabili sui problemi relativi all'architettura della mente umana e ai processi di trasmissione ed evoluzione della cultura. In tal senso la ricerca condotta mira da un lato a fornire una panoramica concettualmente organizzata sullo stato del dibattito internazionale e dall'altro ad avanzare alcune ipotesi sul modo in cui la memetica si pone di fronte a talune acquisizioni recenti in ambito neuroscientifico, senza trascurarne il nesso esplicativo con specifiche questioni di lunga durata emerse nel corso della storia della filosofia.
Il lavoro si articola in tre ampi capitoli, preceduti da un'introduzione, in cui è offerta una panoramica generale sulla memetica come programma di ricerca e sui contenuti della tesi, e seguiti da una conclusione, in cui è proposto un modello di applicazione dell'approccio memetico alla questione specifica relativa alla tendenza tipica dell'Homo sapiens di estendere iperattivamente il cosiddetto atteggiamento intenzionale.
Nel primo capitolo, intitolato "Memetica e filosofia. Popper precursore di Dawkins e Dennett", Marco Trainito muove da un'analisi dettagliata della presenza del pensiero di Karl Popper nella letteratura memetica e, sulla base di alcuni suggerimenti precedenti presenti in letteratura, avanza la proposta di portare debitamente alla luce le connessioni teoriche tra la memetica e due elementi del pensiero popperiano, ovvero l'epistemologia evoluzionistica e la teoria dei tre mondi. Il risultato è il delinearsi di un campo teorico integrato che consente il superamento di talune barriere concettuali poste occasionalmente e sbrigativamente da alcuni tra i memetisti più influenti, come Daniel Dennett e Susan Blackmore. In particolare è difesa la tesi della possibilità di accostare proficuamente la teoria dennettiana della mente memica e quella popperiana del nesso costitutivo tra i mondi 2 e 3.
Il secondo capitolo, intitolato "Il problema del software e l'architettura memica della mente", è incentrato sull'aspetto cognitivo della tesi avanzata nel primo capitolo e ne costituisce la messa alla prova testuale e concettuale. Ricostruendo alcune fasi cruciali dell'elaborazione della teoria dennettiana della mente, con particolare riferimento al modo in cui Dennett ha riflettuto sulla nota teoria jaynesiana del crollo della mente bicamerale, il dottorando mostra come essa contenga delle aperture verso opzioni ontologiche pluralistiche che la rendono compatibile con quella popperiana, malgrado certe professioni di fede antipopperiana da parte di Dennett. Il capitolo dà anche conto del modo in cui la teoria dei memi si propone come teoria della mente attraverso l'analisi puntuale degli importanti saggi di memetica cognitiva di Susan Blackmore e Cristiano Castelfranchi.
Il terzo capitolo, intitolato "Duplicazione e propagazione", è un'ampia discussione della memetica come teoria della trasmissione e dell'evoluzione della cultura. Il punto di partenza è costituito da una contaminazione concettuale della teoria dei memi con quella, sostanzialmente coeva e affine, degli agenti cognitivi avanzata da Marvin Minsky, sulla base di alcune indicazioni, non ulteriormente sviluppate, contenute nelle opere di Dawkins e Dennett. In particolare, vengono esaminate le potenzialità in chiave memetica di una sotto-teoria denominata da Minsky "Re-duplication theory of speech", al fine di mostrare come quest'ultima possa fornire una base naturale alla spiegazione del meccanismo di trasmissione dei memi da un cervello all'altro.
Gran parte del capitolo è poi dedicata a un confronto serrato tra la memetica e l'epidemiologia delle rappresentazioni proposta da Dan Sperber. Malgrado quest'ultimo sia noto per essere una sorta di oppositore ufficiale della memetica, e malgrado la sua stessa teoria epidemiologica delle rappresentazioni culturali si ponga programmaticamente come alternativa alla memetica, l'approccio difeso da Trainito tende alla conciliazione tra le due posizioni. L'epidemiologia di Sperber, con la connessa teoria delle rappresentazioni, viene vista come una variante consistente della memetica stessa, mentre le critiche di Sperber ai memi, si sostiene, non reggono alla luce di una analisi più dettagliata. In particolare, il dottorando mostra che Sperber fraintende il ruolo dell'imitazione in ambito memetico e si basa su una nozione di imitazione resa obsoleta dagli studi neuroscientifici più recenti sviluppatisi nell’ambito della riflessione sui neuroni specchio. L'ultima parte del capitolo, tuttavia, mira a smorzare certi facili entusiasmi sul presunto soccorso ai memi offerto dai neuroni specchio e in tal senso vengono prese in esame talune critiche consistenti avanzate recentemente al paradigma del sistema mirror.
Nella Conclusione, la memetica è messa alla prova come strumento interpretativo che consente, alla luce di alcune acquisizioni condivise nell'ambito degli studi sull'evoluzione delle strutture cognitive umane, di gettare uno sguardo nuovo su certe caratteristiche riscontrabili nel modo in cui la nostra specie elabora concezioni generali sul mondo. In particolare è offerta una analisi per campioni rappresentativi dell'azione in profondità e su larga scala esercitata da quello che viene chiamato "meme di Anassagora", ovvero dall'idea che un'intenzionalità intelligente stia dietro l'origine di tutte le cose.
L’autore muove da un’ipotesi interpretativa di fondo che vede in Un filo di fumo, romanzo storico pubblicato nel 1980, cioè una quindicina di anni prima dell’esplosione del “caso Camilleri” in Italia, una sorta di matrice stilistica e narrativa per le opere successive. La vicenda della prima edizione di Un filo di fumo rappresentò per Camilleri quell’inizio di un riconoscimento editoriale a livello nazionale necessario a fortificare in lui la fiducia nelle proprie capacità di narratore. Un esame del “Glossario” posto in coda al romanzo, che Camilleri compilò di malavoglia (ma alla fine divertendosi) su invito dell’editore Livio Garzanti, permette di valutare appieno il fatto che Un filo di fumo contiene effettivamente in embrione tutta l’arte di Camilleri, poi dispiegata e disseminata negli anni in quasi tutte le opere successive.
Illustrata nel dettaglio la propria ipotesi interpretativa, l’autore passa ad esaminare alcuni casi esemplari di quella particolare trama di divertiti e divertenti giochi intertestuali che costituisce una delle cifre della produzione camilleriana. Si osserverà allora come Vigàta sia pirandellianamente “una, nessuna e centomila”; si scoprirà un Camilleri che dialoga e interagisce narrativamente con autori come Aulo Gellio, Manzoni, Conrad, Conan Doyle, Faulkner, Calvino, Sciascia, Borges e molti altri; e si vedrà addirittura il commissario Montalbano una volta telefonare all’autore per rifiutare di essere coinvolto in un’indagine non adatta alla sua natura e un’altra trovare ispirazione per la soluzione di un caso dopo aver letto un romanzo storico dello stesso Camilleri.
Con buona pace di Dan Brown, esaurito questo preambolo doveroso sul senso del titolo dato da Trainito al suo esauriente saggio, che nulla ha di ironico e/o istrionesco, passo e spendere due parole sulla sostanza di un testo che dimostra, oltre all’evidente ammirazione, l’affezione, la dimestichezza e la lunga e reiterata frequentazione di Trainito con l’opera di D’Arrigo. In questo saggio l’Autore esplora con minuziosa precisione non solo “Horcynus Orca”, l’opera monumentale di D’Arrigo, edita per i tipi di Mondadori nel 1975 e riedita nel 2003, ma anche la sua più snella seconda ed ultima opera “Cima delle nobildonne”, compiendo, di entrambi i testi che costituiscono l’intera produzione letteraria in prosa di D’Arrigo, un’esegesi acuta, completa, puntigliosa e, probabilmente, definitiva; utile a quanti abbiano affrontato la lettura dei testi esaminati per comprenderne le molteplici chiavi di lettura, ma sicuramente necessaria a quanti, non avendolo ancora fatto, intendano accostarsi all’opera di D’Arrigo con la cognizione di ciò che si troveranno ad affrontare. Una navigazione perigliosa nelle correnti insidiose dello Stretto, tra i flussi e i riflussi delle maree di “Scill’e Cariddi” che già avevano travagliato l’Ulisse omerico, qui rappresentato dal novello ulisse ‘Ndrja Cambrìa.
Già, perché, come fa notare Trainito nel suo saggio, “Horcynus Orca” è da intendersi come un romanzo del nostos, del ritorno a casa dell’eroe. Una storia “on the road” (cfr. J.Kerouac, menestrello, insieme ad A. Ginsberg, della “beat generation”) che, nel corso della narrazione, gradatamente si trasforma (riecheggiando Melville e Conrad e altri scrittori del calibro di Hemingway con il suo mitologico “Il vecchio e il mare” e il nostrano Raffaello Brignetti con “La spiaggia dorata”, storia di un meta agognata che, raggiunta, si trasforma in disillusione fatale) in storia “on the sea”. Una narrazione che si dipana nell’arco di quattro giorni, ma in cui questi brevi momenti si dilatano a dismisura fino ad assorbire in sé l’Uomo e la sua Storia, presente, passata e futura.
Dalla tradizione letteraria greca a quella della Magna Grecia, quindi, dai nostos (di cui si possiedono soltanto pochissimi versi e nel cui filone s’inserisce l’Odissea di Omero), attraverso l’Ulisse di Joyce, a “Horcynus Orca” si compie così un altro “ritorno”, e il cerchio si chiude col romanzo epico così ben scandagliato dall’autore nel suo saggio, sviscerato o eviscerato quasi si trattasse della stessa “fera” che scompagina, col suo apparire, la società dei marinai e pescatori dello Stretto. Trainito fruga le interiora di “Horcynus Orca” (pagine, paragrafi, parole, sillabe) alla ricerca del filo conduttore del pensiero d’arrighiano, di quell’atomo lessicale che lo stesso D’arrigo ricercava con implacabile serietà, con ossessiva determinazione, dando vita ad uno sperimentalismo linguistico che, se da un lato lo rende “fenomeno” della lettaratura italiana del ‘900, dall’altra ne ingabbia la notorietà, in quanto rende estremamente ardue le traduzioni in lingue straniere.
L’autore, nelle note contenute nel suo saggio, avverte della difficoltà di comprensione dell’iperlinguaggio di D’arrigo per i non siciliani ma, citando in prefazione il critico letterario straniero George Steiner, tiene a precisare che egli, pur trovandolo impervio nonostante una sua certa dimestichezza con la nostra lingua, affermava di essere stato colpito profondamente da questo romanzo, capace di trasformare il panorama interiore del lettore. Questa è la caratteristica essenziale di un’opera artistica, letteraria come pittorica o musicale: incidere, lasciare un segno nell’intimo del fruitore e, da quel momento, accompagnarlo nella vita. Trainito, col suo saggio, mette in luce e comunica al suo lettore che tutto ciò esiste ed è contenuto negli scritti di D’Arrigo. (Nota di Raffaello Bovo, scrittore torinese)
Chiamando "Odissea nella Biblioteca di Babele" questo percorso di lettura, Marco Trainito intende alludere a un approccio che, a partire dal viaggio conoscitivo di Ulisse, vede nella biblioteca dell’abbazia un modello possibile della nozione di Enciclopedia tanto cara a Eco, nei cui romanzi, che ne sono di volta in volta una simulazione in scala, personaggi e lettori si perdono, si specchiano e si conoscono come accade nei corridoi eternamente ricorsivi della biblioteca borgesiana e nelle immensità allucinanti dello spazio kubrickiano. Il viaggio nell’opera narrativa di Eco che l’autore propone mette così in luce le diverse modalità attraverso cui l’uomo corre il rischio di rimanere vittima delle sue stesse creazioni simboliche e culturali nel tentativo di decifrare il disordine del mondo, riuscendo talvolta a pervenire a forme sensate di conoscenza spinto dalla stessa forza della falsità e dell’errore cui è strutturalmente votato. Guglielmo da Baskerville, allora, diventerà una sorta di modello per decifrare anche Belbo e Casaubon, Roberto de la Grive, Baudolino, Yambo Bodoni e Simone Simonini, i quali, sotto l’ipotesi interpretativa di una articolata continuità poetico-filosofica, risulteranno legati da una rete di somiglianze di famiglia ed appariranno come emblemi della ricerca conoscitiva e dell’autoinganno.
Pur trovandomi in totale disaccordo con talune assunzioni filosofiche di fondo, ritengo che questo volume rappresenti una voce alternativa chiara, ben argomentata e rispettabilissima.